Richard Strasse vive
un’estate silenziosa. L’aria afosa schiaccia la
frescura del mattino, soffiando con prepotenza sui palazzi di
Grunewald. L'Avvocato annusa sospettoso l'aria che sa di
caffè, Erwin e suo padre suonano il pianoforte e le loro
note attraversano i vetri della villa con eleganza, avvolgendo con il
loro calore il corteo che cammina attraverso il viale.
Facce tetre avvolte in fazzoletti color carbone popolano Grunewald, gli
sguardi delle donne sono coperti da un velo scuro che penzola dai loro
cappelli, i bambini ammutoliti si tengono stretti alle giacche scure
dei loro padri. L'avorio della tunica parrocchiale del prete che
pronuncia il Padre Nostro in latino è l'unica nota che
risplende tra la folla, seguita dal sarcofago in legno del morto a cui
la gente desidera dare un ultimo saluto.
L'odore dei crisantemi sulle corone si mischia con quello delle cucine
dei palazzi e, per un istante, i presenti hanno l'impressione di stare
camminando per le vie del mercato del lunedì mattina, con
tutti i profumi delle spezie e dei sapori raffinati della carne esposta
ad invadere le narici di chiunque abbia tempo per fermarsi e percepire
quelle meraviglie.
Isabel sospira, intingendo il pennello nel rosso carminio sulla sua
tavolozza. Con leggiadria lo alza sul muro immacolato di
quell’ultima stanza ancora spoglia della sua arte, delineando
sapientemente i contorni delle foglie color sangue dell’acero
che vuole disegnare.
« Tesoro, è meraviglioso ».
Albert osserva l’armonia con cui sua moglie gioca per creare
i suoi magnifici affreschi, rimanendone incantato. Guarda i suoi figli,
intenti a conversare con la loro ospite, e cerca nei loro sguardi
l’approvazione.
« Grunewald mi piace più di Charlottenburg,
» afferma Gregor, giocherellando con il candelabro appoggiato
per terra. « C’è più verde;
la mia divisa risalta! »
Tutti scoppiano a ridere. È talmente fiero della sua
promozione che non perde occasione di sottolinearla. Marguerite lo
osserva sorridendo e pensa che quella, tutto sommato, è una
famiglia strana ma piacevole. Isabel e Albert l’hanno accolta
in casa loro nonostante si siano appena trasferiti, nonostante siano
anni che tra lei e Gregor non ci sono più contatti. Stringe
le spalle dopo un rapido scambio di occhiate con la padrona di casa,
portando alle labbra la tazza di tè alle fragole che Albert
le ha preparato per farla riposare dopo il viaggio.
Fuori il corteo ha abbandonato Richard Strasse, avviandosi verso la
fine del quartiere. Nessuno, lì a Grunewald, si sarebbe mai
aspettato la prematura scomparsa di quel povero ragazzo con quelle idee
così scanzonate e briose.
Berlino, dicembre 1943
Le soffici note delle melodie dei signori Planck la svegliarono con
discrezione, cullandola nel dolce stato del dormiveglia fino a quando
non fu perfettamente cosciente di essere a bordo della vettura di suo
marito, addossata al finestrino al posto del passeggero.
« Signora Heidenreich, siamo arrivati ».
Un Oberschütze accorse ad aprirle la portiera, porgendole la
mano inguantata per aiutarla a scendere. Marguerite gli
scoccò un’occhiata astiosa e si
affrettò a portarsi sul marciapiede da sola, accarezzandosi
con discrezione il ventre rigonfio a causa dell’avanzata
gravidanza. Riconobbe subito la villa, ormai caduta in rovina dopo
essere stata abbandonata per anni. Anche con le imposte sbarrate e il
cancello chiuso con un doppio giro di catenaccio, manteneva una certa
dignità. L’affresco della corona di fiori di pesco
sopra l’arco della porta principale era ancora ben visibile,
seppur sbiancato a causa della poca cura che quel posto aveva ricevuto.
« Signora Heidenreich? Andiamo? »
L’ Oberschütze sembrava impaziente.
Ma certo,
Marguerite alzò le spalle e lo seguì fino ai
cancelli della villa,
con
tutto il lavoro che hanno da sbrigare è ovvio avere fretta
di tornare a poltrire. Peccato che lei di fretta non ne
avesse neanche un po’. Le ci erano volute tre settimane di
moine e subdoli trucchetti per ottenere il permesso di suo marito per
tornare a visitare Grunewald: non avrebbe sprecato così la
sua unica occasione di rivivere il passato.
Rimettere piede in quella vecchia casa che sapeva d’estate
significava molto di più che cercare un pretesto per
convincere il capitano Heidenreich a traslocarci. I sapori, le gioie e
le emozioni di quando aveva vissuto Berlino per la prima volta erano
tutte celate dietro i catenacci di quel cancello arrugginito. Emozioni
magiche, che al tempo le avevano sciolto l'anima e l’avevano
trasportata via, guardandola scomparire nei meandri di una coscienza
chiusa a tutto ciò che non è toccabile con mano.
Marguerite sentiva di dover tornare a camminare nella stanza
dell’Acero rosso. Sentiva di dover tornare ad ammirare la
perfezione con cui Isabel aveva dipinto ogni singola foglia, partendo
dai rami più bassi sulle pareti e continuando il suo
minuzioso lavoro persino sul soffitto.
La stanza
dell’Acero rosso odora di fragole e cannella. David dorme tra
i cuscini del sofà che troneggia sotto al lampadario; con la
punta delle dita accarezza la schiena nuda di Marguerite, immobile
sotto di lui.
Non un respiro rovina quel momento, i due ragazzi si stringono
l’uno all’altra strofinandosi le guance, complici
in quel silenzio che sembra durare da secoli.
Marguerite gli bacia piano la bocca, passandogli le dita tra i capelli
color miele, e sorride. In quel momento sente di non amare che lui e i
suoi occhi più azzurri del cielo, sente di non voler mai
più rinunciare a quel contatto, di voler vivere per sempre
con le sue gambe lisce e magre intrecciate con quelle di David. Sente
la sua patria lontana, sente lontani persino i suoi fratelli che a
Parigi combattono per la libertà. Vuole soltanto stare con
l’enigmatico fratellastro di Gregor, stretta tra le sue
braccia esili, cullata dalle melodie che lui suona tutte le sere con il
vecchio pianoforte a casa dei Planck.
« David, davvero ve ne andrete via? » Sussurra
quelle parole quasi fossero rivolte a lei e non al suo giovane
innamorato. In fondo conosce già la risposta, Isabel lo ha
annunciato già da qualche giorno.
David si desta dal suo sonno leggero, allentando per un istante la
presa attorno alle spalle di Marguerite. « Sì, ma
Gregor rimane qui con te. Torneremo prima di quanto pensi, sai?
»
Le sorride, dandole un ultimo bacio sulla fronte e alzandosi per
rivestirsi. La ragazza lo osserva in silenzio, seguendone con minuziosa
cura i contorni del viso. Vorrebbe fare qualcosa per migliorare la sua
situazione, ma è consapevole di non poter muovere neanche un
passo falso per non essere espulsa
dall’università. E poi lo sa, Marguerite, David
è un ragazzo sveglio, uno di quei geni che se la sanno
cavare sempre e comunque, nella vita.
Sospira, guardando la stella gialla spiccare sulla giacca del ragazzo.
Non riesce a concepire come lui possa essere così fiero di
indossarla, così orgoglioso di essere diverso,
così ottimista riguardo al futuro.
La stanza dell’Acero rosso si tinge improvvisamente dei
colori del tramonto, destando Marguerite da quei pensieri con un soffio
di vento della sera che spezza l’afoso pomeriggio
d’agosto in cui si sono crogiolati fino a quel momento. Che
crudeltà, l’imbrunire.
« David, rimani qui con me ».
David le rivolge un’occhiata triste, mentre si allaccia le
bretelle sopra la camicia ancora sbottonata. « Va bene,
» risponde. Per un istante sembra persino credere alle sue
stesse parole. « Tutto quello che vuoi ».
Varcando la soglia della villa, Marguerite rischiò di
inciampare nei resti di una credenza distrutta e crollata a terra. Ad
eccezione della fioca luce che filtrava dai vetri sporchi di polvere,
l’anticamera era identica a come se la ricordava. Spaziosa,
immensa e interamente affrescata. Uno dei piccoli capolavori che quella
casa celava dietro le sue mura scrostate.
« Faccia attenzione, »
l’Oberschütze le cinse le spalle, aiutandola a
superare quel cumulo di assi di legno e vetri rotti. «
Desidererei riportarvi a casa tutta intera ».
In quel tono di voce così acido e anche un tantino
canzonatorio, Marguerite leggeva l’angoscia.
L’angoscia per qualche scheletro nell’armadio,
forse, per qualche fantasma del passato che tormentava
quell’uomo quasi quanto quella villa tormentava lei. In
fondo, pensò, loro due erano compagni di sventura.
Non appena imboccò il corridoio, sentì la piccola
creatura che cresceva dentro di sé agitarsi. Aveva paura
come lei.
Deglutendo, Marguerite si accarezzò il ventre.
« Heinz, tesoro, qualcosa non va? »
sussurrò, mentre il suo cuore le imponeva di proseguire
attraverso la villa abbandonata.
L’Oberschütze la seguiva in silenzio, sempre pronto
a sorreggerla nel caso fosse stata troppo debole per reggersi in piedi.
Marguerite non si illudeva. Sapeva che tutto
quell’accanimento era per il figlio del Capitano Heidenreich
e non per lei, ma non le importava. Quel bambino, fino a prova
contraria, era più suo che di suo marito.
« Marguerite,
canta per me ».
David sorride, socchiudendo per un istante i suoi occhi celesti.
Nasconde il viso nella stoffa del vestito di Marguerite,
stiracchiandosi pigramente sotto al cielo grigio di Berlino. Marguerite
comincia a cantare seguendo il ritmo delle lancette del suo orologio da
taschino. Ricorda la canzone che Isabel intonava spesso
quando era di buonumore. Parla di un uccellino, piccolo e discreto, che
vola di casa in casa portando nel becco piccole fragole di bosco.
David si accarezza il viso con le sottili dita da pianista, giocherella
con la croce d’argento che porta sempre legata al collo. Ama
quel piccolo gioiello; è un regalo di suo padre e non ha la
minima intenzione di separarsene.
Il campanello suona, e il suo tintinnio rimane nell’aria per
qualche minuto. Mentre Marguerite si alza per andare ad
aprire, fa una carezza sulla spalla del suo innamorato e
sparisce dietro le tende della veranda che da sul giardino.
« Gregor! » grida, avvicinandosi
all’uscio chiuso per accogliere il ragazzo. È
contenta di vederlo dopo tanto tempo, dopo tutto l’inverno
passato in caserma, tanto che non pensa nemmeno a controllare dallo
spioncino chi sia in realtà il visitatore di quel pomeriggio.
Apre la porta di legno senza pensare, con il sorriso di chi
può finalmente riabbracciare un vecchio amico stampato in
faccia.
Il cobalto degli occhi dell’ufficiale dall’altra
parte del portone spegne con arroganza il suo entusiasmo. Le fa cenno
di tacere e immediatamente uno dei suoi uomini le è addosso,
premendole con forza la mano sulla bocca che intanto cerca di urlare
per avvisare David. Lui è di là ad aspettare,
stanco dopo due nottate passate in bianco, il figlio che la moglie di
suo padre ha avuto prima di entrare a far parte della famiglia
Schwerin3.
Si dimena Marguerite, ma la stretta del soldato è gelida e
forte. Qualcuno spara un colpo all’aria, probabilmente per
far credere al suo amico il peggio, e un secondo dopo la villa
è invasa dai militari, che frugano dappertutto con foga,
nella speranza di trovare l’ultimo Schwerin sulla loro lista.
Ad un tratto, dal giardino arriva l’urlo di uno di loro.
« Capitano, qui ce n’è un altro!
» E di nuovo uno sparo dilaga nell’aria.
In un istante, il mondo che Marguerite ha conosciuto viene strappato e
gettato ad ardere tra le fiamme come David era solito fare con i
bozzetti venuti male.
La stanza dell’Acero rosso era stata completamente
riverniciata di bianco. L’unico affresco di tutta la villa a
dover subito la triste sorte di essere stato cancellato dalle mura
domestiche su cui era stato dipinto era stato proprio il più
suggestivo e maestoso di tutti. Dei nidi intrecciati tra i rami carmini
dell’albero non era rimasto che un alone sul soffitto, appena
percettibile nella tetra penombra in cui quel luogo era ridotto. Niente
più radici che andavano ad attorcigliarsi sul pavimento di
legno, niente più foglie color sangue che davano alla stanza
dell’Acero quel tocco di seducente fascino per cui a
Grunewald era famosa. Tutto ciò che restava di quel glorioso
affresco era una stanza ridipinta di bianco, un bianco freddo e spento
che metteva in risalto il cappotto amaranto di Marguerite.
Sembrava quasi di stare chiusi in una grande scatola immacolata,
silenziosa e gelida nell’aspetto.
Tutto vorticava così rapidamente nella testa della donna in
piedi al centro di quel candido contenitore che lei stessa faceva
fatica ad udire la sua stessa voce, tanto rumorosi erano i
pensieri.« Perché? » mormorò,
inerte, tenendo lo sguardo fisso sul soffitto. Bianco, bianco, bianco
dappertutto. Dell’acero non era rimasta traccia.
L’Oberschütze si fece avanti. « Vostro
marito ha voluto così quel giorno, signora Heidenreich
».
Quel giorno. Il giorno della morte del suo amato David. Niente, in quei
momenti così agghiaccianti, le ricordava il bianco. Quando
ripensava a quella tragedia pensava al rosso del sangue, al blu degli
occhi del marito che prima di amarla l’aveva quasi uccisa, al
giallo della stella di David, al verde del giardino, al grigio dei
cieli di Berlino. Di bianco non c’era niente, quel giorno.
Esausta, Marguerite si lasciò scivolare a terra, su quel
pavimento di legno verniciato dello stesso colore della neve, tossendo
sul bavero del cappotto.
Quel giorno, quasi due anni prima, non era stata capace di salvare il
suo innamorato dalla morte. Non era stata capace di strapparlo al dolce
abbraccio e, per non venire incriminata, aveva dovuto tristemente
accettare il compromesso di unirsi allo stesso uomo che era stato la
causa della morte di David. Gli stessi Isabel e Albert erano scomparsi
per salvarla, dopo tutti i sacrifici che avevano fatto per poterla
farla divenire parte della famiglia mentre studiava a Berlino, erano
stati portati via senza nemmeno il tempo di salutare i loro figli.
Heinz si mosse ancora, irrequieto nel ventre materno. Marguerite
avvertì quella smania con una fitta, e istintivamente si
toccò la pancia, socchiudendo gli occhi con fare dolorante.
Riusciva a parlare con il suo bambino, sentiva chiaro e forte il
battito del suo cuoricino dentro di sé, lo sentiva
gorgogliare quando cercava di farle capire i suoi stati
d’animo.
E in quell’istante capì cosa la sua creatura le
stesse chiedendo di fare.
« Signor Grüber, venga qui, »
mormorò, cercando di tirarsi in piedi. « Mi dia
una mano … »
Non appena l’Oberschütze fu abbastanza vicino, la
donna gli sfilò la pistola dal cinturone, puntandosela
immediatamente alla tempia. Sapeva cosa doveva fare. Né lei
né il suo bambino avevano intenzione di vivere un giorno di
più con quel peso.
« Signora! »
Marguerite guardò in direzione dell’uomo che
l’aveva accompagnata, sorridendo amaramente. « Non
avertene a male, Gregor, sei stato un amico fidato. Ti
abbiamo sempre voluto bene, sia io che David ».
Premette il grilletto senza ripensamenti, ascoltando fino
all’ultimo la voce del suo bambino. Morì felice,
osservando il ritorno dell’Acero rosso.
In un istante, il pavimento della stanza fu di nuovo tinto del vivo
colore dell’albero che Isabel aveva dipinto anni prima con
tanta cura e gioia, felice di aver trovato finalmente una sistemazione
stabile nonostante i tempi difficili che la sua famiglia stava vivendo.
Il sangue di Marguerite ridiede vita all’Acero rosso della
villa affrescata di Grunewald, mentre le vane lacrime
dell’Oberschütze Gregor Grüber diluivano il
colore facendolo scorrere verso le pareti immacolate.
Di tutto quello che il soldato si era ripromesso di rivelare alla donna
del suo capitano, alla sua vecchia corrispondente, alla ragazzina di
cui era innamorato nelle sue estati di bambino, non restava che un vago
ricordo.
Si sedette accanto al cadavere esangue della signora, fissando atono il
soffitto. Con un sospiro, cacciò indietro la lacrime,
sforzandosi di non piangere per la morte della sua amica
d’infanzia. Sorridendo al dolce andare dei ricordi,
raccontò a Marguerite la storia della stanza
dell’Acero rosso, la stanza dove, due anni prima, aveva
salvato la vita a suo fratello.
« Mi hanno
promosso per averti ucciso, sai? » Gregor sorride, dando un
buffetto sulla spalla del fratellastro.
David ricambia, seppur poco convinto. Quando aveva visto arrivare
Gregor armato aveva sudato freddo. « Sono in debito con te,
» asserisce. « Cosa posso fare? »
« Nasconditi qui e non fare pazzie. Ormai nessuno
verrà a cercarti a casa, sono tutti convinti che ti abbia
sparato in giardino ».
« E Marguerite? »
« Lasciala stare, la riporterò qui quando
sarà il momento opportuno ».
Su Berlino soffia una strana brezza, una brezza che sa di speranza e di
liberazione, una brezza che forse annuncia la fine
dell’estate, ma l’inizio di qualcosa di
più bello. « D’accordo, »
David scruta Richard Strasse, assottigliando per un istante lo sguardo
turchino. « Allora ci rivediamo qui? »
« Nella stanza dell’Acero Rosso ».
« Nella stanza dell’Acero Rosso,
d’accordo ».
Gregor sorride al fratello, allontanandosi rapidamente lungo il viale
principale di Grunewald. Pensa a come d’ora in poi David
sarà costretto a vivere, a quanti sacrifici dovrà
fare per stare accanto a Marguerite finché non
sarà pronta per tornare a casa, a quali pericoli
andrà incontro d’ora in poi.
Immerso com’è nei suoi pensieri, non si accorge
nemmeno di stare camminando tra la folla di un corteo funebre. Rivolge
lo sguardo verso la bara di legno che viene trasportata in silenzio
lungo Richard Strasse e per un istante si ferma ad ascoltare le
malinconiche melodie di Erwin e di suo padre. Il profumo di
caffè proveniente dalla loro villa è invitante,
così come è invitante la composizione che il
pianista sta eseguendo. Note leggere, messe l’una dietro
l’altra in una scattante successione. Il risultato
è così trasportante che Gregor dimentica persino
le ansie che poco prima lo avevano assalito, tornando indietro alla sua
infanzia passata a Düsseldorf, correndo sulle sponde del Reno
assieme a Marguerite e quei due matti dei suoi fratelli.
E per un momento, per le vie polverose di Berlino, non c'è
persona che riconosca di partecipare ad un corteo funebre,
poiché tutti sono troppo occupati a tornare indietro negli
anni, quando ancora si era liberi di correre per i campi senza temere
il futuro. Così, mentre il fiume di persone vestite di nero
procedono verso il cimitero, i figli lasciano i cappotti dei padri che
si sciolgono in un sorriso, stringendo la mano alle loro mogli. Per la
prima volta dopo tanto tempo e per poco più di un istante,
l'ultimo saluto torna ad essere quello che in origine è
stato: non un addio ma un arrivederci, un augurio di
felicità da entrambe le parti che, assieme al profumo dei
crisantemi e del caffè di Planck e accompagnato dalle
calzanti note di Erwin, salva dalla disperazione della separazione.