Il mio ultimo giorno d'estate
È stato il mio
ultimo giorno d'estate.
Davo le spalle alla
stanza, indossando solo la biancheria
intima e il mio grande scialle di lana; stavo sciacquando una tazza,
canticchiando al ritmo della melodia che usciva da un cellulare posato
sul
tavolo.
Il profumo
del caffè riempiva l’aria, mischiandosi a quello
della
sigaretta che si consumava pigra nel posacenere.
Quando lo
sentii scendere la scala di legno scricchiolante,
presi un profondo respiro e mi voltai a guardarlo: la luce che filtrava
dalle
persiane chiuse gli illuminava il petto nudo, mettendo in risalto la
muscolatura asciutta e definita.
Un sorriso
mi si dipinse spontaneo sulle labbra
vedendolo con i capelli raccolti e arruffati, gli occhiali da vista e
lo
sguardo ancora perso nell’ultimo sogno.
Tornai a
concentrarmi sui piatti, sentendo il suo sguardo percorrermi la
schiena.
La
caffettiera iniziò a gorgogliare e lui si
avvicinò prontamente a spegnere il gas.
Mentre si
sporgeva sul lavandino per
afferrare le tazzine mi mise le mani sui fianchi e poggiò le
labbra nell’incavo
del mio collo lasciandoci un bacio delicato che mi procurò
un delizioso
brivido lungo la schiena.
Quando mi
trovavo accanto
a lui il mare in tempesta che mi imperversava nel cervello si calmava,
facendomi arrivare in un porto sicuro.
Mi piaceva
ascoltarlo parlare dei suoi
progetti e sentirlo disquisire di filosofia e musica.
Mi onorava
sapere che
quell’anima che percepivo tanto speciale mi confidasse le sue
preoccupazioni,
i motivi della sua rabbia e della sua disillusione.
Eravamo
diversi, come il
fuoco e la pioggia: lui divampava brillante e caldo, pieno di vita e di
prospettive, imponendosi nei discorsi con padronanza e sicurezza di
sé; io ero
un lieve scrosciare, timida a confronto con la sua
impetuosità, sempre timorosa
di disturbare o di non essere abbastanza.
Quando ci
trovavamo insieme però,
quei due mondi tanto diversi si fondevano raggiungendo
l’armonia, quasi la
pace.
Mentre
aspettavo che il caffè si raffreddasse, lo osservavo
girare una piccola sigaretta da dividere, un modo come un altro per darsi
il
buongiorno.
Continuava a
parlare nonostante gli prestassi poca attenzione,
persa com’ero in un pensiero che la visione delle sue mani
impegnate in
un’operazione tanto delicata mi aveva fatto quasi dimenticare.
La musica
dal cellulare continuava a cullare i nostri cuori
assonnati mentre il fumo usciva dalle sue labbra in spirali quasi
perfette.
La penombra
derivante dalle persiane perennemente chiuse dava alla
stanza un’atmosfera rilassata, estraniandoci dal sole degli
ultimi giorni di
Agosto che brillava fuori dalle finestre.
In quel
momento un sorriso amaro mi si dipinse sulle labbra: quella era la
nostra ultima mattina.
Oh, se solo
quella piccola tana avesse potuto rimanere ferma
ed immutata nel tempo, preservando la nostra dolce realtà.
A chi
importava che non fosse amore?
A me no di
certo;
tutto ciò che bramavo era stare ancora un po’ in
piacevole compagnia, con
quegli occhi castani ardenti che mi scrutavano, mi studiavano.
Ma il tempo,
si sa, non risparmia nessuno: ci vestimmo in silenzio, guardandoci di
sottecchi e ci ritrovammo così fuori dalla porta, in quelle
stradine strette ed impervie che avevano fatto da spettatrici al nostro
primo incontro.
Venne poi il
momento di separarsi: ci guardammo, con gli occhi celati dalle lenti
scure e mi chiesi cos'avrei visto nel suo sguardo se solo avessi potuto.
Sollievo?
Tristezza? Un mistero.
Lui mi
sorrise e rimasi incantata dalla curva perfetta di quelle
labbra, desiderando ardentemente che si posassero sulle mie un'ultima e
disperata volta.
Quel bacio
che avrebbe potuto lenire qualsiasi ferita non arrivò mai.
"Ci vediamo,
Ragazzina."
La sua voce
era calma, così calda da ricordarmi immediatamente i
sussurri segreti che avevano decorato le nostre notti.
Annuii,
incapace di proferire una sola parola che non svelasse il dispiacere
che provavo.
Ci demmo le
spalle, dirigendoci ognuno verso la sua vita di sempre.
Le lacrime
non minacciarono di scendere dai miei occhi neanche per un istante,
avevo pianto troppo in quella lunga estate, eppure sentivo il cuore
più pesante, come oprresso da un peso che sì,
potevo sopportare, ma che rendeva il cielo limpido e il sole brillante
quasi sbagliati, come se solo il grigio di una giornata di Settembre
potesse descrivere lo stato in cui mi trovavo: non un uragano in
tempesta di sentimenti e dolore, ma una lieve calma apatica che
caratterizzava chi già sapeva, chi non si aspettava altro.
Scesi la
lunga scala di pietra che mi avrebbe condotta al mare, così
azzurro da farmi male agli occhi.
Il giorno
dopo sarei partita per ritornare nella mia casa tra le montagne, e
già la nostalgia si faceva largo nel mio cuore, innescata da
quello che per me era un addio.
L'avrei
rivisto, certo, era troppo legato alle persone che facevano parte della
mia vita per pensare che non ci saremmo più incontrati;
eppure sapevo che si trattava di un addio.
Quello che
avevamo condiviso, quello che era stato, sarebbe finito quella mattina
di Agosto.
Come se non
ci fosse stato, per lui, e come qualcosa che avrei sempre custodito
gelosamente per me.
Gli dissi
addio così, senza una lacrima, con il mare all'orizzonte e
il sole a riscaldarmi il viso.
Gli dissi
addio e con lui salutai la mia estate.
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