100 Until that day
100. Until that day
Fino a quel giorno
"Quando stai per vivere il
giorno più bello della tua vita non sai che sarà il più bello. Non finché lo
diventa. Non riconosci il giorno più bello della tua vita finché non lo vivi.
Il giorno in cui ti impegni in qualcosa o con qualcuno, il giorno in cui ti si
spezza il cuore, il giorno in cui incontri la tua anima gemella, il giorno in
cui ti rendi conto che il tempo non basta, perché vorresti vivere per sempre. Quelli
sono i giorni più belli, i giorni perfetti." Grey's Anatomy, 5x22
Seduta sul fondo del letto, Riza osservava l'alta
uniforme perfettamente stirata e appesa all'anta dell'armadio.
Roy entrando in camera la trovò in contemplazione.
«Tutto bene?» domandò con un filo di preoccupazione.
«Dovrei essere io a chiedertelo. Sei tu che tra
poche ore verrai investito Comandante Supremo» gli rispose lei tenendo lo
sguardo fisso sulla sua uniforme.
«A cosa stai pensando?».
Resembool
le era subito piaciuta con quelle morbide colline verdi e l'aria pulita.
Avrebbe potuto trascorrere una vita semplice e felice in un posto come quello.
Avrebbe... ma aveva scelto diversamente ed era in pace con la sua decisione,
che in quel momento aveva il viso concentrato sui documenti relativi ai
fratelli Elric.
«Cosa
significa Sottotenente Hawkeye?».
«Tenente
Colonnello, vista la situazione, posso solo dedurre che il documento è errato»
rispose con pacatezza alla domanda nervosa del suo superiore.
Quello
che avevano trovato nella casa dei due fratelli Elric, però, le aveva fatto
cambiare idea riguardo a Resembool: un luogo all'apparenza così pacifico poteva
essere comunque teatro di orrori.
Il sangue
sulle pareti e sul pavimento della casetta dal tetto rosso aveva innescato la
miccia della rabbia in Roy, e Riza era ben consapevole che poteva fare poco o
niente per placarla. Era ancora troppo giovane, troppo irruento. Avrebbe avuto
modo di imparare con gli anni.
Roy si
fiondò nella casa della signora Rockbell non appena si fu aperto uno spiraglio
della porta e si avventò su un ragazzino biondo, in sedia a rotelle, più morto
che vivo. Dopo averlo scosso senza il minimo riguardo si trovò un'armatura di
due metri che supplicava in un pigolio infantile di perdonarli. Tanto bastò a
congelare la sua rabbia.
Riza si
fece da parte. La signora Rockbell la fece accomodare in ingresso. Il giovane
ufficiale non sapeva quanto avrebbe dovuto attendere il suo superiore a colloquio
con quei due bambini, ma era pronta ad aspettare tutto il tempo necessario. Era
solo un modo di esercitare la sua pazienza.
Una
ragazzina bionda le si avvicinò con un vassoio e due tazze tè; si sedette
accanto a lei sulla lunga panca di legno.
«Ehm...
Sottotenente...».
«Chiamami
pure Riza. Riza Hawkeye. Piacere».
«Lei ha
mai sparato a qualcuno?».
La mano
che Riza aveva alzato nel presentarsi alla ragazzina rimase sospesa a
mezz'aria. L'intero corpo s'irrigidì e le pupille si dilatarono: Riza si stava
sentendo sotto attacco e il suo corpo reagiva di conseguenza.
Ritrasse
la mano. S'impose di calmarsi. Era solo una bambina. Una bambina sofferente.
Poteva scorgere nei suoi occhi lo stesso dolore che lei aveva provato alla sua stessa
età. La riconobbe subito: un'orfana, proprio come lei.
«Sì,
certo. Molte volte... Molte».
Aveva
letto in quegli occhi azzurri un'immensa fame di sincerità. Non voleva sentire
una favoletta che tenesse la coscienza e i cattivi pensieri in quiete. Voleva
la verità perché era forte abbastanza per sostenerla.
«Io odio
i militari. Mio padre e mia madre sono stati uccisi dopo che i militari li
avevano condotti sul campo di battaglia. E adesso quel Mustang sta cercando di
portarsi via Ed e Al. Non voglio che loro entrino a far parte dell'esercito.
Non li portate via, vi prego...». Aveva pronunciato tutto a voce bassa, ma con sicurezza.
Decisamente quella ragazzina sarebbe cresciuta troppo in fretta; come lei.
«Non li
porteremo via usando la forza. Saranno loro stessi a decidere». Riza voleva che quella bambina
capisse bene cosa le stava dicendo, voleva farle sapere che ciò che provava era
legittimo. «Onestamente parlando, anche a me non piace essere un soldato.
Perché a volte capita di dover togliere la vita a qualcuno».
«Allora
come mai è ancora nell'esercito?».
«Perché
c'è qualcuno che devo proteggere. Non sono stata forzata da nessuno. Sono stata
io a deciderlo. Premo il grilletto della mia pistola di mia volontà. Per una
persona che deve essere protetta e rimanere in vita. Fino al giorno in cui
quella persona non raggiungerà il suo scopo io non esiterò a premere il
grilletto della mia pistola».
La conversazione avuta con Winry era impressa
nella mente di Riza. Ultimamente la ripercorreva spesso, nei momenti più strani
della giornata. Se solo pensava che aveva confidato a una bambina i suoi
propositi con una tale naturalezza...
«Sto pensando di congedarmi». Lo disse con la
stessa calma e serenità con cui aveva parlato a Winry tanti anni prima.
Distolse lo sguardo dall'uniforme per fissarlo su Roy, che se ne stava in piedi
con gli occhi sgranati dalla sorpresa.
Dopo un paio di secondi riuscì a parlare. «Cosa?».
«Credo sia arrivato il momento di congedarmi».
«Quando l'avresti deciso?».
«Quando mi hai scelto come tua assistente».
«Non mi hai mai detto niente. In tutti questi
anni... Non pensavi che mi avrebbe fatto piacere saperlo». Cominciava ad
avvertirsi una leggera nota di panico nella sua voce.
«Così avresti cercato di fare di tutto per farmi
cambiare idea?». Riza si alzò per raggiungere Roy e prendergli le mani. «Non è mai stata mia
intenzione rimanere tutta la vita nell'esercito. Volevo solo stare al tuo
fianco. Supportarti. Proteggerti fino a quando non avresti ottenuto ciò per cui
hai sempre lavorato tanto duramente. Ed ora ce l'hai. E sono così orgogliosa di
te».
Roy tentò di interromperla, spaventato dalle
dichiarazioni che potevano seguire. Si sentiva tradito, lasciato da parte, come
se per tutti quegli anni, con la scusa di stargli alle spalle, Riza avesse in realtà
mentito sul percorso che stava seguendo. Non stava dietro di lui, aveva
percorso il suo cammino personale ed ora era il momento di prendere un bivio e
cambiare direzione.
«Roy. Roy, ascoltami, per favore. È arrivato per
me il momento di capire cosa posso fare per starti affianco, senza essere la
tua assistente, senza essere un soldato. Non hai più bisogno di quella donna.
Io non ho più bisogno di essere quella donna. Mi capisci?».
Roy cominciava a capire. In fondo l'aveva sempre
saputo, solo faceva male ammetterlo.
Annuì, pur non potendo celare la tristezza che gli
stava tormentando l'animo.
«E quindi? Cosa hai pensato di fare?».
«Intanto sarò con te per l'investitura. Ma sarà
l'ultima volta che indosserò la divisa».
«E poi?».
Riza prese il volto dell'uomo tra le sue mani,
cosicché potessero guardarsi negli occhi e leggervi tutte le parole che rischiavano
di essere di troppo.
«Che cosa ti diceva sempre Hughes?»
«Che ero un immaturo idealista».
Riza si abbandonò a una leggera risata. «Anche. Ma
non smetteva mai di ripeterti di trovarti una moglie. Quindi, vorresti
sposarmi? Ogni capo di stato che si rispetti ha bisogno di una moglie al suo
fianco».
Roy la guardò senza riuscire a mettere ordine tra
le emozioni che provava. «Sei seria?».
«Perché non dovrei essere seria?».
«Cioè... io non so... non dovrei...».
«C'è qualcun altra di cui non solo nulla che
preferisci a me?» cercò di sdrammatizzare la donna.
«NO! Certo che no! Solo che... sì... insomma...
Avrei dovuto chiedertelo io!».
«Così mi avresti fatto aspettare altri quindici
anni».
Riza non credeva che avrebbe creato tanto
scompiglio. Certo, aveva celato tutti i suoi propositi e i suoi pensieri, ma
solo per permettere a Roy di rimanere concentrato sul suo obiettivo. Abbandonò
le braccia ai fianchi, colta dalla delusione.
«Al diavolo! Certo che ti sposo, Riza!». La baciò sulle
labbra e la strinse forte tra le braccia, facendo sparire quella scintilla di malessere
che rischiava di accendersi.
Per Riza fu istintivo ricambiare l'abbraccio e sorridergli
tra i capelli.
Il giorno era finalmente arrivato: avrebbe smesso di
essere il soldato Hawkeye per diventare solamente Riza; solamente una donna; solamente
la donna più felice sulla faccia della terra.
L'ULTIMA NOTA:
L'unico
modo giusto per concludere questa raccolta era con il congedo di Riza
dall'esercito. Questo è il suo e il mio saluto. Magari questa risulterà
una scelta impopolare, ma a me sembrava quella più giusta.
Non so bene quello che provo a scrivere la parola fine.
Questa è la prima volta e onestamente ci sono stati momenti in cui non credevo ce l'avrei fatta.
Oggi
i themes compiono cinque anni. 100 storie in cinque anni. 100 ciambelle
-come mi piace definirle- non tutte con il buco, ma nonostante questo,
sempre 100, per i cinque anni più importanti e formativi della
mia vita. Gli anni in cui ho imparato di più su me stessa,
scavando nella testa di personaggi che non sono miei, (ma in
realtà li sento anche un po' miei). Gli anni in cui ho imparato
a conoscere i veri amici, quelli che sono presenti anche se nascosti in
queste storie, quelli che mi hanno ispirato e incitato. A loro è
dedicata l'intera raccolta. Siete tanti, più di quanti una
persona fortunata possa sperare di avere. E siete preziosi. Per questo
sono molto fortunata.
Ma
questa raccolta è stata scritta soprattutto per voi: voi
recensori (più di 400 recensioni: un sogno!), voi preferiti
(siamo a 51; incredibile!), voi ricordati, voi seguiti (più di
quanti meriti!), voi lettori che mi avete fatto credere nella mia
Leggenda Personale. Grazie!
E
soprattutto: grazie Hiromu Arakawa, grazie Roy. Grazie mille Riza!
Donna d'immaginazione, ma modello reale. Mi piace pensare che siamo
partite insieme, non ancora adulte, io con l'università e tu con
Ishbar, e siamo arrivate insieme alla fine, affrontando ognuna il
proprio Giorno della Promessa. Ci aspetta un futuro radioso, mia cara
Riza.
Ognuno
ha nel cuore una storia speciale. Fullmetal Alchemist, Roy e Riza sono
la mia storia speciale. Spero che ognuno di voi trovi la propria.
Il mio viaggio ha fine; è arrivato il momento per una nuova avventura.
Laura
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