dirty
Autore: Happy_Pumpkin
Titolo: Dirty Window
Immagine scelta: 3
Personaggi/ Pairing: Deidara, sorpresa
Genere: Dark, introspettivo
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU
Note dell'Autore: I personaggi sono stati scelti dopo un attento
esame... ho cercato di interpretarli e ritagliare per loro un ruolo
quanto più possibile adatto al carattere che hanno senza
però dimenticare la funzionalità per la storia.
Presenza sporadica di linguaggio pesante. Se necessario il rating
può essere alzato ad arancione, anche se non mi è
sembrato il caso.
DIRTY WINDOW
L'essere
umano è imperfetto.
Per sua natura tende ad errare, a deviare, ad andare contro natura.
L'essere umano impazzisce.
Ma, essendo la società tutto sommato civile, non viene
ucciso dai suoi simili perché troppo debole, anche se il
branco tende a lasciarlo indietro, preda delle sue stesse malattie.
Chi era pazzo veniva rinchiuso affinché non potesse mordere
altri animali, affinché non minasse le basi di
quell'edificio perfetto che era la società.
Manicomio, o forse cestino.
Sorrise. Era la verità: non si poteva eliminare un
ingranaggio rotto di quel complicato sistema, bisognava semplicemente
buttarlo, in attesa che qualcuno un giorno lo recuperasse.
“Deidara...” mormorò il suo stesso nome,
un bisbiglio, un soffio di vento che si perse tra le pareti di quel
corridoio malamente illuminato da qualche rara lampada.
Adorava il suo nome: lungo, musicale, raffinato ma non troppo
impegnativo. Pochi in quel luogo lo pronunciavano, forse per timore,
forse perché erano troppo persi per poterselo ricordare.
Sospirò, passando un dito affusolato sulla parete; fredda, con un'umidità palpabile. Le piastrelle sbreccate,
di un verde quasi fluorescente per via dell'opaca luminescenza dei
neon, rimanevano faticosamente aggrappate ad un muro macchiato dalla
muffa, dall'acqua che colava dalle tubature a vista poste sul soffitto
in più punti privo di stucco.
In quante occasioni aveva camminato lungo quel corridoio infinito,
accompagnato dal ronzio dell'elettricità e dal rumore dei
propri passi, seguiti da quelli dei due robusti infermieri che lo
scortavano.
Ancora una volta c'era qualcuno da aiutare. Si, credeva di poterle
salvare quelle persone - persone che ormai avevano abbandonato tutto.
“Chi abbiamo questa sera?” Chiese con tono quasi
seccato.
Non perché non lo intrigasse scrutare a fondo in quelle
menti contorte; lui adorava farlo, adorava sviscerare le loro paure,
le loro debolezze.
Si sentiva forte, vincente: la mente umana era arte, complessa ed
evocativa, lui era il critico che la contemplava indagandola nei suoi
recessi, nelle sue sfumature più sublimi.
Aspettando di vedere una crepa formarsi sulla tela, una sbavatura,
un'imperfezione soltanto.
Seccato perché parecchie volte quei dipinti da lui esaminati
si erano rivelati banali; troppo oscuri per essere decifrati, e
detestava ammettere di non riuscire a comprendere qualcosa, oppure
talmente semplici da rasentare la noia.
Sospirò. Aveva notato le occhiate perplesse scambiate tra
gli infermieri, ormai ci era abituato: ogni volta che parlava
sembravano preoccupati da quello che poteva dire.
Perché lui era imprevedibile.
Se non riceveva risposta, come era accaduto in quel momento, allora
voleva dire che il caso era davvero interessante.
Trattenne il fiato quando si fermò davanti alla porta
metallica dalla maniglia di freddo acciaio, dotata di una serie di
complicate serrature e di una piccola finestra sbarrata.
Gliela aprirono.
Strano – pensò – il paziente non era
stato chiuso dentro.
Affinché non potesse fuggire, affinché non
potesse mordere gli altri.
Entrò.
Mosse un passo e venne illuminato dalla luna che inondava coi suoi
raggi la stanzetta a cui era andato a far visita.
Una luce surreale che rese le pareti, di un verde sporco simile a
quello dei corridoi, rovinate dall'usura e dalle infiltrazioni d'acqua,
quasi vive - come se col loro colore accecante potessero parlare,
raccontando le storie dei malati mentali che le avevano graffiate con
la propria disperazione.
Una sedia. Una sola sedia al centro della camera piccola, quasi
soffocante.
Finché la luna non scomparve, nascondendosi dietro le nuvole; i suoi raggi si eclissarono, lasciando quel luogo circondato da
piastrelle verdi nella semioscurità.
Solo una timida luce proveniente dalla lampadina sopra di loro
permetteva a Deidara e al suo futuro paziente di intravedersi.
Ma in quel buio tutto sembrava più grande, persino la sedia
solitaria al centro pareva sollevarsi da un mare nero.
I loro occhi all'improvviso si incrociarono: nessuno dei due, dottore
ed infermo, aveva l'aria di essere spaventato o ansioso da quello che
sarebbe potuto accadere.
Deidara si morse un labbro, abbozzando un sorriso compiaciuto. Forse
questa volta avrebbe trovato qualcosa di veramente interessante: un
quadro più che unico.
“Sakura...” mormorò.
La voce aveva qualcosa di metallico, di artificioso e il suo
sorrisetto era malizioso, arrogante, trionfante di
superiorità.
Ma la ragazza, appoggiata sulla finestra, il cui riflesso dei capelli
rosa si mischiava col colore fluorescente della stanza, non parve farci
caso né risentirsene particolarmente.
Con un salto agile scese dal davanzale, mettendosi in piedi ed
incrociando le braccia.
Si fissarono ancora, studiandosi.
Finché lei non disse in un bisbiglio autorevole.
“Siediti.”
In quel preciso istante la porta alle spalle di Deidara si chiuse.
Avvertì lo scatto metallico delle numerose serrature.
Meglio così, con un soggetto simile non poteva sapere cosa
sarebbe successo; la violenza era una delle manifestazioni della
pazzia, d'altronde.
Guardò la sedia e poi Sakura, aspettandosi qualcosa: una
smentita forse, una risata di scherno... ma non ci fu nulla da parte
sua, solo silenzio.
Doveva aspettarselo da una come lei; fece una smorfia di
disapprovazione ma alla fine accettò e si sedette. Gli
ritornarono in mente le sue personali osservazioni sul paziente che
aveva iniziato a studiare:
crisi della personalità, violenza improvvisa,
necessità di comandare.
E poi un altro piccolo appunto che quella sera sarebbe stato
indispensabile per concludere qualcosa.
Fingere di assecondarla.
Sì, pensò con una certa sadica soddisfazione,
per scalfirla ed osservarla.
Fu così che si appoggiò sulla malandata sedia in
legno, accompagnato da un cigolio sordo parzialmente ovattato dalla
camicia bianca con cui era vestito. Davvero scomoda, doveva ordinarne un modello nuovo e sicuramente
più artistico di quello attuale.
Finché la ragazza, vestita anche lei di un bianco accecante
in mezzo a quell'oscurità, quasi una luce che rendeva le
mattonelle verdi più vivide, non chiese questa volta con
tono più dolce:
“Lo sai perché sei qui?”
Deidara fece una mezza risatina.
Ricominciamo questo stupido gioco.
“Vorrei esaminarti.” rispose laconico, gli occhi
che dardeggiavano attenti verso di lei.
Sentì Sakura sospirare: “Anch'io vorrei esaminare
te. Hai bisogno di aiuto, sembri così triste.”
Perché usava quel tipo di approccio? Meno accademico e
più sentimentale.
Ma con lui non attaccava; cosa poteva capire una pazza di sentimenti?
Alterato rispose: “Io non c'entro nulla, sei tu il mio
soggetto. Mi sono seduto, ho fatto come mi hai chiesto, ma ora voglio
che tu mi ascolti.”
Le labbra della ragazza si assottigliarono; la vide impallidire e gli
occhi si alzarono impazientemente verso il soffitto.
Fino a che, improvvisa come un lampo, la sua mano, apparentemente
piccola e delicata, non piombò sul viso di Deidara.
Uno scontro di pelli, un rumore sordo e netto. Lo schiaffo, violento al punto da fargli voltare la testa, lo aveva
colpito in pieno.
In un primo istante Deidara si portò una mano in volto,
sentendo ancora il bruciore del colpo subito, per poi scattare in piedi
furente:
“Non ti devi permettere! E' anche per questo che sei chiusa
qui dentro! Comportandoti così non andrai da nessuna
parte.” concluse infine in un sibilo cattivo.
Sakura si portò una mano alla bocca, spaventata,
indietreggiando di qualche passo.
Con gli occhi sgranati lo fissò stare in piedi guardandola
con rabbia finché non si ricompose dicendogli, cercando di
risultare autorevole:
“Torna a sederti Deidara. Perdonami, non pensavo che toccarti
ti desse fastidio.”
Toccarlo. Lo aveva schiaffeggiato in pieno. A lui, lui che non
permetteva ad alcuno di infastidirlo, lui che adorava la sua persona...
eppure era accaduto.
E' una paziente – ripeté a sé stesso
– cerca di sopportare.
Nonostante non fosse mai stato particolarmente ponderato, nonostante
detestasse essere offeso.
Così, passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi, decise
di darsi una calmata e tornò a posarsi su quella sedia
malandata, su quell'unico mobile tra le pareti spoglie.
All'improvviso Sakura, ripreso il controllo, chiese cercando di
risultare il più disponibile possibile:
“A che cosa pensi Deidara?”
Questi rimase interdetto. Quel soggetto, come prevedeva, era davvero
interessante.
Se avesse parlato magari lei a sua volta avrebbe confessato le sue
debolezze, i suoi problemi. E lui l'avrebbe aiutata.
“Vedi quella finestra? - chiese indicando l'apertura alle
spalle della ragazza - E' sporca, il legno roso dai tarli, non ha
inferriate perché siamo troppo in alto affinché
qualcuno possa fuggire. Scrutando la notte mi sembra di essere fuori da
questo posto. Io sono una finestra in questo momento
perché tu, parlando con me, puoi guardarmi
attraverso.”
Silenzio.
Incrociò le braccia, appoggiandosi allo schienale, e
reclinò leggermente la testa così che i capelli biondi
scivolarono di lato.
Sakura era rimasta immobile.
Finché non volse un istante lo sguardo verso il panorama
inghiottito dall'oscurità, contemplando la solitudine di
quel luogo, per poi ritornare tra quelle pareti chiuse, strette,
anonime.
“Anch'io provo lo stesso.” Ammise con sofferenza.
Le labbra di Deidara si incresparono in un sorriso tagliente e
replicò:
“Lo so.”
E' per questo che sei qui. E' per questo che tutti noi siamo qui.
“E non vorresti provare a cambiare?” chiese
inaspettatamente lei.
Perché avvertiva speranza nelle sue parole?
“Assolutamente no – rispose con convinzione
– ma non dobbiamo parlare di me, per quanto mi piaccia, sei
tu la vera protagonista qui.”
“No, sai bene che non è così.”
Negare. Le persone con problemi mentali negano sempre. Non accettano
mai la verità, non accettano di essere malati; peccato,
sarebbe stato il primo passo per guarire.
Bisognava andare più a fondo. Era necessario portarla a
capire, con le buone o con le cattive, che stava sbagliando.
L'unico modo per non portarla più a guardare attraverso una
finestra.
“Ora basta Sakura. Il gioco è finito:
piantiamola di ribaltare i ruoli. Sei tu, adesso, a dovermi
assecondare... per te, per aiutarti... lo capisci questo?”
Per un solo istante intravide incertezza negli occhi della ragazza.
Finché non mutò espressione, facendosi molto
più determinata di quanto non sembrasse; risultò persino
più virile con quella maschera di decisa
aggressività.
Merda. Non dovevo essere così diretto. Forse ho esagerato...
cosa vuol fare?
Si avvicinò a lui, oscurandogli parzialmente la vista dalla
finestra, e apparve falsamente imponente. I loro visi, infine, furono così vicini da potersi quasi sfiorare col
naso.
E poi uno scatto, rapido, violento.
Sakura lo afferrò ad una spalla, stringendolo, affondando le
dita nella sua pelle; Deidara sentì le ossa polverizzarsi al suo
contatto.
Non urlò solo per orgoglio ma i suoi occhi, chiari
come quelli della ragazza, emanavano un odio che difficilmente qualcuno
avrebbe potuto contrastare o anche solo comprendere.
Non gli fu possibile muoversi, bloccato com'era da quella presa.
“Che stai facendo?!” non riusciva a capirla, non
riusciva ad afferrare quella mente contorta, imprevedibile quanto
poteva esserlo solo una persona di sua conoscenza: lui stesso.
Lei rimase silenziosa finché non disse quasi bisbigliando:
“Mi dispiace, so di deluderti...so che non avrai
più fiducia in me. Ma tu devi riposarti.”
Finì di parlare ed estrasse da una tasca frontale del
vestito un qualcosa che scintillò nella penombra. In un
primo momento Deidara non distinse bene le forme, troppo confuse,
finché non vide chiaramente di cosa si trattava.
Cazzo! Ha un bisturi!
No, era assurdo. Non era la prima volta che gli internati riuscivano ad
afferrare oggetti dai carrelli ospedalieri, magari medicine o resti di
cibo, ma mai gli era capitata una cosa simile.
Per qualche istante non si mosse, gli occhi sgranati e il sudore che
colava lungo la schiena. Ma aveva mani e braccia bloccate, non riusciva a muoversi né
a respingerla.
Così giocò l'ultima carta che aveva.
Urlò. O meglio, sbraitò cercando di attirare
l'attenzione degli infermieri, sperando di incuterle timore magari. Ma Sakura era forte, nonostante sembrasse una donnetta qualsiasi sapeva
farsi valere.
“Sta' lontano da me!” gridò lui
esasperato.
Sì, lo vide: per un attimo scorse il terrore nel
suo sguardo da ragazza innocente. Ma non lo lasciò, non corse via a rifugiarsi in un angolo.
I pazzi hanno una visione molto relativa della paura.
E agì. Gli piantò con violenza quella lama gelida
nel braccio. Avvertì quel contatto, quel freddo, le carni che si laceravano oltre i tessuti.
Non poteva più aiutarla, non poteva più aiutare
nessuno.
A quel punto radunò tutte le forze che aveva, nonostante
sentisse il sangue bagnargli i vestiti, nonostante il male lancinante
che gli mozzava il respiro, e si scagliò contro di lei,
gettandola a terra così che i rispettivi capelli si
mischiarono in una massa confusa. Gli occhi acuti, penetranti e strafottenti, erano puntati contro di Sakura, la quale cercava di difendersi con le mani, mentre il coltello era
caduto lontano sul pavimento freddo e umido.
La sentì urlare, chiamare a sua volta gli infermieri. Con disperazione, come se fosse lei la preda in trappola e non lui,
ferito, pugnalato senza che potesse difendersi.
“Nessuno accorrerà da te!”
esclamò quasi trionfante.
In quello stesso istante, pronunciate quelle parole, i due infermieri
spalancarono la porta frettolosi e con preoccupazione crescente. Erano arrivati a salvarlo prima che morisse dissanguato o anche solo
prima che quella pazza osasse colpirlo ancora.
Poteva morire. Aveva davvero rischiato.
Uno di loro lo prese però violentemente e gli strinse la
camicia con forza tale da sembrargli che il torace potesse esplodere da
un momento all'altro, costretto tra quelle fasce. Venne tenuto da una presa salda per poi ritrovarsi sbattuto contro una
parete.
Si sentì un rumore sordo, forse di una costola rotta. Dolore, un dolore che gli annebbiava la vista, persino la
capacità di pensare. E le piastrelle, nel punto in cui era
stato spinto dall'uomo, si incrinarono.
“Che cazzo stai facendo?! - esclamò, faticando
persino a sentire la sua voce – E' lei! E' lei...”
Il tono di voce si affievolì; avvertì una
strana debolezza piombare su di lui, arrivando persino a
rendergli difficile aprire la bocca. La presa si fece meno forte e Deidara, come una foglia staccata da un
albero, si accasciò a terra, avvertendo il freddo sulla
guancia pallida poggiata sul terreno umido.
Un ciuffo di capelli disordinato gli andò a coprire
parzialmente il volto.
Ma la intravide. La sua paziente.
Aiutata da quegli infermieri a rialzarsi, a raccogliere il bisturi. Faticava a camminare... era spaventata?
Parlottarono fra di loro, frasi troppo confuse affinché
riuscisse anche solo ad afferrarle. E infine Sakura appoggiò una mano sulla porta, aprendola,
per poi guardare un istante verso di lui; con rammarico, forse
addirittura con affetto.
Uscirono, silenziosi, richiudendo la porta dietro di loro. Ancora una volta le serrature scattarono.
E lui si ritrovò solo nella cella troppo piccola,
claustrofobica, dalle pareti verdi, dall'oscurità che
accarezzava la pelle sudata e i capelli scompigliati. Solo la sedia, ancora in piedi, a tenergli compagnia mentre sanguinava
e sopra di essa la lampadina che oscillava ad un ritmo monotono.
Chiuse gli occhi, addormentandosi.
*^*^*^*
Ce lo aveva di fronte; seduto alla sua scrivania vuota, con solo un foglio
posato sopra. Lo sguardo era distante, apatico, privo di qualsiasi sentimento. Come se fosse un manichino sorridente, non un essere umano.
“Sai... ” disse rimanendo educatamente sulla soglia.
“Entra, Sakura.” rispose lui fissandola immobile; il
tono di voce piatto e distante, mentre il volto aveva quel fastidioso sorrisetto
che non spariva mai.
Lei mosse qualche passo per poi sedersi e rispondere:
“Ci ho provato, davvero. Ma ho fallito.”
Sai non disse nulla. I capelli scuri, la pelle cerulea e gli occhi
scuri stranamente spenti, come se qualcuno lo avesse privato della
forza vitale.
Finché non incrociò le dita delle mani dicendole
incolore, quasi fosse stata una frase prefabbricata:
“Descrivi quanto è successo.”
Sakura appoggiò i gomiti sulla scrivania e si sporse in
avanti, incurante dell'aspetto disordinato che aveva dopo quanto
era accaduto.
Spiegò con aria professionale, nonostante il tono della sua
voce fosse particolarmente sofferto:
“Il paziente è mentalmente instabile. Soffre di
crisi da personalità multipla, attacchi di violenza
improvvisa e manie di persecuzione.”
“Manie di persecuzione?” chiese Sai anche se non
mostrò stupore, non mutando nemmeno l'espressione che fino
ad allora aveva mantenuto.
“Quando ho tentato di accarezzarlo ha reagito con violenza,
come se lo avesi schiaffeggiato. Dopo un po' ha iniziato a delirare
sostenendo che dovevo finirla; a quel punto mi sono avvicinata e ho
fatto per usare la siringa in modo da dargli del calmante ma... si
è messo a spingermi, a guardarmi terrorizzato...”
“Era spaventato?” quella volta apparve
più incredulo.
Sakura si morse un labbro: “Sì... e quando gli ho
fatto l'iniezione si è messo ad urlare, a strepitare. La
camicia di forza non gli ha impedito di aggredirmi.”
“E' nella cella di isolamento?” chiese ancora, il
sorrisetto che stonava apertamente con la domanda. Quando Sakura
annuì riprese: “Lasciamolo lì ancora
per qualche minuto, poi riportiamolo nella sua stanza; dev'essere
sorvegliato per evitare che si faccia del male.”
“Non volevo che si arrivasse a trattarlo
così.” ammise la ragazza con onesto disgusto.
Sai si alzò in piedi, imitato da lei; quando quest'ultima fece
per avviarsi verso l'uscita la richiamò, dicendole con
sguardo apparentemente privo di turbamenti:
“Sakura – lo guardò, con una certa
aspettativa – non è colpa tua. Non so se
riuscirà mai a guarire ma... non è colpa
tua.”
Ripeté, gli occhi quasi vitrei.
La ragazza un po' incerta annuì. Sai, il riflessivo,
distante Sai in fondo ci teneva a lei, ai suoi dipendenti e anche ai
pazienti; lontano dal mondo dei comuni mortali ragionava in una sua
precisa sfera temporale, rimanendo immutabile agli anni, come se nulla
potesse scalfire quella sua aria lontana dai sentimenti, incapace di
esprimere ciò che veramente provava oltre quel volto
staticamente sorridente.
Poche parole, tutte piene di significati.
Ambiguo, inquietante, forse persino fastidioso sotto certi aspetti. Ma era anche per lui che lavorava lì.
Sospirò quando passò e vide, attraverso la
finestrella, Deidara addormentato.
I capelli biondi sul pavimento, la pelle chiara, quegli occhi azzurri
pieni di sicurezza chiusi in un sonno privo di sogni. Sembrava
così tranquillo nonostante la cella piccola, soffocante,
scura.
Non l'avrebbe mai capito.
Lui che era il paziente però sembrava aver capito lei, la
dottoressa, denudandola nei suoi sentimenti come se fosse stata quella
sporca, rotta, finestra.
E' una storia che reputo assolutamente malsana. Non c'è
amore, rapporti tra le persone, solo un senso di solitudine e
oppressione. Un racconto un po' oscuro insomma.
Ha partecipato al concorso "Naruto
- Alternative Universe Special 2° Edizione" indetto da
DarkRose86 e, contro ogni mia più rosea
aspettativa, è arrivato terzo.
Accaparrando anche il premio originalità... mah... mi sembra
tutto ancora troppo strano... XD
Volevo approfittarne per complimentarmi con tutte le partecipanti, tra
cui le altre podiste:
sasusakuxxx
Princess21ssj
kiara_chan arrivate seconde a parimerito
Qui riporto il giudizio:
III° CLASSIFICATA
Dirty Window
di Happy_Pumpkin
Giudizio: mi hai spiazzata. Non avevo mai letto una
storia così... strana. In senso buono,
eh. Dopo averla letta la prima volta, sono rimasta credo per qualche
minuto a fissare lo schermo, senza sapere cosa fare o dire.
Innanzitutto, ti faccio i miei più sinceri complimenti per
l'originalità del tuo racconto, decisamente il suo punto
forte; sinceramente anche a me, la prima volta che l'ho vista,
l'immagine che hai scelto fece venire in mente un manicomio. Ma come
l'hai trattata tu... beh, penso proprio che io non ci sarei mai
riuscita. Il paragone fra la sporca, nuda finestra e la dottoressa che,
agli occhi del pazzo, diviene paziente; la dottoressa che non sa
adeguatamente celare i propri sentimenti, e viene sondata, nel profondo
del suo cuore e della sua mente, da colui che dovrebbe curare.
Ho amato in maniera particolare la scelta dei personaggi, che ho
trovato abbastanza IC, certo in questo contesto non è
semplicissimo giudicarli; so solo che Deidara ci sta da Dio, in quel
ruolo. Così come vedo bene Sakura in quello che le hai
riservato, anche perché in quanto ninja medico, direi che
mai ruolo fu più azzeccato per la kunoichi di Konoha.
La grammatica è molto buona e lo stile mi è
piaciuto, anche se è meno "d'effetto" rispetto ad altre
storie in gara.
Ma toglimi una curiosità... studi psicologia, per caso? Te
lo chiedo perché hai trattato talmente bene quest'argomento
così delicato, che traspare tutto l'interesse che provi per
esso. Io adoro le cose psicologiche, dunque ho adorato la tua storia.
Bravissima, continua così!
Correttezza grammaticale: 9
Stile: 8
Originalità: 10
Caratterizzazione dei personaggi: 8,5
Attinenza al tema: 10
Apprezzamento personale: 5
Totale: 50,5
Qui
la pagina del concorso con le immagini
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