Fanfiction
scritta per il concorso
Rosa Shocking! , indetto da LolaPazza ( con la collaborazione
della cara Uchiha_girl ) sul Forum di EFP, e mia seconda storia su Pet
Shop of Horrors. Ovviamente, Leon/D. Spero di ricevere qualche
commentino. ^O^
La Storia si è classificata TERZA! *___* Sono troppo felice!
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“
Leon
Orcot? No, mi spiace, non conosco
nessuno con
questo nome. ” aveva riposto abbassando
lo sguardo, lasciando che i capelli scuri e lisci ondeggiassero
delicatamente a quel movimento. D era seduto su una candida poltrona
rivestita di una stoffa morbida e bianca come il latte, pura, come il
suo animo; se ne stava per la maggior parte del tempo immobile, in
silenzio, a fissare il paesaggio fuori dalla grande finestra. Gli
piaceva il verde dell'enorme giardino che circondava la residenza
della sua famiglia, lo attraeva; ma non gli era concesso uscire,
neanche lui sapeva esattamente per quale motivo. L'unica certezza era
che veniva sorvegliato ventiquattr'ore su ventiquattro,
affinché
non tentasse la fuga.
Spesso
e volentieri, capitava che dei suoi servitori gli portassero dei
doni, offerti da un certo Leon, e così era accaduto anche
quel
giorno; ma era certo di non conoscere quella persona, e si domandava
che cosa mai potesse volere da lui. I servi lo avevano descritto
come un ragazzo simpatico, dai riccioli dorati e lo sguardo
costantemente sorridente. Avrebbe voluto ricordalo, D, se solo questo
fosse stato possibile; ma non sapeva neanche da quanto tempo si
trovasse segregato all'interno di quella grande e lussuosa dimora,
era come se tutto si fosse fermato.
Osservò
curioso l'oggetto che gli era stato regalato quel giorno,
rigirandoselo fra le lunghe dita affusolate: era uno specchio. Molto
elegante, decorato con pietre che volle sperare fossero delle
semplici imitazioni; non avrebbe sopportato che una persona di cui
neanche contemplava l'esistenza spendesse così tanto per
lui.
Stette per qualche minuto ad ammirare la propria immagine riflessa,
sorridendo ogni tanto; era bello, e ne era perfettamente consapevole.
La pelle chiara e i capelli scurissimi, uno splendido contrasto
impreziosito da due occhi che lo rendevano completamente diverso da
tutti gli altri; questo perché uno di essi era color
dell'ambra, e l'altro dell'ametista più pura. La bocca
sottile
e le labbra rosee, una bellezza ultraterrena. Quella bellezza, che
Leon ricercava con tanta insistenza dal giorno in cui, per la prima
volta, l'aveva notata in mezzo alla folla: D era seduto sull'altalena
che si trovava al centro di un grande cortile, e si dondolava
sorridendo, volgendo talvolta lo sguardo verso di lui. Probabilmente,
quel giorno si stava tenendo un party in quella casa così
bella e sfarzosa; il ragazzo non aveva mai visto nulla di simile, in
vita sua. Lui che viveva in un'umile dimora di periferia, rimase
affascinato da quella realtà che non credeva potesse
esistere
a così pochi passi da dove abitava. E, soprattutto,
ciò
che più lo attrasse fu quel ragazzino spensierato, la cui
luce
spiccava in mezzo agli altri, ed era meravigliosamente abbagliante.
Lui era diverso dagli altri, pensò; non aveva mai visto una
creatura più bella. Ma prima che potesse avvicinarglisi
per
chiedergli come si chiamasse, qualcuno lo cacciò via, con
prepotenza; già, uno sporco plebeo non poteva neanche
sognare
di conversare con un nobile, tanto meno con un conte, perché
è questo ciò che quel ragazzino era, lo
scoprì
dopo giorni di estenuanti ricerche. Eppure, nonostante tutto, lui lo
sognò eccome; per anni, s'immaginò di potergli
parlare,
di specchiarsi in quegli occhi in cui sarebbe voluto annegare, se
questo fosse stato possibile.
Ripose
il dono nella colorata scatola che lo conteneva, e lo
sistemò
dentro un cassetto, assieme agli altri regali che aveva ricevuto:
c'erano un bracciale, un anello, un mazzolino di fiori ormai secchi,
e alcune poesie a lui dedicate. Esse decantavano il suo aspetto e i
suoi capelli mossi dal vento mentre egli si dondolava sull'altalena
che oramai non esisteva più; e lui non capiva il
perché,
dato che semplicemente non ricordava nulla. Cos'era accaduto durante
la sua infanzia e l'adolescenza? Perché si trovava confinato
in quella casa, controllato sempre e comunque, qualsiasi cosa
facesse? Perché non poteva uscire ed entrare in simbiosi con
la natura circostante, come ardentemente desiderava? Gli venne da
piangere. Una calda lacrima rigò la sua guancia, andando ad
infrangersi sul pavimento lucido della stanza. In quel momento,
udì
delle urla provenire dal corridoio, come spesso succedeva; oramai ci
era abituato. Perciò, si rimise a sedere sulla sedia accanto
alla finestra, contemplando il cielo che iniziava a farsi scuro; era
certo che avrebbe cominciato a piovere, da un momento all'altro.
“ Ancora?
Quante volte glielo devo dire che non deve mai più farsi
vedere? Quel tizio è veramente cocciuto! ”
gridò suo
padre, sbattendo violentemente la porta della camera; D si
voltò
di scatto, incontrando lo sguardo di quell'uomo che gli somigliava
così tanto. Era colmo d'ira, e lo fissava come se avesse
fatto
chissà che cosa. Ma, come al solito, non gli disse niente;
si
limitò a digrignare i denti e dopodiché a
sospirare
rassegnato, uscendo così com'era entrato.
Quella
situazione andava avanti da molto, troppo tempo. Leon, nel frattempo,
si era impegnato per trovarsi un lavoro, ed aveva messo da parte
qualche soldo; per questo era riuscito a comprare quei regali a D, ma
non era ancora abbastanza. Talvolta pensava che forse era meglio se
la piantava di essere così insistente, visto che non
riceveva
mai risposta; ma era più forte di lui, preferiva sperare nel
futuro piuttosto che rassegnarsi di fronte all'evidenza. Era un tipo
testardo, e proprio per questo decise di tentare una carriera che,
forse, lo avrebbe aiutato ad avvicinare colui che, con un solo,
semplicissimo sguardo, era riuscito a rubargli il cuore.
“ Dimmi,
soldato Orcot, perché lo fai? ” chiese uno dei
suoi
superiori; era un solenne rito, quella domanda. Ogni volta che
plasmava un nuovo soldato, ci teneva a conoscere le sue ragioni;
nessuno lo faceva senza uno scopo, o un valido motivo.
“ Perché
c'è una persona che voglio proteggere, signore. ”
Quelle
semplici parole bastarono. Aveva deciso cosa fare della propria vita,
e ce l'avrebbe messa tutta, per avvicinarsi a colui che desiderava
difendere. Quella creatura aveva bisogno di lui, lo sentiva,
nonostante non lo vedesse da così tanto tempo. E, quando
finalmente ebbe terminato l'addestramento, si presentò
davanti
a quella porta con una nuova veste.
“ Soldato
Orcot a rapporto. Sono qui per offrirmi come guardia personale del
giovane conte. ” asserì determinato, di fronte ad
un uomo
che lo guardava torvo, un uomo che somigliava in maniera
impressionante a lui; gli stessi capelli lisci e
lucenti, gli
stessi occhi.
“ Proprio
tu. Certo che sei alquanto cocciuto, ragazzo. ” rispose
quello,
sorridendo appena, “ E dimmi, perché mai dovrei
assumerti?
Che garanzie mi offri? Sappi che mio figlio è molto malato,
per cui non può uscire fuori, anche se lo vorrebbe; dovresti
dunque esser capace di dirgli di no, e sappi anche che ha
più
forza di quanto tu possa immaginare. Nonostante ciò, vuoi
ancora questo lavoro? ” domandò, fermamente
convinto che, a
quelle parole, Leon avrebbe sicuramente cambiato idea.
“ Sono
ancor più sicuro, signore. ” disse annuendo con un
cenno del
capo, deglutendo nervosamente allo stesso tempo. Malato? No, no, non
poteva avere qualcosa di grave, non doveva. Non
avrebbe potuto
sopportarlo.
“ Ok...
ti darò una possibilità, giusto perché
sono
magnanimo. Ma ricordati una cosa: se sgarri anche solo una volta,
finirai male. ” lo avvertì, dandogli comunque il
suo
benestare, seppur decisamente controvoglia. Era sicuro che avrebbe
fatto di tutto per allontanarlo da suo figlio.
Dannazione
ai padri troppo protettivi, pensò, facendo un
profondo
respiro. Finalmente lo avrebbe rivisto, dopo anni e anni. Cosa poteva
dirgli? Si torturò silenziosamente per lunghi minuti, prima
di
essere invitato ad entrare nella stanza del ragazzo; venne
accompagnato da una serva, che rimase poi sulla porta, a controllare
la situazione. Lui era lì, seduto su una poltrona, con lo
sguardo fisso in direzione di un'enorme finestra; il suo profilo era
delicato e alquanto femminile, in netto contrasto col suo sesso
reale. Le ciglia lunghe incorniciavano gli splendidi occhi, e le
labbra erano socchiuse, invitanti, sensuali.
“ Ehm...
salve, signor conte. ” salutò educatamente, senza
pero'
ricevere risposta alcuna. Rimase in silenzio per qualche secondo, per
poi ripetere: “ Salve, signor... ”
“ Non
chiamarmi così. Io sono D. ” disse l'altro, senza
scostare
lo sguardo dal panorama che tanto lo attraeva.
“ D?
E per cosa sta questa lettera? ” chiese Leon, incuriosito.
Il
conte sorrise appena, voltandosi verso il biondo.
“ Decidi
tu... Leon. ” rispose, e il soldato arrossì
vistosamente a
quell'occhiata; se fosse morto in quel momento, probabilmente non gli
sarebbe importato. Quell'espressione era qualcosa d'indescrivibile,
di maledettamente bello.
“ Uhm...
dovrei conoscerla meglio, prima di sbilanciarmi. ”
constatò
il ragazzo, e l'altro rise a quell'affermazione.
“ Senta...
D. Suo padre mi ha accennato qualcosa a proposito dei suoi...
problemi. Mi domandavo se... se posso fare qualcosa per lei...
”
D
spalancò gli occhi, incredulo. Suo padre glielo aveva detto.
Gli aveva parlato di quella cosa. Si
rattristò, indicando la finestra.
“ Vedi,
Leon... io amo la natura, e tutto ciò che ne concerne. Ma
non
posso uscire là fuori. Là c'è la
morte. ”
spiegò, vago.
Là
c'è la morte... ma che sta dicendo? si chiese il
biondo,
stranito. Che intendeva con quella frase?
“ Uhm...
in che senso, la morte? ”
“ Ho
una strana malattia, per quel che ne so non ha neanche un nome... so
solo che se uscissi, morirei. Ma io vorrei tanto andare fuori.
”
Leon
fu intenerito dall'espressione che D assunse, e osò
avvicinarglisi un poco, porgendogli la mano.
“ Non
so che cos'ha, signor conte D, ma io la proteggerò ad ogni
costo. Sono felice di averla finalmente conosciuta di persona.
”
dichiarò, e l'altro lo guardò in faccia, poi
osservò
il braccio teso verso di lui. Timidamente fece lo stesso, stringendo
la mano della sua nuova guardia personale, che era incredibilmente
calda. Leon ammirò rapito la mano di D, così
diversa
dalla sua; le dita magre e affusolate erano deliziosamente decorate
da delle unghie dipinte di nero, molto lunghe. Ed era morbida, i
polpastrelli non erano callosi come i suoi, ma lisci e piacevoli da
toccare. Esplorò quella mano con attenzione, in modo da non
poter mai dimenticare quella sensazione. Era la sua
mano,
quella del suo sogno proibito.
~
~ ~
“ Leon,
perché mi hai fatto tutti quei regali? ”
domandò un
pomeriggio il conte, rivolgendosi all'uomo seduto accanto al suo
letto, intento a leggere un libro.
Il
biondo volse lo sguardo verso la creatura stesa su quel materasso
ricoperto di candide lenzuola, sussultando appena; per la domanda e
per la visione celestiale che si parò di fronte ai suoi
occhi.
D era avvolto in uno strano abito, simile ad un kimono giapponese,
decorato con motivi floreali; spesso si domandava come potesse essere
un uomo. Il vestito lo copriva fino ai polpacci, lasciando scoperte
le caviglie magre; notò che anche le unghie dei piedi erano
laccate di nero, e per qualche secondo rimase incantato, incapace di
proferire parola. Ma, quando il ragazzo gli si avvicinò
osservandolo con sguardo interrogativo, ritornò bruscamente
alla realtà.
“ Ehm...
beh... ”
Cosa
poteva dirgli? Era palese, che provava interesse per lui. Possibile
che D fosse davvero così innocente?
“ ...vi
sono piaciuti? ” chiese ridacchiando nervosamente, cercando
di
eludere il discorso.
“ Ti
ho fatto una domanda, soldato Orcot; è buona educazione
rispondere, prima di porre altri quesiti. ”
Accidenti,
non si sarà mica arrabbiato? si chiese fra
sé il
giovane, stropicciando la copertina del libro coi polpastrelli, con
l'intento di calmarsi; nonostante ci stesse insistentemente pensando,
non riusciva a trovare la risposta adatta alla domanda postagli dal
conte. O meglio, il motivo era ovvio, ma non poteva certo esclamare
un “ Ti amo! ”, senza pensare
alle conseguenze che un tale
gesto avrebbe potuto comportare. E dire che Leon era un tipo molto
impulsivo, ma nonostante ciò riuscì a
trattenersi,
scostando le iridi azzurre da quelle dell'altro, così belle,
così strane. Abbassò lo
sguardo, imbarazzato,
dopodiché finalmente parlò.
“ Perché
credo che, se li indossaste, sareste ancora più
affascinante.
E lo specchio dovrebbe servivi a constatare ciò. ”
asserì,
educatamente, senza pero' guardare negli occhi il suo interlocutore.
“ E
le poesie? ”
Si
sentì perduto.
Cazzo!
Ok,
questa se la tenne per sé, era un tipo abbastanza sboccato
per
natura, ma non era il caso di utilizzare il turpiloquio di fronte
alla persona che amava, perlopiù un nobile. E si
maledì,
conscio di aver esagerato nell'inviargli perfino delle poesie
d'amore. Non poteva più mentire, ormai.
“ Chi
ne assaggia la delizia, non la scorderà mai. ” [*]
sussurrò
D, abbandonando la testa sul morbido cuscino, e i fluenti capelli si
sparsero ribelli su di esso.
“ Come?
” chiese Leon, incuriosito da quella strana frase.
“ Uhm...
niente. ”
Niente?
Come sarebbe a dire, niente?
si domandò, confuso;
era
inutile, per quanto si sforzasse non
sarebbe mai riuscito a capire che cosa passava per la mente a
quell'individuo. Riaprì il volume che teneva fra le mani,
senza più fiatare. Ma sarà pur vero che il
silenzio è
d'oro, con D pero' esso non funzionava. Il ragazzo si alzò
di
scatto, andando a frugare in un cassetto; ne tirò fuori
alcuni
fogli un poco sgualciti, che il soldato non riconobbe alla prima
occhiata, ma gli bastarono comunque pochi secondi per capire cosa
fossero. E ne ebbe la certezza quando egli iniziò a recitare
uno dei componimenti che ben conosceva.
“ Quando
ero piccolo feci una domanda a mia madre:
- Mamma,
perché viviamo? -
E lei
rispose:
- Perché
ognuno di noi ha una propria ragione di vita. -
Io rimasi
perplesso della sua risposta,
e giorno
dopo giorno cercai di capire se anche io avevo una ragione per cui
vivere...
Ora ho
capito che per me l'unica ragione sei tu.
Ed anche se
non stiamo insieme,
mi basta un
tuo sguardo, per essere felice.
Sono
disposto anche a soffrire.
Anzi, lo
sto già facendo.
Ma in fondo
è proprio soffrendo,
che mi
viene voglia di cancellare per sempre questo momento e sperare in un
giorno migliore.
Con te.”
Leon
Orcot
~ 14 febbraio
Arrossì.
Davvero quella cosa l'aveva scritta lui? E dire che
si vantava di non essere affatto un romanticone – e di amare
le
ragazze -, ma di fronte all'evidenza doveva necessariamente
arrendersi.
“ Io:
il buio, la tristezza e niente altro...
Tu: la
luce, la gioia e la voglia di vivere...
Io e te, un
incontro di sensazioni, fantasie.
Due corpi e
due anime che s'incontrano e scontrano,
che
spontaneamente si cercano. ”
Leon
Orcot
~ 14 febbraio
Oddio.
Sì, le aveva scritte lui, quelle
frasi
incredibilmente mielose. Entrambe il 14 febbraio, il giorno di San
Valentino, a due anni di distanza l'una dall'altra. Non aveva mai
smesso di pensare a lui, mai, e non ricordava neanche con precisione
quanti anni erano passati dal giorno in cui lo aveva visto per la
prima volta.
“ Perché sei il buio,
Leon? ”
Quella domanda lo scosse nel profondo. Anche per il tono triste con
cui D l'aveva pronunciata.
“ Ecco... i miei genitori e mio fratello minore sono
scomparsi, ed
io sono praticamente cresciuto da solo, con l'aiuto di alcuni gentili
amici di famiglia. ” spiegò il giovane,
rattristandosi un
poco. Non aveva mai saputo cos'era accaduto ai suoi familiari, e D
era rimasto la sua unica ragione di vivere.
“ Oh... mi dispiace infinitamente, soldato Orcot. ”
Il ragazzo sorrise tristemente.
“ Mi siete rimasto solo voi. Spero che non mi caccerete via.
”
“ Non lo farei mai, mai e poi mai. ”
sussurrò il conte al
suo orecchio, posandogli le mani sulle spalle larghe, e sfiorando il
suo volto coi capelli corvini.
Leon rabbrividì. Era bastato quel contatto a farlo sentire
meglio, ma allo stesso tempo ad inquietarlo. Il conte D era strano,
non poteva negarlo: certe volte si mostrava incredibilmente
innocente, altre pareva quasi pericoloso. Ma era
certo che si
trattasse solo di apparenza, il suo aspetto androgino contribuiva a
farlo sembrare diverso dagli altri esseri umani. Ma anche se lo fosse
stato, a lui non importava. In fondo, necessitava d'una ragione per
vivere, per cui non lo avrebbe mai lasciato, anche se questi si fosse
rivelato veramente un pericolo. Leon era solito ripetere che il
rischio era il suo pane quotidiano, e dunque non poteva far altro che
rischiare. Al massimo, sarebbe morto per mano sua, e ciò non
gli sarebbe dispiaciuto.
~ ~ ~
Vivere
in quella casa era piacevole, se si tralasciava la soffocante
presenza del padre di D; lusso, un letto comodo, ottimo cibo, e la
persona che amava. Cosa poteva desiderare di più?
“ Voglio
uscire. ”
Una
tono di voce fermo, deciso.
“ D...
lo sapete che non vi è possibile. Vostro padre si raccomanda
ogni giorno e... ”
“ Non
m'interessa quel che dice mio padre! Voglio uscire, voglio andare in
giardino, mi sento soffocare qua dentro! ”
protestò il
giovane, cercando disperatamente di divincolarsi dalla forte stretta
di Leon, che tentava di farlo desistere dal suo intento. Abitava in
quel posto da quasi un mese, e quella era la prima volta che il conte
si ribellava. Il soldato aveva più volte chiesto al padrone
di
casa che razza di malattia avesse il figlio, ma questi non si era mai
degnato di dargli una risposta, sostenendo che si trattasse di cose
troppo private per poterne parlare ad uno come lui.
Ma lui,
fino a prova contraria, era la personale guardia del conte, ed aveva
il diritto di sapere quali fossero i suoi problemi, in modo da
prevenire spiacevoli avvenimenti. Senza contare che, effettivamente,
il padre aveva ragione quando gli disse che D aveva più
forza
di quanto si potesse immaginare.
Affondò
le unghie nel braccio di Leon, il cui volto si contorse in una
smorfia di dolore; ma non poteva reagire, non sarebbe mai stato
capace di picchiarlo. Non desistette, pero', e lo strinse forte a
sé,
cercando di farlo ragionare; l'altro, pero', era decisamente
testardo, quasi più di Leon stesso. E quel corpo in
apparenza
così fragile, in realtà sembrava non esserlo
affatto.
Così, assestandogli un poderoso calcio proprio lì,
riuscì a liberarsi, e a correre verso la grande finestra.
“ D...
che cosa volete fare?! ” esclamò il ragazzo,
terrorizzato.
E
l'altro si volto verso di lui, con espressione assurdamente calma,
sorridendo appena:
“ Uscire.
” disse semplicemente, un attimo prima di aprire la finestra
e di
saltare giù.
Fortunatamente,
la stanza si trovava a piano terra, per cui il giovane non si fece
assolutamente nulla; e Leon lo guardò correre felice su quel
prato verde, dove i fiori stavano per sbocciare ed invaderlo dei loro
colori e del loro dolce profumo. Abbracciò sorridendo il
grande albero al cui ramo più resistente, un tempo, v'era
legata l'altalena, poi alzò gli occhi al cielo osservando le
poche nuvole che danzavano lente su quello sfondo azzurro. Rimase
folgorato da quella visione, dall'allegria che trasudava da quel
corpo sinuoso che si muoveva veloce fra i grandi cespugli di rosa che
decoravano il giardino, dal suo argentino delle sue risate sincere. E
s'innamorò di lui ancora una volta.
Come
può essere malato... pensò, continuando
a fissarlo;
non aveva affatto l'aria di uno con problemi di salute
“ Soldato
Orcot... ”
“ Sì...?
”.
“ Non
pensi anche tu che tutto questo sia bellissimo? Osserva la natura che
ci circonda... non c'è niente di più
affascinante! ”
esclamò, mentre anche il biondo saltava dalla finestra e gli
si avvicinava.
“ Oh,
sì che c'è. Siete voi, conte D.”
Oh,
cavoli.
Sì,
questo fu proprio ciò che pensò dopo
quell'affermazione. Non era da lui scoprirsi così, ma ormai
il
danno era fatto. Beh, sempre se si potesse considerare un danno il
fatto che, dopo aver pronunciato quelle poche ma significative
parole, D aveva posato le labbra sulle sue. Fu un bacio casto, le
loro bocche si sfiorarono appena, senza violarsi; c'era ancora tanto
tempo, per andare oltre. Si guardarono a lungo negli occhi, fin
quando un rumore non ruppe il silenzio; un fruscio. Le iridi del
conte brillarono, quando si voltò di scatto e vide di cosa
si
trattava: non sapeva che attorno alla sua casa soggiornassero degli
animali selvatici. Un cerbiatto fece capolino da dietro un cespuglio,
e D gli si avvicinò, tendendo le braccia verso di lui; Leon
non credette ai suoi occhi: il ragazzo abbracciò l'animale,
accarezzandolo, e quest'ultimo non scappò impaurito dal
contatto con l'essere umano, anzi. Sembrava quasi voler ricambiare
quelle disinteressate attenzioni, donategli da una persona che
effettivamente, qualcosa di strano ce l'aveva, dato che pareva quasi
riuscire a comunicare con la natura circostante. Ma, si sa, l'animale
riesce a percepire i pensieri dell'uomo e a comportarsi di
conseguenza; e D era indubbiamente un amante di tutte le creature.
Era speciale. E soprattutto, non sembrava assolutamente malato.
“ Che
cosa state combinando qui? Siete impazziti? Il padrone vi
punirà,
il signorino non può uscire per nessun motivo! ”
sbraitò
una serva, attirata da alcuni rumori che provenivano dal giardino.
“ Perché?
Perché non posso? Io sto bene... io non credo di essere
malato! ” protestò il conte, allontanandosi
velocemente. Non
voleva tornare là dentro, e neanche affrontare suo padre.
Voleva restare all'aperto, godersi il paesaggio, il mondo.
“ D!
Aspettate! ”
Leon
lo seguì, attraversando velocemente l'enorme cortile, mentre
la donna chiamava gran voce gli altri servi, affinché
avvisassero il padrone di casa circa quanto era accaduto.
“ D!
”
“ Voglio
andare via da questo posto... non voglio più stare qui!
”
Il
soldato lo strinse forte a sé, una volta raggiunto;
accarezzò
i suoi capelli, delicatamente. E in quel momento, decise. Se quello
era ciò che lui voleva, beh... l'avrebbe accontentato e
seguito ovunque, nella buona o nella cattiva sorte.
“ Allora
andiamocene via insieme, mh? Dove non importa, basta che stiamo
uniti. ”
Il
conte lo guardò, sorridendo.
“ Sai,
Leon, non ti facevo un tipo... così. ”
“ Così...
come? ”
“
Romantico.
”
“ In
effetti, la cosa sembra strana anche a me. ” rise il ragazzo,
prendendo la mano dell'altro, “ Ma oramai sono in ballo.
Balliamo
assieme? ”
“ Ci
puoi contare, mio Leon. ”
E
fuggirono, senza una meta, contando unicamente sulle loro gambe, e
sull'amore; l'amore che li aveva travolti, come una dolcissima
tempesta. L'amore che avrebbe anche potuto portarli alla morte, o
dipingere per loro un futuro radioso.
~
~ ~
Pochissimo
denaro e tanta stanchezza.
Avevano
camminato per ore ed ore e, fortunatamente, nessuno li aveva trovati.
Ma D era certo che suo padre avrebbe mobilitato tutta la regione, pur
di scovare il suo nascondiglio. Ragion per cui non potevano per
nessun motivo soggiornare in una locanda, sarebbero stati troppo
facilmente reperibili. Lo stesso valeva se si fossero rifugiati a
casa degli amici di famiglia di Leon, sarebbero risaliti facilmente
all'umile dimora che sorgeva nella periferia del paese, dato che era
risaputo che il biondo era cresciuto proprio lì, dopo che i
suoi familiari erano misteriosamente scomparsi. Così,
ripiegarono su una sistemazione di fortuna all'interno di una vecchia
casa abbandonata, lontano dal piccolo centro abitato.
Dentro
vi era un letto matrimoniale, le coperte mancavano ma il materasso,
seppur malconcio, c'era ancora; purtroppo, sebbene la legna non
mancasse visto il bosco che si trovava nelle vicinanze, non potevano
permettersi di accendere il camino che, ovviamente, avrebbe dato
nell'occhio. Dunque si strinsero l'uno all'altro, su quel letto,
cercando di scaldarsi a vicenda. Da poco era venuta la primavera, ma
di notte faceva ancora abbastanza freddo.
“ Tutto
a posto? Avete bisogno di qualcosa? ” domandò il
biondo,
osservando preoccupato il corpo tremante di D, fra le sue braccia.
“ Piantala
di darmi del voi, non sono più conte ormai. Sono solamente
D.
Stringimi, ho freddo. ” rispose lui, ricercando
disperatamente il
calore del corpo dell'amante, che sembrava essere meno freddoloso.
Quest'ultimo, infatti, si tolse la giacca e la avvolse attorno al
corpo del ragazzo, coperto da abiti leggeri, come sempre. D sorrise e
chiuse gli occhi, attendendo l'invito di Morfeo ad entrare nel suo
mondo. Leon fece lo stesso, non senza sperare, prima di
addormentarsi, in un giorno migliore.
Nel
cuore della notte i due si svegliarono di soprassalto, udendo uno
strano rumore; possibile che li avessero trovati perfino in quel
posto? Il primo ad alzarsi fu il soldato, che si armò di
un'asse di legno trovata sul pavimento della camera; probabilmente
non era molto resistente, ma si trattava purtroppo dell'unica cosa
che poteva utilizzare contro un'eventuale minaccia. Sapeva usare bene
le armi, peccato che le sue le aveva lasciate nella dimora del conte.
Si maledì per questo, mentre avanzava cauto verso la porta.
Questa si aprì con un cigolio, e dietro di essa non vi era
altro che buio; lo stesso valeva per il resto della casa, che Leon
perlustrò accuratamente, aprendo perfino le ante del vecchio
mobile che si trovava in corridoio, diventato nel corso degli anni,
evidentemente, cibo per tarli. Niente. Non c'era nessuno lì
dentro, di estraneo. Fece un sospiro di sollievo e tornò in
camera, rassicurando D.
“
Tranquillo,
non c'è
nessuno, probabilmente è stato un animale, e sentendomi
arrivare è fuggito. ” mormorò,
stendendosi nuovamente
sul letto.
L'altro
pero' sembrava non esser convinto circa quell'ipotesi. Se fosse stato
un animale, ne era certo, non sarebbe scappato. Fin da quando era
piccolo, aveva sempre avuto una particolare affinità con
tutte
le creature, tranne che con gli esseri umani. Non conosceva il loro
linguaggio ma essi, invece, parevano conoscere anche i suoi
più
intimi pensieri. Poi, non ricordava con precisione in che anno, il
padre lo aveva segregato in casa, temendo per la sua salute e
camuffando da malattia quel rapporto fatto di complicità e
affetto che lo legava alla natura che tanto amava.
“ No,
non sarebbe fuggito, se lo fosse veramente stato... ” disse,
rabbrividendo.
“ Senti,
D... oh, ci sono tante, tantissime cose che vorrei chiederti... sei
ancora un mistero, per me. ” commentò Leon.
“ Chiedimi
quello che vuoi, mio bel soldato. Io ti risponderò.
”
Gli
occhi azzurri del ragazzo parvero brillare di luce propria, a quel
semplicissimo complimento. Mio bel soldato. Nessuna
delle
ragazze che aveva avuto l'aveva mai definito così.
Sì,
perché Orcot aveva avuto alcune donne – non molte,
in verità
-; principalmente era stato con loro per provare a dimenticare D,
dato che lo considerava una sorta di sogno irraggiungibile. E,
inoltre, l'omosessualità non era vista di buon occhio, anzi.
Aveva sentito dire di persone che erano state addirittura condannate
a morte, perché considerate deviate e dunque malate.
Ma
il conte era diverso dalle donne che conosceva. Lui era luce.
“ Qual'è
il tuo vero nome? ”
“ Uhm...
questo devi essere tu, a dirmelo. ” rispose, enigmatico. Ma
come?
Aveva detto che avrebbe risposto in maniera esauriente a tutte le sue
domande! Beh, effettivamente non aveva detto proprio così,
ma...
“ In
che senso? ”
“ Scegli
tu il mio nome, Leon. ”
Sì,
era proprio strano. Il ragazzo si mise a riflettere sulla sua
risposta, confuso.
Aspetta
un attimo... D...
“ Chi
ne assaggia la delizia, non la scorderà mai. ”
Ricordò
la
frase pronunciata dal ragazzo tempo prima, e scelse di definirlo
delizioso; anche perché era certo che il
sapore di
quelle labbra, e della pelle che qualche minuto dopo andò ad
esplorare con minuziosità, non l'avrebbe scordato mai.
“ Sei delizioso...
dannatamente delizioso... ” commentò, depositando
baci sul
collo candido, mentre l'altro si sottoponeva – inizialmente
un poco
titubante, non avendo mai avuto esperienze del genere – a
quella
dolce tortura. E lui, per il biondo, era come una droga; una sostanza
stupefacente che da assuefazione, maledettamente potente e splendida.
“ Leon, mio
Leon... ”
Mio.
Pronunciava spessissimo quella parola, enfatizzandola ogni singola
volta che essa usciva dalle sue labbra rosee e sottili
Si
amarono su quel
letto malconcio, guidati dalla passione e dall'istinto,
nonché
da un amore che non necessitava di parole superflue.
Il
mattino dopo
pero', purtroppo, il risveglio non fu propriamente dei migliori.
~
~ ~
Leon
si alzò
di buonora, stiracchiandosi e sbadigliando; D era ancora
addormentato, e il ragazzo lo osservò respirare piano,
regolarmente, steso su quel materasso che non era degno di lui. Si
avvicinò alla finestra rotta, guardando fuori. Il sole era
alto nel cielo e non c'erano nuvole, una splendida giornata
primaverile. Peccato che quel che poteva vedere all'orizzonte
rovinasse decisamente il paesaggio, nonché la loro
permanenza
in quel luogo. Un gruppo di persone si stava minacciosamente
avvicinando, di sicuro li stavano cercando.
“ Cazzo... ”
“ Leon, per
favore! ” lo rimproverò D, che nel frattempo si
era
svegliato; non sopportava il linguaggio scurrile, lo infastidiva.
“ Sono qui,
dannazione, ci hanno trovati! ” esclamò, in preda
al panico.
“ Cosa... ? ”
Lo
sguardo del conte
si contrasse in una smorfia di puro terrore. Cosa potevano fare, in
quella situazione? Il denaro scarseggiava e loro erano a piedi, non
sarebbe potuti mai andare abbastanza lontano. In realtà ne
erano consapevoli fin dall'inizio, da quando erano scappati; ma si
erano rifiutati di pensarci. Avevano agito in modo sconsiderato, ma
entrambi sapevano bene che non c'era nient'altro da fare se non
fuggire, per potersi lasciare andare ai sentimenti che provavano.
Salvaguardare
quell'amore...
Leon
un tempo era
convinto di poterlo fare, ma di fronte all'evidenza stava per
arrendersi. Quegli uomini li avrebbero presi, e probabilmente lui
sarebbe stato condannato a morte. E c'era pochissimo tempo per
pensare ad una soluzione visto che, secondo dopo secondo, gli
inseguitori si stavano avvicinando sempre di più.
“ D... ”
“ Sì, Leon?
”
“ Sei disposto a
venire con me dovunque? ” domandò, prendendo la
mano del
conte fra le sue.
“ Ovvio. ”
Il
soldato chiuse
gli occhi, sorridendo, cercando di ricacciare indietro le lacrime che
minacciavano di uscire e di bagnare le sue guance. Quel che aveva in
mente era non poco rischioso, ma ormai non potevano più
tornare indietro. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di proteggere la
loro unione.
Quando
ero piccolo feci una domanda a mia madre:
- Mamma,
perché viviamo? -
E lei
rispose:
- Perché ognuno di noi
ha una
propria ragione di vita. -
Leon
aveva D. D
aveva Leon.
Perché
ognuno
di noi ha una ragione di vita e, una volta trovata, la si deve
proteggere a qualunque costo.
Il
giovane,
approfittando del proprio fisico temprato dai duri allenamenti per
diventare un buon soldato, prese in braccio il suo amato, che era
ancor più leggero di quanto potesse immaginare; il corpo
longilineo che quella notte aveva potuto ammirare per intero, pareva
quasi non pesare nulla. Come una foglia che abbandona le proprie
compagne e s'infrange silenziosamente al suolo. Così D si
abbandonò al suo abbraccio, stringendo gli occhi, provando a
non pensare al pericolo che stavano correndo. Leon fuggì,
uscendo a passo svelto dalla casa, fortunatamente senza farsi vedere
da coloro che stavano perlustrando i dintorni; corse a lungo, fra le
fronde degli alberi, ferendosi spesso ma senza fermarsi mai,
proteggendo il corpo di D con il proprio. Non poteva assolutamente
permettere che quella meravigliosa creatura si scalfisse.
Stanco
e ansimante,
d'un tratto si fermò, e l'altro visionò le ferite
che,
per fortuna, non erano gravi; solo alcuni graffi e qualche livido.
“ Dove andremo,
Leon? ” chiese, guardandosi intorno.
“ In un posto
speciale. ”
“ Mi fido di te. ”
E
ricominciarono a
correre, finché non giunsero ai confini di quella foresta,
dal
piccolo diametro ma molto rigogliosa. E D rimase incantato, da quel
che vide di fronte a sé: una piccola capanna sorgeva accanto
ad un ruscello, un piccolo angolo di Paradiso.
“ Ma come sapevi
dell'esistenza di un posto tanto bello? ” domandò
il
giovane, avvicinandosi alla limpida acqua del fiumiciattolo.
“ Sai... mi ci
portava spesso mia madre, quand'ero piccolo. Non ho mai scordato
questo posto, ed ero sicuro che ti sarebbe piaciuto. Sembra fatto
apposta per te. ” disse, “ Se tutto è
rimasto come
l'ultima volta che ci sono venuto, dentro la capanna dovrebbero
esserci alcuni viveri, delle candele e della legna da ardere. Ci sono
venuto poco tempo fa, perché sentivo il bisogno di starmene
un
po' da solo a riflettere. ”
“ Su cosa? ”
“ Se era giusto o
sbagliato entrare così nella tua vita. Ti avrò
sconvolto, immagino. ” rise.
“ Sì, è
vero. Ma desideravo tanto poterti conoscere. E' un peccato che
abbiamo lasciato là i tuoi regali, mi mancheranno.
”
“ Non ti farò
sentire la loro mancanza, Delizia. E' una promessa
solenne. ”
asserì, atteggiandosi come a volte faceva.
Entrarono
nella
piccola capanna che, nonostante tutto, era abbastanza confortevole.
Cosa sarebbe successo in seguito, nessuno dei due lo sapeva. Forse li
avrebbero trovati anche lì. E comunque, prima o poi il cibo
sarebbe finito. Un destino ignoto, per due anime così
diverse
fra loro, ma allo stesso tempo incredibilmente simili.
“ Mi dirai mai che
mi ami, mio Leon? ”
“ Uhm... chi lo
sa. ”
“ Che ne sarà
di noi? ”
“ Solo il tempo
potrà dircelo, D. Nel frattempo, godiamoci questo Paradiso,
nostro e di nessun altro. ”
Leon
era un tipo che
raramente guardava al futuro, ma viveva al massimo il presente. E
aveva deciso di fare lo stesso anche in quella situazione, nonostante
questa fosse decisamente pericolosa. In fondo, gli bastava stare
assieme a D. Gli bastava consumare umili pasti in sua compagnia, e
raccontargli della sua infanzia che, in fin dei conti, era stata
felice. Poi, il tempo e il destino avrebbero deciso delle loro vite.
Come
finisce la
storia?
E'
più esatto
dire che non finisce, perché l'amore che
poté morire
non era amore. [*]
Il
loro invece
splendeva e l'avrebbe fatto per l'eternità; nessuna
violenza,
nessuna guerra, nessuna invidia l'avrebbe scalfito. Niente.
“ Chi
ne assaggia la delizia, non la scorderà mai.”
Delicious
~ The
End
Note:
[*]
1 – celebre
citazione dal secondo episodio dell'anime di Pet Shop of Horrors,
pronunciata proprio dal Conte D.
[*]
2 –
aforisma di Ludovico Ariosto.
Altre
note:
in
questa storia c'è
tanto di me. C'è tanto di me perché, le due
poesie
scritte da Leon, sono dei componimenti scritti dalla sottoscritta
circa 6 anni fa. E' la prima volta che li “ rendo pubblici
”, e
mi è piaciuto inserirli in questa storia perché
ci
tengo moltissimo. Pet Shop of Horrors è uno dei miei
manga/anime preferiti, e mi dispiace che nel nostro paese sia
così
poco conosciuto.
Riguardo
la
particolare affinità del Conte D con gli animali e la natura
in generale, si tratta di un chiaro riferimento al manga ( nell'anime
viene mostrata molto poco questa sua particolarità, essendo
composto solamente di quattro episodi); infatti, D non è
altro
che una sorta di novello “ Noè ”.
Cosetta curiosa: nella storia, Leon da del Voi a D ( in quanto
quest'ultimo è un nobile ), mentre D da a lui del tu;
è come se i loro ruoli originali si fossero invertiti, dato
che nel manga ( e nell'anime ) è esattamente il
contrario.
Quanto
al finale, è
volutamente aperto; perché, sinceramente parlando, io sono
un'amante dei sad ending. Ma, visto che siamo in periodo di San
Valentino, ho voluto scrivere qualcosa di più “
soft ”;
spero sia di gradimento dei lettori. ^^
Bene,
penso d'aver
detto tutto... il giudizio spetta a voi. Saluti,
DarkRose
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