Note: La mia passione per Ouran Host Club
è recentissima e improvvisa, in questi giorni ho divorato l’anime e appena
potrò prenderò il manga, che so ristamperanno tra poco.
Nell’onda di tanto entusiasmo, vi presento questa mia primissima fic su Host Club. Spero sia di
vostro gradimento!
Per ulteriori
spiegazioni, vi rimando alla conclusione della fic.
Dedicata a Rosi-chan, perché
senza di lei non avrei mai conosciuto questa meraviglia! *_*
A Valy, che voleva una Tama/Haru (perché sono troppo poche! ^_^)
A Shatzy, amica preziosa. Almeno adesso condividiamo un pair, no? XD
All’Ouran Host Club Forum, alle sue gentili ospiti.^^
A tutte/i voi, amanti dei
personaggi creati dalla sensei Bisco.
Con la speranza che possa piacervi.
Haruhi’s Melody
(My Awareness)
La porta si aprì servizievole, scivolando silenziosa sui
pesanti cardini.
Tamaki la richiuse dietro di sé. La sala era deserta.
A quell’ora gli studenti se ne stavano in mensa, dove anche
lui doveva essere. Ma una strana malinconia l’aveva colto, e così s’era
rifugiato nell’unico posto che poteva chiamare ‘casa’.
La sua figura sinuosa percorse il pavimento tirato a lucido,
non si diede neppure pena di scostare i pesanti tendaggi di broccato che
oscuravano la stanza. Conosceva a menadito ogni anfratto di quel luogo e, nella
penombra, avanzò verso un angolo discosto, dimenticato da tutti.
Nessuno, di solito, si avventurava fin lì.
Lambì con le dita una superficie levigata e piana, coperta
da un lungo drappo bianco.
Sospirò, assorto, svelando un pregiato pianoforte a coda
nascosto sotto al telo.
Si prese il tempo di accarezzare con devozione il coperchio
di un magnifico Boesendorfer, arrivato
dall’Europa appositamente per lui. Amava
i pianoforti austriaci.
Qualcuno poteva pensare che, la scelta di creare l’Host Club
dentro alla 3ª Aula di Musica dell’Istituto Ouran, fosse stata un’opzione
dettata dal caso, da una mera fortuita opportunità: una stanza in disuso da
poter occupare a piacimento.
Ma Tamaki - The Lord - Suou non lasciava mai niente
al caso.
La musica era stata da sempre il suo primo amore, una
passione viscerale che gli aveva trasmesso sua madre Anne-Sophie.
Le ore passate ad allietarla con le sue sinfonie erano ciò
che di più caro avesse al mondo, un cordone ombelicale che ancora li legava, e
niente l’avrebbe dissolto. Nemmeno la distanza.
Ogni suo sorriso lo aveva ripagato dei giochi all’aperto di
cui si era volutamente privato; ogni istante strappato al corpo dolorante di
lei lo aveva reso orgoglioso di essere lì, a divertirla.
Lo sguardo provato, ma amorevole, che gli riservava dopo la
conclusione di un pezzo erano il guadagno più bello.
Sapeva di renderla
felice, e questo gli bastava.
Anche se da molto non la vedeva più, sebbene da due anni non
avesse più sue notizie, a Tamaki era sufficiente chiudere gli occhi e sfiorare un
DO centrale perché automaticamente il suo viso sorridente gli
comparisse dinnanzi.
La musica e sua
madre erano qualcosa di indissolubile, di imprescindibile.
Forse era per questo che suonava raramente in pubblico. Si
esibiva, sì, all’occorrenza. Ma non suonava,
non con il cuore.
Quell’incontro d’anime, quell’evocazione dei suoi ricordi
più intimi e puri, era qualcosa che teneva per sé, che custodiva gelosamente
nel suo io più profondo. Non avrebbe
permesso a nessuno dei ragazzi di entrarvi. Ma… e a lei?
Pur in tutto quel suo prodigarsi per lei, c’era una cosa che
Tamaki non aveva mai fatto per Haruhi. Ed
era suonarle un brano al pianoforte.
Lo sapeva, lo sapeva
benissimo.
Le emozioni che diffondeva, mentre la tastiera si piegava
docile al suo volere, l’eleganza che stregava ogni suo ascoltatore… non erano
altro che un pallido riflesso di ciò che avrebbe potuto trasmettere.
Ma farlo mettendosi in gioco - senza sconti, senza
limitazioni autoimposte - equivaleva ad offrirle se stesso con il cuore in mano,
esporsi in modo assoluto e incontrovertibile.
Sorrise tristemente.
Avrebbe mai aperto il
suo mondo ad Haruhi?
Da qualche tempo, stava facendo i conti con una scomoda
consapevolezza.
Con un’inqualificabile gamma di emozioni e pensieri che di paterno avevano ben poco.
E Kyouya non lo aiutava di certo in tutto questo. Con le sue
velate insinuazioni, con le sue subdole provocazioni, con quel tarlo da grillo
parlante che lo mandava ancor più in confusione.
Tamaki schiacciò con rabbia un MI bemolle e il pianoforte
pigolò la sua protesta.
…Non era da lui essere così indeciso, così tormentato.
In fondo, chiedeva poco. Voleva solo delle persone accanto a
sé che fossero felici e che si volessero bene come una famiglia, come la famiglia che non aveva avuto.
Ootori-kun, i gemelli, Mori-senpai e Honey-chan avevano
trovato con lui un buon equilibrio, un’alchimia generale, pur rispettando le
proprie differenze caratteriali. Ed era per questo che l’Host Club funzionava
tanto perfettamente.
Poi era arrivata lei, con un nuovo inevitabile assetto, e
l’equilibrio pian piano si era disgregato.
Per molto tempo, non aveva voluto dare un nome a quella cosa
che gli rodeva dentro ogni volta che Kaoru o Hikaru si prendevano un po’ troppa
confidenza con Fujioka.
Fujioka. Mpf... Assurdo.
Nella sua testa non la chiamava più così da secoli.
Da quando un timido ‘Haru-chan’ gli si era insinuato dentro,
e non aveva più voluto andarsene via.
Persino il fatto che Haninozuka-senpai si facesse coccolare
da lei era una cosa fastidiosa.
Non ai primi tempi, però poi…
Un padre deve
prendersi cura della propria figlia, si era detto; una moderata gelosia è lecita, si era convinto; un controllo genitoriale e spirito
paternalistico sono doverosi, si era persuaso. Ma poi?
Per quanto tempo
avrebbe continuato a mentirsi?
Haruhi era diventata troppo importante per lui.
Che lo volesse o meno, non poteva tornare indietro e fare
finta di niente.
Ed era inutile che tentasse di evitarla, ogni pomeriggio
all’Host Club, se poi lei viveva in pianta stabile nei suoi pensieri.
Tamaki gemette, chinando il capo verso il leggio. Tutto quel
ragionare non era da lui, e gli aveva procurato un fastidioso mal di testa.
Se ne sarebbe rimasto ancora un po’ così, al buio, in silenzio.
Ma dubitava che sarebbe passato.
Doveva smetterla di arrovellarsi il cervello, si ripeté, e
fare l’unica cosa che sapeva fare bene: controllò la perfetta accordatura dello
strumento e si mise ad eseguire una melodia che aveva composto pensando a lei,
giusto qualche sera prima.
Era un motivo dolce e malinconico, che esprimeva - più delle
parole che non riusciva a trovare - ciò che sentiva dentro.
Si lasciò abbracciare dalle note e cullare da esse, ricercando
la pace che tanto agognava.
Fu quasi alla fine dell’esecuzione che si accorse di non
essere solo.
Si volse di scatto, frastornato da quell’improvvisa
intrusione che lo aveva strappato troppo bruscamente dal suo rifugio. Chi aveva
osato frugare in quel suo momento di debolezza?
E c’era lei.
Il corpo minuto stagliato contro la cornice della porta, il
gioco d’ombre tra il buio della stanza e la luce del corridoio; poteva a
malapena indovinarne il profilo. Ma lo
conosceva a memoria.
“Tamaki-senpai” esordì, incerta. “Mi dispiace, non volevo
interromperti.” Si scusò, senza avere il coraggio di varcare la soglia. “Ma a
quest’ora non doveva esserci nessuno, qui, e quando ho sentito la musica, io…”
“Ah, non importa. Me ne stavo andando.” Tagliò corto,
ravvivandosi distrattamente la frangia bionda.
“No! Ti prego, non…” farfugliò la ragazza, stringendosi al
petto un grosso tomo di chimica. “Non interromperti, era così bella!”
Il giovane Suou sorrise malinconico. “Nulla di speciale.” Si
schernì, facendola sussultare di stupore.
Dov’era finito il Lord
che gongolava ad ogni complimento, quello sincero e un po’ ingenuo, dal cuore
grande e idealista?
Dov’era finito il
ragazzo allegro e solare che lei amava tanto?
“Non è vero!” replicò, scotendo il capo col cipiglio serio e
maturo che la contraddistingueva. “Era un pezzo meraviglioso, appassionante, di
una bellezza struggente. E se potessi, vorrei riascoltarlo, perché non ti ho
mai visto così coinvolto in un’esecuzione!” confessò, infervorandosi. “Ma se ti
ho disturbato, me ne vado subito.” Fece qualche passo verso l’uscita, senza
attendere una replica.
“Fujioka, aspetta!” la rincorse, facendo cadere lo sgabello
nell’impeto. “Mi scuso, non volevo sembrare sgarbato, è stato un esecrabile errore
da parte mia.” Le prese le mani fra le proprie, in un gesto contrito. “Ti
supplico di dirmi come posso farmi perdonare da te.”
“Non recitare la parte dell’host con me, Tamaki-senpai.” Lo
rimproverò, pignola, rompendo il contatto delle loro dita.
Lui la lasciò fare, ma non replicò.
Nell’oscurità, Haru-chan non poteva osservarne l’espressione
e capire cosa stesse pensando.
“Sei arrabbiato con me, senpai?”
“No, certo che no.” S’affrettò a negare il ragazzo, sorpreso.
“E allora… perché mi eviti da un po’?” sputò fuori -
indelicata, e tuttavia sincera - sentendo le gote colorarsi di vergogna per
l’ardire.
“Ma… ma veramente, i-io…” tartagliò il biondo, colto alla
sprovvista. Cosa le avrebbe detto?
Che si sbagliava? Che
non era vero? Che aveva frainteso? Che...
“Non importa, senpai.” Gli venne incontro, sorridendo al buio.
“Preferisco il tuo silenzio ad una bugia. Quando sarai pronto, me lo dirai. Ma
sappi che io aspetterò.”
“Haruhi, io…” Se
avesse potuto, l’avrebbe stretta tra le braccia.
Allungò d’istinto una mano verso di lei. Ma la fece ricadere
nel vuoto prima di sfiorarla.
“Non ora, senpai.”
Ribadì, bendisposta. “Ma quando sarà il momento.”
“D’accordo.” Acconsentì, ingoiando un boccone dolceamaro.
“E adesso,” enunciò la ragazza, riafferrando le redini delle
loro vite “Io me ne andrò, e faremo finta che non sia mai entrata, e tu
riprenderai a suonare, va bene?”
“No.” Rifiutò il ragazzo.
“Perché?” si stupì lei. “Non è quello che volevi?”
“Io sì. Ma tu no, Fujioka.” Rispose sibillino. “Vorresti
davvero ascoltare la canzone di prima?”
Haruhi si limitò ad annuire. “Ne sarei entusiasta.”
E allora lui se la trascinò appresso, facendola sedere
affianco a sé sullo sgabello.
“Però ti avverto: è una composizione incompleta, ci sto
lavorando su, ma… ma non è semplice da
realizzare.”
“Realizzare qualcosa
non è mai semplice, senpai. Soprattutto se si tratta di cose a cui teniamo
molto.”
“Vero.” Ne convenne.
“E questa melodia è molto importante per te, giusto?”
“Spero diventi la cosa più importante della mia vita.”
“Allora fermati, senpai. Non sprecarla adesso.”
Tamaki parve riflettere su quelle parole; quindi chiuse
lentamente il coperto del pianoforte e si volse per incrociare il suo sguardo.
“Giuro che te la suonerò. Appena sarà finita, sarà tutta per
te.”
“Ne sono certa. E so già che mi commuoverò, perché sarà perfetta.”
Fine
Disclaimers: I personaggi citati
in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Note: Ed ecco il mio primo
contributo alla Causa di Host Club.^^
Sono un po’ titubante, perché entrare in nuovi fandom è sempre una sfida!
Che ne dite? Erano credibili?
Forse non sono riuscita a padroneggiare i personaggi come
vorrei, ma non credo siano OOC. (Soprattutto Tamaki, che si comporta così per
un motivo preciso, che spero si capisca bene nella fic).
Confesso che è
stata la sigla “Sakura Kiss”, che ho trovato eseguita al piano e poi con
quartetto d’archi, che mi ha fatto innamorare perdutamente. Ho passato ore ad
immaginare Tamaki che la suonava! *//////*
Però era impossibile inserirla in pianta stabile nella mia fic. >__<
Spero possiate
ascoltarla, altrimenti contattatemi (elyxyz@alice.it)
potrei dirvi dove trovarla. ^__=
Il termine ‘realizzare’ ha un doppio significato: significa
‘fare’, ma anche ‘divenire consapevoli’, ‘accettare’ qualcosa.
Il titolo si traduce in: La
Melodia di Haruhi (La mia Consapevolezza).
La Boesendorfer è una Casa Produttrice austriaca di
pianoforti molto pregiati.
Bene. Spero di postare presto dell’altro!
^__=
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Grazie (_ _)
elyxyz