This much I know,
all ends well
Chi siamo?
Il
destino è una cosa che ci siamo inventati per non affrontare
il fatto che tutto succede in modo assolutamente casuale.
Insonnia d'amore, di Nora Ephron
«Tu
credi nel destino, Erik?» azzarda Charles. Lo chiede con
finta noia, fra le pieghe delle lenzuola, mentre osserva il soffitto
dal letto sfatto e scaccia una zanzara senza schiacciarla. Quando nota
lì sopra, proprio nell’angolo, una ragnatela e il
suo disegno geometrico, sospira senza speranze. Tutt’intorno
libri accatastati e fogli, poi vetusti vasi dalle tinte porpora, che
sanno di esotico, e ancora libri, vecchi tomi dalle pagine ingiallite.
«Questa casa è un
mausoleo». Raven non ha tutti i torti, le volte
in cui lo dice, e il Professore sospira di nuovo perché sa
che è in parte vero, ma allontana il pensiero di lei proprio
come ha fatto con l’insetto: adesso è con Erik e
non vuole concentrarsi su altro.
La
zanzara riprende a ronzare molesta, mentre l’altro, intanto,
rimane in silenzio. Gli volge le spalle e al telepate verrebbe quasi da
pensare che stia dormendo, se solo non captasse il brulicare vivace
della sua mente. Sarebbe quasi tentato di sondargli i pensieri, ma non
entra in quel caotico mondo, non si intromette; preferisce attendere
fuori, lasciandosi il lusso di interpretare quel silenzio.
Charles
aspetta la risata beffarda con le braccia strette ai fianchi, rigido
senza volerlo, già pronto a maledirsi per aver posto una
domanda di siffatta natura, ma, quando questa tarda ad arrivare, si
passa una mano tra i capelli e si gira sul fianco, fissando la schiena
dell’uomo che Raven ha ribattezzato Magneto.
«Perché?
Tu credi forse in una forza superiore, Charles?»
Non
c’è ironia nell’intonazione, nemmeno nel
pronunciare il suo nome. Nella mente gli riecheggiano parole non troppo
remote che non riesce a collocare nel tempo, bisbigliate o forse urlate
durante una delle loro chiacchierate pomeridiane. «Siamo noi gli dei, noi plasmiamo il
mondo» ricorda Erik sentenziare, con quello sguardo
amareggiato di chi non riesce a riappacificarsi col passato.
«Io»
comincia Charles, titubante «preferisco credere che siamo qui
per uno scopo».
È
la verità. Sperare che ci sia un fine a tutto questo, per
quanto oscuro e celato, gli permette di andare avanti anche quando le
certezze si sfaldano e l’umanità mostra il volto
più crudele.
«Avere
uno scopo non significa ammettere l’esistenza di un qualche dio falsamente
benevolo» replica Erik e questa volta il suo tono
è aspro di recriminazioni. Perché il passato gli
brucia ancora sulla pelle, attraverso quei numeri.
«Sono
tutte stronzate» continua. «Ogni decisione che
prendiamo è solo nostra, non di qualche dio».
«Allora
sono ancora più soddisfatto che quella volta tu non abbia
ammazzato Shaw».
Erik
si alza, continuando a dargli le spalle, ma non dice niente e prende
posto sul bordo del letto.
Se
c’è una qualche divinità nella sua
vita, potrebbe giurare sia Charles. E non per il suo straordinario
potere, ma per ciò che è riuscito a fare, per
aver tenuto duro, per aver creduto in lui.
Un
attimo può cambiare molte cose e, per quanto
l’aver risparmiato Shaw sia stato difficile, la
consapevolezza d’essere per una volta sfuggito ai vecchi
schemi è un barlume di speranza.
Fanfiction scritta in occasione della Corsa
delle 48 ore organizzata sul forum Torre di
Carta; partecipa fuori gara ed è stata betata da
Mokochan ♥ (ringrazio anche _Branwen_
che si era offerta per
betarla, gentilissime entrambe! A lei si deve anche il titolo della
raccolta, tratto dalla canzone All ends well degli Alter Bridge)!
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