CAPITOLO TRENTUNESIMO
L'odore del mare saliva ruvido dalle narici, seccando la gola e
solleticando gli occhi. Erik non lo aveva mai sentito prima di quel
momento e aveva sempre immaginato il mare come un deserto ostile di
acqua salata e violenti cavalloni di spuma, ma osservando con aria
incuriosita lo scorcio del porto di Marsiglia comprese che il mare
è come un dono, la natura nella sua forma più
vitale e generosa che offre agli uomini risorse indispensabili.
Non ho mai visto il mare
Erik ripeteva quel pensiero all'infinito nella sua testa mentre
osservava pigramente quel paesaggio nuovo.
Non era stato facile convincersi a fare quello che aveva fatto: salire
su un treno e partire per una città che non aveva mai visto,
a cercare qualcuno che non sapeva nemmeno come avrebbe fatto a trovare.
Vide la gente accalcarsi sulla banchina mentre un mercantile si
avvicinava al molo e si preparava alla manovra di attracco, sulla nave
c'erano dei marinai aggrappati alle sartie che guardavano verso la
terraferma sporgendosi con il busto come per tendersi verso la gioia
del ritorno, come se potessero afferrarla in qualche modo in una sorta
di abbraccio. Erik sospirò, cercò di immaginare
le sensazioni di quegli uomini che erano stati lontani da casa per
molto tempo, forse non erano tanto diverse dalle sue, anche lui stava
ritornando verso una gioia che aveva solo sfiorato e che per troppo
tempo gli era stata negata.
Non gli importata più chiedersi quanto tempo sarebbe durata,
non lo spaventava più sapere che prima o poi lui e Diane
avrebbero dovuto separarsi di nuovo, perché lei aveva i suoi
obblighi e la sua casa verso cui tornare, voleva solo riabbracciarla da
uomo libero, voleva guardarla negli occhi e mostrarle che non c'erano
più ombre nel suo sguardo. Il dolore della separazione non
era un buon motivo per negare a sé stesso un attimo di
quella felicità.
Ah, Diane...
Più si avvicinava al porto e alla gente che si era radunata
sul molo e più pensava che sarebbe stata una vera impresa
riuscire a trovarla.
Erik continuò a camminare mischiandosi alla folla dove tutti
erano troppo impegnati a osservare la piccola nave avvicinarsi
cautamente alla banchina per notare il suo viso coperto dalla maschera.
E in quel momento si sentì davvero un uomo come gli altri,
proprio come aveva detto Eloise, proprio come Diane aveva cercato di
dimostrargli.
Pensò di trovare qualcuno a cui chiedere informazioni sulla
marchesa De Valois, ma forse Diane non era conosciuta con quel nome
nella sua città d'origine, e lui non aveva la più
pallida idea di quale fosse il suo nome da nubile. Lei gli aveva
raccontato brevemente di Marsiglia in uno dei loro rapidi scambi di
battute, quando lui aveva frequentato casa sua per dare lezioni di
musica a Vivianne. Erik si ritrovò a sorridere pensando ai
loro battibecchi ma si intristì subito dopo, riflettendo su
quanto tempo aveva sprecato a cercare di tenerla a distanza quando
dentro di sé già sentiva che avrebbe solo voluto
fermarsi almeno un giorno al suo fianco.
La giornata era limpida e assolata, il cielo terso permetteva di
scorgere in lontananza la piccola isola sulla quale era arroccato lo
Chateau d'If, la prigione in cui Dumas aveva ambientato alcune delle
pagine più tremende della storia del Conte di Montecristo.
Lui conosceva quel romanzo, ma quando lo aveva letto da ragazzo lo
aveva trovato quasi ridicolo: la vicenda di un uomo tanto sventurato,
tradito dai suoi amici, che riceve in dono dalla sorte i mezzi per
vendicarsi e una volta compiuta la sua vendetta trova l'amore di una
fanciulla per continuare a dare uno scopo alla propria esistenza, gli
era sempre sembrata un'idea assurda perché sapeva che il
destino non è così generoso e che la vita troppo
spesso si basa più sui fallimenti che sulle vittorie. Eppure
anche lui ormai era lì, a un passo dal suo tesoro, anche se
era convinto che la sua storia non era adatta a diventare un romanzo,
spesso gli sembrava solo un terribile incubo...
Erik scosse la testa e allontanò quei pensieri filosofici e
romantici, non ci sarebbe stato nessun tesoro se non avesse trovato un
modo per rintracciare Diane!
Continuò a camminare senza meta sperando che gli venisse
presto qualche buona idea che fosse migliore del progetto di bussare ad
ogni porta della città. Raggiunse un mercato brulicante di
massaie e domestici intenti a fare la spesa, i mercanti urlavano per
attirare i compratori e la gente si accalcava davanti ai banchi per poi
allontanarsi con i panieri pieni. Pensò che Marsiglia, come
probabilmente ogni città di mare, fosse incredibilmente
vivace, forse anche troppo per lui che non era abituato a tutta quella
confusione.
Nel trambusto Erik avvertì alle sue spalle il rumore di un
paniere che veniva rovesciato seguito da un'esclamazione di stupore,
“Oh mio Dio!”,
l'uomo si voltò perplesso e quando vide chi era alle sue
spalle pensò che a volte la fortuna fa dei dono
inattesi.
“Voi, madame...” mormorò con una smorfia
che avrebbe voluto essere un sorriso, era contento di trovarsi faccia a
faccia con la vecchia domestica di Diane, non si aspettava di trovare
anche lei lì, e soprattutto di riuscire a incontrarla in
mezzo a quella calca,
“Ma cosa ci fate qui? Voi dovreste essere...”
“Morto, lo so”,
l'uomo si chinò a raccogliere il paniere che Colette aveva
lasciato cadere e glielo restituì. Dal canto suo l'anziana
donna non sapeva proprio cosa pensare, possibile che lui fosse venuto a
Marsiglia a cercare la sua padrona? E come aveva fatto a sapere che lei
era lì? Ma soprattutto perché mai avrebbe dovuto
essere morto?
Dall'espressione metà sconvolta e metà
contrariata di Colette, Erik comprese che lei non aveva minimamente
idea di quello che gli era capitato dall'ultima volta che che lo aveva
visto in casa dei De Valois, e pensò che forse era meglio
così. Allo stesso tempo non fu sorpreso di notare che la
donna non sembrava troppo contenta di vederlo, di certo lei pensava che
sarebbe potuto nascere uno scandalo se un uomo sconosciuto fosse
piombato in casa di una donna sposata mentre lei era lontana dal
marito, ma ormai era tardi per pensare anche a quel tipo di conseguenze.
“E' una fortuna avervi incontrato, stavo giusto cercando la
casa dove alloggia la vostra padrona” disse l'uomo in tono
pacato
“E' quello che temevo... cioè, volevo dire, che
è quello che immaginavo” farfugliò
Colette rimanendo impalata in mezzo alla piazza del mercato
“Speravo che voi poteste aiutarmi” aggiunse lui
dopo alcuni secondi di silenzio in cui la donna non sembrava volersi
dare una mossa,
Colette annuì e gli fece cenno di seguirlo, poi si
voltò di scatto e si avviò rapidamente verso
casa. La palazzina in cui si era trasferita Diane non era molto
distante dal mercato, la domestica camminava a passo rapido come se
volesse prolungare il meno possibile quella situazione che trovava
assolutamente assurda e imbarazzante. Avrebbe voluto fare mille
raccomandazioni a quell'uomo e magari anche convincerlo ad andare via
senza vedere la sua padrona, ma quello strano musicista le aveva sempre
messo soggezione e non si sentiva in grado di affrontare una
conversazione con lui.
“Siamo arrivate da una settimana- disse Colette continuando a
camminare senza voltarsi- mi state ascoltando? In questi giorni madame
sembra aver ritrovato un po' di serenità, ma è
stata di cattivo umore nelle settimane passate...”
“Capisco” asserì Erik mentre il cuore
gli si stringeva al pensiero delle pene che doveva aver sofferto Diane
credendolo morto
“Se proprio non potete fare a meno di vederla, mi raccomando,
siate cauto con lei” concluse la domestica, l'uomo le
posò una mano sulla spalla e la costrinse a voltarsi verso
di lui,
“Non farei mai niente che possa nuocere alla vostra
padrona!” esclamò risentito
lei lo guardò da capo a piedi con aria indignata
“Lo avete già fatto, mi pare” rispose
sottraendosi a quella stretta e continuando a camminare,
Erik non trovò nulla da rispondere, quella donna non aveva
tutti i torti e pensò che forse avrebbe davvero fatto meglio
a non essere lì, ma ormai era tardi per tornare indietro.
In pochi minuti raggiunsero la casa di Diane, Colette aprì
la porta e fece cenno a Erik di posare in terra il suo bagaglio,
“Vado a chiamare madame, voi aspettate qui” gli
disse dirigendosi al piano di sopra.
La domestica trovò Diane nella sua stanza, seduta davanti
alla finestra e intenta a scrivere una lettera a Loius in cui lo
informava che tutto si era sistemato e che lei e Vivianne stavano bene,
“Madame, avete una visita” disse Colette sentendosi
mancare al solo pensiero della reazione che avrebbe avuto la giovane
donna quando avrebbe appreso chi era venuto a trovarla,
“Oh no- sbuffò lei- sarà qualche
vecchio amico di famiglia che ha saputo del mio ritorno in
città. Ora cominceranno a farmi un sacco di domande su come
mai mi trovo qui. Colette, ti prego, di' che sono indisposta, trova una
scusa, ma non voglio vedere nessuno”
“Ehm... perdonate se insisto madame, ma credo che... credo
che sia importante, decisamente importante”
“Oddio, e chi è arrivato?”
La domestica boccheggiò incapace di aggiungere altro. Diane,
vedendola in difficoltà, decise di lasciar perdere e andare
a vedere chi fosse il suo visitatore, quando uscì dalla
stanza la cameriera le corse dietro pronta a cercare di arginare ogni
sua possibile reazione,
“Dunque, si può sapere chi è questo
ospite importante?” domandò la donna scendendo le
scale
“E' meglio che lo vediate da voi, madame...”.
La donna scese le scale e guardò verso l'ingresso,
atteggiandosi in uno dei suoi migliori sorrisi. Era così
abituata a fingere cortesia quando frequentava l'alta
società di Parigi che non sarebbe stato difficile farlo
anche in quell'occasione.
“Diane...” Erik non riuscì a fare altro
che mormorare il suo nome quando la vice comparire in fondo alle scale.
Era anche più bella di quanto ricordasse, con abiti
più semplici di quelli con cui era solito vederla e con i
capelli non acconciati in una di quelle austere pettinature ma
semplicemente legati a coda da un nastro di raso blu.
Fu quella voce a darle la conferma che non si trattava di un sogno, se
Diane si fosse affidata esclusivamente ai suoi occhi avrebbe potuto
pensare che l'uomo che era in piedi in mezzo all'ingresso non fosse
lui. Si aggrappò al corrimano della scala per sorreggersi
quando sentì le gambe cedere. Era proprio vero? Lui era vivo
ed era lì...
“Vi avevo detto di essere cauto, in nome di Dio!”
sussurrò Colette coprendosi il viso con le mani,
Erik fu rapido a raggiungere Diane e a sorreggerla prendendola
delicatamente tra le braccia, lei si aggrappò alle ampie
maniche della sua camicia e lo guardò a bocca aperta,
“Tu...” sussurrò, mentre il cuore in
gola le impediva di aggiungere qualsiasi altra parola,
l'uomo le accarezzò il viso scostandole una ciocca di
capelli dalla guancia,
“Una volta mi dicesti che sono una persona a cui piace
stupire” le disse divertito ma con la voce che gli tremava,
lei si lasciò scappare una risata acuta che si confuse tra i
singhiozzi che la stavano scuotendo,
“Si... stupire... è riduttivo...”
farfugliò nascondendo la testa nel suo petto.
Colette aveva assistito alla scena stringendosi il petto con la mano,
avrebbe voluto cacciare via quell'uomo a bastonate per il trambusto che
aveva creato, ma cercò di immaginare la felicità
che stava provando la sua padrona e fu contenta per lei.
“Come hai fatto a...” domandò Diane
quando si fu calmata abbastanza da permettere ai suoi pensieri di
scorrere e lineari e riuscire ad articolare una frase di senso compiuto,
“Ah, la fortuna aveva in serbo un regalo inaspettato per me-
rispose Erik- ma dopo ti racconterò tutto, tu piuttosto, se
fossi rimasta a Parigi avresti saputo che ero stato rilasciato, cosa ci
fai qui? Stai bene?”
“Oh si, adesso si. Anche io ho delle cose da
raccontarti...”
“Erik! Erik! Sei proprio tu!” una voce
arrivò squillante da cima alle scale, Vivianne prese a
scendere i gradini correndo come una furia,
“Piccola, che bello vederti!” esclamò
Erik mentre lui e Diane si staccavano con aria imbarazzata, come se
solo in quel momento si fossero accorti di non essere soli,
la bambina saltò dall'ultimo scalino direttamente tra le
braccia dell'uomo che la sollevò e la strinse a
sé con tenerezza,
“Che bello, sei tornato per salutarmi, pensavo che ti eri
dimenticato di me”
“E come avrei potuto? Scusa per non essermi fatto trovare
quella sera, come ti avevo promesso”
“Ma ora stai bene? Io pensavo che era successo qualcosa di
brutto... ma la mia mamma aveva detto che sei una persona troppo in
gamba e a te non succedono cose brutte”
Erik e Diane si lanciarono uno sguardo complice e lui pensò
che fare il genitore doveva essere davvero complicato, persino doloroso
a volte.
“Vivianne, adesso lascia stare Erik, ha fatto un lungo
viaggio e deve riposare” disse la donna,
la piccola strinse ancora di più le braccine attorno al
collo dell'uomo e fece una smorfia contrariata,
“Ma adesso che è tornato voglio che sta un po' con
me” protestò
“Chissà, potrebbe avere molto tempo per restare
con noi” rispose Diane lanciando verso Erik uno sguardo
eloquente che lui non capì, non poteva sapere che presto lei
sarebbe stata una donna libera.
L'uomo si sedette sul divano dell'ingresso continuando a tenere
Vivianne sulle ginocchia, Diane si sistemò accanto a lui e
lo osservò per qualche secondo. Era la cosa più
meravigliosa che avesse mai visto, le due persone che amava di
più erano erano con lei, e forse quella scena era solo
l'inizio di un futuro molto simile a quello che aveva sempre sognato.
La donna era ancora troppo sconvolta per pensare lucidamente, si
sentiva come se non riuscisse più a controllare le sue
emozioni che esplodevano spinte da una gioia indefinibile e le davano
la sensazione che il cuore stesse per uscirle dal petto e che l'aria
non facesse in tempo a raggiungere i polmoni. Voleva assolutamente
sapere come era accaduto quella specie di miracolo e voleva che Erik
sapesse che, se solo avesse voluto, avrebbero potuto stare insieme.
“Vivianne, tesoro mio, so che sei contenta, ma ora io e Erik
abbiamo bisogno di parlare da soli, avrai tutto il tempo di stare con
lui più tardi” disse Diane,
l'uomo accarezzò la testolina della piccola
“Per piacere, lasciami parlare un attimo con la tua mamma,
dopo starò con te per tutto il tempo che vorrai”
la rassicurò,
Vivianne annuì con aria imbronciata e tornò nella
sua stanza, nel frattempo Colette si avvicinò alla sua
padrona in attesa che lei desse qualche disposizione per la cena,
“Temo... cioè... spero che monsieur si fermi con
noi a cena” disse serafica
“Naturalmente, vai ad avvisare il cuoco, poi lasciaci
soli” rispose Diane con un sorriso raggiante.
“So che può essere compromettente per te il fatto
che io sia qui- esordì Erik appena la cameriera se ne fu
andata- ma io non potevo non rivederti”
“Non importa, non sai quanto io sia felice di saperti sano e
salvo”
“Si... ma non voglio che tu abbia dei guai a causa mia, io...
insomma, lo so che dovrò andarmene prima o poi”
“Puoi stare certo che non ne avrò- concluse la
donna con un sorriso sarcastico- non più di quanti potrei
averne se tornassi a Parigi, e tu... non sei costretto ad
andare”
“Cosa vuoi dire? Non tornerai a Parigi?...”
domandò Erik perplesso
“No, non ne ho motivo. Tra qualche settimana non
sarò più una donna sposata. Louis e io abbiamo
deciso di far annullare il nostro matrimonio”
“Oh Diane, è una decisione che si attua solo per
cose estremamente gravi...”
“No, non sempre. Quando qualcuno è molto ricco e
molto influente può ottenere l'annullamento del matrimonio
anche solo per un capriccio, succede molto più spesso di
quanto si pensi. Ma qui non si tratta di una cosa futile: mio marito
ama un'altra donna, e io sono stata contenta di rinunciare alla nostra
unione per dargli la possibilità di essere felice... certo,
se avessi saputo che tu...”
Diane si interruppe, il fatto che Erik fosse lì non
significava necessariamente che lui avesse intenzione di restare, e non
voleva dargli a intendere che lei considerava scontato il fatto che
l'avesse cercata per quel motivo.
“Ma dimmi, come è possibile che tu sia qui? Se si
scarta l'ipotesi che io sia impazzita, naturalmente” disse la
donna, cercando di cambiare argomento e portare la discussione su
un'altra questione che le stava a cuore
“Ah, non ci crederai... è stato merito di Raoul De
Chagny” rispose Erik divertendosi a veder comparire il
più profondo stupore sul volto di Diane prima di raccontarle
quanto gli era accaduto.
Quando terminarono di parlare Colette annunciò che era
pronta la cena. Martine accompagnò Vivianne a tavola e si
ritirò insieme al cuoco nelle stanze della
servitù.
Vivianne, sua madre e il loro ospite consumarono la cena in silenzio,
quando ebbero finito di mangiare l'uomo si sedette accanto alla bambina
e le raccontò molti aneddoti curiosi e divertenti che aveva
appreso quando viveva a teatro. Restarono a parlare fino a sera
inoltrata, imparando tutti e tre qualcosa in più sul vasti
significato della parola “famiglia”, poi Diane
decise che era ora che sua figlia andasse a dormire e
l'accompagnò di sopra.
“Mamma, Erik resterà con noi per
sempre?” domandò Vivianne mentre si infilava sotto
le coperte,
sua madre sospirò
“Ho paura a sperarlo, piccola mia” rispose
abbassando lo sguardo, poi le baciò la fronte e le diede la
buona notte.
Dopo aver messo a letto sua figlia, Diane tornò da Erik che
nel frattempo era stato raggiunto da Colette che, con la scusa della
tavola da sparecchiare, aveva pensato bene di mettere in chiaro come
lui avrebbe passato la notte.
Diane posò la mano su quella di Erik
“E' ora che tu riposi, devi essere molto stanco”
disse
“Madame- si intromise Colette con un leggero colpo di tosse-
vado a preparare la camera degli ospiti per monsieur”, poi
l'anziana domestica lanciò verso l'uomo uno sguardo severo,
per chiarire che non avrebbe dovuto nemmeno pensare di dividere la
camera da letto con la sua padrona,
Diane annuì con un leggero rossore, intuendo le
preoccupazioni della cameriera,
“Molto bene, dunque Erik spero che la camera sarà
di tuo gradimento, ti auguro buona notte”
“Certo. Buona notte anche a te- concluse l'uomo cercando di
stemperare l'imbarazzo- grazie Colette, siete premurosa e lungimirante
come vi ricordavo”
“Il benessere di questa famiglia e dei suoi ospiti
è sempre la mia prima preoccupazione, monsieur”
rispose la domestica in tono mellifluo, poi si congedò con
un cenno del capo e salì al piano superiore a preparare la
camera con un ghigno soddisfatto sulle labbra.
*
Erik non riusciva a dormire, e non riusciva nemmeno a pensare. A cosa
avrebbe dovuto pensare poi?... Sembrava avere tutto a portata di mano,
il giorno dopo sarebbe potuto uscire da quella casa e andare a cercare
un lavoro, ormai non aveva più paura del mondo. Sapeva che
avrebbe sempre dovuto fare i conti con le occhiate di
perplessità lanciate verso la sua maschera, ma dopotutto
nessuno avrebbe più potuto fargli del male, e portare una
maschera che copriva parte del viso non sarebbe stato poi tanto diverso
dal portare una benda su un occhio ferito, come aveva visto fare ad
alcuni marinai.
Si alzò dal letto e aprì la finestra,
inspirò grandi boccate di aria salmastra, nel silenzio
poteva sentire ancora il rumore del mare, lo trovò un suono
piuttosto rilassante e pensò che avrebbe potuto tornare a
letto e tentare di nuovo ad addormentarsi.
Non finì di formulare questo pensiero che il silenzio fu
rotto dal rumore di qualcosa di vetro, o forse di ceramica, che cadeva.
C'era qualcun'altro che era rimasto sveglio, che come lui non riusciva
a dormire.
Erik aprì la porta della sua stanza e fece capolino nel
corridoio, si rese conto che il rumore era venuto da una camera a pochi
metri dalla sua. Pensò di accertarsi che tutto fosse a
posto, che se c'era qualche vetro rotto non fosse in camera di
Vivianne, ma dopo aver fatto pochi passi riconobbe la voce
inconfondibile di Diane che borbottava,
“Ah, cielo! Mia madre, Dio l'abbia in gloria, mi
starà maledicendo dall'aldilà per aver rotto una
delle sue preziosissime porcellane!”
Erik scosse il capo e ridacchiò, quella donna era
incredibile!
Bussò piano alla sua camera
“Diane, tutto bene?” domandò,
la donna aprì la porta e accese una lampada ad olio
“Ah, scusa ti ho svegliato? Ho rovesciato la caraffa con
l'acqua che era sul comodino- disse mostrando dei cocci che aveva in
mano- mi dispiace...”
“No, ero già sveglio” rispose lui,
la donna si sporse nel corridoio e ascoltò con orecchio
attento che nessuno si fosse accorto del trambusto che aveva appena
provocato,
“Meno male, Vivianne non ha sentito, e immagino nemmeno le
cameriere di sotto”
Diane raccolse un altro paio di pezzi di porcellana che erano sul
pavimento, mentre Erik era fermo a guardarla dall'uscio della porta. Se
ci fosse stata appena un po' di luce in più si sarebbe
accorto che il volto della donna stava praticamente andando a fuoco.
Lei, dal canto suo, non sapeva cosa fare. Avrebbe dovuto congedarlo
augurandogli la buona notte, ma la sola idea che lui se ne andasse da
quella stanza la innervosiva, come, d'altra parte, l'idea di passare la
notte con lui. Accantonò i cocci sul comodino e
cercò qualcosa da dire, qualsiasi cosa che non la facesse
sembrare una ragazzina sciocca, ma Erik fu più rapido di
lei, entrò nella stanza e corse ad abbracciarla, la
sollevò prendendola per i fianchi mentre avvicinava il volto
al suo per baciarla con un trasporto di cui Diane quasi non avrebbe
creduto capace un essere umano.
L'uomo la sentì sussultare tra le sue braccia mentre
rispondeva al bacio, si staccò lentamente da lei e la
osservò con gli occhi ardenti, poi si concesse un sorriso
beffardo,
“Colette potrebbe rimanere molto delusa se scoprisse che
tutte le sue precauzioni e i suoi velati ammonimenti si sono rivelati
inutili” disse con malizia allungando il braccio per chiudere
la porta a chiave.
Diane sentì lo scatto metallico della serratura quasi
rimbombare nella sua testa. Aveva sognato quel momento, desiderandolo
con ogni fibra del suo essere, ma ora si sentiva smarrita e insicura.
Cercò di non pensare a cosa sarebbe accaduto l'indomani e di
concentrarsi solo su quegli istanti, sulla sensazione inebriante del
sangue che scorreva incandescente e le scioglieva il cuore come se
fosse stato di cera. Non ebbe il tempo di bearsi di quelle sensazioni
nuove e sconosciute perché Erik tornò nuovamente
a catturarle le labbra con le proprie, imprimendovi baci esigenti e
impazienti, accarezzandole le braccia che la sottile veste da camera
lasciava scoperte.
Le dita di Diane arrivarono a insinuarsi sotto la camicia e presero a
percorrere il petto dell'uomo con carezze gentili e timide. Lui emise
un sordo mugolio di approvazione per quel dolce contatto che
però desiderava approfondire.
Non c'era tempo per la tenerezza e per la calma, non in quel momento,
avevano troppa fame l'uno dell'altra.
“Erik!” esclamò lei in un attimo di
lucidità, passandogli una mano tra i capelli e
costringendolo ad alzare il viso per guardarla negli occhi,
“Cosa c'è?” chiese lui con la voce roca
che tradiva una palese impazienza
“Toglila...” sussurrò Diane posando la
mano sul bordo della maschera, l'uomo si lasciò sfuggire un
sospiro e posò le dita sulle sue come a trattenerle,
“Ti amo, non farebbe alcuna differenza”
mormorò lei guardandolo negli occhi, Erik
abbassò la mano con arrendevolezza e lasciò che
Diane gli togliesse la maschera. Strinse i denti digrignandoli come se
avesse sentito dolore, chiuse gli occhi quasi spaventato dal poter
leggere l'orrore nello sguardo della donna che amava, preferendo un
attimo di buio piuttosto che la vista di se stesso riflesso negli occhi
lucidi di lei,
“Ti voglio” disse la donna in un soffio,
accarezzandogli la guancia martoriata.
Ti voglio...
Quella voce e quel tocco strapparono Erik al suo incubo e lo
riportarono alla realtà di quella stanza in cui l'amore
avrebbe potuto spazzare via ogni ricordo doloroso e ogni dubbio
opprimente se solo lui avesse voluto.
Poi non ebbero bisogno di dirsi nulla, ogni parola sarebbe stata
superflua.
Il mattino dopo Diane si svegliò per prima, Erik doveva
essere davvero molto stanco, tra il viaggio e la notte intensa che
avevano trascorso. Lei poggiò i gomiti sul cuscino e lo
osservò dormire per alcuni minuti, aveva le labbra
atteggiate in un broncio burbero, il viso piegato verso destra con la
guancia piagata nascosta in parte dal cuscino.
“Quanto vorrei che restassi con me...”
mormorò la donna come se stesse pensando ad alta voce,
il broncio di Erik lasciò il posto ad un sorriso quasi
infantile e le palpebre si sollevarono regalando alla donna un
meraviglioso lampo di azzurro,
“Taht's all I
ask of you” le rispose lui con la voce ancora
ovattata dal sonno.
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Benissimo... ora potete mettere via le fiale di insulina e tirare un
sospiro di sollievo in attesa dell'ultimo capitolo che
arriverà a breve, promesso!
Grazie a Monipotty e Rayne per le recensioni.
Alla prossima con l'epilogo.
I
remain, gentleman, your obedient servant.
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