Piccola introduzione.
Questa storia
è composta da personaggi inventati, che sono tutti fittizi.
Qualsiasi riferimento a persone realmente esistenti è un
puro caso.
Al contrario, la
sua ubicazione è precisa.
La storia
è ambientata nel North Carolina (USA), in una
città di nome Greensburg, che non esiste ma che prende
spunto (e solo per il nome) da una city non distante da Charlotte,
città principale del suddetto stato. Charlotte è
sede dei Charlotte Bobcats, una delle trenta squadre appartenenti alla
NBA. Effettivamente è solo questo il motivo per cui
l’ho scelta, dato che nella storia si parlerà
spesso di basket, e anche in maniera piuttosto approfondita.
Oltre a questo, non
ho avuto altra ragione per riferirmi al NC, o a Charlotte, scelta,
ripeto, del tutto casuale.
Tutto qui^^ mi
serviva un’ubicazione seria, altrimenti non sapevo bene come
organizzarmi con la scuola e il resto. =)
Prima o poi inserirò dei ritratti dei personaggi principali,
tanto per darvi un'idea^^.
Vi
lascio alla lettura u.u
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« Hey, Dre’! Che fai oggi pomeriggio? »
Il ragazzo distolse lo sguardo dalla finestra.
« Hm? »
« Ho chiesto, che fai oggi? »
« Quel che vuoi. » sorrise. « Non ti
stavo ad ascoltare, ammiravo il panorama. »
ghignò, accennando con un movimento della testa alle ragazze
del gruppo delle cheerleader sculettanti che stavano provando una
coreografia, al campo sportivo nel cortile ovest.
Shawn gli si avvicinò.
« Beh, possiamo fare a meno di limitarci a
guardare… »
« Ho capito, amico. Appena finisco becco Shirley e le chiedo
di farsi trovare pronta con una sua amichetta… »
« Stai scherzando? » Shawn lo guardò
incredulo.
Drake rise alla faccia dell’amico. Sapeva benissimo che aveva
appena detto una stupidaggine. Lui era Drake Foster, non gli serviva
certo fare i salti mortali per farsi dire di si da una ragazza.
« Chiudi quella bocca, pirla… »
intimò al biondo, la cui mascella sfiorava il pavimento.
« No dai, cosa serve che le chiedi?? Basta che la guardi in
faccia e quella si prostra a terra per te… Maledetto
sciupafemmine… »
Il ragazzo si alzò dalla sedia, afferrando la borsa.
« Abbiamo allenamento, vieni. »
Shawn lo seguì, scotendo la testa.
Mike tirò un asciugamano in faccia a Drake, non appena
questo aprì la porta dello spogliatoio.
« Sei in ritardo, stronzo! Vuoi che Miller tiri fuori le
solite ramanzine sulla disciplina? »
Jonathan Miller era il loro coach, anche detto “il
mastino”, con mille manie.
« Eddai, non rompere! Tu arrivi in ritardo un giorno si e
l’altro pure! »
« Io non sono l’asso della squadra. »
ribatté il ragazzo con una smorfia.
Drake lo superò ignorandolo il più possibile,
andò al proprio armadietto e iniziò a cambiarsi.
« Per farmi perdonare oggi ci troviamo tutti a casa mia!
»
« A fare che? »
« Un festino, serve chiederlo? Ci saranno anche le ragazze!
»
Lo spogliatoio sembrò risvegliarsi dal torpore, in una
cacofonia di mormorii e assensi bofonchiati a mezza voce.
« Chi porta la birra? » domandò Drake
tutto d’un fiato, passandosi la lingua sulle labbra rosse,
sorridendo malizioso.
Tutti si voltarono verso Dan, che dopo aver tentato invano di
nascondersi, abbassò il giaccone scoprendo il proprio viso.
« E va bene!! » sospirò alzando le mani
in segno di resa « Però una piccola quota stavolta
ce le mettete, eh? »
« Oh andiamo, brutto tirchio!! » gli
urlò dietro Drake « Sei un maledetto pieno di
soldi, tuo padre è il padrone della birreria più
grossa di tutta la regione, chi cazzo vuoi che se ne accorga se anche
gli porti via un paio di casse? »
Dan quasi si strozzò con la sua stessa saliva.
« D-due casse? Ma sei scemo?! »
« Guarda che siamo tanti… »
iniziò.
« …e ci sono le ragazze. »
sottolineò per concludere Shawn, facendogli notare
l’ovvietà del fatto.
Il diretto interessato li guardò un po’ titubante.
« C’è anche Missy…
» gli ricordò il biondo.
Dan cambiò completamente espressione.
« Ho detto qualcosa? Ho forse detto qualcosa?? E birra sia!!
»
Una risata si sparse per la stanza.
« Idiota… »
« Oh che vuoi?! A me Missy piace! Non voglio fare brutta
figura! »
Drake ridacchiò ancora, mentre usciva verso la palestra.
Andy chiuse il portatile, massaggiandosi le tempie.
« Non credi sia il caso di fare una pausa? Altrimenti al
posto degli occhiali dovrai impiantarti due microscopi…
»
« Grazie Joy… »
« Su, l’articolo lo finisci domani…
»
« Il fatto è che manco sono arrivato a
metà, capisci? »
« E allora? Abbiamo ancora tre giorni prima di stampare il
giornale della scuola… »
« Ah Joy, cosa farei senza il tuo ottimismo?? »
« Ti saresti già lanciato a volo
d’angelo da un ponte… »
« …Si, e poi mi ributti giù con queste
frasette catastrofiche. »
« Sono solo realista. »
Andy rivolse un’occhiataccia alla ragazza, china sulla
scrivania e sommersa da una cascata di riccioli biondo scuro. Joy
alzò la testa sistemandosi il colletto della camicia.
« Che c’è? »
« Ah nulla, figurati… » levò
gli occhiali dalla sottile montatura nera e lucida per stropicciarsi
gli occhi. « Sono proprio distrutto… »
« Allora vai a casa! Sono le cinque meno un
quarto… Ti trattieni a scuola ogni giorno da un paio di
settimane a questa parte, un po’ di tempo per te prenditelo!
Ricorda che hai anche i compiti da fare… »
Andy sorrise, ancora con i polpastrelli premuti sulle palpebre chiuse.
« D’accordo mammina… »
« Me ne vado anch’io adesso. Non ne posso
più. »
La ragazza si alzò, prendendo giacca e cartella e avviandosi
verso la porta.
« Ricordati di spegnere le luci, eh? »
« Si, si… »
« E ricorda anche che per camminare bisogna mettere un piede
davanti all’altro, mentre per… »
« Joy!!! »
In risposta gli arrivò un cuscino in piena faccia.
« No, non toccare Roger! Lo sai che deve restare sullo
scaffale di fianco alla porta… »
Roger era un peluche a forma di pinguino considerato la mascotte della
redazione. La sua posizione era praticamente sacra, ma la ragazza a
dire il vero non ci badava molto.
Roteando gli occhi, lo rimise dov’era prima, salutando Andy
con un cenno della mano e un sorriso.
« A domani. »
« Au revoir. » biascicò lui di rimando,
stiracchiandosi.
Rimase dieci minuti buoni a fissare il vuoto, poi, risvegliatosi dalla
trance, decise che era davvero ora di darci un taglio, o ne andava
della sua salute.
Spento in fretta il computer, infilò la felpa e
tirò su la cerniera fin sopra il naso, rovistando in tasca
alla ricerca delle chiavi dell’auto.
Sperava con tutto il cuore che quella vecchia carretta andasse in moto:
suo padre gliel’aveva affibbiata perché mai e poi
mai gli avrebbe permesso di mettere le mani sul suo intoccabile
gioiellino, perciò si era dovuto accontentare della vecchia
Ford Tanus del ’78 di un impossibile verde oliva, un cimelio
di famiglia…
« …si, un vero catorcio. »
commentò sarcastico, camminando lento in corridoio, mentre
si rigirava le chiavi nella mano, ansioso di tornare a casa.
« Beh, questa non è giustizia! »
sbottò Mike, calciando il pavimento.
« Ma la vuoi piantare? »
« E perché dovrei? Questo qua arriva in ritardo, e
per tutto l’allenamento sta con la testa su Marte, e Miller
che fa? Gli dà una pacchetta sulla spalla e gli chiede come
sta!! Se lo facevo io mi uccideva!! »
« Ma questo è stato un episodio sporadico. Tu ti
fai sempre i cazzi tuoi durante gli allenamenti… »
« Non è niente vero! » urlò,
rischiando di rompere un timpano al povero Shawn che era
l’unico ad avere ancora abbastanza forza da starlo ad
ascoltare.
« Si che lo è. »
« E invece no! È che quello…
quello… è solo un maledetto cocco di coach, ecco
cosa!! »
Perfino Drake si voltò a guardarlo, allibito.
« “Cocco di coach”? Mikey, ti senti bene?
»
« Mai stato meglio! E non chiamarmi Mikey!! »
Shawn roteò gli occhi, sospirando rassegnato.
« Mi sa che abbiamo tutti bisogno di un po’ di
distrazioni… » mormorò, più
a se stesso che agli altri.
Drake però parve averlo udito, dato che gli batté
affettuosamente una mano sulla spalla.
Mentre camminavano, con Mike che continuava la sua invettiva contro
Miller, Shawn scorse qualcuno in un corridoio laterale.
« Ehi, Dre’. » mormorò
all’amico. « Che ne dici se prima del party con le
ragazze ci divertiamo un po’? »
Il ragazzo lo guardò perplesso. Gli passò un
braccio attorno al collo, lasciandolo penzolare sulla sua spalla, senza
smettere di fissarlo in attesa di una risposta.
Shawn sorrise, ammiccando da sotto la scomposta frangia bionda, e
accennò con un movimento della testa al buio corridoio su
cui si era soffermato in precedenza.
« Ho trovato una “distrazione”.
»
Andy nemmeno guardava dove stava andando. Aveva gli occhi fissi al
pavimento, senza realmente vedere l’alternarsi dei piedi
mentre camminava. Probabilmente stava dormendo ad occhi aperti. Per di
più, con il bavero della felpa che quasi sfiorava il bordo
inferiore degli occhiali, nemmeno a volerlo avrebbe avuto una visuale
completa. Si sentiva un po’ talpa.
Immerso nel torpore, col cervello atrofizzato, la voce che lo
chiamò tagliente gli arrivò come se il suo
proprietario si trovasse a centinaia di metri di distanza.
Drake seguì con lo sguardo il punto che l’amico
gli indicava, e le sue labbra si piegarono in un sorriso che si
trasformò via via in un ghigno. I suoi occhi nocciola chiaro
erano illuminati e assomigliavano a quelli di un gatto, mentre
percorrevano il contorno dello studente che, a quanto pareva
inconsapevolmente, stava andando loro incontro.
« Buon pomeriggio, finocchio. »
Il ragazzo non aveva nemmeno capito quello che gli era stato detto,
tant’era soprappensiero. Alzò la testa
incuriosito, con un’espressione decisamente ebete.
« Cos…? » ammutolì. La sua
domanda era scemata in un flebile lamento nel giro d’un
secondo, o anche meno.
Solo due parole gli erano ben chiare.
Drake Foster.
Lui e tutta la marmaglia di scimmioni che di solito gli stavano alle
calcagna come obbedienti cagnolini erano lì.
E lo stavano guardando.
«Che c’è, non si saluta? »
« Ciao. » Andy non aveva nemmeno voglia di stare a
discutere. Non un’altra volta. Non con il branco.
« Sentite ragazzi, vorrei andare a casa. »
Drake ridacchiò, e poco dopo lo seguirono anche gli altri,
come se avessero un solo, enorme neurone in comune.
« Poverino. E io che credevo che ci stessi seguendo. Scusa,
pensavo male. È che sai, avevo paura che volessi
rimorchiare… »
« Senti Drake, ho detto che voglio solo…
»
Ma non riuscì a finire la frase che l’altro lo
aveva afferrato per la felpa, rischiando di soffocarlo.
« Primo. Tu non “vuoi” nulla. Secondo:
guai a te se ti prendi così tanta confidenza con me, chiaro?
»
Andy sapeva che avrebbe dovuto tacere e lasciar perdere, ma la voleva
far finita il più presto possibile, in un modo o
nell’altro.
« E come cazzo dovrei chiamarti? All’anagrafe
è segnato Drake no? Adesso lasciami andare, per favore!
»
Foster si voltò a guardare gli amici con un ghigno,
sottolineando quanto il ragazzo avesse iniziato a ragionare, dato che
chiedeva “per favore”. Stava per continuare, ma si
fermò a guardarlo in volto.
« Ehi, ora ho visto che c’è di
diverso… hai cambiato occhiali! Niente più rosa?
»
« Erano rosso scuro. » sibilò il moro,
mentre gli tornavano in mente quei poveri cristi di occhiali che
avevano commesso l’errore di trovarsi sulla sua faccia nel
momento sbagliato, ed erano finiti a terra, pestati barbaramente.
« Beh, non fa differenza. » ribatté
piatto Drake. Stava per afferrargli il nuovo paio, quando Shawn lo
interruppe.
« Ehi Dre’, non mi diventare monotono. »
L’interpellato lasciò andare il ragazzo per
raggiungere l’amico. Andy si accorse con orrore che la sua
cartella, precedentemente caduta a terra, si trovava tra le mani del
biondo, che stava amabilmente frugando al suo interno.
« E-Ehi… » sapeva che ogni supplica
sarebbe stata vana, ma tentar non nuoce, o almeno così si
dice.
« Toh, guarda che ho trovato! » esultò
Shawn, mostrando all’altro l’oggetto.
« Ehi, aspetta, quello è il mio cellulare!!
»
« Però, pensavo che sarebbe stato rosa anche
questo… » commentò Drake rigirandosi
l’apparecchio metallizzato tra le lunghe dita affusolate.
« Ridammelo. » ordinò con una nota di
panico nella voce. Ma nessuno lo ascoltò.
« Bene. » concluse infine Drake, rivolgendosi ad
Andy. « Visto che gli occhiali, a detta del mio collega
Yates, renderebbero la cosa monotona, mi interesserò di
questo. »
Il moro ebbe un sussulto.
« Non puoi rompermelo! A differenza di te, non me ne posso
permettere uno nuovo al mese, e… »
« Mica ho detto che lo spacco. »
Andy lo guardò interrogativo.
« Me lo tengo. Adios. » e se lo infilò
in tasca, raggiungendo gli altri della compagnia, che già se
n’erano andati ridendo come iene.
« No, no, mi serve! » iniziò ad urlargli
dietro il ragazzo, cercando di inseguirli.
Ma Drake tornò da lui, afferrandolo per le spalle e frenando
la sua corsa.
« Ho detto che me lo tengo io. » gli
sibilò in faccia. « Guai a te se provi a venirmi
dietro. Non voglio una checca come te alle calcagna. »
E per ribadire il concetto, prima che l’altro potesse
schermirsi, gli assestò un pugno nello stomaco che lo
lasciò senza fiato. Temendo di piantare violentemente le
ginocchia al suolo, Andy si aggrappò al suo aggressore, che
se lo scrollò di dosso senza fatica, dandogli uno spintone
che lo fece cozzare contro il freddo muro alle sue spalle.
« Ci si vede. » lo salutò gelido,
spingendosi il telefonino ancora più a fondo nella tasca dei
jeans.
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