Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di
J. R. R. Tolkien, mentre Monica e gli amici sono di mia
proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto,
prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata
scritta senza alcuno scopo di lucro.
ERINTI
CAPITOLO 17:
DESOLAZIONE.
Monica aveva dormito quasi per tutto il tragitto mentre il cavallo
continuava a mantenere un'andatura sostenuta, ormai mancava poco ad
Imladris. La febbre era alta e lei non riusciva a muovere un muscolo, a
parte il battere i denti per il freddo. Se ne stava lì
sopra, in balia dei movimenti del quadrupede, incapace di fare
qualsiasi cosa.
Il tempo non prometteva nulla di buono, ma almeno non aveva nevicato.
Era già calata la sera da un pezzo quando in lontananza
percepì il rumore del Bruinen. Fra poco avrebbe scorto
l'Ultima Casa Accogliente.
Raccolse tutte le poche energie che aveva e provò a
drizzarsi. Intravide il dirupo davanti a lei. Il cuore, che
già le batteva veloce, accelerò: ce l'aveva
fatta. Ma poco dopo notò che c'era qualcosa che non quadrava.
Venne invasa da uno strano odore pungente, acre, che si faceva mano a
mano sempre più forte. In un primo momento non
capì. Poi l'espressione si fece tirata e il cuore le perse
un battito. Era odore di bruciato.
Si tirò su a sedere, lentamente. Scrutò meglio
intorno a lei. Tra le nuvole del cielo plumbeo, dalla direzione di
Imladris, si levava un filo di fumo che si confondeva
nell'oscurità. Sperò di sbagliarsi.
Ma quando finalmente raggiunse l'orlo del precipizio il terrore la
invase come una doccia fredda. In lontananza non c'erano luci
provenienti dalla dimora di Elrond. Era tutto immerso
nell'oscurità. Solo un fortissimo odore di bruciato che non
lasciava presagire nulla di buono. Il panico si impossessò
di lei.
Sperò che il cavallo potesse andare il più veloce
possibile, ma con la neve e il ghiaccio il sentiero era diventato
pericoloso e quasi impraticabile. Fecero molta fatica a scendere.
Dopo lunghissimi minuti giunsero finalmente in fondo alla valle e qui
la disperazione le attanagliò il cuore.
- No! - gemette con voce roca mentre spostava lo sguardo tra le rovine
che le si paravano davanti, incredula. Qualche colonna di fumo si
levava qua e là – No! - provò a gridare
con la poca voce che aveva, ma le uscì solo un flebile
lamento. Spronò il cavallo che riprese ad avanzare con
andatura più veloce. In poco tempo raggiunse l'ingresso di
quel che restava dell'Ultima Casa Accogliente. Fece per smontare, ma ci
mise troppo impeto e, malandata com'era, piombò a terra di
schiena. Il fiato le si mozzò, le ci volle un bel po' per
riprendersi dalla botta. Si dovette aggrappare al quadrupede che le era
andato in aiuto, per rialzarsi.
Fece per muoversi, ma il cavallo la trattenne per i vestiti. Lei si
voltò a guardarlo sorpresa. Sembrava non volesse lasciarla
andare da sola. Lei lo accarezzò – Devo andare. -
sussurrò. Quello sbuffò e lasciò la
presa. Con passi incerti e instabili si diresse verso i gradini.
Percorse diversi corridoi e salì diverse scale con la
velocità che le era concessa, stringendo i denti per il
dolore. Era disperata e piangeva. Non riusciva a capacitarsi di essere
arrivata troppo tardi. Vi era sangue ovunque e di tanto in tanto corpi
di Orchetti. Questo la rincuorò.
Ma la scena che le si presentò poco dopo davanti, appena
girò un angolo, fu il colpo di grazia. Si portò
un braccio a coprire il naso e la bocca. Un fortissimo tanfo la
investì. Poi sgranò gli occhi terrorizzata,
sbiancando. Aveva capito cosa fosse quell'ammasso scuro davanti a lei,
da cui saliva del fumo. Lì, sul freddo pavimento dello
spiazzo ai piedi delle scale che portavano alla Sala del Fuoco, vi
erano stati ammucchiati dei corpi a cui era stato dato fuoco. E quei
corpi non erano di Orchetti. Non riuscì a reprimere il
conato di vomito. Le ginocchia le cedettero e si accasciò a
terra, disperandosi. Poi il buio.
Riprese conoscenza il mattino. Faceva molto freddo. Evitò
accuratamente di guardare l'orrore accanto a lei e, tra le lacrime e i
singhiozzi, iniziò a vagare per il luogo desolato. Di giorno
faceva anche più impressione: il risalto delle mura annerite
dall'incendio contro il bianco della neve. Avevano distrutto tutto, non
era rimasto integro niente, solo lo scheletro di quello che prima era
un posto incantevole. Le statue erano state tutte distrutte; i dipinti
ai muri sfregiati; non avevano lasciato un centimetro intatto.
Continuava a maledirsi e a maledire sua cugina. Sperò con
tutto il cuore che qualcuno fosse riuscito a salvarsi. Le vennero alla
mente i visi dei suoi amici. Dovette appoggiarsi al muro per non
crollare di nuovo a terra, straziata dal dolore.
Non sapeva nemmeno lei dove stesse andando, vagava senza meta, troppo
sconvolta per ragionare o capire dove si stesse dirigendo,
finché dei rumori non attirarono la sua attenzione. Si
bloccò e restò in silenzio ad ascoltare. Credette
di esserseli immaginati, ma poco dopo li percepì di nuovo,
non molto lontani. Sembravano dei colpi di tosse, poi delle risate
gutturali, delle voci roche. Decise di andare a controllare e
lentamente, cercando di non far rumore, si diresse in quella direzione.
Si appiattì contro il muro. Le voci provenivano da dietro
l'angolo. Sporse leggermente la testa in avanti. Vide due figure lungo
il corridoio, la pelle scura e putrida, avvolte in armature nere: erano
due Orchetti. Stavano parlando tra di loro.
- Che ne dici se lo bruciamo vivo? Come con gli altri. Sarà
bello ascoltarlo lamentarsi mentre il fuoco corrode la sua pelle... -
proferì quello più lontano da lei.
Il compare scoppiò a ridere – Perché
no... - disse sferrando un calcio a qualcosa ai suoi piedi –
Allora? Che ne dici... vuoi essere bruciato vivo? - domandò.
Qualcuno tossì. Solo in quel momento la ragazza
capì che quel qualcosa ai piedi degli Orchetti era una
persona. Ed era ancora viva. Si ritrasse dietro l'angolo, gli occhi
nocciola sgranati, ansimante. Portò la mano destra al
coltello alla cintura e lo estrasse. Chiuse gli occhi. Aveva la testa
che le pulsava. E le mani le tremavano. Si sfregò gli occhi,
cercando di concentrarsi. In quelle condizioni le era difficile
qualsiasi gesto, figuriamoci se riusciva ad affrontare due Orchetti.
Doveva cercare di coglierli di sorpresa. Doveva essere veloce. Fece un
bel respiro e si sporse di nuovo. Il più vicino a lei aveva
preso per il collo il tipo a terra, sollevandolo. Quello si lamentava.
Si fece coraggio ed uscì piano piano da lì
dietro. La distanza non era molta, ma a lei sembravano chilometri.
- Se non ci sbrighiamo, questo ci muore ancor prima che noi possiamo
divertirci con lui. - fece notare l'altro Orchetto –
Già gli manca un pezzo… - si girò
verso il vicino, intravide qualcosa dietro di lui, ma non fece in tempo
ad avvertirlo, vide una lama trapassargli il collo –
Che… - fece sorpreso mentre due occhi furenti lo fissavano e
il compare crollava a terra senza vita, insieme alla sua preda.
Monica gli si fiondò addosso con un urlo, ma quello fu
più veloce, schivò il fendente e la
colpì con un calcio facendola sbilanciare. La ragazza
finì a terra. Il coltello le scivolò dalla mano,
il dolore la invase.
L'Orchetto intanto aveva sfoderato la spada dalla lama nera e
sferrò un colpo, lei lo schivò in tempo,
rotolando sulla sua sinistra. Quello affondò di nuovo e lei
lo schivò. Alla terza volta, la ragazza schivò e
colpì con un calcio l'Orchetto al braccio, sbilanciandolo.
Lo afferrò per l'arto si alzò e gli diede una
ginocchiata all'addome, ma era debolissima.
Quello l'afferrò per il collo e le scoppiò a
ridere in faccia - Cosa credi di fare… sei solo un topolino
dispettoso. - proferì stringendo la presa.
Monica annaspò. Sentiva poco a poco le poche forze
abbandonarla, la vista le si oscurava. Era un'incapace. Non era
arrivata in tempo, non era riuscita a salvare i suoi amici. Ed ora era
lei stessa a pagarne le conseguenze. Una lacrima le rigò il
viso. Dischiuse gli occhi, aveva la vista annebbiata, ma
riuscì lo stesso a vedere dietro l'Orchetto il corpo del
tipo su cui si stavano accanendo i due poco prima. Era ancora vivo.
“Che ne dici se lo bruciamo vivo? Come con gli
altri.” quelle parole le rimbombarono in testa.
Sentì invaderla la rabbia. “Puoi
farcela.” ancora quella voce. Raccolse le ultime forze e
sferrò un bel calcio al ginocchio dell'Orchetto che
mollò istantaneamente la presa su di lei, cacciò
un urlo e si accasciò dolorante su se stesso. Lei
rovinò di nuovo a terra e iniziò a tossire e ad
annaspare, il respiro mozzato. Cercò di sollevarsi da terra,
ma le mancavano le forze. Vide quello spostare furioso gli occhi gialli
su di lei. Erano iniettati di sangue. Lei si voltò. Vide il
coltello a pochi metri di distanza e iniziò a strisciare
disperata verso di quello.
- Tu, piccola impertinente… ti infilzerò come un
maiale e ti farò morire dissanguata! - gridò
l'essere fiondandosi su di lei.
Monica si diede una spinta e raggiunse l'arma, la afferrò,
si girò e schivò appena in tempo il fendente del
nemico che colpì il pavimento. Si diede una spinta in avanti
e gli affondò il coltello nell'addome. Poi lo estrasse e gli
tagliò la gola. Il corpo dell'Orchetto cadde a terra
esanime. La ragazza si accasciò sul freddo marmo esausta, il
respiro affannato. Scoppiò a piangere. Non sapeva come, ma
ce l'aveva fatta.
Ancora scossa, si diresse carponi verso la persona che giaceva a terra.
Per un attimo pensò fosse morto, poi lo sentì
tossire. Lo raggiunse e lo girò supino. Un'espressione
stupita le si dipinse sul viso - Alyon. - sussurrò
riconoscendolo.
L'Elfo moro, sentendosi chiamare, dischiuse gli occhi. Restò
diversi istanti a fissarla incantato. Una luce bianca, abbagliante e
rassicurante l'aveva completamente pervaso – Sono morto? -
domandò.
Monica sorrise – No, siete ancora vivo… - ma il
suo sorriso scomparve quando lo sguardo le cadde all'altezza del
braccio destro, o meglio, su quel che ne rimaneva. Era stato mozzato ad
una spanna dalla spalla. Poi fece vagare gli occhi nocciola sul corpo e
dovette girarsi da un'altra parte. Aveva il ventre lacerato. Trattenne
un singulto.
- Chi siete? - domandò quello flebilmente.
Lei si voltò verso di lui, cercando di sorridergli
– Dama Monica… non mi riconoscete? -
Alyon corrugò la fronte. La luce calda svanì e
finalmente poté vederla in viso – Voi…
- mormorò, poi tossì di nuovo. Si
irrigidì per il dolore. Ogni colpo di tosse era una fitta
che gli toglieva il fiato.
La ragazza era disperata – Devo portarvi via da qui. -
proferì guardandosi intorno.
Lui rise – Non c'è più niente da
fare… per me. -
- Non dite così. Troveremo aiuto... - replicò lei
spaventata.
- Non c'è nessuno nel giro di chilometri… - la
interruppe quello, gli occhi verdi velati – Lasciatemi
qui… e andatevene… immediatamente. - faceva
fatica a parlare – Ne arriveranno altri…
sicuramente… -
- No. - piagnucolò lei – Non vi lascio
qui… - si asciugò le lacrime e lo
fissò risoluta – Non se ne parla. -
Lui la guardò sorpreso – Non riuscirò
ad affrontare... un viaggio in queste condizioni… Non voglio
che mi vediate morire… -
- Vi curerò io. Vi salverò. Farò tutto
quello che mi è possibile. Sono disposta anche a ricucirvi
centimetro per centimetro ogni ferita. - disse determinata –
Ma mi dovrete dire come fare. -
- Siete testarda. - constatò l'altro, ridacchiando.
Lei gli sorrise – Vi devo un favore, non ricordate? -
Non era stato per nulla semplice trasportare Alyon in una stanza. Lei
era completamente priva di forze, la febbre alta non le dava tregua,
aveva continui giramenti di testa e la vista le si appannava spesso.
Mentre l'Elfo era ridotto veramente male e sapeva che non avrebbe
dovuto muoverlo, ma non voleva lasciarlo lì in mezzo al
corridoio. Fortunatamente si trovavano vicino alle stanze in cui
avevano alloggiato i ragazzi. La prima che gli capitò sotto
mano era quella usata da Elisa e Michele. Una volta sistemato l'Elfo a
terra, dato che il letto era andato bruciato, si concesse alcuni minuti
per cambiarsi i vestiti. Si diresse in quella che fu la sua stanza.
Pregò che gli Orchetti non avessero trovato il baule in cui
vi erano le armi e fatto razzia di tutto. Quando arrivò
all'ingresso, vide che la porta non vi era più, era
completamente carbonizzata. Si affacciò all'interno, stessa
cosa valeva per tutti i mobili, compreso l'armadio. Si
avvicinò velocemente, ma non vi era rimasto più
niente. Sconsolata se ne stava per andare, quando qualcosa, sulla sua
destra, attirò la sua attenzione. Vi era una cassapanca un
po' malridotta che non era presente l'ultima volta. All'interno, vi era
qualcosa. La raggiunse e sollevò il coperchio. Le
uscì un sospiro di sollievo. Vi erano alcuni abiti intatti.
Iniziò a tirarli fuori per indossarli. Erano anche
abbastanza pesanti e sopratutto asciutti. Ma lo stupore più
grande fu scoprire che sotto di questi vi erano le armi che aveva visto
nel baule mesi prima: la spada, l'arco e la faretra piena di frecce.
Perfino la cotta di maglia. Sospirò di nuovo e si
accasciò sulla cassapanca, appoggiando la fronte sul legno
ruvido. Quel giorno era molto fortunata.
Dopo essersi cambiata e ben equipaggiata, si procurò della
legna ed accese un fuoco nella stanza di Alyon. Il tetto era semi
crollato e una colonna di fumo in più non avrebbe destato di
certo sospetto. Quindi, seguendo le indicazioni dell'altro,
andò nella stanza dove venivano tenute tutte le medicine,
sperando che la sua fortuna non l'abbandonasse proprio in quel momento.
Aveva bisogno di alcune di quelle per occuparsi dell'Elfo.
Quando entrò e vide la confusione che regnava, le
crollò il mondo addosso. Oltre ad essere stata colpita dalle
fiamme, il pavimento era cosparso di vetri in frantumi delle varie
boccette e vasetti. Gli scaffali erano quasi completamente vuoti.
Imprecò e si mise immediatamente alla ricerca disperata di
quello che le serviva, sperando fosse rimasto qualcosa.
Alyon osservava distrattamente le fiamme al centro della stanza. Le
orecchie a punta tese a captare anche il più piccolo rumore
e ripensava alla visione che aveva avuto in precedenza. Non gli era
capitata mai una cosa simile prima d'ora. La voce della fanciulla con
cui aveva parlato era così melodica e soave che gli era
arrivata dritta al cuore. Non era riuscito a vederla in volto, a causa
della troppa luce, ma era consapevole che fosse qualcosa di
estremamente etereo, puro. C'era qualcosa di inspiegabile e misterioso
in quella ragazza.
La sentì arrivare e spostò lo sguardo
sull'ingresso. Monica fece capolino nella stanza con sguardo
amareggiato. Posò il contenitore che aveva in mano a terra
– Niente bende e niente morfina… -
proferì sentitamente dispiaciuta – E…
ho trovato solo questa poca Athelas. - riferì mostrando il
piccolo mazzetto nella mano.
- Quella basterà... per le ferite più gravi. -
proferì l'Elfo con aria stanca.
- Per le bende ho pensato di usare quella… -
mormorò indicando un brandello di tenda che svolazzava
all'aria fredda invernale – Ma per la morfina… -
si morse un labbro.
- Non vi preoccupate… resisterò. - la
rassicurò lui.
Era metà pomeriggio, ma si stava già facendo
buio. Doveva sbrigarsi, o non avrebbe potuto usufruire della luce del
giorno. E già ve ne era poca a causa del maltempo.
Controllò che il laccio al braccio fosse ancora ben stretto
e decise di dedicarsi prima alla ferita al ventre.
Dovette fare uno sforzo immane per restare lucida. Non fu facile nelle
condizioni in cui riversava lei e per la gravità delle
ferite di lui. Rischiò più volte di dare di
stomaco e ci mise un sacco di tempo, ma alla fine riuscì nel
suo intento. Aveva ripulito tutte le ferite, con calma, centimetro per
centimetro. Aveva anche indossato dei guanti che aveva sterilizzato,
insieme alla tenda fatta a brandelli, nell'acqua bollente ed un
indumento sul volto per evitare di infettarle con la sua influenza. Poi
aveva usato l'Athelas ed infine ricucito il tutto. Alyon fu per tutto
il tempo cosciente. Non osava nemmeno immaginare a quanto dolore avesse
dovuto patire. Era la prima volta che usava ago e filo, sperava di aver
fatto almeno decentemente il suo lavoro. Per distrarsi le
raccontò per filo e per segno quello che era accaduto tre
giorni prima, interrompendo di tanto in tanto il racconto per darle
qualche direttiva e per qualche lamento, ma fu impressionata da quanto
riuscì a resistere.
A quanto pare gli Orchetti avevano attaccato di notte ed erano
tantissimi. A nulla erano valsi i loro sforzi di arrestarne l'assalto.
Loro erano decisamente di meno. Le disse che aveva impresse nella mente
le urla di terrore che riecheggiavano nella Valle, le fiamme alte si
stagliavano nella notte, il clangore delle armi tutt'intorno a lui.
Quando avevano capito che non ci sarebbe stato più niente da
fare, avevano provato a scappare, ma non fu semplice e molti erano
morti. Aveva visto Melime ed Elveon fuggire, di quello era sicuro.
Degli altri non sapeva.
Questa notizia la rincuorò, almeno un po'.
- Quello che mi chiedo… è come abbiano fatto a
scovare questo posto… - proferì mentre lei lo
copriva con un mantello. Questa sgranò gli occhi e lo
guardò allarmata – Che c'è? -
- Non mi dite che… - mormorò con il fiato
mozzato, era diventata bianca cadaverica.
- Cosa? - chiese. Stava iniziando a preoccuparsi.
- Se non è uscita allo scoperto… -
cominciò parlando più a se stessa che con l'altro
– Questo non va bene! - esclamò terrorizzata.
- Mi spiegate... cosa state blaterando? - gridò come meglio
poté, gli ci volle un grande sforzo.
- Morwen… - disse con voce rotta – C'è
lei dietro a tutto questo. - dichiarò.
- Come lo sapete? - ora si stava agitando anche lui.
Monica gli raccontò quello che le aveva riferito la cugina e
gli spiegò perché era lì. Alyon la
guardava basita.
- Dovete andare! - gridò lui sollevandosi leggermente dal
pavimento, ma una fitta di dolore lo bloccò.
- Non muovetevi! - lo sgridò afferrandolo per le spalle
nude, cercando di farlo sdraiare di nuovo – Siete impazzito?
Così riaprirete la ferita! -
- Siete l'unica che può avvisare tutti… dovete
andarvene subito da qui! - spiegò con una smorfia sul bel
viso.
- Ma non posso lasciarvi così… avete bisogno di
cure… - ribatté lei.
- Io sono uno… se non li avvisate in tempo verrà
versato altro sangue… altri Elfi e Uomini
moriranno… altri innocenti… e se mi portaste con
voi, sarei comunque un peso. - cercò di farla ragionare.
- Ma anche la vostra vita vale! - urlò lei, le lacrime agli
occhi, lui la guardò sorpreso – Non voglio lasciar
morire nessuno. - proferì decisa, il viso rigato dalle gocce
salate – E tanto per cominciare, non so nemmeno da che parte
devo andare. Metteteci poi che sono malconcia anche io. -
Lui chiuse gli occhi e sospirò. Restò in quel
modo per vari minuti, a soppesare la situazione –
Ok… - cominciò guardandola – Partiamo
dal presupposto... che loro sono partiti tre giorni fa. Gli Orchetti ci
hanno attaccati da est, da nord e da ovest... quindi probabilmente si
sono tutti diretti verso sud. Sicuramente vi erano anche tra di loro
dei feriti… questo fattore rallenta anche loro. - Monica lo
stava ascoltando attentamente – Ora… cercheranno
sicuramente un posto dove rifugiarsi… è scontato
che gli Elfi andranno a Lothlorien… ma prima dovranno fare
il punto della situazione… quindi credo che si fermeranno ad
Edoras… è la prima grande città dove
potranno trovare aiuto. - tossì contorcendosi per il dolore,
Monica lo guardò preoccupata – Per arrivare ad
Edoras ci vuole all'incirca una settimana, viaggiando veloci, una
decina di giorni con calma… con i feriti ci metteranno
sicuramente più di due settimane. -
- Ma se Morwen è con loro… potrebbe fare in modo
che vengano attaccati tutti durante il viaggio. Sarebbero un facile
bersaglio. - fece notare la ragazza.
- Questo è vero. - dovette ammettere.
Il silenzio calò tra i due. Si sentiva solo lo scoppiettare
del fuoco e i loro respiri.
- A meno che… - mormorò lei.
Alyon la restò ad osservare alcuni istanti – Cosa
vi è venuto in mente? - le chiese.
- Elrohir mi aveva raccontato dei problemi che aveva creato Morwen
quando era a Minas Tirith, del fatto che gli Uomini siano
più sensibili a venir soggiogati da lei… e se
sfruttasse il fatto che si stiano tutti dirigendo ad Edoras per
lanciare un attacco lì? - suppose. E non le piaceva affatto
quello che appena aveva detto.
Calò di nuovo il silenzio, questa volta era pesante. Monica
capì che quello che aveva appena detto era più
plausibile che mai.
- Se così fosse... abbiamo a che fare con qualcuno di molto
potente. - proferì lui.
- É a comando di un esercito di Orchetti… non
è da tutti. - dovette ammettere lei.
- La situazione è più grave... di quanto potessi
immaginare. - Alyon la guardava con il volto tirato – Ma
quello che avete detto ha senso… se è
così… dovete mettervi subito in movimento.
Già siete in svantaggio di tre giorni… in
più dovrete procurarvi anche un cavallo… e il
primo villaggio dove potrete trovare qualcosa è a quattro
giorni di cammino da qui… -
- Ora perché ritornare a parlare solo di me? - fece stizzita.
- Silwen, sono ferito gravemente… non posso affrontare un
viaggio a piedi nelle mie condizioni. Già sarebbe un
problema a cavallo. Dovrete lasciarmi qui. - spiegò.
- Vi sbagliate. - lo interruppe lei – Abbiamo un cavallo. -
rivelò. Alyon la guardò sorpreso – Sono
venuta fin qui a cavallo. Mi è venuto in soccorso sul ponte
sul Bruinen… se non fosse per lui, a quest'ora sarei morta
assiderata. - raccontò – Sperando non se ne sia
andato. -
- Questa è una buona notizia… - disse, ma la
stava guardando perplesso – Dovremo comunque fare sosta per
prenderne un altro… e io dovrò fermarmi
spesso… -
- Piantatela! - lo fissava arrabbiata – Vi sono dei feriti
anche con loro e alcuni potrebbero essere ridotti male quanto
voi… dovranno fare anche loro spesso delle soste…
ma quello che è a nostro vantaggio è che siamo
solo in due. -
- Siete veramente una testa dura… - un flebile sorriso gli
incurvò le labbra.
- Allora… quando si parte? - chiese lei, ignorandolo.
- Abbiamo tre giorni di svantaggio... prima partiamo, meglio
è… ma voi dovete riposare… - la
ragazza stava per replicare, ma lui la precedette – Vi
lascerò dormire fino all'alba, mancano poche ore…
spero vi bastino… non avete un bell'aspetto. - fece serio.
Lei acconsentì. Dire che non aveva un bell'aspetto
probabilmente era riduttivo. Si sentiva uno straccio. Sapeva che il
viaggio sarebbe stato duro nelle sue condizioni. Ma molto
più duro sarebbe stato per l'Elfo. Monica aveva intuito che
stava cercando di mascherare il dolore che stava provando. Lei aveva
fatto il possibile per medicarlo, ma era sicura che non bastava. E se
non avessero trovato al più presto aiuto, quasi sicuramente
non sarebbe sopravvissuto. Aveva perso molto sangue e la ferita al
ventre non aveva un bell'aspetto.
Quando all'alba Alyon la svegliò, le sembrò di
non aver riposato per niente, anzi, stava anche peggio. Ma non ne fece
parola e cercò in tutti i modi di non dare a vederlo. Poi
andò in cerca di cibo, ma non trovò molto,
purtroppo. Un po' più fortunati furono con le armi: lei
prese quelle di Erdie, lui trovò una spada elfica in un
corridoio. Raggiunsero lo spiazzo dove aveva lasciato il cavallo dopo
un'ora. Si fermarono in continuazione. Nessuno dei due riusciva a
reggersi in piedi.
Quando Monica vide il quadrupede ancora lì ne fu
piacevolmente sorpresa. Ma la sorpresa maggiore fu dell'Elfo.
- Silwen… dove avete detto che l'avete incontrata? - chiese
con gli occhi verdi sbarrati.
- Al ponte sul Bruinen… perché? - lo guardava
incuriosita.
- Quella… non è una cavalla normale… -
iniziò lui guardando l'animale con aria tra il sorpreso e la
riverenza.
- Ah, è una femmina? - fece invece lei, poi
iniziò a spostare lo sguardo dall'uno all'altra.
- Silwen… è un Mearas… sapete
cos'è? - chiese ancora incredulo.
- Eh?! - esclamò lei e per lo stupore quasi
lasciò cadere l'altro che stava sorreggendo.
Iniziò ad osservarla attentamente, ora anche lei con stupore
e riverenza – Ne siete sicuro? -
- Decisamente… - mormorò stringendo i denti per
la fitta di dolore a causa del movimento brusco che lei gli aveva fatto
fare – Avete detto che vi si è avvicinata lei? -
- Bé… avevo perso i sensi…
è lei che mi ha svegliata e si è chinata per
farmi salire in groppa. - raccontò non staccandole gli occhi
di dosso.
- Questo è veramente strano… di solito i Mearas
non sono così disposti a farsi cavalcare… -
riferì mentre iniziarono ad avvicinarsi a lei.
- Credete che si farà cavalcare da entrambi? - chiese, ora
era preoccupata.
Si fermarono accanto a quella e Alyon spostò lo sguardo
sulla ragazza che fissò per alcuni istanti –
Perché non provate a chiederglielo? -
Monica si voltò a guardarlo stupita –
Chiederglielo? Io? -
- Capisce la lingua degli Uomini… e si è
avvicinata lei per prima a voi… credo che vi
ascolterà. - spiegò.
Lei lo fissò titubante, poi si voltò verso la
cavalla che sembrava fosse in attesa. Si morse il labbro, indecisa sul
da farsi. Poi si schiarì la voce – Possiamo
cavalcarti entrambi? - domandò con un filo di voce. Tra
l'altro il parlare con un cavallo le sembrava alquanto bizzarro.
In un primo momento il quadrupede non si mosse, poi sbuffò e
si chinò sotto lo sguardo sbigottito di entrambi.
- Credo sia un sì… - bofonchiò Monica
sconvolta.
- Se non lo avessi visto con i miei occhi non ci crederei… -
commentò invece l'Elfo.
Una volta in groppa all'animale, Monica davanti ed Alyon dietro,
iniziarono il loro viaggio. Era freddo e aveva iniziato a nevischiare,
ma almeno ora, la ragazza era vestita pesante. Il mantello elfico che
indossava l'avrebbe ben protetta. A metà sentiero,
dall'altra parte della Valle, si voltarono un'ultima volta a guardare
Imladris. C'era ancora una piccola colonna di fumo che si levava dalle
macerie. Ormai non vi era rimasto più niente del posto che
dava una sensazione di pacifico, di un luogo in cui potersi ristorare.
Quella vista era straziante per entrambi. Ripresero il viaggio con il
cuore pesante e non parlarono per diverso tempo. Nessun canto si
sarebbe più levato, nessuno più avrebbe trovato
riposo dal viaggio, né sarebbero più state
raccontate storie lì ad Imladris.
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