Tre
Tre
(by Florence)
Avrei
tanto voluto che Edward fosse un bambino. Anche un
bambino vampiro, sarebbe andato bene lo stesso. Anche un bambino non
nostro.
Non mio.
Forse
il dolore non sarebbe stato ancora così atroce, forse
avrei potuto trovare la forza di ricominciare.
La
neve cadeva morbida sui tetti di ardesia, in lontananza:
ora potevo sentirne il crepitio, fiocco a fiocco, mentre si scioglieva
appena,
per compattarsi a quella già stesa in una coltre silenziosa e candida.
Non
pensavo che in questo nuovo corpo avrei provato le stesse sensazioni di
allora.
Pensavo che sarei diventata insensibile al caldo e al freddo, al dolore
e alla
noia.
Mi
sbagliavo. Come i sensi si erano acuiti oltre quelli di
un inumano predatore, così le emozioni urlavano, rimbombando feroci nel
mio
cuore immobile.
Mi
sentivo più innamorata, più attenta, più triste.
Più
disperata ancora di quando la fragile, mortale Esme
aveva scelto di buttarsi da una rupe.
La
nuova Esme chiedeva vendetta al Cielo per quello che le
aveva strappato, ringhiava in silenzio perché non era più in grado di
farla
finita.
Eppure
non riuscivo ad odiare Carlisle per avermi salvata:
giorno dopo giorno il suo amore alimentava il mio tenendo accesa la mia
debole
fiammella.
Solo...
quanto avrei voluto che Edward mi guardasse davvero
come se fossi stata sua madre! Anche se non era un bambino e i suoi
occhi erano
più adulti dei miei riflessi nello specchio, implorando perché
cadessero quelle
maledette lacrime che il mio nuovo corpo non sapeva versare, anche se
lo avesse
fatto solo per compiacermi, quanto lo avrei desiderato!
Pensare
che in questa nuova realtà, Edward era persino più
vecchio di me! Mi aveva vista neonata: come poteva considerarmi sua
madre?
Andava contro logica e contro natura.
La
cosa peggiore, la sofferenza più atroce, era il non poter
spegnere mai la mia testa. Un tempo mi imbottivo di sonnifero e cadevo
nell’oblio. Era un po’ come morire, un poco alla volta. Adesso l’orrore
di
quello che era accaduto era davanti ai miei occhi ogni momento della
mia
esistenza.
I
pensieri si sovrapponevano ai pensieri, i ricordi mi
disintegravano pezzo per pezzo.
Un
fiocco di neve cadde sul dorso della mia mano,
dimenticata, immobile sul costone roccioso che si stendeva a fianco e
sotto di
me e rimase intatto, senza sciogliersi. Immutabile. Un po’ come me.
Lo
portai alla bocca e, con la lingua, lo leccai: non era
freddo come mi sarei aspettata. Ormai avrei dovuto abituarmi a quella
esistenza
glaciale: un cuore che ha smesso di battere non produce calore e il mio
si era
spento assieme a quello del mio piccolo Jimmy...
Un
pensiero affannato balenò nella mia mente, il ricordo del
suo odore, del suo vagito innocente.
Mi
sforzai di piangere per l’ultima volta, ma era inutile.
Feci un passo verso di lui e verso l’abisso.
Sentii
di nuovo l’aria intorno a me, che mi scompigliava
forsennatamente i capelli e premeva contro il mio corpo. Inspirai
violentemente
e questa volta aprii gli occhi. Almeno mi sarei spaventata.
Nulla.
Non provai nulla.
Non
dolore per l’impatto con le rocce aguzze, non disagio
per la pelle scalfita.
Nulla.
Nemmeno un po’ di paura.
Decisi
di restare lì, in un angolo, immobile, sperando che
Carlisle e Edward si dimenticassero di me e non venissero mai più a
cercarmi.
Chiusi gli occhi e smisi di respirare. Questo corpo avrebbe sopportato
tutto e
la mia mente si sarebbe presto offuscata.
Chissà,
tra mille anni avrei potuto assomigliare ad una
radice di un vecchio albero, oppure ad una roccia.
Passò
del tempo: troppo poco, in realtà, quanto non sarei in
grado di misurarlo.
Cadde
la neve, sopra il mio corpo e mi coprì: solo i miei
capelli arruffati potevano essere rimasti visibili.
Contai
mentalmente i battiti di un cuore che non si muoveva
dentro di me. Finché non si fermò.
Uno...
Due...
Tre...
Quattro...
Cinque.
Delle
mani calde mi afferrarono dalle spalle, scrollandomi
delicatamente. Braccia salde mi sollevarono e il mio volto affondò nel
petto di
Carlisle. Avrei riconosciuto il suo profumo tra un milione, anche se
tenevo gli
occhi chiusi.
Ci
muovemmo lentamente, tornando a casa. Avrei dovuto essere
priva di sensi, sconvolta. Tutto avrebbe dovuto essere trasparente alla
mia
memoria: le sue parole strazianti sussurrate al mio orecchio, il rumore
dei
passi, la stoffa strappata che scivolava sul mio corpo, sostituita da
altra
asciutta, i disperati e silenziosi rimproveri che continuava a
rivolgersi,
maledicendosi per avermi lasciata andare.
Invece
sentivo ogni cosa e rimanevo assente. Volevo non
tornare più a galla.
Dimenticatemi: non
chiedo nulla di più.
Poi
successe qualcosa di inatteso e magico.
Piccolo,
dolce, irruento Edward! Fu lui a riportarmi
indietro, entrando di corsa in casa, sbattendo le porte contro al muro
quasi
fino a romperle, chiamando il mio nome...
-Mamma...!
Mamma
sono qua. Carlisle… come sta? Dove l’hai trovata?-, prese la mia mano
tra le
sue e reclinò il suo viso sul cuscino, accanto a me.
Sei...
Sette...
Otto...
Non
potei impedire alle mie labbra di distendersi in un
fragile sorriso, alla mano libera di muoversi fino alla sua testa ed
accarezzare
i suoi capelli ribelli, avvicinandomi al suo viso con un bacio leggero.
Alzò
lo sguardo su di me: capivo che il suo volto era rigato
da sottili lacrime d’argento, anche se non potevo davvero vederle.
Sentii
le mie, immaginarie, prorompere oltre il velo degli
occhi arrossati e inondare il vuoto che avevo dentro.
Vidi
Carlisle avvicinarsi a me, chinarsi e posare un bacio
sulla mia fronte. Tremava.
-Non
ho mai smesso di cercarti... non avrebbe senso tutto
questo, senza di te…-, mormorò con il fiato spezzato.
Rimanemmo
stretti tutti e tre in un abbraccio infinito.
Io,
mio marito e il nostro bambino.
FINE
***
Disclaimer:
i personaggi e gli argomenti trattati appartengono totalmente a S.
Meyer. La storia è di mia fantasia e non intende paragonarsi a quella
concepita e pubblicata da S. Meyer.
***
Twilight,
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Meyer. © Tutti i diritti
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La
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