Death
Vibes
Manuel
amava salire sul palco ed esibirsi, era ciò che gli dava la
forza di andare avanti e sorridere. Non che gli fosse capitato
qualcosa di tragico, semplicemente guardandosi attorno si era accorto
che il mondo era uno schifo, tutto sbagliato. C'era gente perfida in
giro, c'erano ricchezza e povertà, c'erano discriminazioni e
il potere era in mano alle persone sbagliate.
Lui
non sapeva come cambiare le cose, aveva solo vent'anni, però
ci provava, trasmettendo messaggi di pace con la sua band, i
Communication Express.
Erano formati da lui e
alcuni suoi amici, ragazzi normalissimi, che avevano tanta voglia di
mettersi in gioco.
Non
era famoso, non era ricco, ma quando suonava il basso con i suoi
amici, con tanta bella gente sotto il palco e una birra a portata di
mano, si sentiva la persona più
felice e libera del mondo.
Un giorno Manuel decise che
era arrivato il momento di sistemare quel bellissimo basso che aveva
in soffitta. Lo aveva sempre visto, un semplice basso fatiscente e
polveroso in una scatola di cartone, e lo aveva affascinato fin da
bambino.
Quando aveva otto anni lo
aveva osservato ed esaminato per un paio di minuti, era come una
chitarra, ma con quattro corde. Aveva deciso che sarebbe stato suo un
giorno, che lo avrebbe portato su un palco.
E da quel momento Manuel
aveva cominciato a prendere lezioni per imparare a suonare il basso,
ne aveva comprato uno per esercitarsi e per i suoi primi concerti, ma
non aveva dimenticato certo lo strumento rosso fuoco che sembrava
aspettare proprio lui.
Quel
giorno lo portò via
dalla soffitta, lo liberò dalla polvere, lo lucidò e
riparò al meglio le piccole ammaccature, poi montò su
di esso quattro corde nuove, le migliori che aveva. Era davvero
soddisfatto del suo lavoro.
Il
giorno dopo, alle prove, lo portò
con sé per mostrarlo ai suoi amici.
“Manu,
dove l'hai pescato quello splendore?” domandò
Laerte, il cantante dei Communication Express,
osservando il basso con incredulità.
“Oh
cazzo...” mormorò
Lorenzo, il chitarrista, per poi avvicinarsi ed esaminarlo nei
dettagli.
Manuel
sorrise soddisfatto. “Bello, vero? Sabato suono con questo!”
annunciò, facendo
riferimento alla data di quel fine settimana, la più
importante della loro carriera.
Infatti avrebbero
partecipato a un festival molto importante, a cui avrebbero preso
parte gruppi e artisti famosi.
Le prove quel giorno
andarono alla grande. Quel basso era potente, emanava delle
vibrazioni pazzesche, faceva tremare le ossa a chi si trovava nella
stanza.
Manuel, mentre lo suonava,
avvertiva una scarica elettrica provenire da esso, che si diffondeva
nelle sue mani, nelle sue braccia, in tutto il corpo, riusciva a
raggiungere ogni remoto angolo del suo corpo e della sua mente e lo
faceva sentire vivo.
Ad
un tratto, preso da una spinta incontrollabile, improvvisò
un assolo non previsto dalla canzone, sotto lo sguardo stupefatto
degli altri musicisti.
Finite
le prove, si ritrovò a
ridere come un pazzo senza una ragione precisa.
“Manu,
ma si può sapere di
che cosa ti sei fatto?” sbottò Ivano, il tastierista.
“Una
canna prima di venire, perché?
Non faccio uso di altre sostanze, per chi mi hai preso?”
rispose lui, continuando a ridere come un perfetto idiota.
Tutti si scambiarono
un'occhiata perplessa.
“Boh,
secondo me non sta bene” commentò
Lorenzo, facendo spallucce e riponendo la sua chitarra nella
custodia.
Manuel
sorrise con beatitudine. Non sapeva spiegarsi il perché,
ma quel giorno tutto era più luminoso.
Arrivò
sabato, il giorno del grande concerto. I componenti della band erano
molto tesi e allo stesso tempo entusiasti.
Sarebbero stati i secondi a
salire sul palco e, nonostante l'agitazione, si sentivano pronti.
Manuel sorrideva, il suo
nuovo e bellissimo basso in mano.
Quando
la prima band lasciò
il palco, venne annunciato il loro nome e i musicisti si
posizionarono nell'abbondante spazio disponibile. Manuel quel giorno
era in prima fila, accanto a Laerte.
Le
luci si accesero, il pubblico regalò
loro un boato meraviglioso, che li caricò tantissimo.
Laerte
gridò qualcosa al
microfono e lo spettacolo ebbe inizio.
Manuel,
appena iniziò a
suonare il suo strumento, venne invaso dalla scarica elettrica che
già aveva avvertito durante le prove qualche giorno prima
durante le prove, solo che questa volta era più forte, lo
scuoteva, lo faceva quasi risplendere di luce propria. E ogni volta
che sfiorava una corda, ogni volta che una vibrazione lo raggiungeva,
la scarica aumentava, gli annebbiava i sensi.
Mentre
suonava come non aveva mai fatto prima, esaminò
le facce delle persone che cantavano e ballavano sotto il palco;
c'erano i loro amici, che li supportavano ogni volta che ne avevano
la possibilità, i loro fans, che nonostante fossero pochi non
mancavano mai, e tanta gente che non aveva mai visto.
Ad un tratto il suo sguardo
venne catturato da un viso in particolare. Era una giovane ragazza
sui sedici anni, bella, dai lunghi capelli neri che oscillavano al
ritmo di musica. Era semplice, aveva due bellissimi occhi verdi
dietro un paio di occhiali dalla montatura nera, un sorriso radioso e
un fisico mozzafiato, che in quel momento si muoveva a tempo.
Dopo
questa visione, un lampo bianco, poi più
nulla.
Laerte smise di cantare al
termine del brano, si voltò verso i suoi compagni di band per
annunciare la canzone con cui aveva intenzione di proseguire e notò
subito lo strano sguardo di Manuel. Gli occhi del bassista, infatti,
sembravano brillare di luce propria, una luce inquietante e sinistra.
“Manu,
tutto bene?” domandò
con preoccupazione.
Il
ragazzo, invece che sorridere entusiasta come suo solito, esibì
qualcosa di simile a un ghigno malefico, un sorriso che assomigliava
a una ferita.
“Va tutto benissimo.
Continuiamo, su!” rispose, con voce eccessivamente calma e
bassa.
Tutti i componenti della
band vennero scossi da un brivido. Il tono, lo sguardo e il
sorriso... quello non era il loro Manuel, ne erano certi, qualcosa
non andava. Ma non potevano di certo interrompere il concerto per
questo.
Così
proseguirono con la scaletta.
Ora
dal basso rosso fuoco non venivano più
vibrazioni allegre e positive, ma impregnate di odio, di negatività,
facevano tremare dalla testa ai piedi e lasciavano uno strano senso
di inquietudine.
Anche gli spettatori si
erano accorti che qualcosa non andava e si scambiavano occhiate
perplesse.
Intanto Manuel continuava a
suonare, muovendosi sul palco come non aveva mai fatto prima, con
prepotenza e forza.
Ad
un tratto, tra una canzone e l'altra, si avvicinò
a Laerte, gli strappò il microfono dalle mani e gridò:
“Ehi belli, come va, vi state divertendo?”
Tutti gridarono e
sollevarono in alto le braccia.
“Bene, ne sono felice,
ora lasciate che mi diverta anch'io!”
Detto
questo, lasciò cadere
il microfono a terra, strappò il basso dall'amplificatore e si
lanciò giù dal palco, in mezzo al pubblico, stringendo
lo strumento tra le mani.
Il
pubblico, spaventato, si allontanò
dalla sua traiettoria. Ognuno poteva vedere gli occhi del bassista
ardere, sprigionare scintille.
Atterrò
in piedi, proprio davanti alla ragazza dagli occhi verdi.
“Carlotta,
allontanati!” gridò
la sua amica, strattonandola per un braccio.
Ma lei sembrava ipnotizzata
e non accennava a spostarsi.
Manuel,
senza dire una parola, sollevò
il basso in aria e lo spaccò con forza disumana sulla testa di
Carlotta. Quest'ultima perse i sensi e cadde a terra.
Tutti
gridavano, tutti correvano, ma a Manuel non importava. Provava un
piacere immenso nel vedere quella ragazza stesa lì,
con i resti del basso a pochi centimetri dal capo. Sangue, vedeva
sangue che le impregnava i capelli, e aveva voglia di ridere.
Per
essere certo che non respirasse più,
balzò sopra di lei mantenendo a stento l'equilibrio, posò
in piede sulla sua gola e fece pressione con tutta la sua forza,
finché non sentì qualcosa rompersi sotto la suola della
sua scarpa.
Le aveva rotto il collo e
provava piacere.
Si
imbrattò le mani con
il suo sangue.
Adesso si sentiva davvero
soddisfatto.
Scoppiò
in una risata malefica, piena d'odio e di disprezzo, una risata
simile a un latrato.
Le
immagini ritornarono nella mente di Manuel, inizialmente annebbiate,
poi sempre più nitide.
Aveva le mani sporche di
sangue, una marea di visi pallidi attorno a sé e il cadavere
di una ragazza ai piedi.
Scoppiò
a piangere, reprimendo un conato di vomito.
Ventun
anni prima, Marco suonava sul palco con il suo inseparabile basso
rosso fuoco. Tutto andava bene nella sua vita: aveva un tour con la
sua band e stava per sposare la donna che amava e che più
aveva amato in vita sua: Giulia.
Lei
era bellissima, aveva una folta chioma di boccoli neri, un sorriso
incantevole e un corpo perfetto.
Era
tutto perfetto, doveva convincersene. In fondo lo strano
comportamento della futura moglie era comprensibile, mancavano solo
due settimane al gran giorno ed era molto agitata.
Ma
mentre suonava, quel giorno, sentiva una strana agitazione dentro sé.
Stava per accadere qualcosa di terribile, se lo sentiva.
Arrivò
il momento di suonare la sua canzone preferita, quella a cui teneva
di più. L'avrebbe dedicata a Giulia, l'avrebbe suonata
pensando solo a lei, ai bei momenti passati assieme e a ciò
che il futuro aveva in serbo per loro.
Ma
durante l'assolo di chitarra, improvvisamente si sentì
mancare. Le forze lo abbandonarono e gli mancò il respiro.
Prima
di perdere i sensi, un'immagine si impresse per sempre nella sua
mente, come una condanna: Giulia, sotto il palco, baciava con
passione un altro uomo e strusciava il suo corpo contro quello di
lui, quel corpo che la notte prima Marco aveva accarezzato e stretto
a sé.
Arresto
cardiaco, ecco la ragione della morte di Marco. Niente più.
Il
suo spirito ferito e umiliato si infiltrò in ogni fibra
dell'oggetto a lui più caro, l'oggetto che l'aveva
accompagnato nel suo ultimo viaggio: il basso.
E
l'anima di Marco, desiderosa di vendetta, serbò per
anni e anni l'odio e il disprezzo nei confronti della donna che stava
per sposare e di quell'uomo che aveva potuto accarezzare i lineamenti
perfetti di Giulia al posto suo.
Si
sarebbe vendicata un giorno.
Dall'unione
di Giulia e l'altro uomo – Cristiano – cinque anni dopo
nacque una bellissima bambina, dai capelli neri e gli occhi verdi e
vivaci.
Carlotta.
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