Il cielo era plumbeo in quel giorno d’autunno e la corte era riunita a York per rendere grazie a Dio per la vittoria sui barbari vichinghi e festeggiare il decimo anno di regno di Re Ælle, un regno – a detta dello stesso sovrano – benedetto dal Signore e legittimato nonostante i vani tentativi del deposto Osberth di riconquistare il trono di suo padre.
In occasione di questo importante evento, l’unica figlia del sovrano, Heluna
2, fu chiamata a presenziare accanto al padre nel ruolo non solo di principessa reale, ma anche di simbolo vivente della sua discendenza e dei suoi imminenti piani: il sovrano, infatti, era impaziente di darla in sposa ad uno dei suoi più potenti e fedeli nobili, stringere attraverso la sacra unione un’alleanza che avrebbe saldato ancor di più la sua posizione e messo a tacere per sempre i sussurri dei traditori che, continuando ad appoggiare Osberth, lo appellavano tiranno e sanguinario.
Heluna aveva da poco compiuto sedici anni, da due era diventata donna e dei figli di Ælle e della sua defunta moglie, Ælhswith
3, era l’unica ad aver raggiunto l’età adulta.
Era una bellezza unica, con i suoi lunghi capelli di un biondo così chiaro da ricordare il bianco e gli occhi di un blu scuro da troppo tempo tristi; come tutte le figlie dei nobili, anche lei mostrava una forte pietà cristiana verso i più sfortunati e un’indole ubbidiente e pacifica, accettando suo malgrado il futuro che l’attendeva: avrebbe sposato un uomo più grande di lei, molto probabilmente vedovo e con dei figli della sua stessa età; sarebbe stata una moglie sottomessa e a sua volta gli avrebbe dato altri figli nella speranza di non perdere la vita nel darne alla luce uno come era accaduto a sua madre.
“Il Conte Æthelred vorrebbe prenderti in sposa. – le disse suo padre mentre si avviavano, fianco a fianco, verso l’imponente chiesa adiacente la fortezza – E’ un buon partito, ha cinquecento spade al suo servizio, ma non sono sicuro che sia quello adatto.”
“Diventerei la sua terza moglie…” fece notare con un filo di voce la principessa, camminando lentamente e con sguardo basso, seguendo il tempo della musica che proveniva dalla navata orientale della chiesa.
“
Aye, hai ragione figlia mia, ma in un certo senso saresti la prima: il suo erede è morto combattendo contro i pagani, e la sua seconda moglie è stata consumata dalla febbre ancor prima di potergliene dare uno, il che farebbe dei vostri figli gli eredi della sua fortuna.”
Il Conte era vecchio, pensò Heluna, di quasi vent’anni più grande, e non era noto per il suo aitante aspetto o per la sua pacatezza: la sua indole era iraconda, la sua avidità superava quasi quella di suo padre e la sua casa era fredda e inospitale. Il solo pensiero di trascorrere un solo giorno con lui, vedere ogni sera prima di addormentarsi il suo viso butterato a causa di una malattia, che lo aveva colpito in età infantile, la fece rabbrividire e sperò con tutta se stessa che suo padre scegliesse un altro partito.
Arrivati davanti all’altare e alla presenza del Vescovo, Heluna si inginocchiò e intrecciò le mani al petto, pregando con tutte le sue forze affinché la sua esistenza trovasse un senso e un briciolo di felicità.
Stavano banchettando con cibo e vino speziato quando i messaggeri, di ritorno dalle terre vichinghe, fecero il loro repentino ingresso nella vasta sala principale gremita di nobili e clerici intenti ad abbuffarsi di carni prelibate e pasticci speziati. Immediatamente porsero i loro omaggi al sovrano, il quale fu colpito nel vedere che il manipolo di uomini mandati verso morte certa era tornato senza neanche un graffio. A quanto sembrava, aveva sopravvalutato i norreni e la loro sete di sangue.
Erano passati quasi due mesi da quando Ælle aveva ordinato di portare il messaggio della morte di Ragnar ai suoi figli, spedito la solitaria nave nelle fredde e impervie terre da loro abitate: per mote settimane settimane il re aveva trattenuto il fiato, immobile nella sua perenne paura di una spietata vendetta e un attacco vichingo a sorpresa.
“Milord! – il comandante del gruppo prese la parola dopo essersi inginocchiato ai piedi dello scranno – Siamo appena giunti a York, di ritorno dalle terre dei pagani, e portiamo importanti notizie.”
Ælle si guardò attorno, notando come gli sguardi dei nobili fossero tutti su di lui, e pensò di non poter correre il rischio che orecchie sgradite udissero le parole che stavano per essere pronunciate: con un veloce gesto ordinò che la sala venisse sgombrata, che tutti, ad eccezioni dei suoi più fidati consiglieri e di sua figlia, uscissero repentinamente e solo quando anche l’ultimo dei commensali fu uscito e la porta chiusa alle sue spalle si sentì abbastanza sicuro da parlare.
“Quali notizie dai figli di Ragnar? – tuonò imperiosa la sua voce – Parlate, presto!”
“Abbiamo consegnato al maggiore, Ivar, il vostro messaggio e raccontato loro di come Ragnar Loðbrók sia morto; abbiamo più volte ribadito che voi, Sire, eravate all’oscuro della sua identità e che la sua dipartita non è stata direttamente voluta da voi.
Ivar e gli altri hanno ascoltato in silenzio, Sire, e benché i minori hanno minacciato vendetta ed espresso il desiderio di prendersi la nostra testa, il Senz’ossa
4ha giurato di non cercarla e di volere solo un pagamento in argento per questo suo atto di clemenza.”
“Ma i fratelli non hanno mai giurato. – disse con rispetto un altro uomo, sussurrando appena quelle parole per timore dell’ira del suo signore, continuando a tenere lo sguardo basso e puntato al pavimento – E i loro occhi erano così pieni di rabbia, specialmente quelli del più giovane, il ragazzo con quel terribile occhio di serpente.”
Heluna, immaginando un simile sguardo, rabbrividì: quale essere vivente avrebbe mai potuto avere uno sguardo simile? Il serpente era il simbolo del peccato, del male, del demonio tentatore e chiunque fosse costui, pensò, era un uomo da temere e crudele.
“In questo caso voglio che ogni uomo del regno sia preparato per combattere: non sappiamo se e quando i pagani attaccheranno, ma se dovessero attaccare saremo pronti, e li annienteremo come abbiamo già annientato il loro stolto padre.”
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“Pensi che possa nuovamente accadere, Judith?"
Chiese Heluna alla sua dama di compagnia quando, quella sera, si ritrovò finalmente sola nelle sue stanze. Judith, oltre ad essere la sua dama, era anche una delle sue più care amiche: le due fanciulle si conoscevano sin da quando erano piccole, essendo il padre della fanciulla dai capelli mori e gli occhi da cerbiatto un fidato consigliere del sovrano di Northumbria; avevano anche la stessa età e Heluna considerava Judith come la sorella amatissima che non aveva mai avuto.
"La guerra, intendo. – proseguì, spiegandosi meglio – Sai, oggi hanno fatto ritorno delle terre del freddo Est gli uomini di mio padre, e le loro parole mi hanno fatto gelare il sangue.”
Heluna aveva ascoltato attentamente ogni parola pronunciata in quella sala vuota, al suo sguardo vigile non era sfuggita la preoccupazione che, celata ma non completamente celata agli occhi più attenti, trapelava dal suo sguardo corrucciato e dall'improvviso muoversi nervosamente sullo scranno.
“E’ probabile, Milady, sì. – rispose schietta com'era sempre stata l’altra ragazza – I vichinghi hanno un’indole guerriera, hanno già messo in ginocchio alcuni regni vicini, e con la primavera torneranno a razziare come hanno fatto in tutti questi anni.”
“No, non per razziare, - la corresse Heluna – ma per vendicarsi. I figli di Loðbrók vogliono la testa di mio padre, non importa quali parole colme di menzogne abbiano detto, e ho paura che possano riuscire ad averla.”
“Vostro padre li sconfiggerà, non dovete temere. – cercò di rassicurare Judith, posando delicatamente una mano sulla spalla coperta dai lunghi capelli biondi di Heluna – Lui è un sovrano scelto da Dio e dal popolo, ha già respinto la loro temibile avanzata, e lo farà nuovamente se la situazione dovesse ripresentarsi.”
“
Aye, avete ragione, ma per respingerli avrà bisogno di alleati e quale miglior modo di legare i propri sudditi se non un matrimonio? – chiese retorica – Io sono la sua unica figlia, Judith, e i lord che bussano alla porta di mio padre per chiedermi in moglie si moltiplicano ogni giorno di più. L’ultimo è stato il Conte Æthelred, quell’uomo spregevole e infido, un uomo molto più grande di me che ha già seppellito due mogli.”
“Non fraintendere, - proseguì la giovane principessa – so qual è il mio posto e sono sempre stata consapevole del mio destino, eppure non posso tollerare di essere una pedina in un gioco più grande di me; non posso evitare di sentirmi come mi sento adesso, misera e infelice, figlia di un uomo che non mi ha mai mostrato affetto e mi vede come il fallimento di mia madre nel dargli un figlio maschio che possa succedergli.”
In verità, c'erano stati dei figli maschi, bambini nati sani e forti, battezzati e designati a succedere al padre; poi era arrivato l'inverno, la febbre, una malattia a cui i medici non avevano saputo dare nome e i bambini erano morti nella culla, poco dopo aver mosso i primi passi e imparato a parlare. Solo lei era rimasta, femmina inadatta alla politica, alla spada, al potere, per cui nessuno si era mai troppo preoccupato o aveva dimostrato affetto.
“Ma vostra madre è morta da quasi cinque anni oramai e se il sovrano avesse davvero voluto un figlio maschio si sarebbe risposato, iniziato delle trattative con la Mercia o il Wessex.”
“E chi dice che non siano già in corso? – Heluna si allontanò dal focolare e si avvicinò alla finestra ogivale della sua stanza – Prima mi venderà come fossi del bestiame a qualche lord, così da mandarmi lontano, potersi risposare con una giovane fanciulla così da avere l’erede tanto agognato."
Rabbrividì al pensiero delle mani raggrinzite e affette da artrite di qualche lord che si posavano sulla sua pelle. "Presto sarò dimenticata, relegata in un luogo freddo e inospitale per il resto della mia vita, fino a quando i lunghi anni della mia vita non saranno consumati e la mia bellezza svanita lontana, così come la speranza di provare anche solo ogni briciolo di felicità.”
La sua voce si spezzò, e improvvisamente priva di forze Heluna si accovacciò su se stessa e scoppiò in un pianto disperato, simbolo di quel malessere più pesante di lei.