EPILOGO
Parigi 1919
La carrozza cammina lentamente lungo il boulevard, mi lascio cullare
dal dondolio della vettura e dal leggero tepore che mi tiene al riparo
dal vento freddo che soffia fuori, spazzando Parigi e costringendo le
signore a stringersi nei loro cappotti. Osservo un uomo rincorrere il
cilindro che una folata troppo forte gli ha fatto scivolare via dalla
testa e che ora glielo sta facendo rotolare lungo il marciapiede
insieme a una manciata di foglie secche. Sembra che non sia successo
niente, è passato solo un anno e la Grande Guerra sembra
soltanto un brutto ricordo.
Starnutisco violentemente, non sono più abituata al clima di
Parigi. Frugo nella borsa alla ricerca del mio fazzoletto. Nell'angolo
ci sono ricamate le mie iniziali: V. d. V.
Le cucì Colette, la vecchia domestica della nostra famiglia,
su tutti i fazzoletti e i teli da bagno del corredo nuziale che mi
regalò mia madre quando compì dieci anni.
Ah la mia buona Colette! Diceva sempre che io e mio fratello saremmo
stati la sua morte, ma è vissuta a lungo e si è
sempre mantenuta in salute. Me la ricordo ancora, quando ci rincorreva
per il porto di Marsiglia con una velocità sorprendente per
una donna della sua età.
La carrozza si ferma bruscamente in mezzo al traffico, in rue de la
Roquette c'è una lunga fila di automobili e altre carrozze.
La violenta frenata mi fa cadere la borsa di mano, parte del contenuto
si rovescia sotto al sedile. Tra gli oggetti che sono caduti
c'è un volume rilegato in carta marrone con i titoli
stampati a caratteri dorati.
“la Fantome de l'Operà – Gaston
Leroux”
So che è stato dato alle stampe già da qualche
anno. L'ho acquistato in una piccola libreria quando sono arrivata a
Parigi, quattro giorni fa, l'ho letto in una sola giornata,
perché non avevo nient'altro da fare e perché
stavo morendo dalla curiosità di sapere cosa avevano
raccontato di... lui.
L'autore ha descritto la vicenda come una sorta di inchiesta
giornalistica, persino con una sottile vena di sarcasmo che, devo
ammetterlo, in alcune pagine mi ha fatto sorridere. Quel libro non
è riuscito a farmi arrabbiare, ho preferito ritenerlo una
bella favola dalla morale amara piuttosto che il resoconto veritiero di
una storia che già ancora prima che fosse finita era
divenuta una leggenda, e ho il sospetto che quel romanzo non
rimarrà l'unico tentativo di raccontarla. Posso solo sperare
che la gente non creda che ciò che ha narrato Leroux sia la
verità su come si svolsero i fatti.
Erik è morto.
È con queste parole che si conclude il libro. Il romanzo non
sarà fedele alla verità dei fatti, ma quella
frase mi ha strappato ancora una lacrima, e nessun lettore, nemmeno il
più sensibile potrà arrivare in fondo a quel
libro, leggere quelle parole e piangere come ho pianto io. Provare
quello che provo io.
Erik è morto, ma non per il dolore di aver perso la
fanciulla che amava. Erik non è morto d'amore, posso
affermare con certezza che egli è vissuto d'amore. Sono
convinta che sia stato felice. Se lo fosse stato anche solo dieci volte
meno di quanto lo sono stata io a vivergli accanto avrebbe potuto
essere l'uomo più contento del mondo.
Ah, parlo ancora come una bambina!
Lui e mia madre si sposarono alcuni mesi dopo che ci raggiunse a
Marsiglia, non appena il matrimonio tra lei e mio padre fu dichiarato
nullo dalla Sacra Rota. Anche mio padre si risposò, e credo
che anche lui sia stato felice, anche se non è mai diventato
bravo ad esternare i propri sentimenti, ma è stato in grado
di trasmettermi tutto il suo amore, anche se passavo molto
più tempo in Francia con mia madre e con Erik che in Spagna
con lui, in casa della sua nuova moglie. Io e quella donna non andavamo
d'accordo, lei era troppo perbenista per me che ero cresciuta come
degna figlia di Diane, insofferente e poco disposta a conformarmi alle
regole quando queste non mi andavano a genio.
Pochi mesi dopo il matrimonio mia madre mi disse che avrei avuto il
fratellino che avevo sempre desiderato. Fabrice nacque a dicembre, e
posso dire, senza timore di esagerare, che sia stato il miglior regalo
di Natale che avessi mai ricevuto, anche se all'inizio ero molto gelosa
di lui, gelosa perché lui era il più piccolo e
perché nella mia mente di bambina temevo che Erik potesse
volere più bene a lui, che era suo figlio naturale, che a
me. Ma Erik non ha mai tradito l'immenso affetto che gli avevo sempre
riservato. Ricordo che una sera avevo messo il muso per non so quale
ragione, mi portò nella loro camera da letto e mi fece
dormire in mezzo a lui e a mia madre, mi disse che sarebbe sempre stato
il mio Angelo. Era un uomo speciale, con la sua dolcezza maldestra e
con la sua strana, perenne e inspiegabile insicurezza, come se ogni
giorno dovesse convincere se stesso che quello che stava vivendo gli
apparteneva, che in qualche modo se lo era guadagnato. Trovò
lavoro presso il teatro della città, in breve tempo ne
assunse la direzione. Io e la mia famiglia abbiamo vissuto una vita
decisamente agiata, anche se mia madre non era più la moglie
di un marchese.
Erik trovò il suo posto nel mondo, malgrado quella maschera
da cui non è mai riuscito a separarsi, la toglieva solo
quando andava a dormire, o quando in casa non c'era nessun'altro a
parte me, mio fratello e mia madre. Ai miei occhi quello era il viso
del mio Angelo, agli occhi di Fabrice era il volto di suo padre e agli
occhi di mia madre era il volto dell'uomo che amava, non avrebbe mai
potuto farci paura o farci provare il minino ribrezzo.
Mi trasmise la sua passione per la musica, mi iscrissi al conservatorio
e tutt'oggi insegno pianoforte in una scuola di Marsiglia.
Direi che Erik è stato il mio primo amore. Rido a questo
pensiero, ma in un certo senso lo è stato sul serio, anche
se il mio vero amore è stato l'uomo che ho sposato e con cui
divido la mia vita.
Non tornavo a Parigi da anni, non ho mai visto quello straordinario
monumento di quel famoso ingegnere... la Tour Eiffel, si chiama come il
suo costruttore. Se non ricordo male è stata ultimata giusto
trent'anni fa. Ma avrò tempo di visitarla, di riscoprire la
città in cui sono nata, oggi ho una cosa molto importante da
fare, esaudire l'ultimo desiderio dell'uomo che è stato come
un padre per me e che ha regalato a mia madre la felicità
che meritava.
Erik e mia madre hanno aspettato che io e Fabrice diventassimo adulti
per raccontarci la verità, per dirci chi era stato lui prima
di incontrare me e la donna che avrebbe sposato. Non posso negare che
io e mio fratello rimanemmo turbati, ma poi capimmo che il Fantasma
dell'Opera era morto tempo prima come credevano i parigini, che l'uomo
che ci aveva allevati non era altro che un geniale artista dell'animo
sensibile e passionale, un uomo che per ciò che era
diventato, non avrebbe mai potuto essere un assassino o un mostro.
Mia madre mi ricordò che avevo conosciuto Christine Daae, la
giovane che era stata protagonista della vicenda che aveva portato alla
distruzione dell'Opera Populaire, e confesso che all'inizio rimasi
ferita quando Erik, da vecchio, mi disse che quando non ci sarebbe
stato più avrei dovuto esaudire un suo desiderio. Ancora
adesso non capisco le ragioni della sua richiesta, anche se sono
tornata appositamente a Parigi per esaudirla.
Era importante che lo facessi io e non suo figlio, mi disse,
perché io era stata per lui il primo spiraglio di speranza
quando ancora era conosciuto come il Fantasma dell'Opera.
“Siamo arrivati madame” mi dice il cocchiere
aprendo lo sportello e aiutandomi a scendere,
“Potete aspettarmi qui monsiuer, non ci metterò
molto” concludo dirigendomi verso i cancelli del cimitero,
con in mano una rosa rossa, sullo stelo ho legato con un fiocco di raso
nero un anello di brillanti, come aveva detto lui. L'anello che aveva
conservato per tutti quegli anni, disse che non avrebbe mai potuto
darlo a mia madre, disse che lei meritava di meglio che una reliquia di
un passato doloroso.
È stato questo il suo desiderio: dovevo portare quel fiore e
quell'anello sulla tomba di Christine Daae. Non ho mai capito che senso
avesse, non mi ha fatto nemmeno piacere sapere che lui aveva conservato
quell'anello in tutti quegli anni, perché mai doveva
ricordarsi di Christine se aveva mia madre che lo amava così
perdutamente?
Sbuffo e mi inoltro tra i sentieri di ghiaia costeggiati da lapidi e da
statue di angeli e madonne.
Il freddo mi penetra nelle ossa, siamo solo in autunno, ma Parigi non
è Marsiglia, il suo clima è meno mite, e io sono
pur sempre una donna di mezza età con i miei acciacchi.
Erik mi aveva dato indicazioni molto precise, aveva una memoria
sorprendente a quanto sembra. Mi aveva detto che in fondo, sulla destra
avrei trovato un grosso mausoleo, la tomba di Gustave Daae, di certo
sua figlia era sepolta lì vicino.
Non si era sbagliato, la tomba di Christine è sormontata da
una grossa lapide, semplice, quasi austera.
“Viscontessa De Changy. Moglie e madre amata” leggo
sotto la foto, l'immagine è quella di una donna anziana
dallo sguardo sereno. Posso dedurre che anche lei è stata
felice.
Rimango a osservare la lapide e quasi senza che me ne renda conto
comincio a piangere, in silenzio senza singhiozzi. Stringo la rosa
graffiandomi i polpastrelli con le spine.
I pensieri cominciano a riversarsi vorticosi, quasi violenti nella mia
testa. Rivedo tutta la mia vita scorrermi davanti, rivedo Erik e mia
madre nelle loro passeggiate mano nella mano lungo la banchina del
porto, quando li prendevo in giro e gli dicevo che “ve ne
state sempre appiccicati, che noia!” e mio fratello che
rideva. Rivedo mia madre vestita di tutto punto per andare a una prima
del teatro, nervosa ed agitata per la riuscita dello spettacolo, come
se i successi di suo marito fossero anche i suoi. Rivedo Erik seduto
nella depandance della nostra casa a costruire un carillon, a insegnare
a me a suonare e a mio fratello a dipingere... e oltre le lacrime che
appannano gli occhi vedo la foto di Christine Daae e di colpo capisco
perché lui ha voluto che qualcuno le portasse un fiore e
quell'anello. È stata lei, Christine, a decretare la morte
del Fantasma dell'Opera e permettere all'uomo che si nascondeva dietro
a quella maschera di riprendersi in mano la sua vita. Forse lui aveva
smesso di amarla ancora prima di innamorarsi di mia madre, ma non
avrebbe mai potuto smettere di esserle grato.
“Grazie...” mormoro con voce rotta, bacio la punta
dell'indice e lo poso sulla foto, lascio la rosa accanto alla lapide
poi mi allontano.
Quando sono già a diversi metri di distanza sento lo
scricchiolio della ghiaia alle mie spalle, nascosta dietro una statua
osservo una suora spingere una sedia a ruote verso la tomba di
Christine, sulla sedia c'è un uomo molto anziano, accanto a
lui un attendente regge un grosso carillon sormontato da un pupazzo,
giunti davanti alla tomba il vecchio prende il carillon e lo posa sulla
lapide, solleva lo sguardo umido verso la foto e deglutisce, poi nota
la rosa, per un attimo sussulta, poi accenna un mezzo sorriso e
annuisce guardando verso l'alto.
Non ci sono dubbi, quello è sicuramente il visconte Raoul De
Chagny. Vorrei avvicinarmi, ma poi mi rendo conto di non avere nulla da
dire, e comunque la sua espressione è quella di qualcuno che
ha già capito ogni cosa.
Il destino riscuote sempre il suo tributo, e a volte è
persino un tributo troppo alto. Mi viene da pensare a questo osservando
il visconte che si allontana sulla sua sedia a ruote e ricordandomi che
il tempo si è già portato via Erik e i miei
genitori.
Il destino può distruggere la vita di un uomo facendolo
nascere con un volto imperfetto, può togliere la voglia di
vivere a causa di grande amore non ricambiato, o può
spezzare il cuore di un marito facendolo impietosamente sopravvivere
alla sua amata moglie... ma una volta avevo sentito Colette affermare
che la felicità non ha un solo volto, e se è vero
che ci sono tante possibilità diverse di essere felici
allora il destino, che sceglie comunque una strada sola, è
sempre in svantaggio.
THE END
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Ringrazio di cuore tutti quelli che mi hanno seguito in
questi lunghi mesi.
Un ringraziamento particolare a Ilaria, la mia betareader, che
districandosi tra impegni vari è riuscita a darmi una mano e
a insegnarmi tante cose.
Al prossimo delirio (perchè il Fantasma dell'Opera
è sempre qui nella mia mente e non se ne vuole proprio
andare).
I remain, gentleman,
your obedient servant.
L.B.
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