Titolo:
Take One Breath
Nome autore EFP:
Elefseya
Pacchetto e percorso:
Pacchetto Countdown B
1
Numero parole:
1650
Fandom:
Haikyuu!!
Personaggi/Coppia:
Daichi
Sawamura, Asahi Azumane, Tobio Kageyama
Rating:
Verde
Genere:
Introspettivo,
Sportivo
Note:
-alla fine della
storia, anche se consiglio di darci una sbirciatina prima di leggere-
"Take One Breath"
As
we try to rise on our self-made burning wings.
-Sonata Arctica, Take One Breath-
Secco
è il rumore del pallone al
contatto con la mano dell’attaccante di turno in battuta;
richiama l’attenzione
di tutti i giocatori in campo, rimbomba per qualche istante la sua eco
tra le
mura della palestra e il silenzio gradualmente cala, ogni sguardo
percorre e
insegue con concentrazione morbosa la veloce parabola imperfetta
tracciata in
aria dalla palla che oltrepassa la rete e comincia a discendere.
Ricezione. Palleggio. L’attaccante
prende la rincorsa. Passo stacco. Schiacciata. Ancora ricezione.
Ad ogni azione lo schiocco delle
mani si confonde con le voci concitate di chi gioca in campo e con il
suono
stridente e acuto delle suole di gomma che scivolano sul parquet.
Insieme creano
un preciso e regolare ritmo che ormai Daichi ha interiorizzato e che
guida i
suoi movimenti, i suoi pensieri e persino il suo respiro, come se fosse
un
istinto primordiale: i suoi passi sono veloci, le gambe pronte a
scattare, le
braccia in posizione in attesa di quell’impercettibile
frazione di secondo in
cui riceveranno l’impulso di sollevarsi o portarsi in avanti,
le dita fremono
impazienti. Al contrario, il respiro è calmo e regolare, e
lucida è la mente
pronta a reagire non appena gli occhi vedono la palla levarsi in aria.
Palleggio, attacco, muro,
ricezione, palleggio: anche se non vede se non con la coda
dell’occhio, Daichi
intuisce cosa sta accadendo in campo in quella semplice partita tre
contro tre,
il suo sguardo concentrato ora sulla palla che Asahi difende. Solleva
il volto,
il pallone si alza, gli occhi del capitano del Karasuno ne seguono
attentamente
la traiettoria.
Silenzio. Rapidamente scatta
in avanti e porta le braccia davanti a sé, le solleva
leggermente appena
toccano la palla, si sposta di nuovo indietro. Un palleggio, la palla
ritorna
veloce a Daichi, il quale la ferma improvvisamente con le mani. Per
istinto si
volta a sinistra, per osservare la partita che continua ad andare
avanti,
azione dopo azione; ancora un bagher, un palleggio, una veloce che
fortuitamente non tocca terra e torna in aria con un altro bagher, un
secondo palleggio
indirizza il pallone a Tobio. Gli occhi di Daichi si assottigliano
appena
mentre continua a stringere la palla tra le mani, inconsapevolmente;
persino il
suo respiro in modo impercettibile accelera, il petto si alza e abbassa
leggermente come le sue spalle, in sincronia con ogni inspirazione ed
espirazione.
Da sotto il pesante mantello di velluto rosso
e la sontuosa corona
dorata spicca il volo un corvo. Invisibili sono le sue morbide penne
nere come
il petrolio che fluttuano in aria e poi lente si posano a terra,
inudibile è il
suo gracchiare stridulo e aggressivo che riverbera nel nulla.
E all’improvviso quello stesso
respiro accelerato si ferma per interminabili secondi, gli occhi
rimangono
fissi sulla figura del palleggiatore.
Il Re del campo salta. Piega
leggermente le gambe e i muscoli si tendono. Il volto si scosta
leggermente, mentre
occhi rapaci scrutano in cerca di un punto debole nel muro che si
staglia di
fronte a lui. Solleva il braccio destro, sinuoso ed elegante
è il movimento del
suo polso che leggermente ruota verso destra: la mano si abbassa quel
tanto per
permettere ai polpastrelli di toccare il cuoio della palla e dare forza
e
spinta sufficienti per mandarla a terra nel campo avversario. Il
pallone cade
con un tonfo sordo poco dopo che i suoi piedi toccano terra di nuovo,
esultano istantaneamente
le voci trionfanti dei compagni di squadra.
La stretta di Daichi sulla
palla si fa tanto più forte che le nocche delle sue mani ora
irrigidite paiono impallidire
rispetto alla sua naturale carnagione olivastra; in modo
così evidente stonano
con l’esuberante esultanza che proviene dal campo
l’espressione del suo volto,
infastidita ed irritata, e i suoi occhi, scuri per quella rabbia che
lentamente
e in modo inconscio sta nascendo e prendendo forma come fuoco su brace
ardente
divampato da un’invisibile scintilla.
«Daichi…?»
È Asahi colui che si accorge di quello sguardo torvo prima
ancora che Daichi
stesso se ne renda conto, come ridestato dall’esitante voce
altrui preoccupata
e confusa; i suoi occhi si abbassano un poco e le palpebre li coprono
nel
medesimo istante in cui un sospiro profondo gli riempie il petto.
«Mi fa arrabbiare.»
Lapidarie e taglienti sono le sue parole, la sua voce è
bassa e rauca. Una
leggera vena di minaccia ne condiziona il tono solitamente pacato e
allo stesso
tempo deciso, ma ora monocorde e piatto, senza alcuna emozione. O per lo meno senza alcuna emozione positiva.
Daichi comincia a comprendere:
ciò che gli fa stringere il pallone con così
tanto accanimento sono la rabbia e
la frustrazione, ciò che gli impedisce di distogliere gli
occhi da invisibili
ali così maestose è l’invidia. Sono
sentimenti insoliti in lui, lo sa bene, e
per questo motivo è egli stesso sorpreso del suo sguardo
bieco, delle mani formicolanti
che vorrebbero frantumare qualsiasi cosa si trovasse tra di esse. Se si
vedesse
riflesso in uno specchio, probabilmente non si riconoscerebbe nemmeno.
«Guardalo».
È un ringhio la sua voce ora, basso e aggressivo; per il
nervosismo -e Daichi si stupisce di come quest’ultimo lo stia
manipolando così
facilmente- si morde l’interno della guancia e stringe le
labbra. Abbassa la
testa -ed è forse vergogna questa?
«È il giocatore perfetto. Guarda
come si muove, come salta. Come fa punto. È lui che
può portare la squadra alla
vittoria, non di certo io.». Lo sguardo di Asahi ora corre
dal capitano a
Tobio, su cui i suoi occhi rimangono poi fissi; un sospiro, un lento
cenno di
assenso che Daichi non vede ma può intuire dalle parole che
giungono alle sue
orecchie. «Lo so…». Incerta
determinazione -svilimento-, una cupa sfumatura
colora la voce di Asahi. «E non intendo perdere contro di
lui.»
Alza di nuovo la testa, il
capitano. Guarda l’asso del Karasuno, ne vede le mascelle
irrigidite, le mani strette
a pugno e le braccia rigidamente stese lungo i fianchi, i muscoli degli
avambracci tesi. Può capire benissimo cosa prova,
poiché è lo stesso sentimento
d’incapacità che sta attanagliando e stringendo in
una dolora morsa lui stesso:
la schiacciante sensazione della sconfitta pesante come un macigno,
l’impossibilità apparente di rialzarsi, il senso
di colpa perché non si è
riusciti a fare (e dare) abbastanza, l’impotenza di fronte ad
un’invalicabile
barriera. Ogni singolo attacco che non tocca terra, ogni singolo muro
frantumato da mani più forti, ogni difesa andata a vuoto, i
palloni caduti. Le
mani arrossate, le dita contuse, le braccia e le gambe doloranti e
pesanti, i
muscoli tesi, le ginocchia e i gomiti abrasi, il sudore che corre lungo
la schiena,
il fiato corto e la gola secca. L’avvilimento e la stanchezza.
I corvi che non volano. I campioni
decaduti.
E nell’istante in cui Daichi
posa di nuovo lo sguardo sul palleggiatore, non riesce a fare altro che
desiderare ardentemente di vederlo cadere, esattamente come loro. Vedere la sua corona rotolare e arrugginirsi,
il mantello giacere a terra infangato.
«No, non perderemo.» Un sibilo
affilato.
La palla che Daichi con
ostinazione stringe tra le mani bruscamente scivola a terra, spinta in
modo involontario
dalla foga dei pensieri del capitano; rotola velocemente verso il campo.
«Kagey-…». La voce di Asahi
subito si ferma e si affievolisce nella sua gola, incapace di farsi
udire -non intenzionata a farsi
sentire-, e la
mano di Daichi afferra l’altrui polso, ferma
l’attaccante dall’avere qualsiasi
ripensamento, dal compiere il minimo passo.
Continua a rotolare
velocemente la palla.
E Daichi non intende fermarla.
È un pensiero folle il suo, un
desiderio perfidamente sbagliato, una maligna ira che non dovrebbe
essere, una
strana sensazione di compiacimento che gli occlude la bocca dello
stomaco. Un
attimo, un mero attimo di debolezza nel quale lui si crogiola inquieto,
incapace di trovare riposo.
È così dannatamente semplice: un
salto e tutto potrebbe aver termine. Il Re cadrebbe rovinosamente.
La fine.
“Lui non è diverso da
noi. Lui può cadere.”
Le ginocchia di Tobio si
piegano leggermente, i muscoli tesi e pronti a scattare. L’orlo
del mantello ondeggia pigramente. Le braccia cominciano a
sollevarsi verso l’alto in trepidante attesa. La
corona brilla sotto i raggi del sole e oscilla pericolosamente.
La sua testa segue istintivamente la palla che viene prontamente difesa
e indirizzata
verso di lui; le dita palpitano in frenesia, il petto si gonfia e
sgonfia per
il fiato corto, le labbra sono leggermente schiuse.
L’altro pallone scivola sul pavimento
di legno.
“Lui… non è
diverso da noi.”
E Daichi allarga gli occhi,
come se avesse appena ricevuto uno schiaffo, una scossa che lo
risveglia dal torpore
del suo scomodo crogiolo e che rende più chiari i suoi
pensieri. “Cosa diamine stiamo
facendo…?”
Presa di coscienza. La realizzazione di un pensiero ancor
più semplice di un
pallone che rotola.
Cerca per tutta risposta gli
occhi di Asahi, le cui gambe paiono fremere e tradire il desiderio di
correre e
fermare quella che sta pericolosamente diventando una vendetta -per cosa?- non consapevolmente meditata
se non nell’accettazione di un semplice fatto fisico quale la
forza di gravità.
Dopotutto, ogni cosa ineluttabilmente cade
a terra.
Scrolla la testa Daichi e una
risata rauca scuote il suo petto e le sue spalle: ossigena polmoni e
cervello,
raffredda il sangue che sembrava divenuto fiele che corrode. Non sono
più la
spinosa invidia e la cieca rabbia a guidare i suoi -i
loro- passi veloci.
“Che cosa sto facendo?”
Un altro respiro profondo
riempie di aria fresca i suoi polmoni.
«Kageyama, non saltare!»
E le maestose ali piumate si abbassano, fino a
scomparire come nebbia
spazzata dal vento, la corona non è che un miraggio, il
mantello una patetica
invenzione -immaginazione distrutta e corretta da infine
ritrovata
razionalità.
Tobio si volta istantaneamente,
perplesso, e i suoi occhi si concentrano per riflesso naturale sulla
palla che
sta rotolando nella sua direzione. Nella palestra rimbomba
l’eco di un pallone
che cade poco distante.
Ma altre ali ora possono finalmente
librarsi in volo e rialzarsi.
Though I’m out of breath, I
just keep on running.
-SPYAIR, I’m a Believer-
Note (pt. II):
Pensavo che avrei esordito nella sezione di Haikyuu con la bella AsaNoya che ho
in
cantiere dall’anno scorso (ooooops), e invece eccomi qui a
scrivere tutt’altro!
Una prova piuttosto interessante che mi ha messa un pochino in
difficoltà per
percorso e personaggi (ahimè la fortuna non gira mai dalla
mia parte, sigh), ma
ammetto tranquillamente di aver trovato davvero, davvero stimolante e
molto
divertente il contest, oh sì. Dai lidi di Pandora Hearts
sbarco qui, metto da
parte il buon metal e m’imbottisco di k-pop per trovare idee,
e booooom, la mia
anima da pallavolista in pensione causa infortunio mi porta a scrivere
questo.
Ho cercato di limitarmi nei termini tecnici pallavolistici, credo si
riesca
comunque a capire bene o male tutta la dinamica descritta (lo spero ; -
; ).
Ho giocato facile: mi sono
ispirata alle mie esperienze dirette in fatto di pallavolo, soprattutto
a tutte
le volte in cui la mia allenatrice ripeteva di “fare
attenzione a eventuali
palloni in campo, perché se saltate e un pallone nel
frattempo rotola sotto i
vostri piedi poi scivolate e nella migliore delle ipotesi vi fate
parecchio
male”. L’ambientazione è abbastanza
intuibile, un semplice contesto di
pre-allenamento, una partitella amichevole tre a tre (a voi la scelta
di chi
sta in campo, anche se alcuni indizi sparsi possono suggerire chi
potrebbe
essere nelle due piccole squadre~), mentre altri già
cominciano a riscaldarsi
(ehi, lasciate ad Ukai il tempo di arrivare D: ). Ma credo che
l’elemento più
interessante sia vedere il nostro caro Daichi sotto una luce un pochino
più
“tenebrosa” (o forse di mera debolezza umana) ed
entrare nella sua testa. Spero
di essere stata abbastanza brava a mantenere l’IC, giuro
solennemente di aver
cercato di stravolgere i personaggi il meno possibile -trema-. Ho
cercato di
abbandonare quello stile pesante che tendo ad avere per renderlo
più consono e
adatto ai personaggi e alla situazione, e okay, il risultato
è un po’ strano e
mi fa paura, molto simile a Seneca e alle sue maledette sententiae,
tante frasi
spezzettate che vorrebbero dare l’idea dello stesso ritmo con
cui si gioca a
pallavolo. Ma non ho voluto eliminare del tutto quel simbolismo che
tanto mi
piace, per questo spesso ho inserito corvi, ali, mantelli e corone.
Sì,
insomma, una sorta di continuità con lo steso simbolismo
usato dall’anime/manga
quando ci si riferisce al Karasuno e a Tobio (giusto perché
così non pensate
che Daichi si sia fatto di chissà quale strana erbapipa).
Plus, il finale
speciale, che lascia intendere parecchie cose a buone orecchie.
Dimenticavo, tanti auguri al
nostro capitano papà corvo che oggi compie gli anni, e ne
approfitto per augurare a tutti un Felice Anno Nuovo!
Buona lettura!
|