CAP 2 - aspettando il mattino: un proiettile nella mente
Attendendo il mattino:
un proiettile nella mente.
Note pre-lettura: la seconda
parte di “ Aspettando il
mattino”,
riprende direttamente da dove abbiamo lasciato François ,
ovvero, da dopo la
missione bellica a Great Meadows…
Il nostro
protagonista è giunto a Nouvelle Orleans e , frattanto che
attende l’amico
Blaise , si è raccolto in una dolorosa rimembranza
….
“
L'infanzia ho
sotterrato
Nel fondo delle notti
E ora, spada invisibile,
Mi separa da tutto.
Di me rammento che esultavo amandoti,
Ed eccomi perduto
In infinito delle notti.
Disperazione che incessante aumenta
La vita non mi è più,
Arrestata in fondo alla gola,
Che una roccia di gridi.”
(
G. Ungaretti )
C’erano i
bagagli pronti
nell’atrio, i bauli damascati che contenevano i vestiti, le
scatole quadrate che
coi coperchi facevano accucciare le
piume sibilanti dei cappelli.
C’erano le custodie lignee
dei moschetti, di alcuni fucili…
C’erano
promesse di
vacanze…
Allontanamento su litorali
pacifici…
Catarsi dal buio che chiude
gli scuri della ragione.
-
Sono
felice che Etienne venga assieme a
noi…- disse sottovoce Judith – ha
sempre
amato il mare di Arras. Il rumore piatto della Senna gli reca
più dolore che
serenità…
-
Mi
auguro che possa tentare di
distaccarsi da tutta
quest’intossicazione…”
Distrarsi” è un eufemismo,
ahimè…l’unica cosa che ho potuto fare
è stata supplicarlo di allontanarsi da
Parigi.
François,
sospirando, prese
posto affianco a lei sul sofà ricamato
del salotto. Erano giunti in carrozza da
Etienne quella
mattina tiepida d’agosto per portarlo a distrarsi in
Normandia...Nella villa
i servi facevano avanti e indietro dal
piano terra alle camere superiori percorrendo con lesta e discreta
disinvoltura
i gradini e i tappeti lasciando bisbigliare le suole delle scarpe e i
lembi dei
vestiti.
A giocherellare con la sua
bambola di pezza ignara ma un po’ preoccupata della
situazione, la piccola
Josephine di quattro anni. Parlottava sottilissima per il timore di
essere
sgridata: sapeva che l’amato zio era tanto triste, come
diceva la mamma, e
bisognava tornare a farlo sorridere.
-
Se
non sbaglio – continuò la madre – il
medico gli aveva raccomandato un viaggio tranquillo per sgomberare in
modo sano
l’animo.
Il Conte si
massaggiò la fronte aggrottata dalla
speranza e da un’ angoscia ammonitrice …Quando
aveva esposto al fratello la
proposta di quel soggiorno presso la tenuta ad Arras , lui gli aveva
sorriso in
modo accondiscendente e tetro…c’era stata dolcezza spaventosa nella
sua espressione
simile ad un whisky che invade delizioso e caldo il palato e scende poi
nelle
viscere gonfiando di bruciore letale il fegato…
-
Judith
– mormorò l’uomo -
sai bene che il male che ha Etienne è
impossibile curarlo coi medicinali…Gli organi riconoscono
come capo supremo la
sola mente e le sono fedeli spietatamente.
Le
luci dell’alba appena
sbocciata imburravano i marmi dei pavimenti e i mogani dei mobili
attraverso
una sfoglia di riflessi rosa
sabbioso.
Le finestre, denudate dalle tende di raso, palesavano i tigli crespati
del
cortile da cui cinguettavano di frizzante desolazione i passeri.
I pendoli , attraverso i
dardi barocchi delle lancette, segnavano le sette scandendo una
tranquilla
remata di secondi.
La bambina seduta su un
piccolo sgabello , si tenne in grembo il giocattolo e guardò
timidamente il
padre con i riccioli castani che le coprivano le spallucce quasi a
proteggerla
dalla fredda aria tesa che pizzicava il naso e il petto.
-
François…-
tentò di rassicurarlo Judith –
tuo fratello ha superato mille prove e il suo carattere è
pieno d’energia….Ora
è distrutto per ciò che ha
perduto…Dobbiamo rendergli materiale la fiducia che non vede
più…Non sarà facile per niente ma
alla fine scommetto che lui stesso avrà voglia di uscire dai
suoi sotterranei.
Il freddo raggela le ossa e non le fa muovere.
?
-
È’
quello che mi spaventa…se lui non volesse
muoversi per sempre?
-
Ha
accettato di unirsi a noi! Ha preparato
tutti i bagagli!
François
saettò la sposa
tramite uno sguardo di rabbioso timore:
-
Ti
sei resa conto che da quando siamo
arrivati qui non
è sceso a salutarci?! –
sibilò pallido – ci ha accolto Albert dicendo che
lui si stava preparando…Non
avrebbe fatto così, credimi!
-
Etienne
è molto stanco e non è in
sé…-
ribatté piano e decisa la moglie – non puoi
pretendere atteggiamenti normali!
Il
Conte si alzò espandendo
una folata di ansia gelata mentre la sua figlioletta si fece ancora
più piccola
sul seggiolino:
-
Se
ci avesse preso in giro?! – sussurrò sporgendosi
verso la sua interlocutrice – la capacità di
raccontare bugie non gli è svanita
neanche con il buio nel cervello!
Camminò
avanti a indietro
di fronte il divano per risedersi:
-
Etienne
qualche settimana fa aveva ricominciato
a bere pesantemente – rivelò coi denti stretti
tenendo le mani incrociate sulla
bocca e i gomiti posati sulle ginocchia –era venuto a
riferirmelo in lacrime
Albert mentre tornavo da Versailles sulla strada di casa.
Judith
domandò visibilmente
angustiata:
-
Non
dirmi…che maltrattava anche i servi…
Il marito chiuse gli occhi
facendo un cenno affermativo del capo.
-
Sono
stato costretto a rompergli davanti
agli occhi le bottiglie di vino…
La
donna lo osservava piena
di tristezza stravolta.
-
Gli
ho anche alzato le mani…se no non
ragionava più.
-
François!
Il
generale sollevò il
torace, rispondendo con sgarbata mestizia:
-
Che
dovevo fare, Judith?! Dimmi che
dovevo fare?!
Josephine
, nonostante
fosse spaventata, si avvicinò alla madre con pudore
impallidito che le afferrò
la mano e obiettò
piovigginosa al conte:
-
Potevi
dirmi innanzitutto questi altri
problemi….sei quasi sempre seppellito nella tua stessa casa,
scordandoti che
sono tua moglie…un’anima che vive con te e che
vuole parlare e capire.
Lui
sbuffò sbattendo
il dorso sullo schienale del divano.
-
Non
cominciare con queste stupidaggini.
Ci sono ben altre complicazioni adesso che dar corda alle tue paranoie.
-
Tranquillo,
François…diventerò invisibile
visto che sei un generale in grado di affrontare da solo qualunque
ostacolo.
Il
Conte stava per mandare alla
malora la sposa, quando giunse Albert,
l’anziano capo della servitù di Etienne, un uomo
di media statura magro,
teneramente rigido, con un cesto di capelli canuti e stanchi:
-
Miei
Signori – proferì rispettoso con
espressione scartocciata
– chiedo venia
di questa attesa. Il padrone sta prendendo gli ultimi pacchi e tra
pochissimi
minuti uscirà dalla sua stanza.
Un
frantumo.
Immenso. Veloce. Crudamente
tramontante.
Il
suono di uno sparo.
Una lacrima tritata in un rasoio
urlante.
“ Amabilissimo
mio Signore Gesù Cristo, che della fraterna
carità, di cui presentaste in Voi stesso il più
perfetto modello, avete fatto
il primo dovere ed il primo distintivo di tutti i Vostri discepoli,
liberate
dalle pene che soffrono, e chiamate al possesso della Vostra Gloria i
nostri
fratelli e le nostre sorelle “
L’anziano
maggiordomo restò
attonito e la contessa, scombussolata di paura, a prese immediatamente
in
braccio Josephine sull’orlo delle lacrime.
François fissò loro
pochi secondi
e subito corse verso le scale dei piani superiori.
A
ogni gradino il sangue ,
che si strigliava nelle caverne del cuore,
diventava calce pesantissima.
Talmente grandi erano
quelle martellate di montagna crepata che le esclamazioni dei servi
parevano
un’eco che sbiadiva simile a un tessuto usurato.
Il
Conte percorse il
corridoio che conduceva alla stanza del
fratello.
Non appena spalancò la
porta, quasi sgretolando la maniglia
dorata, si arrestò.
Tutto si annebbiò di
paralisi tranne che una figura.
Il
baldacchino assunse le
sembianze di un mausoleo che piangeva sete lattiginate.
I deboli riflessi del primo
mattino si screpolarono dalle invetriate della finestra.
A
terra, sui marmi di fiori
acuminati, giaceva un giovane uomo.
Aveva
a malapena
trent’anni.
L’ abbaglio della sua
bellezza si spargeva in artigliate rosse sulle mattonelle. Un completo
beige copriva
la snellezza indebolita ma sempre elevata delle membra lunghe e fini.
François,
ignorando le proprie
gambe intontite di cenere, si avvicinò a quel corpo.
S’inginocchiò cigolando i
menischi.
Lasciò sospesa la sua mano
ingrossata di secchezza.
“
Voi, che Vi degnaste di diventare il
nostro fratello maggiore prendendo la nostra stessa carne, ed
elevandoci alla
dignità di figli del Vostro Eterno Padre, non permettete che
siano a lungo da
Voi divisi questi minori fratelli, che con gemiti inenarrabili Vi
domandano
pietà.”
No.
Non era Etienne.
Quegli
splendidi e lunghi
capelli corvini non potevano diventare delle bisce lerciate di sangue.
Quel proiettile di piombo
che sfracellava la tempia era solo un frutto di bosco schiacciato che
irrorava
la gota di rivoli grumosi.
Quella
posa supina era
brutalmente dispettosa e ingenua. La mano mancina che reggeva la
pistola, il
viso tenero e folle riverso di lato, l’armonioso collo che
spiccava dallo jabot
bianco…che fosse uno scherzo repellente?
-
Etienne…-
spirò esanime François
– alzati…forza….alzati.
Gli
occhi neri, inceneriti
e liquefatti, guardavano la tappezzeria del muro di fronte.
Luccicavano uguali a pietre
affogate in un lago.
La bocca socchiusa e
setosamente livida ingoiava ogni sussurro nei tunnel spenti dei polmoni.
Dai denti bianchi non
sgattaiolava la minima sillaba.
-
Etienne…smettila.
Svegliati.
François
girò il
capo del giovane ma
la maschera afflitta e spudoratamente
serena che lo guardava non si scioglieva dalla freddezza che scoloriva la pelle
scura.
-
Etienne…non
mi sto divertendo.
“
Giunti poi che saranno al possesso del
Paradiso, esaudite le preghiere che porgeranno per la nostra salute al
trono
della Vostra misericordia; affinché possiamo godere
perpetuamente della loro
compagnia nella gloria, dopo avere emulata la loro rassegnazione e
tutte le
loro virtù in questa misera vita.”
Le
lacrime non sgorgavano.
Erano bolle di ossigeno che
uscivano dalla bocca e si maciullavano verso la superficie di un mare
nero.
Mentre i camerieri e Judith
esclamavano strabuzzati di panico, il Conte cercò di
convincersi che il
cadavere che stava toccando non era Etienne.
Era
un cadavere…
Non Etienne.
Lui
stava scappando chissà
dove…stendendo un incubo che sanguinava sotto i riverberi
dilaniati del
mattino.
“
L’eterno
riposo,
dona loro, o Signore,
e splenda ad essi la Luce perpetua.
Riposino in pace.
Amen.”
Dopo
mezz’ora di mutismo psichico, François era
riuscito a
recitare dall’inizio alla fine un requiem destinato ai
fratelli defunti.
Quello scetticismo pauroso di ricordare preghiere lo accompagnava
da ere eppure ne provava vergogna. Diceva di
essere dotato di pessima
memoria mentre la verità era che
odiava raccogliersi in Chiesa.
Tanto per dannarsi l’anima e tentare di redimersi
da una condotta
che Jean-Antoine avrebbe giudicato biasimevole, il Conte a volte si
recava in
una qualsiasi parrocchia nei pressi del posto in cui si trovava.
In
quel tardo pomeriggio era entrato in una scarna e piccola
cappella di legno costruita provvisoriamente fuori la zona portuale di
Nouvelle
Orleans. Dalla struttura fatiscente di un palazzo distrettuale del
diciassettesimo secolo , si era consacrata , per i cattolici coloniali
francesi, una basilica adibita di altarino, crocifisso e alcune panche
di pino.
Sedutosi davanti la striminzita zona absidale,
l’uomo aveva
incrociato le mani e fissato la fuligginosa scala di luce che penetrava
dal
rosone centrale.
La calma che impregnava il tempietto, si differenziava per uno
squallore claustrofobico rispetto all’oscura
maestosità delle cattedrali e
basiliche europee.
Certo François avvertiva inquietudine in ogni santuario che
visitava ma quel giorno lo doveva proprio fare.
Infrangere
le regole cristiane anche in una casa di Dio.
Dopo
le esequie alle sue bimbe mai cresciute, ai parenti morti di
malattia rivolgeva la più grande, amorevole e scabrosa
orazione a Etienne.
Un
suicida.
Non
un’anima del purgatorio ma dell’inferno.
Erano
già passati tre anni da quell’incredibile
avvenimento e
sembrava ieri.
Erano solo passati tre anni ma le scanalature delle lacrime si
rivelavano così ramificate da vantare un’essenza
secolare.
Il
tempo dilatava e restringeva le pupille senza mai confessare la
durata effettiva delle tenebre.
I riflessi del mezzodì scintillavano sporadicamente
balsamici al
di là del ponente mentre le stelle polari, incastrate al
cielo, rendevano
longevo il lenzuolo monacale della notte.
-
Siamo
a novembre eppure si sente ancora l’afa che si attacca alla
pelle…che orrenda umidità.
Il
Generale si voltò alla propria destra.
Un altro ufficiale francese era entrato nella chiesetta con un
sussurrio di passi adombrato e discreto.
-
Blaise
- sorrise
rincuorandosi François – sei tornato anche tu
dalla Valle dell'Ohio?
-
Giusto
qualche ora fa…-
rispose l’altro sedendosi accanto –
avevo bisogno di uscire dal
pandemonio dei carretti armati e degli abbaiamenti militari.
-
Non
hai paura di questa pace?
L’amico
lo guardò silenziosamente interrogativo.
-
Sai…è
bella ma penso che posso rintronarmi di sonno e non uscirne
più fuori…
Blaise
rispose tristemente scherzoso:
-
Etienne
ti verrebbe a risvegliare a suon di tromboni assieme ad un
branco di scimmie.
François
rise fragilmente:
-
Era
quello che minacciava di farmi ogni volta che veniva a
buttarmi giù dal letto la domenica mattina.
Il
maggiore guardò il crocifisso che ormai riceveva flagellate
trasversali di luce carminio.
-
Recitiamo
un altro requiem, François? Anche io detesto pregare da
solo. L’assenza è invisibile ma alza sempre grida
di carne e ossa.
***§***
Quando François e
Blaise uscirono dalla cappella, la ruota solare
era appena caduta nel fossato di ponente, spargendo
nel cielo le nubi serpeggianti delle sue
orme.
Parevano tanti ammassi rappresi di polvere che nessuna scopa
poteva spazzare via.
L’arancio fatiscente del giorno schizzava fioche
brillantature
sull’oceano, s’annodava ai timoni, ai cordami, saliva sulle vele ammainate.
Le navi galleggiavano ieraticamente intontite con la mestizia di
balene incapaci di
riprendere il largo. Gli
alberi maestri erano miriadi di arpioni che infilzavano i loro dorsi
penitenti e
fissandoli da lontano davano l’idea di un
fittissimo cimitero di croci spettrali e oscillanti.
Il porto di Nouvelle Orleans boccheggiava assieme alle sue caserme
e agli scricchiolii rugginosi dei magazzini : luccicava arcano come
toccato
dalla mano di re Mida.
I marinai e i soldati davano gli ultimi guizzi di grida e
incitamento sbarcando cassette di mercanzie e armi.
Quando sarebbe sopraggiunto il blu della sera, tutta la
città
avrebbe acceso lanterne
di febbre alabastrina
nelle umili dimore, nelle locande e nei postriboli.
-
Oggi
sarebbe stato il suo compleanno…- constatò
dolorosamente
Blaise.
-
Sì
– rispose François con cupa asciuttezza
– ma tre anni fa lui preferì
non festeggiare. Quale utilità
avrebbe
rappresentato , in dei conti, se i traguardi erano diventati senza
senso?
Adoperava
moltitudini di perifrasi, quasi tentasse ancora di
credere che fosse rimasto vittima di un crudele scherzo
poiché , nonostante
avesse visto parecchi uomini perire, la morte di quel fratello
raffigurava un’anormalità
inaccettabile. L’amico capiva che quando si ricordava Etienne
la parola “ suicidio”
veniva censurata
oscena e irreale : fu uno shock che s’impresse
sanguinosamente ceramico per
lunghissimo
tempo…
Quel
tardo
pomeriggio estivo pareva ingrigitosi precocemente annunciando piogge
autunnali
con carri molli e lividi di nugoli.
La maculatura
biancastra, bigia e carbone del cielo assomigliava
all’epidermide di un
cadavere annegato e
in alcuni sprazzi
s’intravedevano venule cobalto smorto…arterie
vuote di sangue.
Blaise
aveva
intimato il cocchiere di attraversare velocemente Pont Neuf e
raggiungere la
sponda orientale della Senna oltre gli alveari periferici di Parigi
dalle
finestre lacrimanti cenci e lenzuola ruvide.
Era stato messo
a corrente di quella tragedia tramite uno dei servi mandato da
François
pensando di udire la manifestazione di un incantesimo oscuro che mai si
sarebbe
potuto avverare.
Giunse
trafelato alla villa di Etienne, accompagnato dalla moglie Elenoire e
si
precipitò immediatamente nell’atrio.
Dentro
splendevano candelabri di luce ingobbita e farfugliante…il
mobilio, i tappeti e
i quadri palesavano le spigolature e le traforazioni delle cesellature
inumidite di
penombra.
Le
cameriere parlavano
sottovoce sconvolte
e Judith tentava di
rassicurare la rintronata Josephine quasi costituissero un gruppo
monacale di
spettri.
François
si
alzò lentamente dal divano del salotto e gli andò
incontro.
Era a tal punto
distrutto che le lacrime bruciavano di rosso le cornee senza fluire
liberamente.
Non portava la
parrucca e mostrava la vera capigliatura castana, scombinata e
infeltrita.
Sembrava un marinaio salvato da una tempesta in cui aveva perduto un
tesoro
immenso.
-
Abbiamo
finito di allestire
la camera ardente qualche ora fa – mormorò rauco-
E’ di sopra dove lui dormiva.
Blaise
sperò che
fosse tutto un macabro palcoscenico che presto si sarebbe smantellato
ma
l’amico non aveva l’abitudine di compiere
buffonate.
-
François…-
biascicò strozzato
– non capisco…Etienne è
davvero…
-
Non
c’è niente da capire.
Il
Conte aveva
interrotto serrando le labbra per
tentare di soffocare un violento singulto.
All’altro
non
gli restò che scottarsi veramente e così si
avviò al piano superiore, seguito
da Elenoire che sebbene non l’avesse obbligata a vedere una
salma si era
rifiutata di lasciarlo.
Percorso
il
buio corridoio, videro
un tetro fascio
di lumi arancioni sbattere contro la parete opposta in un atto di
preghiera
disperata. ..Sembrava emergere una
sorta
di anti inferno colante di muto incenso.
Entrarono
lentamente nella stanza…Grandi paraventi verde petrolio , ai
lati delle mura,
coprivano tutto l’arredamento mondano...
Solo il
baldacchino troneggiava lucido, grondante pastelle di drappi scuri.
Una lunga bara
aperta era distesa
sul letto di ieratica
seta bordò.
Due ali di
lanterne la riscaldavano illusoriamente per sciogliere la solitudine fredda e
soffocante.
Blaise
ed
Elenoire si misero più vicino percorsi dai brividi.
Etienne
giaceva
supino, con le mani eleganti e spente incrociate sul torace.
I necrofori
l’avevano vestito di un fine e macabro completo nero che gli esaltava
l’appassimento agonizzante
della bellezza.
Gli orli
ricamati della camicia e dello jabot bianchi possedevano la consistenza
di una
spuma affranta che contrastava orridamente soave con le stoffe
tenebrose.
Gli
inconfondibili capelli corvini erano stati pettinati in modo tenero e
terribile
in un ordine fluente che si sparpagliava sul petto e sui
cuscini…Una raggiera
di lingue d’inchiostro.
Sul viso, un
tempo raggiante e abbronzato, si stava cospargendo un alone cinereo
mentre
sotto le ciglia nere delle occhiaie carbonifere prosciugavano i
lineamenti
smagrendoli a poco a poco.
I dettagli più
agghiaccianti erano le labbra, che avevano assunto una scurezza
tumorale e
rugosa, e la
cruenta ferita alla tempia
sinistra, simile ad un cratere screpolato di viscida lava.
Blaise prese per
mano la moglie cercando di trasmettersi calore
dinanzi a quell’involucro gelato.
Le ginocchia si
stavano sgretolando assieme ai bronchi e al cuore.
-
Non ci ha mai concesso il
tempo di dargli uno straccio di calma…- affermò
François - una piccola ma
consistente gioia che tutto sarebbe tornato come prima.
-
È
vero…neppure io riesco a capire che Etienne…-
inspirò a disagio
– che… Etienne tace sottoterra…lui che
non voleva mai stare zitto e doveva
bombardarti in faccia tutto
quello che
pensava ed esigeva.
Un
vociare crepitante, similare
al canto gareggiante di un coro di passeri, raggiunse gli
amici.
Erano due bambini , probabilmente figli di un qualche artigiano,
che stavano correndo verso casa.
Mentre ridevano e scherzavano , indirizzarono brillante
curiosità
verso il Generale e il Maggiore, attratti dalle loro divise. Si
ammutolirono
intimiditi per alcuni secondi.
Scambiandosi tra loro qualche
parola d’ammirazione sussurrata, salutarono in modo goffo e
vivace e si
accinsero a raggiungere i genitori.
Blaise aveva sorriso gentilmente, invece François era
riuscito a
malapena a flettere le labbra all’insù…
Pensò alle sue bambine morte, al figlio maschio che lui e la
moglie non concepivano ancora…
Pensò che , malgrado fosse in grado di correre e affannarsi,
non
poteva farlo più alla maniera di un bimbo.
Gli sembrava assurdo aver vissuto un’infanzia e dei
giochi…Il
padre lo costringeva ad impegnarsi nello studio e nella
scherma ma in tutti
i momenti liberi lui volava via…Libero, almeno alcune ore ,
di fantasticare in
compagnia del suo adorato antagonista.
La
canaglia
aveva già attraversato la baia e lui non doveva permettere
che giungesse nella
città fortificata…Nel
palazzo del re.
Era il capitano
supremo dell’esercito reale, un cavaliere potente dalla spada
infallibile e
dallo scudo più resistente di una roccia.
François,
il
Leone di fuoco , stava dando la caccia al bucaniere più
temuto di tutti i mari:
Etienne, la nera lince dei Saraceni.
I
pioppi e i
faggi di Villa de Jarjayes si scrollavano al lieve vento solare
pitturandosi di
una danza da pini , carrubi e tamerici….quando vi erano
duelli e inseguimenti
l’aria agreste e impagliata di polline si appuntiva di resina
salmastra come la
scorza spalancata di un riccio marino.
Mentre le grosse
magnolie si truccavano e cercavano di apparire magre eguali a oleandri
, l’ampia
fontana del giardino recitava scrosci di onde oceaniche.
I passeri e i
cardellini imbiancavano di iodio i loro canti per trasformarsi in
gabbiani e la
ghiaia delle stradine s’ammorbidiva in
sabbia e lasciava luccicare ostriche e conchiglie di molluschi
sloggiati.
-
Dove
sei diavolo d’un pirata?
Esclamò
il prode
François rimpolpando le sottili corde vocali di arenaria
tenorile.
-
Pensi
che ti farò entrare nel
castello?
Il
lestofante
si era nascosto bene…
Non si trovava
né dietro ai grumosi cespugli che circondavano il piazzale
della fontana, né
dietro ai tronchi degli alberi che decoravano il viale
d’ingresso…
Possibile che
fosse già riuscito a raggiungere gli appartamenti dei servi?
No…l’aveva visto
correre nella direzione opposta, dove si allungava la serpentina delle
tettoie
delle stalle.
Sì…
là
giacevano molti cumoli di biada…l’ideale per
coprirsi senza destare sospetti!
Il
bambino si
aggiustò sulla testa la calotta di rame, un pentolino da
latte e piccole zuppe
che possedeva il potere di trasformarsi in elmo da guerra.
Si tirò su i vecchi guantoni
invernali di suo
padre che gli gonfiavano i
magri avambracci imitando una poderosa
muscolatura. Si legò saldamente
il nobile
mantello bordò, la coperta di lana che la balia si ostinava
invano di
riordinare sul suo letto, e
impugnò
minacciosamente la durlindana
fatta di
rami di faggio.
Avanzò verso
l’entrata delle scuderie ma mentre stava per aprire la porta
di legno fu
sorpreso da un urlo:
-
Insetti-
pipistrello!
Il
manigoldo
era balzato fuori da un cumulo di foglie secche che lanciò
addosso all’
inseguitore allegramente indiavolato.
-
Andate!
Andate! Insetti
pipistrelli! Ora ti papperanno tutta l’armatura!
-
Etienne
! Ehi, Etienne!
-
Ah!ah!ah!
-
Tu non
avevi questo attacco!
François
,
crucciato in volto; interruppe la regia della scena: il suo collega
aveva
infranto ancora una volta il copione!
-
Insomma!
Dove hai cacciato
fuori gli “ insetti-pipistrello” ?
L’altro
bambino
sghignazzò e fece la linguaccia…con la strana
zazzera liscia e corvina, gli
occhi scurissimi stirati in modo gattopardesco e
il nasetto impudente pareva un folletto
asiatico:
-
Embè?
- scribacchiò
una smorfia sulle guance lunari – li
ho rubati al mercato della magia!
Il
fratello
maggiore soffiò spazientito: non era la prima volta che la
sua fantasia
avventurosa ma logica e razionale
cozzavano contro quelli furbeschi , strambi e sregolati del
più piccolo…
-
Etienne!
Le magie non te le
vendono sulle bancarelle! Non sono prosciutti o broccoli!
-
E tu
come lo sai ? Io
vado dove i maghi
fanno le feste!
-
Feste?!
-
Certo!
Quelli si ubriacano e
io mi piglio le loro pozioni!
-
Uffa!
Abbiamo deciso
dall’inizio i nostri poteri! Non puoi inventartene altri
ancora!
-
Quando
dormi o mangi, io
continuo a rubare cose che tu non sai!
La
bricconaggine del moro
non si sconfessava
.e tra l’altro già padroneggiava
un
armamento di tutto rispetto: l’enorme cappello scuro da
passeggio, sottratto
illecitamente al padre, lo rendeva un velenoso funghetto di bosco, la
mantellina marrone, lo
scialle di lana
che ogni volta la santa balia gli
prestava , era
il vello di
un’anatra magica che lo faceva balzare da un albero
all’altro. Il cucchiaio di
legno, che mescolava il minestrone di verdure, era lo
scettro-scimitarra mentre
i cucchiaini da dessert , che custodiva
con smargiassa solennità nella cintura bordò, erano i suoi pugnali
avvelenanti...
François
capì
che a mali estremi occorrevano estremi rimedi.
-
Va
bene! – ruggì afferrando
un pugno di fieno da un piccolo cumulo- Vermi-ago!
-
Non
vale! – lamentò Etienne
con faccia tosta.
-
Anche
io ho dei maghi alleati
che mi regalano pozioni!
-
Tanto
con quelle non mi fai
niente!
Il
leone
nero in miniatura
sguainò il suo
mestolo-artiglio e si avventò contro il Leone di fuoco
iniziando un concerto di
percussioni e legnetti.
Erano scontri
micidiali in cui la
daga cavalleresca
combatteva contro il ferro malefico del corsaro e infidi pugnali-
cucchiaini si
abbattevano contro il clipeo-coperchio
dell' eroe difensore.
-
Non
puoi essere invincibile!
– detonò da Orlando furioso François.
-
Vola ,
Pacho!
Una
strana
creatura venne
scagliata sul paladino:
avrebbe dovuto immaginarlo!
Era Pacho! Il
fido pappagallo del pirata addestrato con odiosa maestria.
Un disgraziato
pupazzo di stoffa verde oliva, dagli occhietti di bottone e dal becco
di cuoio,
con ali di ruvida
flanella e una coda di
filamenti di vecchio raso…il padroncino lo faceva decollare
con imprudente
ardore ma lo
riprendeva amorevolmente da
terra e lo proteggeva nella sua mano sinistra.
-
Pacho
ti ha mischiato i
pidocchi! Ah!ah!ah!
-
E
perché non ce li hai pure
tu?
-
Lui
vuole bene a me, no a te!
Sganciando
una pernacchia
scodinzolò satiresco verso la
scalinata d’entrata del portico di casa.
- Pagherai
per i tuoi
stupidi trucchetti! – sbraitò il giustiziere
rincorrendolo.
-
Io
posso volare con il mio
mantello! – cantilenava dispettoso il pirata distaccando
fulmineo il nemico e
raggiungendo la cima della gradinata – ora
conquisterò il castello, babbeo!
-
Non la
farai franca! - François
aumentò la velocità sicché l’ orgoglio gli
aveva dato le ali
di Ermes ai piedi.
I due
combattenti proruppero nell’atrio d’ingresso
grandinando l’austerità bianca delle
sei colonne doriche con esclamazioni rimbalzanti.
-
Prova
a scansare le polpette
fumose!
Etienne
tirò
fuori da un sacchetto appeso alla cintura gomitoli
di lana che sparò contro l’avversario
ma costui sapeva con quale sortilegio schermarsi:
-
Coda
di volpe!
François
agitava impetuosamente uno spelacchiato piumino anti polvere che teneva
nascosto nella
fusciacca di pelle per
gli usi d’emergenza…ma Etienne aveva in
serbo un contrattacco infame:
- Fantasmi-bomba!
I
fantasmi
bomba, tovaglioli di stoffa o
centrini di antichi
mobili, volavano
con schizzata
leggiadria pronti a tormentare l’avversario ma non potevano
distruggere i
proiettili-carta della fionda del provetto David:
-
Ah!
Gemme fiammeggianti!
Il
duello
dislocò la sua tempesta di grida, getti di grovigli e
cellulosa, al piano
superiore dove Etienne , arrampicandosi su uno sgabello,
afferrò da un mobile
una ciprea a forma di corno attorcigliato.
-
Conchiglia
della luna –
enunciò al modo di un prete che elevasse il calice di
Cristo- ora ti
addormenteraiiiii…..
François
sbatté
il piede sul pavimento esasperato:
-
Etienne!
Di nuovo ?! Niente
incantesimi dell’ultimo momento!
-
Me
l’ha regalata mia moglie!
-
Sei
sposato?!
-
Sì!
Con una sirena!
-
Non
è vero , scemo!
-
Mica
ti posso dire tutto
della mia vita!
Un
cigolio
acquoso e segaligno da mulino fantasma interruppe i giochi.
-
Basta!
– sentenziò una verrucosa
voce maschile – scendi dallo sgabello, Etienne! E tu
François piantala di
scalciare come un bufalo!
I
bambini si
voltarono verso l’ala sinistra del corridoio e videro che, da
uno studiolo
bordò, era uscito un servo che portava su uno strano
marchingegno un uomo di
nervosità gutturale e altezzosa.
Philippe , il
primogenito rimasto paralizzato tre anni fa, stava sulla
sua speciale sedia di legno*. Era
un macchinario semplice ma sofisticato costato parecchio, formato da
quattro
ruote avvitate ad un ripiano, sul quale era fissata saldamente una
seggiola. Da quella
prospettiva, vestito con completi
sobri ma regali, il giovane poteva
comportarsi da
sovrano e muoversi preparato a
falciare le gambe altrui.
-
Direi
che avete devastato a sufficienza
la casa, piccole scimmie! Ora levatevi quel ciarpame di dosso,
ripulitevi e
andate in biblioteca!
-
Ma…-
balbettò François imbarazzato e
implorante – possiamo giocare almeno altri dieci minuti per
favore?
-
Sei
sordo?! Ho detto di ripulirvi e
andare in biblioteca! Tra un’ora arriva il precettore!
Il
domestico, un uomo di
media statura brizzolato e robusto,
si
schiarì discretamente la gola: aveva il viso bucolico e
mansueto di un San
Giuseppe con piccole rughe lucenti
d’immensa
e sacrale pazienza.
-
Emh…signor
Philippe – propose
garbatamente – non credo che vi possano essere ritardi
rischiosi se i vostri
fratelli finiscano di giocare. Il maestro tarda sempre di una
mezz’oretta visto
che abita lontano…
-
Berthold
! Se continuano così faranno
crollare i piani superiori!
-
Basta
che raccomandiamo loro di tornare a
giocare in cortile e…
-
Taci!
-
Chiedo
perdono, signore.
Il
povero Berthold aveva
fatto il callo ai
chiari di luna del
padrone.
Costui non era mai stato bello
ma la malata
sedentarietà l’aveva fatto
appesantire di spigolosità. La sofferenza non
l’aveva condotto a empatica bontà
o a dolce tristezza…gli aveva peggiorato il carattere
già non troppo facile e
per giunta l’aspetto fisico. Il viso diciassettenne mostrava
più di venticinque
anni e i capelli, di
un castano olivastro
e smorto, si
raggrumavano in greggi di gracili
ricci sul cranio. Sulla nuca ne pendevano di più ma
conferivano una spumosa e
pecoresca decadenza.
-
Ma
noi…- raccolse ancora un po’ di
coraggio François – dobbiamo finire la storia.
Philippe
si sporse dalla
sedia assumendo la possanza di un centauro.
Gli occhi marroni, un po’ infossati,
bruciavano anche nella penombra e apparivano
bocche di mortaio perennemente infiammate. I segmenti quadrati degli
zigomi e
delle mascelle racchiudevano una pelle d’opaca
pulizia sulla quale sporgeva il
faraglione del naso e una rachitica bocca capace
di allargarsi come quella di un varano
tirannico.
-
Niente
piagnistei e filate via!
Inutile.
Il faraone fingeva di non
capire che i fratelli
avevano sette e
cinque anni e non erano adulti nani.
-
Presto,
cavaliere – incitò
improvvisamente Etienne prendendo il complice per un polso –
Stordiamo lo
stregone della carriola malvagia! È lui il vero nemico!
-
Che
diamine…? – biascicò Philippe.
-
Fantasmi
bomba!
Il
filibustiere scagliò in
faccia al dittatore l’ultimo tovagliolo che gli era rimasto.
-
Etienne!
Dannato germe!
-
Meteora
lucente! – esclamò François
scaraventando una cartaccia con la fionda.
-
Bella
mossa amico – si congratulò Etienne
con vissuta aria spaccona – ora Pacho
c’indicherà un’osteria!
Adorava
scopiazzare il
lessico cisposo e
allegro degli
stallieri che sentiva parlare la domenica.
-
Osteria?
– domandò perplesso l'armigero.
-
Io
ho fame e tu?
-
Beh…un
po’…
-
Andiamo
a mangiare polli grassi!
Mentre
i ragazzini
scappavano nelle cucine , Philippe abbaiava
dal suo scranno ambulante:
-
Tornate
qui bestiacce da circo! E tu non
startene impalato, Berthold!
L’uomo
soffocò incresciose
risate con una cerniera di deferenza: sapeva di sembrare il domatore che doveva
incatenare un molosso
sbrodolante di ira disonorata.
-
Mio
fratello era tremendo, Blaise – rimembrava il Generale con una mortificata gioia
sulle labbra –
pretendeva di giocare sempre anche da grande , cosa che a un estraneo
poteva
apparire sciocca e infantile ma che per lui era fondamentale per
focalizzare
qualunque ostacolo e renderlo leggero uguale ad una
nuvola che si sarebbe dissolta presto nel
cielo. Nessuna rete riusciva a impigliarlo. Trovava il modo di rompere i lacci.
-
Come
faceva impazzire vostro padre! –
ridacchiò il colonnello -
povero Conte!
In quante circostanze si sarà dovuto trattenere
dall’usare tutta l’artiglieria
della sua collezione?
Sta
volta François tolse dal blu degli occhi il piombo della
tetraggine.
-
lui
pregava ogni notte Gesù e San Michele Arcangelo di liberare
i propri
figlioli dal male – rise lievemente - Etienne
era insuperabile in fatto di poteri demoniaci ma anche io e Philippe
gli
procuravamo affanno esistenziale.
-
Restavo
sconvolto ogni volta che venivo a trovarti nella villa
di….. – scherzò Blaise – era
colma di
tele della passione di Cristo e di San Michele che
infilzava il diavolo!
Mi sentivo il più terrorizzato dei peccatori a entrare nel
vostro santuario!
-
Guarda,
mio padre era talmente devoto all’arcangelo guerriero che
, oltre a visitare tutti gli anni Mont Saint-Michel , andò
pure a Monte
Sant’Angelo* nel Regno di Napoli!
Jean
Antoine era sempre stato disperatamente insoddisfatto
dei propri figli.
Quei
leoni avrebbero dovuto incarnare la nobiltà guerresca, la
compostezza morale,
la severità inoppugnabile…
E
invece in che maniera Iddio l’aveva castigato?
Togliendogli
la moglie, un’autentica matrona dal polso fermo, e
lasciandolo ad addomesticare
un cerbero con tre differenti teste che ringhiavano
attaccate ad unico grande corpo che era la
stirpe…una stirpe vacillante.
Philippe-Michel,
François-Augustin ed Etienne - Joachim non avevano mai
rappresentato la perfezione
e quindi l’equilibrio della
santissima trinità…
E
dire che i loro nomi erano stati scelti con sacrale cura! Due
importanti
sovrani Capetingi vennero chiamati “ Filippo” ed
eressero le fondamenta di una
Francia unificata! “ Michele”
era
l’arcangelo vincitore di Satana! “
Francesco “ d’Assisi era il patrono di tutti i
Santi, “ Agostino”
fu uno dei fondatori della filosofia
cristiana! Etienne , o meglio Stefano, fu il primo martire ad aver
professato
il Vangelo, mentre
“ Gioacchino” era il
padre della Vergine Maria!
Il
padre, baloccando con sorriso rugoso e pallido, diceva che se fosse
stato Urano
avrebbe affidato al tetro
primogenito l’Oltretomba,
al nevrastenico secondogenito i fulmini dei cieli e al voluttuoso
terzogenito i
sette impetuosi mari…Purtroppo erano più
frequenti le situazioni in cui
quell’anziano leone cantava, da eccelso drammaturgo, i
difetti della prole.
Quando conversava con gli amici diceva di avere un figlio ammorbato, un figlio angosciante
e un figlio eretico. Un
tridente
demoniaco che non gli dava pace.
Il
pupillo era stato un tempo Philippe che,
grazie a doti precoci, aveva promesso una
carriera militare di successo. Colto, intelligente, abile con la spada
e le
armi da fuoco si era mostrato retto e ubbidiente. Dopo i quindici anni,
però,
costretto alla sedia a rotelle a causa dell'incidente a cavallo, si
rattristò e
soprattutto s’incattivì maturando
un’insana invidia verso gli altri fratelli.
François
a dire il vero era il terzo perché Jean Antoine e la moglie
avevano avuto un
secondo figlio morto in tenera età e
il
testimone dell’ eredità bellica era passato
perciò a lui. A Etienne, di due
anni più piccolo, sarebbe spettato un futuro clericale
oppure da precettore
della famiglia reale. Una vita , insomma, o consacrata ad una
rispettabilissima
oppure ad un percorso dedito a forgiare
i rampolli dei Borbone spiritualità ( con qualche garanzia
di doratura dato che
Seneca sosteneva che la ricchezza è cosa buona e lecita se
fondata sulla virtù
) .
-
Di
sicuro Etienne era formidabile a livello di cultura –
rammentò Blaise – ma non
lo fu tanto
nell’accettazione dei voti
di castità ed obbedienza!
Il
Generale si mise a ridere:
-
Ne
avemmo la dimostrazione scientifica quando mio padre lo
mandò a studiare al
liceo Louis-le-Grande, presso i Gesuiti!
-
Si
deve sempre partire da una ricerca empirica caro François!
-
Sì…la
speranza è pur sempre l’ultima a morire. Peccato
che , dopotutto, una
linea irregolare non può chiudersi e
formare un cerchio perfetto…
-
Così
come il lupo perde il pelo ma non il vizio! Le damigelle, le dame e
anche le
vecchie damigiane subivano la
malia
fatale di Etienne!
-
È
finito nella lista nera di parecchi fidanzati
e mariti, oltre che ovviamente, nella lista degli
scrittori eretici dei
gesuiti!
-
Una
volta compose in musica In taberna quando
sumus*!
-
Ne
ebbe la brillante idea durante un venerdì di Pasqua. Ma
questa non fu la
performance peggiore che condusse all’esasperazione il
collegio gesuita.
Etienne
era sempre stato reputato l’incarnazione della sregolatezza,
un serpente
meraviglioso che scivolato dall’albero dell'eden , si era
liberato dalle squame
per assumere sembianze umane.
Pareva
vendere a chiunque diversi tipi di mele, che fossero tentazioni di
seduzione,
ebbrezza, sfida o collera. Le bucce lisce dei suoi frutti cangiavano
cromatura
a seconda di chi le comperava ma dal sorriso non si scioglieva un
biancore di
dolcezza impudica.
-
Io
sono infelice! Io sono infelice!
I
passeri volavano dagli
alberi, in una cacofonia terrorizzata
di
cinguettii e foglie
strappate.
I cavalli nitrivano nelle
stalle sbattendo gli zoccoli e sollevando polvere perplessa.
Da più di un quarto d’ora
villa de Jarjayes, vibrava tale a quale al vulcano dell'Etna che
eruttava le urla
del titano prigioniero Tifone.
I servi sapevano che quelle
soffiate di bufera sgorgavano dal luogo più austero,
più foderato d’insegne
guerresche della
dimora.
La sala dei processi e del
trono.
-
Padre
Eterno! San Michele! Ditemi che ho
fatto di così empio per meritarmi una progenie blasfema!
Jean
Antoine , nel suo
grande studio privato, agitava le braccia davanti il camino tentando di chiedere
l’amnistia ad una statua
bronzea dell'Arcangelo Michele e a un crocifisso di fattura medioevale che lacrimava assieme a lui.
Seduti
davanti il pachidermico
scrittoio di quercia, i due accusati.
Il diciottenne François stava
pressato sul sedile, con la schiena irrigidita di rabbia e le mani
arpionate ai
braccioli che minacciavano di sgretolare ogni cosa.
Portava la divisa azzurro
chiaro dei capitani, slacciata in malo modo sul petto
dall’impaziente
malumore , e lo jabot che
s’ingarbugliava
fuori i bottoni .
Etienne,
di sedici anni, aveva
le belle ciglia semicalate in un’espressione
di sorniona strafottenza , la fronte arcuata
al’insù dispettosamente allegra e
il corpo spostato in avanti con le gambe distese e i gomiti posati in
modo
sciatto sui corrimani. La pesante tunica da gesuita veniva portata in
modo
inconveniente e irriverente…contrastava in modo buffonesco
con una psiche ben
poco incline a rispettare dogmi o bigottismi vari. Era
un demone dal viso apollineo in bilico tra i fumi degli inferi e le
musiche
dorate del paradiso.
Lo ritenevano tutti
il più
fascinoso e ineguagliabile dei fratelli de Jarjayes: possedeva la grazia sinuosa dei danzatori
cretesi, la regalità profumata di un signore asiatico, la
spietatezza di un
pirata saraceno. I capelli nerissimi e lunghi riflettevano l’umidità
delle stelle blu disciolte. Il viso efebico era identico a
quello della
madre , ma la scurezza esotica derivava dal nonno paterno che si
raccontava
avesse sposato un’aristocratica spagnola di origini arabe.
-
Neanche
a farlo apposta! – sbraitava il
Conte – due cannonate una di seguito all’altra!
Ieri pomeriggio la denuncia del
Cardinale Fournier e del Generale Lemaire e
poi, dulcis in fundo, l’ atto di espulsione
dal liceo Louis-le-Grand! Ditemi, orsù, vi siete messi
d’accordo per sancire la
mia morte?!
-
Padre!
Vi prego, lasciate che spieghi
veramente…
-
Taci
François! La tua ponderazione
mirabolante sta mettendo a rischio una carriera di successo! Ad un
passo dalla
posizione di capitano mandi
all’aria
tutto?!
-
Sono
quegli imbroglioni ad aver mandato
all’aria tutto! Dopo essermi dissanguato in addestramenti e
concorsi tra
Parigi, Napoli e Berlino, arriva il nipotastro del
cardinale… uno smidollato
incompetente di prima categoria a soffiarmi il posto solo
perché figlio di quel
crapulone…
-
C’era
bisogno di sferrargli un
pugno e slogargli la mascella?!
-
E’
un furbo della peggior specie! Lui ha
osato pavoneggiarsi della sua messa in ruolo senza fare niente! Si
è pure preso
il gioco di me!
A
godersi sprezzantemente
la scena stava Philippe. Era l’amministratore della casa, si
occupava della
gestione dei latifondi e aveva assunto il ruolo di gelido maestro per i
fratelli minori . Aveva
l’aspetto rude e aspro del padre, reso sgradevole
dall’acidità del rancore che
gli scartavetrava la pelle e gli arti, irrigidendoli di precoce
vecchiezza. A
trent’anni era già calvo e infatti portava sempre
una parrucca di riccioli
schiumosi che gli copriva il collo incassato. Soffriva spesso di carie ai denti, ragione
che gli legittimava
la facoltà di sputare veleno.
-
Oltre
ai muscoli credevo avessi un
cervello – appurò ironico- ma a quanto pare
a posto delle meningi, c’è segatura che prende
fuoco alla minima sciocchezza. Un
de Jarjayes non può permettersi spettacoli
d’osteria.
François
si voltò irato
verso il provocatore. In quel momento l’avrebbe voluto
spingere via, ma
avvertiva sempre una crudele compassione verso il corpo paralitico di
quel
fratello che , sebbene cercasse occasioni per sminuire e umiliare,
riusciva a
costringere ad un affetto da subordinato .
Sapeva che era un
sentimento dettato
pateticamente da
un’infermità che se non fosse esistita
l’avrebbe invogliato a picchiare.
-
E’
vergognoso che la Maison du Roi rimpinzi
le milizie con
damerini raccomandati!
– ribatté il giovane sbattendo
il pugno sul bracciolo del sedile – un militare non
può fare strategie con il
sedere poggiato su morbidi cuscini!
-
E’
tu François – continuò Philippe
– non
puoi fare strategie con il sangue che soffrigge la tua
capacità d’intendere e
di volere… A dire il vero, già non brilli
d’eccelsa prudenza, figurati se
dobbiamo farti finire all’Asylum de Bicetre*!
Il
ragazzo scattò in piedi:
-
Da
quale pulpito proviene la predica! –
vociò alzando il braccio in aria –
perché tu non fai il pazzo furioso se i
camerieri tardano di qualche secondo a portarti
la brodaglia quotidiana ,
non ti
piegano perfettamente le coperte e non riescono ad aggiustarti la
parrucca
sulla testa?!
Philippe,
mascherando
l’irritazione con un sorrisetto di cotone stiracchiato, rincarò:
-
Credevo
che l’isteria cogliesse le
femmine in preda ai mal di pancia mensili.
-
I
mal di pancia li fai venire trecento
sessantacinque volte l’anno!
Etienne
tirò per una manica
François calmandolo in
modo giocoso:
-
Via
fratellone! Non sprecare le tue
fiamme! Quelle ci servono per far saltare in aria le ville dei
cardinali e dei
generali! Porremmo fine all’edilizia abusiva!
-
Ora
basta! – tuonò il padre – sembrate
un branco di marmocchi incontinenti!
François
si rimise a sedere
mentre il fratello minore cercava di trattenere una risatina
impertinente.
-
Il
re è entusiasta dei tuoi progressi e
gli ho parlato bene di te – riprese gravemente il discorso
Jean Antoine - Se il
cardinale rivelerà questa faccenda ti troverai compromesso!
Ora dovrò
sbrogliare questo disastro e tu porgerai le tue scuse a eminenza e al
conte !
-
Io
chiedo perdono solo al Padre Eterno!
Il
Conte camminò
minacciosamente davanti la scrivania e puntò il dito contro
il figlio quasi lo
volesse polverizzare con una scarica di fulmini:
-
La
devi finire con prodezze da moccioso! La
realtà è stupidamente complicata,
François perché c’è gente
che ha il coltello
dalla parte del manico ed è pronta a pugnalare. Occorre far
viso a cattivo
gioco, mostrarsi disponibili a stipulare trattati di pace.
-
Questo
significa recitare
da allocchi, vero?
-
No,
significa garantirsi l’immunità dai
veleni!
-
Voi
padre, mi avete sempre detto che si
avanza con la fatica, non con agevolazioni di carta!
-
Questo
non ti autorizza a picchiare
chiunque ti insulti! Quanta gente dovremmo uccidere di botte, allora?!
-
Io
son stato preso in giro fino
all’ultimo minuto!
-
Ahimè
qui si vive di
scuse e …di bugie…vero, Etienne?
L’adolescente
guizzò
spiritosamente sorpreso:
-
Bugie?
Io lavoro per la salvezza della spiritualità…
-
Ma
certo…soprattutto per la nostra
salvezza.
Il
Conte con la fronte
aggricciata si
avvicinò allo scrittoio
oscillando il suo poderoso e appesantito torso. Mise la mano su un
libercolo
che recava un
titolo a caratteri gotici.
Lo sollevò, colmo di solenne e finta fierezza.
-
Mi
complimento per il tuo straordinario
trattato critico sulla Chiesa, un unicum della storia dei gesuiti :
“ Le serpi
di San Pietro “ …non ti stavi occupando di
redigere dei commenti sulla Divina
Commedia?
-
Esatto
padre. Ho compiuto uno studio
specifico di Alighieri.
-
Uno
studio su come sia salvifico per
l’umanità far bruciare all’inferno i
papi?! Rappresentare la Chiesa come una
meretrice che si concede all’Impero?!
Etienne
sorrise con
tenerezza felina:
-
Noto
con sommo gaudio che avete letto
attentamente le mie analisi!
-
Fai
poco,il buffone! Non me la sono
spassata ad
apprendere esegesi deliranti!
-
Quelle
sono le più grandiose invettive di
Dante! Io ho voluto mostrare la sofferenza del Padre Eterno e di tutti
i Santi dinanzi
alla corruzione! La decadenza di Firenze è
l’emblema universale della
distruzione degli antichi valori! Non c’è
più il sole dell'’impero e il sole
della santità cattolica!i papi e i chierici vogliono
mangiarsi tutto!
-
Non
ti sei limitato solo a denunciare la
corruzione! Hai composto alla fine della tua operetta una ballata in
cui
paragoni importanti monsignori ad animali di fattoria!
-
Appunto.
Non sguazzano nel fango, non
belano false prediche, non si accoppiano come fanno i montoni? Loro non
tradiscono le sagge condotte di Alessandro Borgia.
Philippe
agguantò da un
tavolinetto basso vicino a lui, un altro libricino, sfogliandolo come
stesse
toccando fogli lerci di melma.
-
Caro
padre – disse con un tono di
sarcastica rassegnazione – dovete smettere
d’avvelenarvi con tanto stupore…Cosa
ci potremmo attendere da uno che compone “
Lucifero , la luce delle tenebre” ?ci
rendiamo conto che ha redatto un elogio epico e demenziale ad una
creatura che
vive al di sotto degli escrementi terrestri?
-
Lucifero
era il più elevato dei serafini!-
rispose con una smorfia canzonatoria Etienne –
l’unico che ha avuto il coraggio
di usare il cervello e porsi domande su quanto conveniente possa essere
la fede
in uno spirito creatore troppo luminoso e privo di forma concreta!
-
Ma
ovvio! – esclamò furibondo Jean
Antoine - Dilettiamoci a erigere templi a Satana davanti alla croce di
Cristo!
Ti sembra normale tradurre il poema osceno di quel poetastro inglese?!
L’adolescente
s’infiammò di sincero e candido sdegno:
-
John
Milton è stato un genio! Ha osato
scavare nell’essenza delle Sacre Scritture come nessuno aveva
mai osato fare! “
Paradise lost” è il coraggio di essere liberi
anche nelle viscere spaventose
della terra!
Philippe
sospirò scuotendo
il capo con la perfida dolcezza che si rivolge a bimbi minorati:
-
Ho
la vaga impressione Etienne che il tuo
scrittorucolo abbia realizzato una magistrale accozzaglia di
cristianesimo,
ebraismo e islamismo per spiegare le sue idee confuse e tristemente
irrisolte.
Il
fratello minore si mise
a ridere dissacratorio:
-
Philippe
sei tu a essere irrisolto! Non
sai che la trasmissione dei valori e delle arti si tramanda in una
tradizione
che si rinnova sempre? Dio incita a porsi domande. Lucifero lo fece in
maniera
migliore rispetto agli altri servitori del paradiso…Il
Signore è
un re e non rinuncia a sottomettere quando
si accorge di aver creato un’arma a doppio taglio : la
coscienza.
-
Beh
in effetti…- sostenne François
massaggiandosi il mento- Dio ha concesso il libero arbitrio donando la
ragione
e poiché ha donato la ragione a tutte le creature
è all’origine di ogni virtù e male.
-
Finitela
con queste assurde disquisizioni! – interruppe il padre- Mi
avevi detto che
stavi analizzando Cassiodoro e Boezio!- si disperò
nuovamente rivolto a Etienne
- Incredibile…avevi fatto traduzioni prodigiose, hai curato
magnifici commenti
su Sant’Agostino, San Tommaso e Girolamo! Quei disgraziati
gesuiti ti hanno
perdonato le più stolte gozzoviglie pur di averti come
futuro istitutore del
loro ordine! Guarda solo come ti conci! Porti quei capelli selvaggi!
-
Per
me è già una sofferenza legarmeli in
una crocchia da nonnetta! E comunque Gesù aveva una bella
chioma lunga.
-
Certo
– soggiunse Philippe squadrandolo spregiativamente – con la
differenza che portava la tunica con
la dignità di un messia e non con l’allegria di
una sgualdrina.
Etienne
si alzò con inverosimile
calma e , guardandosi assorto la tunica, affermò:
-
Hai
proprio ragione…- sospirò grattandosi
il capo – la mia indole non si adegua a quest’abito
di splendente umiltà e
rigore…no,no…non lo merito assolutamente.
Si
tolse la tunica scura
mostrando uno sgargiante completo arancione dai baveri e dagli orli
della
giacca damascati di bordò.
-
E
questo orripilante
vestito da giullare?! –
strepitò il Conte diventando annichilito come i visi
ululanti dei battenti – da
dove è saltato fuori?
-
Ho
chiesto di cucirlo al nostro sarto di
fiducia!
-
Padre
– lo riprese Philippe –
è inutile che vi scombussoliate alla
metamorfosi di una cornacchia che diventa pappagallo.
François
gli indirizzò un
sorriso fulminante e tagliente:
-
Meglio
trasformarsi in un variopinto pappagallo,
che permanere un raggrinzito avvoltoio.
-
Andatevene
fuori! Sparite!- gridò Jean
Antoine mulinando le braccia in aria.
-
Non
vi preoccupate padre! – rassicurò
serioso Etienne dirigendosi verso l’uscio assieme al fratello- Togliamo
il disturbo. Per noi è “ meglio
regnare all’inferno che servire in paradiso”*!
I
due ragazzi riuscirono a
scappare fuori lo studio prima che il conte li potesse centrare con il
potente
decollo di “ Lucifero, la luce delle tenebre”.
Chiusa in tempo la porta, che
rimbombò all’urto
del volumetto, restarono in silenzio.
-
Accidenti
– lamentò abbacchiato Etienne –
non è stato un bel lancio editoriale…
François
inarcò un sopracciglio
con aria d’inflessibilità giudiziaria.
L’adolescente sgranò gli
occhi , quasi fosse uno sciagurato ladruncolo di strada che chiedesse
perdono.
Entrambi iniziarono ad
avvertire un fremito sulle labbra e poi una scarica
d’effervescenza che li fece
scoppiare a ridere.
-
Etienne…di’
la verità….Quell’abito non te
lo ha fatto il nostro sarto.
-
Beh,
è così in effetti…regalo
d’amicizia.
-
Amicizia
femminile?
-
Una
squisitissima dama ha desiderato
sdebitarsi con me per averla alleviata dolcemente dalla
noia mortifera.
-
Scusa,
ma come ci sei riuscito se
frequentavi il castello, monasteri e chiese?
-
Credimi,
fratellone a messa e ai
confessionali possono accadere incontri molto interessanti.
François
, sorridendo
briosamente severo, schioccò
una sberla
sul capo del suo incorreggibile cadetto .
-
Dopo
che fu espulso dai gesuiti – seguitò Blaise con la
porpora ilare delle
reminiscenze - andammo
a brindare in una
di quelle osterie anfibie della Senna e tu non venisti!
-
Potevo
mai tracannare luppolo? – obiettò
l’amico- Ero
talmente pieno di gastrite che
l’alcol mi avrebbe fatto esplodere e
finire direttamente…”
nell’aeree” , per dirla alla maniera poetica.
-
Etienne
anche da sbronzo sapeva a memoria Bernard de Ventadorn* ! Aveva la
letteratura
nel sangue e…scherzi a parte, una
delle
sue scene preferite della Commedia è
nel
Canto II del Purgatorio…
-
Già.
L’attimo in cui, nell’Antipurgatorio, Virgilio
ordina a Dante di chinarsi dinanzi
alla venuta dell’angelo nocchiero.
François
scrutò da lontano una piccola barca che un magro e giovane
pescatore guidava
col remo verso la baia di molle argento ossidato di Nouvelle
Orleans…nonostante
la corposità lagunare del mare, le lacrime cremisi e
violacee del tramonto
inoltrato disperdevano diamanti di foschia paradisiaca e
quell’esile sagoma di
vogatore si trasfigurava di trasparenza ultraterrena.
Etienne
le conosceva quelle terzine e le aveva recitate molte volte davanti
alla sua
famiglia . Il Generale si ricordava di quando egli pronunciava il
discorso
severo di Virgilio con trasporto genuino, spontaneo e serissimo:
«Fa,
fa che le ginocchia cali.
Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di sì fatti officiali.
Vedi
che sdegna li argomenti umani,
sì che remo non vuol, né altro velo
che l'ali sue, tra liti sì lontani.
Vedi
come l'ha dritte verso 'l cielo,
trattando l'aere con l'etterne penne,
che non si mutan come mortal pelo».
-
Alcune
volte si rattristava – mormorò malinconico Blaise
– si chiedeva come mai gli
angeli non avessero i capelli neri.
-
Avrebbe
dovuto sapere invece di avere ali bianchissime – rispose il
conte - perché
le ho sentite veramente attorno a me, a
circondarmi piene di luce.
Lui non era
soltanto stato l’angelo su un vascello…era sceso
sulla baia per aiutare
François a rialzarsi dalla sabbia gelida…come
quella volta , alcuni giorni
prima che morisse la quartogenita Orthense.
Avevano ventidue e
venticinque anni…il periodo della prima età
adulta dove si è giovani ma non più
adolescenti…Si è su quell’angosciosa ed
energica parabola che conduce alla
scogliera d’essere uomini.
Alcuni
alberi figuravano
fumi di esplosioni pietrificate in un ossigeno dal cronometro rotto.
Altri davano l’idea di
lunghi gamberi imbalsamati da bende bianche e risecchite, altri ancora
di
lobuli polmonari derubati dei bronchi.
Un sudario di neve annichiliva
il giardino affine a una colata di lava cagliata che pietrificava ogni
farfugliamento di erba e foglie secche.
La fontana del giardino ,
dall’acqua solidificata in
collari di
stalattiti, era il calice ominoso di Lucifero che veniva levato da sotto la cianotica
brillantezza del Cocito.
La
villa fiatava
debolissima, rocca norrena dalle colonne dissanguate che
non saggiavano più
linfa vitale, e dagli occhi di miope tetraggine con le lenti appannate delle
finestre.
Il
cielo rifletteva il
silente pellame delle nuvole sonnambule sui vetri, sulle tegole del
tetto, sui
marmi spenti…
-
Perché
è così stupida? Lo sa che non
c’è
più niente da fare!
François
era emerso fuori
dall’atrio riversandosi
sul pianerottolo
del portico d’ingresso.
Privo di mantello, vestiva
un semplice completo grigio scuro, pesante ma non sufficiente a
corazzarsi
dalle sferzate invernali .
Da giorni non voleva
portare la divisa militare…perché sapeva che i gradi di comandante non lo
elevavano al di
sopra della terra, della casa…della dea piangente del
focolare.
Espirò dalle labbra
illividite gomitoli d’ aria che
si
srotolarono e svanirono con violenta e repentina cagionevolezza.
L’impatto col gelo di
gennaio equivalse a una remata che gli scombussolò il sangue
caldo del
cervello, si aggrappò agli stinchi coperti da calze bianchi
e gli
fossilizzò le scarpe.
Le parole uscirono lente,
bruciate come
fossero una stola
di lino
estratta lentamente
da sotto un ferro
rovente.
-
Continua
a pregare il medico come fosse
Cristo in persona. Orthénse non imparerà mai
a camminare.
Un
veloce rumore di passi
gli fece voltare lo sguardo dietro: Etienne lo aveva raggiunto
inflessibile, di
una solidezza arborea e intensa. Gli occhi neri foravano
d’amarissimo splendore
il candore delle cornee ma non erano vacui buchi di stelle ,
bensì sfere da
cannone pronte a detonare in un cielo limpido.
I lunghi capelli mori e
sciolti mostravano graffiature blu notte quasi avvilendo con il loro
calore il
pallore mortuario dei barbigli nevosi.
-
François
– pronunciò - Rientra
in casa.
- Orthénse…
Non potrà vivere normalmente!
Il
fratello maggiore si
strinse nelle braccia senza capire bene se fosse il freddo a percuotere
il suo costato
alla stregua di un
arrugginito xilofono o fosse la disperazione che coi suoi artigli
siberiani si assicurava
alla pelle del petto stracciandogliela all’infinito.
-
È
nata rachitica…non riesce a dormire…non
vuole il
latte…non sa neanche strillare….
Guardò
il suolo del cortile
, terrificante e
lieve scapola piatta,
che faceva sporgere fratture di omeri,
ulne sfrangiati a loro volta in
miriadi di consunte falangi.
-
Così
non risolvi nulla – ribatté Etienne
con un tono d’acqua e cenere - Piantala
di
blaterale e rientra.
Il
conte scese le scale
del pronao accingendosi a percorrere il
viale d’ingresso.
Gli ondulati capelli
castani frusciavano di secco fieno
mentre gli occhi blu parevano indolenzirsi di una fluorescenza ardente,
iniettata dall’abbaglio candido della neve.
-
Credi
che sia la soluzione migliore
assiderarti?! – urlò arrochito
il
fratello nell’attimo in cui l’altro sbraitava:
-
Che
me ne faccio di una femmina nata con
la spina dorsale rotta?
-
Basta
François!
Il
comandante strattonò
l’amico uguale a una belva ferita che voleva annegare in un
lago artico.
-
Non
voglio vederla! Non m’importa niente!
Niente!
Etienne
lo assalì
afferrandolo violentemente per i colletti della giacca e mostrando i
denti che
fecero fuoriuscire fiato ardente e roccioso:
-
Ringrazia
il Cielo che Judith sia una santa
incapace d’impiccarti!
Il
conte chiuse gli occhi
ammutolito stringendo debolmente le dita.
Non aveva il coraggio di
sollevare lo sguardo verso la finestra della camera in cui stavano la
sposa e
la bambina sotto il controllo del medico.
Si vergognò cruentamente di
percepirsi lontanissimo dal proprio nido.
-
François…-
Etienne sospirò mettendogli le
mani sulle spalle- raggiungi
tua moglie
, forza. Voi siete i creatori di ogni cosa.
-
Certo…creatori
di bestiole malate o
paralitiche…
Il
ragazzo mormorò delicato
ma imponente somigliante a quei
palpiti
di scintillante nebbia in cui la voce di una montagna distante scorre
vicina e
vitale al di là del vento.
-
Io
non credo nei miracoli, ...perché sono
gocce ingiuste e magrissime che benedicono la fronte di pochissimi. Non
aspetto
alcun disegno dalla Provvidenza…e…so che
è sciocco dire che la vita
continua…però…qualunque cosa orribile
possa capitare…tu e lei vi amate. E
quella bimba…che entro poco si spegnerà
l’avete desiderata con tutto il vostro
essere.
François,
pensò
silenziosamente a pochi giorni fa…una mattina in cui aveva
preso in braccio la
minuscola figlia
per farla addormentare e dare il cambio
alla spossata Judith.
Era
paurosamente leggera,
con il torace grande quanto la mano di un uomo, la schiena storta alla
maniera
di una catenina di spilli e le gambette a penzoloni. Le uniche
morbidezze erano
i bei capelli castano chiaro e
il visetto cereo
dagli affaticati e pazienti
occhi azzurri che tinnivano microscopiche melodie coi rintocchi delle
ciglia
marroni.
-
Anche
se la piccola non capirà e non
potrà muoversi – proseguì tristemente
affettuoso Etienne -, rientra dentro e
affacciati alla sua culla…assieme a Judith. Lei vi
vedrà e non saprà mai cos’è
la paura del buio.
Il
militare , con gli occhi
oramai dilaniati da venature rosse, lasciò svenire le
lacrime che le palpebre
asfissiavano e
sfociò
nell’abbraccio marittimo
del
fratello.
Egli accolse
ogni suo singhiozzo
quasi fosse un figlio da proteggere
che dovesse imparare a non dire vane menzogne…che dovesse
capire, meglio di
chiunque altro, che il cuore era il
centro del sangue e
non di alieni e
umilianti detriti.
-
E’
meglio che torniamo in città , nei nostri
alloggi…- avvisò
Blaise udendo i primi schiamazzi fermentare dalle taverne - Tra poco
sarà buio
e le strade pulluleranno di farabutti e scarafaggi vari.
-
Già…questo
posto è una fogna a cielo aperto. Ci sarebbe da
vomitare continuamente.
I due
amici raggiunsero la caserma militare quando il sole , ormai
aspirato completamente dall’Atlantico, lasciava soltanto
protendere alcuni
sprizzi di ciglia violacee.
Etienne
non concedeva spazio ad alcuna logica spiegazione… lui che
aveva illuso tutti con la tiara intramontabile del suo sorriso finita a
pezzi.
Lui, bruno dalla testa ai piedi, che adorava i cavalli bianchi e
le sete brillanti…
Lui
che , come un principe d’Egitto, riposava in una sabbiosa
necropoli in un deserto arancione di giorno e blu nelle notti
agghiacciate.
François
, tuttavia, intravedeva, nella germogliazione di ogni ombra
serale, quella
chioma nerissima che si
appiattiva dietro gli angoli dei palazzi e dei carretti…
Quasi che l’insolente predone
giocasse nascondendo e sporgendo
il
capo.
Forse continuava
a prendere
in giro senza cessare di tenere d’occhio…
chissà da quale arcano veliero, chissà
da quale edera celeste…
Citazioni
o
riferimenti letterari :
-
La
preghiera che François rivolge al fratello è uno
dei più
diffusi salmi della religione cristiana rivolto ai fratelli e sorelle
defunti.
-
“
In taberna quando sumus”
* : uno dei componimenti goliardici de i Carmina
Burana , corpus di testi poetici scritti in latino del XI e
XII secolo.
-
“
preferisco regnare
all’inferno che servire in paradiso”* :
una delle battute più celebri di
Lucifero ( Satana) all’interno del II capitolo di “
Paradise lost” scritto da J.Milton.
Note
storiche:
Monte
Sant’Angelo*:
importantissimo sito di pellegrinaggio che si trova
nell’attuale Puglia
garganica: la leggenda narra che proprio qui, in una grotta, comparve per la prima
volta l’arcangelo
Michele. Il santuario
è gemellato con
quello francese di Mont Saint Michel ( Normandia).
Liceo
Louis-de-Grande*: fondato nel 1563
come Collège de
Clermont, era il collegio gesuitico
di Parigi, situato nel cuore del Quartiere
latino, tradizionalmente l'area
universitaria parigina, di fronte alla Sorbona
e di fianco al Collège
de France.
Asylum
de
Bicetre*
: situato nei
sobborghi meridionali di
Parigi, fu aperto come orfanotrofio nel 1656 ma successivamente venne
usato
come prigione, manicomio ed ospedale .
Note
personali:
ecco
la seconda parte di “ Aspettando il mattino” ^^ mi
dispiace
averla messa , come al solito , in ritardo ma visto che ho dovuto
rivedere
alcune cose ho rallentato…credetemi, non lo faccio certo per
scorrettezza ma
sono un po’ lenta con la revisione perché valuto
scena per scena cosa va bene e
cosa no..
quindi, dato che sono imprevedibile, non so quando posterò
la 3
parte del Cap 3…Non sono sicura di farcela a Gennaio anche
perché nel 2016 gli
esami per la laurea s’infittiscono -.-
senza sperare eccessivamente azzardo febbraio…(
incrocio le dita) perché
mi trovo anche nella bizzarra
situazione che ho concluso da un pezzo l’ultima parte di
questo Cap e non
ancora la 3…Va beh…tralasciamo….
Spero che questo capitolo possa essere stato di vostro gradimento!
^^ Etienne è un personaggio originale concepito durante le
genesi di questa fanfic.
Ecco che ve l’ho presentato! Ho introdotto “
l’argomento” citando Ungaretti
all’inizio , proprio perché quella poesia la
scrisse dolorosamente per il
fratello defunto.
Si
è aperta dunque un’altra importantissima parentesi
sul passato
di François: Etienne è un personaggio insolito e
stravagante nella famiglia De
Jarjayes e apparirà nella memoria e nel sogno altre volte
durante la storia.
Non ho ancora svelato la tragica causa che ha condotto il suo vulcanico
e forte
animo alla fatale depressione…è un elemento che
si racconterà più avanti e di
cui non spoilero nulla. Sappiate solo che anche Oscar verrà
a sapere dello zio
mai conosciuto …di quest’uomo leggero, che sembra
sregolato e che alla fine
possiede un’indole profonda e sensibile…una sorta
di artista” maledetto” ….
Mi
auguro che Lady Dreamer che conosce da ere la gestazione di
questo personaggio ne abbia apprezzato la messa in scena tanto attesa!
;)
Ringrazio
di cuore i pazienti lettori e lettrici che seguono…
Un
augurio di BUON ANNO NUOVO!!
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