Jacob
quella mattina si svegliò sul pavimento.
Il
trillare della sveglia, poggiata in qualche luogo
indefinito alla sua destra, era come un continuo martellare che gli
spaccava il
cranio a poco a poco. Con un mugugno alzò di poco la testa,
per poi riabbassarla
immediatamente a causa dell’allucinante mal di testa che
stava iniziando a
farsi sentire. Aveva solo vaghi ricordi della notte precedente:
qualcosa legato
al fatto che gli era stato dimezzato lo stipendio di paga
perché “Sono tempi
difficili, Jacob” e che subito dopo si fosse rifugiato nel
bar all’angolo della
strada in cui si trovava il supermercato dove lavorava 64 ore a
settimana. E,
preso dalla frustrazione, aveva speso i risparmi in bere
perché, al diavolo
tutto. Questo significava che per una settimana sarebbe andato avanti
con i
cracker che gli davano a lavoro. Perfetto.
Con
una mano si strofinò gli occhi assonnati, li
aprì e il mondo gli apparve in una macchia sfocata e confusa.
Buttò
lo sguardo sul cellulare che continuava a
trillare, così, seppur con fatica, lo raggiunse e spense la
sveglia. Guardò
l’orario.
9.10
O
porca miseria, era in ritardo di due ore.
Con
un balzo corse a mettersi i primi vestiti che
gli capitarono sotto mano e per coprire l’odore maleodorante
che emanava
utilizzò i campioni di profumo che aveva sgraffignato dal
supermercato alcuni
giorni prima. Inciampò in alcuni vestiti e oggetti buttati
sul pavimento,
afferrò le chiavi di casa (non che ce ne fosse davvero
bisogno, visto che da
tempo ormai la porta non si chiudeva più, ciononostante non
era ancora stato
vittima di un furto perché, andiamo, cosa avrebbero mai
potuto rubargli? Le
mutande?) e corse giù dalle scale, rischiando di rotolare e
rompersi l’osso del
collo.
***
“Signor
Golden, si rende conto che questo inciderà
sul suo stipendio settimanale, vero?”
Jacob
annuì, quando in realtà tutto ciò che
avrebbe
voluto fare era sferrare un cazzotto al suo dirigente dal quadruplo
mento. Del
resto, però, se l’era cercata.
Trattenendo
un sospiro, fece finta di ascoltare la
ramanzina che gli stava venendo data, cercando di ignorare quegli occhi
vuoti e
superficiali che lo giudicavano. Già, sembrava che
giudicarlo fosse tutto ciò
che le persone sapessero fare nei suoi confronti. Era solo un altro
ragazzo di
26 anni che aveva buttato al vento il suo futuro nel momento stesso in
cui
aveva lasciato la scuola perché era troppo stupido,
troppo sfaticato, perché
il ragazzo ha le capacità ma non si
applica,
signora, perché possibile
che tu non
voglia fare niente, Jacob?, e tanti altri perché
che lui aveva fatto finta
di far scivolare oltre, ma che in realtà erano come catene
cigolanti che si
portava dietro da una vita.
Quando
infine l’uomo lo lasciò andare, andò ad
indossare la divisa e poi si diresse dietro la cassa, dove si
lasciò cadere con
un sospiro, per niente pronto a un’altra giornata di lavoro
massacrante e
inutile.
***
Erano
le dieci di sera quando uscì.
Quello
schifoso gli aveva fatto fare le ore che
aveva perso e lui era arrivato al punto che avrebbe letteralmente
ucciso per andare
a fumarsi una sigaretta in santa pace.
Ed
era esattamente quello che stava facendo in quel
momento, seduto sul muretto pieno di graffiti che circondava il suo
condominio.
Fumava, guardava le famigliole felici e contente che si godevano le
vacanze natalizie,
e si chiedeva come fosse possibile che a ventisei anni si fosse
già stancato di
vivere. Si sdraiò di schiena e chiuse gli occhi, mentre una
rapida successione
degli eventi che avevano segnato la sua vita gli passava dietro gli
occhi.
Quel
breve periodo di illusoria felicità che era
stata la sua infanzia, segnata dall’essere sempre
all’ombra del suo talentuoso e
brillante fratello. Il figlio
perfetto: voti perfetti, carattere
perfetto, il Gesù Cristo moderno praticamente. E il suo
affannarsi nel tentativo
di raggiungerlo, i fallimenti esemplari uno dietro l’altro,
finchè,
semplicemente, aveva smesso di fregarsene e aveva capito che, diavolo,
nemmeno
voleva diventare come quel santarellino.
Dell’adolescenza
aveva un ricordo impresso come un
marchio nel suo cervello. Aveva mandato a quel paese la scuola, tanto
glielo
ripetevano sempre che non era capace. Poi c’era stato un
breve periodo in cui
era stato in quel gruppo della scuola pieno di drogati e idioti che
credevano
di essere trasgressivi, finchè non aveva capito che stava
decisamente meglio da
solo.
I
giorni passati chiuso in camera a disegnare
scarabocchi, scarabocchi a cui poi aveva iniziato a dare forma e
significato e
che per lui risultavano l’unico momento di vera
felicità nella sua vita. E allora
aveva capito. Aveva capito che solo quando si chiudeva nel suo mondo e
c’erano
lui, la matita e il foglio bianco da riempire era davvero felice.
E
la realizzazione di quell’amore era stato l’inizio
della sua discesa verso l’inferno.
Il
seguito era stato un rapido succedersi di eventi
sparati come flash nella sua mente.
I
suoi genitori che trovavano i suoi album pieni di
disegni, quel vedi che sprechi il tuo
tempo facendo scarabocchi invece di pensare al tuo futuro?
che lo aveva
fatto sbottare e gli aveva dato il coraggio di dire che disegnare era
ciò che
voleva fare nella vita. Il litigio che ne era seguito e la sua fuga di
casa
quella sera stessa. Non era mai ritornato, sebbene spesso, nei momenti
difficili, ci avesse pensato.
Il
vagabondaggio di qualche settimana, mangiando ciò
che poteva con i risparmi che si era portato, finchè non
erano finiti anche
questi. Quel momento in cui si era ritrovato a dormire nella neve,
stringendosi
nel cappotto e battendo i denti per il freddo e per un istante durato
ore si
era chiesto se era così che alla fine sarebbe morto.
Iniziò
a cercare un lavoro. Per fortuna alcuni
ebbero pietà di lui e gli permisero di lavorare in nero. Per
mesi mangiò poco e
niente e non comprò
nulla che non fossero
cibo e acqua, dormendo per strada con i barboni e conservando soldi per
poter
affittare un posto dove vivere. Alla fine c’era riuscito e
aveva avuto
quell’appartamento pietoso in una delle zone più
malfamate della città, ma
almeno era qualcosa.
I
suoi genitori non vennero mai a cercarlo.
Voleva
iscriversi a una scuola d’arte, ma non aveva
abbastanza soldi. Stava lavorando duramente per ottenerli,
ciononostante era
ben lontano dall’obbiettivo, e in ogni caso giorno dopo
giorno si faceva strada
nella sua mente la consapevolezza che in lui non ci fosse nulla di
straordinario, che non sarebbe mai diventato qualcuno, che i suoi
disegni erano
davvero solo scarabocchi. E questa consapevolezza aveva messo radici
nel suo
cervello, come una muffa persistente e maleodorante che ogni singolo
istante
della sua vita gli ricordava chi fosse.
E
Jacob era un perdente, ecco chi era.
***
Quando
Jacob aprì gli occhi capì che doveva essersi
addormentato fuori.
Con
una mano tastò la tasca del giubbotto e, quando
si rese conto che gli avevano rubato il pacchetto di sigarette,
imprecò tra i
denti.
Si
mise seduto e passò una mano tra i capelli.
La
strada deserta e il freddo pungente che gli aveva
congelato le ossa gli fecero capire che fosse molto tardi. Fece per
scendere
dal muretto, ma un’improvvisa folata di vento lo
immobilizzò e un misterioso
odore di gelsomino lo colpì.
Provò
a muoversi, eppure sentiva come se qualcosa lo
stesse trattenendo lì
seduto.
Era
confuso e spaventato, ma lo divenne ancora di
più quando, improvvisamente, una dopo l’altra le
luci aranciate dei lampioni
che illuminavano la strada si spensero. Quando infine il buio
coprì ogni cosa,
il panico lo pervase completamente. Provò a gridare, ma le
sue labbra erano
come incollate.
Tutto
era immobile e silenzioso.
Poi
un rumore sottile squarciò il silenzio.
E
un altro.
E
un altro ancora e Jacob si rese conto che erano
dei passi. Fece correre gli occhi ovunque ma tutto ciò che
vedeva era solo nero.
Capì che qualcuno stava venendo verso di lui.
Aspettò
che l’uomo, o forse donna, arrivasse da lui
e tutto ciò che riusciva a sentire erano i passi sempre
più vicini e il proprio
respiro affannoso. Infine percepì la persona fermarsi al suo
lato e dopo alcuni
secondi questa si sedette al suo fianco.
“Come
va?” chiese la voce di una donna, con un tono
gioviale che mal si addiceva all’atmosfera.
Jacob
si rese improvvisamente conto che gli era
tornata la capacità di parlare e balbettò con
voce roca un “C-chi sei?”
Sentì
la donna sbuffare. Il fatto che non potesse
vederla lo rendeva ancora più ansioso.
“Sono
venuta per parlare di chi sei tu. Chi sono io
non è davvero importante, credimi” si
liberò in una risata cristallina.
“Un
giovane ragazzo sfortunato che, purtroppo, non è
riuscito a realizzare i suoi sogni” continuò e
Jacob percepì il sorriso sulle
sue labbra. Gli venne quasi da ridere perché quella donna
era stata capace di
descrivere la sua intera esistenza in una sola frase, nonostante non lo
conoscesse.
“Sì,
diciamo che ti ho un po’ tenuto d’occhio in
questi anni” rise di nuovo “ma adesso passiamo alle
cose importanti”
Avvertì
un fruscio e pensò che la donna si fosse
spostata i capelli o qualcosa del genere.
“Che
tipo di cose importanti?” sussurrò.
Cercò di
darsi un’aria sicura, ma la paura gli faceva ancora
martellare il cuore nel
petto. Lentamente girò il volto a destra, nel tentativo di
vedere la persona
con cui stava parlando, ma il buio ancora copriva ogni cosa e non
riusciva a
scorgere nemmeno la punta del proprio naso. Non sentiva nemmeno il suo
respiro.
“La
tua vita è abbastanza pietosa, non trovi?”
commentò, cambiando totalmente argomento “Insomma,
è abbastanza ovvio che
passerai la vita nell’ombra e che morirai
nell’oblio, dimenticato da tutti e
solo”
Jacob
non commentò, sebbene ogni parola, detta con
leggero menefreghismo, fosse stata come un pugno nello stomaco. Una
cosa era
sapere queste cose, un’altra era sentirsele dire.
“C’è
poco che io possa fare, ormai” disse, pensando
che assecondare la sconosciuta fosse la cosa più sicura per
il momento, finchè
non avesse riacquistato il controllo delle proprie gambe.
“E
se invece…” improvvisamente la voce della donna
era diventata un sussurro accanto il suo orecchio e Jacob
sobbalzò,
ciononostante continuava a non sentire alcun respiro, seppur a una
distanza
così ravvicinata “… io potessi donarti
ciò che hai sempre voluto e dare una
svolta al tuo misero destino?”
Rabbrividì.
“In
che senso?”
“E’
più semplice di quanto appaia, in
realtà”
ridacchiò, tirandosi indietro.
“Ti
darò tutto. Fama, donne, ricchezza. Talento.
Diventerai il pittore più talentuoso della tua epoca, verrai
ricordato nei
libri accanto a nomi come Picasso e Monè. Potrai avere tutto e tutti sapranno chi sei, il tuo
nome verrà ricordato nei
secoli a venire.”
Il
cuore di Jacob martellava a un ritmo più
frenetico a ogni parola detta dalla donna, i suoi occhi si sgranavano
con
stupore. E non capiva se fosse ancora a causa della paura.
“Questo
è impossibile” affermò con una
sicurezza che
non aveva, certo tuttavia che probabilmente qualcuno gli stesse facendo
uno
scherzo di davvero pessimo gusto.
“Possiamo
saltare la parte in cui credi che sia
tutto uno scherzo e che ti stia prendendo in giro?”
sbottò scocciata “Ti sto
dicendo che posso darti tutto questo. Tu lo vorresti?”
“E
cosa vorresti in cambio?”
“Nulla
di così importante, tesoro. Semplicemente,
potrai poterti godere tutto questo per ben dieci anni e al termine di
questi…”
sentì le unghie della donna serrarsi sul suo braccio, come
artigli, e la sua
voce nell’orecchio “…dovrai
darmi la tua
anima”
Jacob
deglutì.
“Cosa
sei?” mormorò, ma la donna ignorò la
sua
domanda e riprese a parlare.
“Per
te non ci sarà né Paradiso, né
Inferno, ma un
oblio eterno” finì.
“Allora?
Cosa scegli? Un vita breve come la fiamma
incandescente di un momento, o una vita lunga tra monotone
ceneri?”
E
quando Jacob rispose, non perse davvero tempo a
pensare all’assurdità di quello che stava
accadendo, ma si fece guidare
puramente dall’istinto.
***
Era
passata una settimana da quella fatidica notte e
ancora niente era cambiato nella vita di Jacob.
Stessa
noiosa routine, stesso lavoro sfiancante,
stessa vita mediocre.
Quando,
subito dopo aver accettato il patto con la
misteriosa donna, si era improvvisamente svegliato nello stesso punto
dove già
credeva di essersi svegliato (ovvero disteso sul muretto), era giunto
alla
realizzazione che si trattasse tutto solamente di un sogno e
immediatamente lo
aveva pervaso la delusione, ma, del resto, che
ti aspettavi, che la tua vita cambiasse magicamente grazie a una fata
madrina?
Era
questo il suo problema, sempre. Sperare troppo
nelle cose e rimanere inevitabilmente ferito.
Solo
una cosa era cambiata.
Disegnare
era diventato sempre di più un bisogno
fisico: se non liberava forme e figure dalla sua matita le mani gli
formicolavano per tutta la giornata. Ciò comportò
che il numero dei suoi
disegni fosse aumentato drasticamente in solo una settimana.
Quella
notte, comunque, Jacob fece un incubo.
Quando
si svegliò, ansimante e sudato tra le
coperte, aveva già dimenticato cosa avesse sognato e tutto
ciò che ricordava
era la risata familiare di una donna e artigli che gli graffiavano il
petto,
all’altezza del cuore.
Cercò
di riaddormentarsi, ma l’eco di quella risata
ancora risuonava nelle sue orecchie, così alla fine decise
di uscire e iniziare
ad andare a lavoro. Quando scese, si accorse che era appena
l’alba e mancava
ancora un po’ prima del suo turno, quindi decise di sedersi
da qualche parte e
disegnare. C’era un parco, sulla strada, dove andavano di
solito i bambini del
quartiere. Era deserto e lui decise di trovare una panchina dove
sedersi.
L’aveva
giusto vista, quando qualcosa lo colpì
improvvisamente da dietro e lui finì per inciampare,
lasciando cadere il
quaderno dei disegni.
“Mi
scusi!” esclamò qualcuno alle sue spalle,
inginocchiandosi per aiutarlo a raccogliere i disegni sparpagliati per
terra.
Con la coda dell’occhio, Jacob si rese conto che era un uomo
sulla cinquantina
con indosso una tuta da jogging, evidentemente per farsi una corsa
mattutina.
Non
rispose e mise velocemente tutti i disegni nel
quaderno, ma prima di alzarsi, notò che l’uomo ne
stava fissando alcuni che
aveva tra le mani con espressione stupita.
“Li
hai fatti tu questi?” chiese.
“Uhm,
sì” grugnì Jacob in risposta.
“Davvero
niente male, sai? Hai frequentato una
scuola d’arte?” il modo in cui stava osservando con
occhio critico i suoi
disegni fece capire a Jacob che quell’uomo dovesse essere
esperto in quel campo
e ciò lo rese ancora più nervoso: voleva solo
riprenderli prima che gli
venissero ripetute le stesse parole dei suoi genitori, ovvero che era
inutile
sforzarsi in qualcosa in cui non avrebbe mai avuto successo.
“No”
dopo una risposta secca, afferrò i fogli dalle
mani dell’altro e si alzò velocemente con
l’intenzione di andarsene per la sua
strada.
“Aspetta!”
Con
un sospiro si fermò e annoiato lo guardò mentre
cacciava il portafoglio e gli porgeva un biglietto.
“Se
sei interessato a frequentarne una, chiamami
pure” Jacob osservò il biglietto da visita con
espressione stupita “E se i
soldi sono un problema, posso farti avere una borsa di studio. Non mi
importa,
ma ti voglio nella mia scuola. Tu hai davvero talento”
“Ma
ho ventisei anni…” protestò debolmente
il
ragazzo, timoroso di lasciarsi sommergere da quella goccia di speranza
che lo
stava inondando.
“Questo
non è un problema, credimi”
L’uomo
lo guardava con occhi brillanti e Jacob,
davvero, non riusciva a credere che tutto ciò stesse
accadendo. Sembrava quasi
la scena di uno di quei film scadenti che insegnano a non mollare mai i
sogni.
Lo
sguardo gli cadde su quel biglietto che era la
chiave della nuova vita che lo aspettava.
“Sì…
sì, voglio farlo”
***
Jacob
fu sottoposto ad alcuni esami e colloqui e dovette
mostrare alcuni suoi lavori, ma alla fine riuscì ad ottenere
la borsa di
studio. Era pronto a realizzare il suo sogno.
Lo
stesso giorno che gli era giunta la notizia, non
aveva esitato un solo istante a chiamare il suo dirigente di lavoro e
dirgli
che doveva cercare qualcun altro da schiavizzare al suo posto; poi
aveva
preparato degli scatoloni in cui mettere la sua roba (ne bastarono tre)
e li
portò nel dormitorio in cui da quel giorno avrebbe
alloggiato, il quale sempre
veniva pagato dalla sua borsa di studio.
Stava
sistemando la sua roba nella sua parte di
stanza, visto che avrebbe dovuto condividerla con qualcun altro a
quanto
sembrava dal letto a una piazza posizionato contro l’altro
muro, quando sentì
la porta aprirsi e vide un ragazzo di massimo ventitré anni
entrare.
Stava
bevendo un frullato e appena lo vide la
cannuccia gli cadde di bocca.
“Uhm,
che ci fai nella mia stanza?” chiese. Era alto
e magro, con capelli di un rosso fiammeggiante.
“Sono
il tuo nuovo coinquilino” rispose Jacob, a
disagio, indicando con un cenno del capo le scatole aperte contenenti i
suoi
oggetti e vestiti.
“Oh.
Oh,
sì, la segretaria me l’aveva detto”
balbettò, posando il bicchiere su quella
che doveva essere la sua scrivania e sedendosi sopra questa.
“Io
sono Brad, comunque.”
“Jacob”
disse, prima di tornare a mettere in ordine
le sue cose.
“Scusa
se te lo chiedo, ma quanti anni hai? Sei più
grande della maggior parte di noi” osservò.
“Ventisei”
quel ragazzo stava iniziando a irritarlo,
quindi decise di non aggiungere altro per evitare di creare attrito
proprio con
la persona con cui avrebbe dovuto condividere buona parte delle sue
giornate.
Nei
giorni successivi, comunque, Jacob dovette
ricredersi. Brad alla fin fine era okay, nonostante magari fosse un
po’
appiccicoso. O forse era lui a non essere più abituato ad
avere qualcuno con
cui passare il tempo.
Nel
corso del mese, era rapidamente diventato lo
studente modello della scuola. Tutti rimanevano affascinati e
strabiliati dalle
sue opere e il fatto che per la prima volta in vita sua qualcuno
riconoscesse
il valore dei suoi disegni lo rendeva intimamente felice.
Eppure…
era davvero merito suo? Aveva davvero
talento?
O,
se non avesse fatto quel patto con il Diavolo,
tutti avrebbero continuato a pensare che i suoi fossero solo disegni
senza
valore?
Non
aveva una risposta. O meglio, la sua risposta
era nell’arte. Le mani gli prudevano se non aveva una matita
o il pennello tra
le mani e ogni cosa su cui si posavano i suoi occhi gli sembrava
insulsa e
inutile se questa non era la tela bianca da riempire con colori e
immagini.
Non
usciva con i compagni di corso, passava le
nottate sveglio a disegnare o dipingere, andando avanti a forza di bere
caffè,
finchè non sveniva per il sonno, altrimenti non riusciva a
dormire. Usciva solo
per seguire le lezioni e mangiare, il resto della giornata lo passava
chiuso
nella stanza, a volte con la compagnia di Brad.
Non
pensava ad altro.
***
Era
il suo secondo mese all’accademia, quando venne
dato l’annuncio di una mostra a metà giugno.
Avrebbero
presentato le opere dei migliori studenti
e a quanto sembrava sarebbero stati presenti anche alcuni critici
d’arte.
Erano, ovviamente, tutti molto eccitati e non parlavano
d’altro:
quell’occasione rappresentava un’importante
possibilità di iniziare a farsi
strada nel mondo dell’arte.
Jacob
stava uscendo dal corso di arte moderna,
accompagnato da Brad che non smetteva un secondo di parlare riguardo
quanto
sperasse di venire scelto per presentare una sua opera alla mostra.
Venne però
fermato dal preside, che lo stava aspettando là davanti
(aveva inoltre scoperto
che l’uomo che gli aveva offerto la borsa di studio quel
giorno al parco era
proprio il preside).
“Golden,
avresti due minuti?”
Jacob
annuì e fece un cenno a Brad per salutarlo
mentre questo si allontanava, osservando la scena da lontano
incuriosito.
“Ascoltami,
Jacob,” iniziò il preside sorridendo
“vorrei che tu preparassi qualche opera per la mostra del 16
giugno. Sei
interessato?”
Non
rimase troppo sorpreso da questa proposta, in
realtà si aspettava che gli avrebbero chiesto di
partecipare. Sorrise, felice,
e per un momento il prurito alle mani si affievolì mentre
annuiva.
“Bene”
l’uomo
gli diede una pacca sulle spalle e Jacob si scostò, ma lui
sembrò non farci
caso “Il tema della mostra sarà L’uomo
e
l’individualismo. Non vedo l’ora di
vedere cosa ne tirerai fuori. Ah e, tra
parentesi,” abbassò la voce, avvicinandosi
“ho parlato molto bene di te ad
alcuni miei amici, nonché critici d’arte che
verranno personalmente alla
mostra. Questa potrebbe essere la tua occasione di spiccare il volo,
non
sprecarla”
Un
altro sorriso e se ne andò.
Jacob
raggiunse Brad alla lezione successiva in
silenzio.
C’era
un laboratorio appositamente per gli studenti,
dove questi potevano lavorare, ma lo trovava troppo affollato. Troppa
gente che
lo guardava, gente che parlava, gente che lo distraeva.
Le
persone si mettevano tra lui e i suoi dipinti e
questo non andava bene.
Perciò,
rimaneva sempre nella sua stanza a
dipingere. A volte Brad gli faceva compagnia, probabilmente per
pietà, ma
sinceramente non gli cambiava molto che restasse o se ne andasse.
“Quanti
dipinti presenterai alla mostra?” chiese
Brad, bevendo il suo solito frullato mentre lo guardava dipingere. Il
rosso gli
aveva rivelato che gli piaceva disegnare, per questo frequentava alcuni
corsi
di disegno insieme a lui, ma la sua strada era la recitazione. Qualche
volta lo
aveva visto recitare e, per quanto sapesse al riguardo, cioè
non molto, gli
sembrava portato: sapeva come muoversi sul palco.
“Quanti
me ne accetteranno” rispose, senza staccare
gli occhi dal proprio dipinto.
“Mancano
ancora molti mesi, potresti riposare un
po’. So che rimani tutta la notte sveglio” gli fece
notare, una nota
preoccupata nella voce.
Non
rispose.
Mesi
dopo, il giorno della mostra, Jacob indossava
uno smoking elegante, così come Brad al suo fianco,
nonostante quest’ultimo
partecipasse non come artista ma come suo accompagnatore.
I
dipinti che Jacob aveva realizzato erano 200, ma a
quanto pareva c’era un limite di 10 opere che poteva
presentare ciascuno
studente (che aveva comunque sforato arrivando a 20, grazie
all’entusiasmo del
preside per i suoi quadri).
Quest’ultimo
inoltre si premurava di portarlo in
giro, per presentarlo ai suoi “amici” come il
gioiello dell’accademia. Jacob quella
sera strinse molte mani e dovette sforzarsi di sorridere fin troppo
spesso per
i suoi gusti. Anche se alcuni dei critici d’arte cercarono di
mostrarsi
riluttanti o inventarono imperfezioni che, ne era certo, non
esistevano, non
riuscivano a nascondere completamente l’entusiasmo che si
celava nei loro
occhi.
Quella
notte, Brad lo costrinse a festeggiare
insieme ad alcuni suoi amici per il successo. Con l’alcool,
l’irritazione alle
mani diventava più sottile e, per la prima volta dopo tanto
tempo, si divertì
davvero.
Più
tardi, comunque, quando il bisogno si
ripresentò, tornò presto nella sua stanza a
dipingere.
***
Un
anno dopo, Jacob era già conosciuto in tutta
Inghilterra come l’artista più promettente degli
ultimi decenni.
Aveva
perso il conto delle mostre (questa volta
esclusivamente sue) che aveva fatto e dei dipinti che aveva realizzato.
Tutti
erano affascinati dalla sua immagine di ragazzo geniale e tormentato.
Un
solitario che non era interessato alle cose terrene, questa era
l’immagine che
le riviste diffondevano di lui.
Quel
giorno di inizio autunno, era seduto su una
poltrona di pelle nera, con una donna fin troppo sorridente davanti e
una
telecamera puntata in faccia. Stava per essere intervistato per la
prima volta
in televisione e il suo disagio era ben evidente nel modo in cui
continuava a
spostarsi sulla poltrona e si aggiustava la giacca nera.
La
donna gli chiese se era pronto e lui annuì,
pensando che non era pronto proprio per
niente, quando una luce rossa si accese sulla telecamera e
lei iniziò a
parlare.
“Bentornati
su Good
morning, London! Siamo qui con la stella dell’arte
contemporanea, il
giovanissimo Jacob Golden.”
La
telecamera puntò sulla sua faccia e lui sforzò un
sorriso.
“Buongiorno”
“Jacob,
in tantissimi ormai conoscono il tuo nome.
Hai davvero tantissimo talento, i tuoi dipinti sembrano quasi divini!”
“Grazie”
rispose, grattandosi la nuca.
“Hai
spiccato il volo, se così si può dire, davvero
molto rapidamente. Ma cosa hai da dirci invece sul tuo passato?
Cos’eri prima
di essere conosciuto in tutta Inghilterra?”
“Non…
non capisco la domanda” balbettò.
“Beh,
quello che i tuoi fan si chiedono ardentemente
è proprio qualche informazione sul tuo passato
così misterioso. Perché non ci
racconti come sei arrivato fino a questo altissimo livello?”
Jacob
fece saettare lo sguardo per tutta la stanza,
cercando le parole.
“Non
c’è molto da dire…”
La
donna fece un gesto con la mano per invitarlo a
continuare.
Sospirò.
“Non
andavo bene a scuola, preferivo disegnare. I
miei genitori erano- sono persone
molto severe e hanno sempre disprezzato i miei disegni. Un giorno
abbiamo
litigato pesantemente e sono scappato di casa, avevo, credo,
diciassette anni.
Per qualche anno ho vissuto sulla strada facendo dei lavoretti,
finchè non sono
riuscito ad avere abbastanza per affittare un appartamento a Hackney.
Non ho
mai avuto un lavoro fisso, passavo sempre al più
conveniente. Un anno e mezzo
fa facevo il commesso in un supermercato di quel quartiere, Express night Supermarket. Quel posto fa
davvero schifo, l’igiene è pessima e a volte il
cibo scaduto viene fatto
passare per ancora commestibile”
Jacob
fece un sorrisetto, godendo interiormente nel
pensare alla faccia che il suo ex dirigente stesse probabilmente
facendo in
quel momento.
“Santo
cielo!” esclamò la donna, afferrando con aria
teatrale il suo braccio “E chi avrebbe mai immaginato che un
ragazzo così
brillante avesse avuto un passato tanto burrascoso!”
Jacob
annuì, senza sapere cosa dire.
“Beh,
Jacob, ho comunque una bella notizia da darti”
il sorriso che gli rivolse non preannunciava nulla di buono.
“Prima
dell’intervista, ci hanno raggiunto qui in
studio i tuoi famigliari. E sembra che abbiano qualcosa da dirti!
Facciamoli
entrare, prego!”
Jacob
sgranò gli occhi mentre un applauso si
diffondeva in studio e i suoi genitori, accompagnati da suo fratello,
entravano, salutando le persone sedute sugli spalti.
“Jackie,
bambino mio!” sua madre, in lacrime, corse
verso di lui, abbracciandolo di slancio. Il suo profumo Chanel lo
colpì forte
alle narici, portando con sé tanti ricordi.
‘Jackie’?
Quando mai lo aveva chiamato ‘Jackie’?!
“Figliolo”
suo padre gli diede una pacca sulla
spalla “Siamo tremendamente dispiaciuti per aver dubitato di
te. Noi volevamo
solo il tuo bene, mai ci saremmo sognati di farti soffrire. Non hai
idea di
quante nottate in lacrime abbia passato tua madre, abbracciando il tuo
cuscino”
“Ehi,
Jacob” Matthew gli si avvicinò,
scompigliandogli i capelli come faceva sempre quando erano piccoli per
dargli
fastidio. Aveva gli occhi lucidi “Mi sei mancato tanto, sai?
Sono successe
tante cose da quando te ne sei andato. Mi sono sposato, puoi crederci?
Dovrò
presentartela presto, mia moglie. Sono sicuro che ti
piacerà”
Jacob
non riusciva a credere a quello che stava
succedendo. Non vedeva la sua famiglia da dieci
anni e adesso erano lì, in diretta nazionale e in
lacrime, a recitare la
parte della famigliola pentita. Assurdo.
Rimase
lì a farsi abbracciare, ciononostante presto
l’attenzione dei suoi genitori si rivolse verso
l’intervistatrice. Andò avanti
così per un po’, finchè la donna non
concluse l’intervista con un “Ci vediamo
domattina, come sempre, su Good morning,
London!”
La
mattina dopo, i suoi genitori gli consegnarono un
contratto per diventare suoi manager, che lui firmò.
***
Si
stava avvicinando il suo trentesimo compleanno e
sua madre e suo padre stavano organizzando già le cose in
grande.
Molto
era cambiato da quando i due si erano aperti
un varco a forza nella sua vita. Il numero delle mostre annuali era
quadruplicato,
gli avevano fatto una casa più grande, erano riusciti a
fargli avere un
appuntamento con una famosa attrice, con la quale avevano confermato
avesse una
relazione prima ancora che lui sapesse quale fosse il suo nome. Era
diventato
testimonial di varie compagnie ed era anche il volto impresso su alcuni
cartelloni pubblicitari (su questo, avevano chiaramente sfruttato il
fatto che
fosse oggettivamente attraente).
Aveva
smesso di vedere i quasi amici che si era
fatto alla scuola d’arte e ora era costantemente circondato
da scalatori
sociali appiccicosi e superficiali. Solo Brad se ne era fregato di
tutto e di
tutti ed era rimasto al suo fianco, ignorando le occhiate disprezzanti
e i
commenti fatti alle sue spalle.
Quindi,
il giorno del suo compleanno, era naturale
che il Signor e la Signora Golden avrebbero organizzato tutto in grande
stile.
Jacob non prese parte ai preparativi, ma sinceramente neanche era tanto
interessato. Passò mattina e primo pomeriggio chiuso nel suo
studio, a
dipingere. Dopo pranzo era anche arrivato Brad per fargli compagnia.
Si
stava esercitando per un provino: voleva cercare
di diventare il protagonista di una serie tv che avrebbe preso avvio a
ottobre.
Jacob lo stava dipingendo, trovando la sua forza d’animo
davvero genuina e
ispiratrice.
“Secondo
te come vado?” chiese, passandosi
preoccupato una mano tra i capelli fiammeggianti. Jacob per tutta
risposta girò
il treppiede, mostrandogli il dipinto, poi uscì per andare a
mettersi lo smoking.
Durante
la serata, varie persone che sembravano
importanti ma che per lui erano solo tante facce incipriate tutte
uguali,
cercarono di spingerlo a conversare. Per fortuna Brad rimase accanto a
lui,
quindi non si annoiò del tutto. Si erano separati solo
quando la sua fidanzata,
che aveva scoperto essere Emily Blunt, gli aveva presentato i suoi
genitori.
“Allora,
amico, ti stai divertendo?” gli chiese con
una spallata. Jacob decisamente non
si stava divertendo. Voleva tornare nel suo studio e dipingere. Non
faceva
altro che grattarsi le mani e per non far notare i graffi che si era
procurato
su queste, teneva le maniche tirate giù.
“Bevi
un po’, forza” lo spinse Brad. Afferrò
il
bicchiere che gli stava porgendo e lo buttò giù
tutto d’un sorso. Appena sentì
il prurito affievolirsi, anche se di poco, prese una bottiglia e
ingoiò tutto.
La
testa gli girava, ma almeno l’irritazione era
passata. Qualcos’altro, però, stava iniziando a
martellare contro il suo
cranio.
Tu
non hai nulla in comune con queste persone.
Un
sussurro che lo fece sobbalzare e cadere addosso
a un cameriere.
“Jacob!”
sentì Brad afferrarlo e aiutarlo ad
alzarsi, ma era tutto così confuso e rumoroso “Dio
santo, che hai?”
“Sto
bene… devo andare… devo andare”
sussurrava,
cercando di spingere via le persone per andare verso il suo studio.
Si
mettono tra te e la tua arte. Non vogliono farti dipingere. Mandali
via! Via!
“Andatevene!”
gridò, gli occhi rossi per l’alcool e
il vestito stropicciato “Uscite tutti da qui!
ADESSO!”
Un
vociare scandalizzato si diffuse tra i presenti,
ma lui li ignorò, così come ignorò sua
madre che lo afferrava, cercando di
trattenerlo. La spinse per terra e salì le scale, corse
lungo il corridoio ed
entrò nello studio, dove si chiuse a chiave.
Spalmò
la schiena contro la porta, ansimando ad
occhi chiusi.
“Cosa
mi sta succedendo?” sussurrò.
Non
è colpa tua. Sono loro. Loro sono malvagi. Vogliono
impedirti di dipingere.
“Loro
sono malvagi” ripetè.
Non
puoi fidarti di nessuno.
“Non
posso fidarmi di nessuno.”
Per
fortuna ci sono io con te. Non preoccuparti, sarai al sicuro
finchè mi ascolterai.
Adesso dipingi e non fermarti fino a quando non ti sanguineranno le
mani.
Jacob
aprì gli occhi. Prese i colori e il pennello e
dipinse, dipinse tutta la notte fino a farsi sanguinare le mani, e
anche oltre,
perché non fermarti, non fermarti
o morirai.
***
La
voce aiutò molto Jacob, davvero.
Gli
diceva cosa fare, come liberarsi dei malvagi, e
di questo Jacob le era davvero grato.
I
suoi genitori erano morti. Incidente d’auto. A
quanto sembrava, i freni erano malfunzionanti.
Suo
fratello si era suicidato. Per la disperazione,
ovviamente. Si era sparato dritto tra gli occhi.
Anche
la sua fidanzata si era suicidata, dopo che
l’aveva lasciata. La poveretta non poteva vivere senza di
lui, quindi aveva
buttato giù un bicchiere di candeggina. Era davvero
innamorata.
Ogni
giorno Brad veniva a casa sua e cercava di
parlargli, ma la voce non voleva che avesse più nulla a che
fare con lui. Il
problema era che quest’ultimo era davvero troppo
insistente e non riuscivano proprio a convincerlo a lasciarli
da soli.
La
voce voleva che Jacob si liberasse anche di Brad.
Era
l’unico argomento su cui si trovavano in
disaccordo. Spesso litigavano, su questo, e Jacob finiva per urlarle
contro,
lanciando oggetti vari contro il muro. Subito dopo, però, si
scusava, perché
era stato davvero maleducato e irrispettoso da parte sua trattarla
così, dopo
tutto quello che aveva fatto per lui, dopo averlo aiutato
così tanto.
Jacob
aveva scoperto che solo quando beveva molto
riusciva ad affievolire la voce nella sua testa, ma non era abbastanza.
Così
pensò che forse qualcosa di più forte avrebbe
funzionato meglio.
Dove
stai andando?
Jacob
prese il cappotto e la sciarpa, poi uscì di
casa, diretto alla metropolitana, visto che aveva licenziato il suo
autista
molto tempo prima. In realtà, aveva licenziato tutto il
personale. E aveva
smesso di fare mostre.
Prese
la linea per Hackney, il suo vecchio
quartiere. Lì avrebbe sicuramente trovato ciò che
gli serviva.
Vuoi
liberarti di me? E’ così?
“Non
è vero” disse. Alcuni dei passeggeri nel suo
stesso
vagone lo guardarono, a disagio.
Dopo
tutto quello che ho fatto per te, è questo il tuo modo di
ringraziarmi?
“Sta
zitta!” esclamò, sferrando un pugno contro il
palo a cui si stava reggendo, prima di scendere subito dopo.
Tutto
quello che devi fare è ascoltarmi. Liberati di Brad, lui
è solo un ostacolo.
“E’
mio amico” disse. Il marciapiede era deserto e, anche se era
buio, ciò non lo
preoccupava, visto ricordava ancora molto bene la strada. La voce
rimase
stranamente in silenzio, come se stesse osservando le sue mosse.
Capì
di essere arrivato a destinazione appena vide
un gruppo di ragazzi e ragazze che fumavano.
“Chi
vende?” chiese, fermandosi in mezzo a loro. Lo
guardarono con cipiglio, finchè uno di loro venne verso di
lui.
“Dimmi
cosa ti serve”.
“Dammi
la cosa più forte che hai” disse.
“Wooh,
ok, ma ce l’ho a casa mia. Seguimi” il
ragazzo si girò e Jacob lo seguì,
finchè non arrivarono ad un condominio pieno
di graffiti. Salirono le scale e raggiunsero una porta, il ragazzo la
aprì e
così entrarono.
“Ti
vedo disperato, credo che un po’ di eroina sia
ciò che fa per te” Spostò un mobile,
rivelando un buco nel muro dal quale
estrasse una piccola busta con polvere bianca.
“Quanto
vuoi?” chiese, prendendo il portafoglio,
pronto a cacciare qualsiasi cifra, visto che il denaro da tempo non era
più un
problema per lui.
“Il
primo assaggio è sempre gratis” strizzò
l’occhio, sorridendo e mostrandogli così una fila
di denti giallognoli “Solo,
ricordati da chi venire quando ne vorrai ancora. Chiedi di Danny
Dan.”
Annuì.
Danny Dan gli mostrò come iniettarsi l’eroina
e, nel momento stesso in cui questa cominciò a scorrere
nelle sue vene, la voce
sparì. Anche se prima era stata in silenzio, riusciva ancora
a percepire la sua
presenza, mentre adesso sembrava completamente svanita.
Jacob
era felice.
Nei
giorni successivi abbandonò la casa a tre piani
in cui aveva vissuto fino ad allora e si ritrasferì
nell’appartamento in cui
abitava prima che tutto avesse avuto inizio. Fece perdere le sue
tracce: non
voleva che Brad lo trovasse. Più stava lontano da lui,
più sarebbe stato al
sicuro.
***
Gli
anni passavano uno dietro l’anno. Anni che Jacob
passò quasi come una visione offuscata dalla droga e di cui
gli unici momenti
di lucidità erano quelli in cui dipingeva. Il mondo si era
fatto un’idea
precisa di lui: sconvolto dalla morte delle persone che gli erano
più care, il
giovane e brillante Jacob Golden aveva deciso di ritirarsi dalla vita
mondana e
aveva dato un taglio all’arte.
Jacob
stava camminando per un marciapiede affollato,
sfiorando con le dita l’eroina che aveva appena comprato e
che era nella tasca
del suo cappotto. Lanciò un’occhiata alla vetrina
alla sua destra e non si
riconobbe nel proprio riflesso. I suoi capelli erano più
lunghi, il volto era
bianco come la morte e una barbetta malcurata copriva la sua mascella.
La cosa
che però più lo spaventavano erano gli occhi:
vuoti e neri. Sembravano quelli
di un morto, mancava completamente quella scintilla di vita che invece
era
presente nello sguardo di chiunque incrociasse per strada.
Dovresti
morire. La tua vita non ha senso.
Eccola,
sempre presente. La voce.
Tu
hai voluto tutto questo, non ricordi? E’ colpa tua. Io sto
cercando di
aiutarti, ma non vuoi ascoltarmi. Se non mi ascolti, morirai.
“Zitta!”
si sferrò un pugno contro la tempia, per
poi girare nel vicolo più vicino.
Sai
cosa devi fare, per farmi stare in silenzio. Uccidilo. Uccidilo e io me
ne
andrò.
Con
mani tremanti, Jacob cacciò in fretta la
bustina. Si mise il laccio emostatico, poi prese la siringa e
procedette.
Una
nebbia bianca coprì ogni cosa e la voce volò via
così come la sua coscienza. Chiuse gli occhi e cadde per
terra.
Quando
si svegliò, era su un letto morbido, con un
cuscino sotto la testa.
“Oh
Jacob… cosa ti è successo?”
sussurrò qualcuno.
Jacob
aprì gli occhi, cercando di capire dove si
trovasse e chi avesse parlato.
“Brad?”
il cuore gli balzò nel petto e si sedette di
botto, causando un forte giramento di testa.
Sapeva
che la voce era presente, tuttavia questa non
parlava: si limitava ad osservare il tutto. Doveva andarsene prima che
lo
spingesse a fargli del male.
“Dove
credi di andare?” Brad gli si avvicinò: il suo
sguardo era un misto di rabbia e tristezza “Devi riposare,
idiota”
Cercò
di spingerlo a stendersi, ma Jacob lo spostò e
si alzò in fretta.
“Come
mi hai trovato?” sussurrò, la voce graffiata.
Brad
si passò una mano tra i capelli rossi. A Jacob
fece male il cuore rivederlo dopo tutto quel tempo. I capelli
indomabili e
rossi come sempre, il viso più marcato e adulto, la voce
leggermente più rauca.
Ma lo sguardo preoccupato che gli rivolgeva era esattamente lo stesso.
“Ti
ho visto mentre andavo al set per le prove, così
ti ho seguito e dopo averti trovato svenuto in quel vicolo ho chiamato
un taxi
e ti ho portato a casa.” fece un passo verso di lui,
toccandogli la spalla “Tu
stai male. Hai bisogno di aiuto. Non so perché mi hai
cacciato dalla tua vita,
ma adesso sono qui e voglio aiutarti”
Sta
mentendo.
Jacob
scosse la testa per far tacere la voce, ma
l’altro interpretò il gesto come un dissenso a
quanto aveva detto.
“Ti
prego ascoltami. Io-”
“Devi
stare lontano da me” lo interruppe, girandosi
con l’intenzione di uscire da lì il prima
possibile.
“Dove
stai andando?” ringhiò il ragazzo,
afferrandolo per un braccio e costringendolo a girarsi “Vuoi
tornare ai tuoi
stupidi dipinti? Non lo capisci che sono stati proprio loro a ridurti
così? E’
un’ossessione! Devi smettere di dipingere o diventerai
pazzo!”
“Cosa?”
Jacob
si voltò lentamente a guardarlo, gli occhi
sgranati e le mani che tremavano.
Te
l’avevo detto.
“Tu
vuoi impedirmi di dipingere” sussurrò.
“Lo
faccio per il tuo bene, lo capisci questo?” Brad
aveva gli occhi lucidi.
E’
una minaccia. Te l’avevo detto.
Liberati
di lui.
Liberati
di lui.
Liberati
di lui.
Jacob
gli si buttò addosso, afferrandolo per le
spalle e sbattendolo a terra sotto il suo peso. Brad imprecò
e cercò di
spostarlo, ma lui gli diede un pugno nello stomaco. Il rosso lo spinse
via e si
alzò, schivando il suo pugno.
“Che
diavolo ti prende?!” ansimò,
indietreggiando sempre di più verso
la finestra. Jacob cercò di afferrarlo di nuovo e Brad
bloccò le sue braccia
per respingerlo. Gli diede una ginocchiata e lui sibilò,
piegandosi.
“Non
voglio farti del male, Cristo!” lo ignorò. Brad
cercava di tirarlo indietro e aveva ormai le spalle contro il vetro
della
finestra. Anche lui gli diede un pugno, sul naso, che prese a
sanguinare, ma
Jacob non ci faceva caso.
Uccidilo.
Jacob
gridò e lo tirò indietro prima di spingerlo
con più forza contro la finestra, che si ruppe. Il vetro
tagliò entrambi in
vari punti, facendoli sanguinare. Spingeva Brad oltre la finestra, ma
questo si
era aggrappato alla sua giacca, urlando disperato. Era ormai per
metà oltre di
questa e anche Jacob era stato costretto a sporgere il torso oltre.
“Ti
prego, Jacob! Ti prego!” gridò.
Si
fermò e lo guardò dritto negli occhi, immobile.
Posò
le mani su quelle di Brad.
Uccidilo.
Gli
tirò via le mani, levandole dalla sua giacca, e
poi lo spinse completamente oltre la finestra.
Lo
vide cadere urlando e agitando gli arti
spasmodicamente, prima di schiantarsi contro la strada.
***
“No…
NO!”
Jacob
battè il pugno contro il muro e uscì di corsa
dall’appartamento. Scese le scale e, una volta fuori dal
condominio, corse per
i vicoli bui, sporco di sangue e finalmente in sé. La voce
aveva mantenuto la
promessa e se ne era andata, ma a quale prezzo?
Corse
per Islington fino ad arrivare ad Hackney che
era quasi l’alba.
Le
decorazioni natalizie lo stordivano e il freddo
gli congelava le cervella, ma non ci faceva caso.
Finalmente
arrivò di fronte casa sua e salì le scale
fino all’appartamento. Era pieno di quadri. Quei quadri erano
la sua
maledizione. In cucina aprì in fretta i cassetti fino a
trovare ciò che stava
cercando. Afferrò il coltello più grande e
tornò in soggiorno.
Guardò
quell’arte nata dalle stesse mani con cui
aveva assassinato il suo amico solo poco prima e con un grido
squarciò un
dipinto col coltello. Così fece con quello affianco, e
quello dopo, e quello
dopo, finchè ogni tela era stata mutilata. Ansimò
e dopo qualche secondo si
rese conto che ciò che colava dagli squarci non era vernice,
ma sangue. Sangue
rosso che scorreva giù, fino a cadere in piccole gocce sul
pavimento, formando
delle pozze.
Indietreggiò,
il coltello che tremava nella sua mano
destra.
Cadde
in ginocchio, sporcandosi ulteriormente di
sangue.
Alzò
il coltello, girandolo nella sua direzione.
Alzò
il volto verso l’alto e chiuse gli occhi.
Il
secondo dopo, la lama era affondata nella sua
carne e lui si era accasciato sul pavimento, sorridendo mentre
finalmente
diventava libero per la prima volta in vita sua.
Era
l’alba.
***
I
tacchi della donna producevano un fastidioso
ticchettio sul pavimento sporco di sangue. Si allisciò il
vestito rosso mentre
rivolgeva appena un’occhiata all’uomo di trentasei
anni steso, chiaramente
morto.
“Beh”
soffiò, arricciando gli angoli della bocca
verso l’alto “Sembra che dieci anni siano passati,
Jacob.”
Si
inginocchiò e afferrò il volto
dell’uomo tra le
mani. Lo baciò morbidamente, poi allontanò il
viso e si alzò.
Uscì,
sorridendo, alla
ricerca di un’altra anima di
cui
nutrirsi.
N.d.A.
ciao! allora, questa storia è mooolto diversa da quelle che
scrivo di solito, lo so. E' una storia che ho scritto come regalo di
natale per i miei genitori e ho avuto solo una settimana di tempo per
scriverla, perciò scusate se ha un andamente un po' rapido.
Passate anche alle mie altre storie :P e soprattutto fatemi sapere che
ne pensate!!!!
All the love xx
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