Il
signor Quinlan amava trascorrere il suo tempo sui tetti, quelli
più alti, da cui poteva scorgere e controllare l'immensa
vastità che lo circondava.
Abituato al controllo e dominio su qualunque essere vivente, si trovava
a suo agio lassù e ogni volta gli doleva scendere.
Era solitario, la vita gli aveva negato da secoli l'amore e lui non lo
aveva più cercato, in nessuna forma.
Conviveva con la natura e i ricordi del passato, e questi ultimi, nelle
lunghe notti in cui la pace e il silenzio regravano tutt'intorno gli
davano una sensazione di vuoto, che colmava assaporando il sangue umano.
Spesso amava ricordare l'antica città di Roma, la sua
esistenza era nata proprio là, a Roma si era formato, aveva
imparato tanto e dato altrettanto nei campi di battaglia.
Quando si preparava ad entrare nel Colosseo e ricopriva il suo corpo di
terra per evitare le ustioni dovute ai raggi solari, l'eccitazione
delle prime volte e infine la padronanza del corpo e delle
proprie gesta dopo aver ripetuto le stesse mosse decine e decine di
volte, e malgrado ciò non smetteva mai di imparare.
Il signor Quinlan aveva vissuto per oltre duemila anni, e ogni volta
che la sua mente ripeteva quei ricordi sentiva un vuoto dentro di se,
forse mancanza di quei tempi o forse era qualcosa di più,
qualcosa che non avrebbe mai potuto colmare sino in fondo col solo
sangue umano.
Il nato scese con un balzo dall'altura e quando toccò il
suolo si alzò il cappuccio sopra la testa.
Era un abitudine che aveva adottato quando era solito uscire di giorno,
lo faceva di rado, ma alcuni secoli prima, quando era sulla pista del
Padrone, doveva sfruttare tutto ciò che era a suo vantaggio,
e la luce del sole era allora per lui un grosso potere rispetto al
Padrone.
Quinlan, guidato dal profumo del sangue umano giunse in una strada a
fondo chiuso e si accorse che da lì proveniva.
Nell'oscurità distinse due figure, si trattava di un uomo e
una donna.
Con lentezza e calma degne di un predatore si avvicinò alle
due figure, scorgendo le parole della conversazione e focalizzandosi
sui loro pensieri.
La donna era intimorita dall'uomo e quest'ultimo non aveva buone
intenzioni verso di lei.
Il nato si fermò a pochi passi dai due e scandì
semplici e fredde parole.
-Ti sembra il modo di trattare una
signora?- nell'udire la voce del nato l'uomo si
allontanò dalla ragazza e si girò verso di lui.
-E tu chi cazzo sei?- Quinlan riusciva a
percepire l'agitazione e la paura scorrere attraverso le sue vene, e
fece un passo verso di lui.
-Sono il tuo peggior incubo.- E detto
ciò lo prese per la gola con la mano destra, sollevandolo da
terra.
Udì la ragazza correre via, uscendo da quel lurido vicolo, e
si concentrò sulla sua preda.
Fece uscire dalla bocca il pungiglione e gli trafisse la gola,
iniziando a bere tutto il suo sangue, gustandosi ogni singola goccia.
Quinlan amava quella sensazione di appagamento, gli ricordava quando
tornava a casa dopo una giornata di battaglie e finalmente poteva
dedicarsi a sua moglie, curando ogni sua voglia e accontentando ogni
suo vizio.
Era sempre stato gentile con lei, l'aveva sempre rispettata e amata, ma
non era riuscito a proteggerla.
Una sera dopo essere ritornato nella sua abitazione la
ritrovò in piedi ad aspettarlo, gli dava le spalle.
Il nato avvertiva che c'era qualcosa di strano in lei, ma era ancora
troppo giovane e inesperto per accorgersene.
Ben presto la donna si voltò e attaccò Quinlan,
che dovette difendersi e ucciderla.
Il Padrone era riuscito a trovarla e a trasformarla e Quinlan
era abbastanza sicuro che lo stesse osservando proprio mentre
combatteva contro la sua amata.
Quinlan era un essere sovrannaturale, tutto di lui era combattivo e
imponente, un ottimo guerriero e cacciatore, dotato di forza,
velocità e ferocia come nessun altro e da quel giorno aveva
promesso a se stesso che avrebbe cercato e distrutto il padrone, anche
se ciò avrebbe comportato la sua stessa fine.
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