Vero prologo Eliza
Prologo.
Correva e correva. Perché correre, si chiedeva.
Perché fissarsi così tanto su un obiettivo che potrebbe
portare alla morte, o all'epifanica fine della sua sanità
mentale. E di quella di Terry.
Terry. Ecco perché correva. Un ramo le strappò i jeans e
le graffiò una gamba. Stava risalendo la collina da soli cinque
minuti e sentiva i polmoni collassare su se stessi sotto lo sforzo
inusuale. La borsa a tracolla verde le batteva insistentemente sulla
coscia, quasi a ritmo del suo battito cardiaco. Non riusciva a vedere
dove fosse il vecchio fabbricato, eppure sapeva fosse da quelle parti.
Il sole di mezzogiorno la accecava in continuazione, filtrava tra gli
alberi e la disorientava. Si rese conto di essere preda del panico,
quindi si fermò. Scostò i capelli dal viso, si
appoggiò ad un tronco e cercò di riprendere fiato. Uno,
due, tre. Uno, due, tre. Sua madre le aveva insegnato così. Uno,
due, tre. L'aria le bruciava i polmoni. Una formica attraversò
il suo pollice e il sangue le colava dal polpaccio alla caviglia, caldo
e denso come solo il sangue sapeva essere. Soppresse un singhiozzo
e intravide un edificio rovinato davanti a sé, a destra.
Ricominciò ad avanzare. Correva di nuovo. Vide l'auto rossa di
Terry e seppe di avere ragione. Di avere avuto ragione da sempre.
C'erano altre due auto accanto alla sua.
Quando spinse con forza la porta arrugginita, essa cedette come se fosse
stata utilizzata così tante volte da non avere più
nessuna resistenza. L'odore di aria stantia le arrivò alle
narici e la vide. Terry. Era seduta sul lurido pavimento, la testa
ciondolante, le spalle contro la parete. Due paia di occhi fissavano la
nuova arrivata.
- No... - mormorò Eliza. - Vi prego no.
Qualcuno dietro di lei chiuse la porta. Sentì il panico
riaffiorare. Terry allora rialzò la testa, sorrise trionfante ed
Eliza seppe di essere stata incastrata. Non aveva ragione. Non aveva
mai avuto ragione.
Un dolore persistente
all'osso sacro la riportò lentamente alla
realtà. Eliza aprì gli occhi gonfi. Era semi sdraiata, le
gambe divaricate, la tracolla in mezzo ad esse. Cos'era successo? Si
toccò la testa, controllò di non essere ferita. Era
ancora vestita. Era ancora vestita. Era ancora vestita. Mormorò
ripetutamente quelle tre parole, per cercare di rassicurarsi. Non era
stata stuprata. Si rese conto di essere nello stesso posto dove aveva
visto Terry. Ma ovviamente Terry non c'era. Non c'era più
nessuno. Il braccio destro le bruciava. Quando abbassò lo
sguardo, vide una siringa infilata nella piega del gomito. Gemette.
Aveva paura. Serrò le palpebre, voltò il viso nella direzione
opposta ed estrasse l'ago. La siringa rotolò accanto a lei. Si
rialzò, perse l'equilibrio e si sostenne appoggiandosi alla
parete. Afferrò la borsa a tracolla, affrontò i quattro
metri che la separavano dalla porta ed uscì. Il sole era basso
all'orizzonte, coperto da nuvole grigiastre, ma il mondo era ancora visibile. Eliza cadde in
ginocchio, si mise a carponi e vomitò.
La vecchia, di
nome Nana, sospirò. Emise il cinquecentosessantreesimo sospiro della
settimana, ed era solo mercoledì. Era una serata cupa, nebbiosa.
L'orologio a pendolo nell'angolo misurava i minuti che passavano lenti,
accompagnati dagli scricchiolii delle centinaia di oggetti raccolti in
quel piccolo negozio di antiquariato. Un quadro posto dietro Nana,
grande quanto lo schermo del portatile inutilizzato lì accanto, si
sbilanciò di mezzo millimetro. Si distraeva grazie al rumore delle
poche macchine che passavano all'esterno, una compagnia decisamente
triste. Non desiderava altro che occuparsi di quella piccola creatura
che le toglieva il sonno e la malinconia, nell'appartamento al piano di
sopra.
La porta del negozio si aprì, introducendo un giovane infreddolito e occhialuto.
- Sei in ritardo, Lucas - disse Nana, senza alzare gli occhi dalla sua noiosa occupazione.
Lucas,
dal canto suo, non si disturbò nemmeno di salutare. Gli tremavano le
membra, i denti, la voce. Si fermò sull'uscio, mentre la nebbia al di
fuori si infittiva.
- Nana... - balbettò.
La
vecchia alzò di scatto la testa, spaventata dal suo tono di voce. Vide
il quindicenne stringere convulsamente la maniglia della porta, pallido
e sudato. Si scambiarono un'occhiata terrorizzata attraverso il negozio
polveroso. Si accorsero nello stesso istante che il pendolo non
oscillava più.
- L'hanno richiamata - annunciò Lucas.
Non
ebbe il bisogno di pronunciare il suo nome, entrambi sapevano a chi si
riferiva. La vecchia cercò di non scomporsi. Chiuse il quadernino con
un tonfo, si alzò dalla sedia, la quale strisciò sul pavimento e si
scontrò contro la parete, facendo vibrare il quadro. Raffigurava una
mela giallo brillante appoggiata su una mano elegante, femminile.
Entrambi gli sguardi si posarono su quella modesta opera d'arte, come
se la cornice storta avesse segnato il loro destino.
- Quando? - domandò Nana.
Cercava di restare calma, nonostante i brividi la stessero scuotendo da capo a piedi.
- Oggi.
Nana scoppiò a piangere.
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