Premessa. Questa storia è ambientata
durante il breve soggiorno dei Vincitori e dei Ribelli a Capitol City, subito
dopo la fine della rivolta. In poche parole, è ambientata qualche giorno dopo
la morte di Snow e l’uccisione della Coin da parte di Katniss. Nel mio
immaginario, sia Johanna che Gale sono ancora a Capitol City e vengono ospitati
in camere adiacenti.
Questa
storia si ispira al prompt “Johanna che si sente come un tronco alla deriva
nelle rapide” lasciatomi da Chara (anche se in realtà le rapide non vengono
mai menzionate, porta pazienza -\-)
Alla
Deriva
«La
sensazione è di non avere alcun controllo. La sensazione è che stiamo andando
alla deriva. Non è come un viaggio. È più come se stessimo solamente
aspettando.»
Survivors. Chuck Palahnniuk
Quando
un tronco finisce in acqua non affonda, ma con il tempo diventa pesante. È un
corpo morto, inerte, trascinato con violenza dai capricci della corrente.
Johanna
aveva incominciato a sentirsi così dopo il periodo di prigionia, quando aveva
messo per la prima volta piede dentro una doccia.
Il
contatto con la superficie spugnosa e umida del tappetino le dava l’impressione
di venire risucchiata verso il basso e le porte metalliche del box alimentavano
la sensazione di reclusione.
Aveva
resistito a fatica ai primi dieci secondi di getto, ma ogni striatura d’acqua
che le scorreva addosso era dolorosa come un colpo di frusta. L’acqua la
trascinava prepotente verso i suoi incubi e lei non poteva fare niente per
ricacciarli indietro. Era in balia di quella pioggia artificiale, appesantita
dal ricordo dell’elettroshock, ancora percepibile. Dai graffi che
le sfregiavano la pelle, rendendola rugosa e irregolare come la corteccia di un
albero.
Così,
Johanna aveva smesso di fare la doccia, ma la sensazione di debolezza e
appesantimento non si era ridotta. Forse era troppo pregna d’acqua e di ricordi
di torture. Forse era semplicemente infastidita dall’idea di essersi lasciata
sconfiggere da una paura così stupida.
E
poi era arrivato Gale.
In
realtà era stata lei a piombare addosso al ragazzo, una delle ultime sere trascorse
a Capitol City dopo la rivolta. Era stanca del trambusto di sedie rovesciate e
vetri infranti provenienti dalla stanza di fianco alla sua. Stanca dai silenzi
affilati con cui il giovane soldato graffiava chiunque provasse ad
avvicinarglisi. Stanca della rabbia, del dolore e della rassegnazione con cui Gale
sedeva per intere mezzore di fronte alla porta di Katniss, nella speranza di
sentirla parlare. Di sentirsi chiamare, forse: di scoprire che l’aveva
perdonato, che lo aspettava, che aveva ancora bisogno di lui.
Stupido,
stupido Hawthorne.
All’ennesimo
rumore di oggetti scaraventati per la stanza, Johanna aveva spalancato la porta
della camera a fianco senza tanti complimenti.
Lui
era lì e respirava affannato, con i pugni appoggiati al muro. Aveva addosso
solo i pantaloni e i piedi nudi erano circondati da schegge di vetro: uno dei
suoi talloni sanguinava.
Era
girato di schiena e questo permise a Johanna di osservare per la prima volta la
sua schiena scorticata. Anche Gale, come lei, era un pezzo di legno rovinato.
Un tronco d’albero reciso, abbandonato in balia di qualche discesa troppo
ripida. O forse di un fuoco di quelli voraci, costantemente alimentati dal
vento.
Quando
il ragazzo si voltò, Johanna non riuscì a trattenere un ghigno di
apprezzamento, in aperto contrasto con la maschera di dolore e rabbia che
contraeva i lineamenti del giovane.
Tuttavia,
la sua espressione si indurì quando riconobbe il rumore d’acqua scrosciante che
proveniva dalla porta spalancata del bagno.
“La
guerra è finita…” dichiarò secca a quel punto, mettendosi a braccia conserte. “…
E nella stanza accanto alla tua qualcuno starebbe cercando di godersi un po’ di
pace.”
Questa
volta fu Gale a sorridere sarcastico. Nessuno in quell’ala del Palazzo di
Addestramento sarebbe riuscito a rilassarsi in un posto come quello: né Gale,
né i Vincitori superstiti e, dunque, tanto meno Johanna.
“Non
preoccuparti, non darò più fastidio a nessuno” ribatté freddo il ragazzo,
superando i cocci di vetro. Prese l’asciugamano bianco buttato sul letto e si
diresse in bagno.
Fece
per slacciarsi i pantaloni, ma quando si accorse che Johanna era rimasta
immobile e continuava a fissarlo, lasciò perdere.
“Potresti
andartene?” sbottò, visibilmente seccato. “Devo farmi la doccia.”
Il
ghigno di Johanna tornò a riempirle il viso di malizia.
“Potrei,
ma non mi va…” replicò, avvicinandosi a lui. Esaminò con interesse il corpo del
ragazzo per farlo innervosire ulteriormente. “Sai com’è… Vederti nudo sarebbe
la prima cosa interessante a cui mi capita di assistere da mesi.”
Gale
non reagì alle sue provocazioni. Si limitò ad analizzarla a sua volta con
sguardo cauto, distaccato.
Infine,
il ragazzo si voltò e tirò una delle porte della doccia. Lo scroscio d’acqua si
fece più intenso e Johanna arretrò d’istinto. Tutto a un tratto le venne voglia
di prenderlo a pugni.
“Perché
non entri anche tu, allora?” ribatté freddo: non c’era malizia nel
suo sguardo, solo rabbia e aria di sfida. E anche qualcos’altro a cui Johanna
non riuscì a dare un nome, ma che trovò comunque il modo di infastidirla.
Le
bastò guardarlo negli occhi per intuire che sapeva, che la sfida che gli
aveva mosso aveva un secondo fine: quello di istigarla a scuotersi di dosso la
paura e la rabbia che non sapeva raschiare via da se stesso.
Lo
odiò, per quello. Lo odiò perché in pochi secondi l’aveva resa vulnerabile,
annientando con l’acqua la sua sfrontata assenza di pudore. Lo odiò perché
sapeva di non potersi permettere la resa in una situazione come quella, a costo
di perdersi nella violenza delle correnti d’acqua.
Lo
odiò perché temeva la sua reazione a contatto con l’acqua e perché era certa
che lui lo sapesse: ce l’aveva scritto nello sguardo e sembrava certo di avere
la vittoria ormai in pugno.
E
infine Johanna sorrise, con l’aria sardonica di chi vuol far credere di avere
tutto sotto controllo.
“Perché
no?” sussurrò maliziosa, sfiorandogli il collo per poi scendere fino al torace,
là dove due proiettili avevano rovinato la sua pelle con ferite ancora non del
tutto cicatrizzate.
Per un
istante il ragazzo sembrò sul punto di allontanarle la mano, ma il ricordo
della sfida in atto lo trattenne.
Johanna
incominciò a spogliarsi, con la scioltezza ereditata da anni di buon viso a
cattivo gioco, essenziale per sostenere il personaggio che si era costruita
addosso.
Gale
l’osservò impassibile, deciso a non mostrare segni di cedimento. Quando Johanna
calciò via anche l’ultimo indumento non si era ancora mosso di un millimetro,
lo sguardo indifferente o e le braccia serrate sul petto.
Erano
entrambi troppo rabbiosi e feriti dalle proprie battaglie personali per potersi
permettere di lasciarsi toccare da emozioni neutre come l’imbarazzo.
“Tocca a
te, bellissimo” lo punzecchiò Johanna con un sorrisetto di sfida.
Giocherellò
con la cerniera dei suoi pantaloni fino a quando Gale non si decise a
spogliarsi a sua volta.
Johanna
dovette frugare a lungo nel suo sguardo per scovare una punta d’imbarazzo, ma
quando la trovò il suo sorriso divenne ancora più marcato.
Gale
s’introdusse nella doccia per regolare il getto d’acqua, che nel corso
dell’ultimo quarto d’ora si era fatto bollente.
“Allora
entri?” le chiese, rinnovando l’aria di sfida di poco prima. Cercava di
mostrarsi calmo, ma la sua tensione era palpabile: sembrava arrabbiato, deciso
a risolvere la questione il prima possibile.
Johanna
mise prima un piede sull’odioso tappetino di gomma e poi il secondo,
rabbrividendo allo scroscio d’acqua tagliente che le si riversò addosso.
D’istinto
chiuse gli occhi e boccheggiò: per un istante, un istante solo, si sentì
scaraventare con violenza sott’acqua e attese con paura le scosse che di lì a
poco l’avrebbero trafitta.
Cercò
di sgusciare fuori dalla doccia, ma la presa energica di Gale la trattenne
all’altezza dei fianchi.
“Lasciami!”
sbottò lo ragazza, piantandogli le unghie nelle mani.
Gale allentò la presa. Raccolse l’asciugamano che aveva appoggiato alla porta
della doccia e glielo porse.
“Va
tutto bene” mormorò poi, chiudendo il getto d’acqua.
Johanna
scosse la testa, incredula.
“Va
tutto bene?” ripeté seccata, prima di colpirlo con l’asciugamano arrotolato. “Proprio
tu, Hawthorne? Tu, che passi le giornate ad auto-distruggerti e fare a pezzi
la tua stanza vieni a dirmi che va tutto bene?”
“Smettila”
replicò incollerito il ragazzo, scostandosi i capelli fradici dagli occhi.
“No,
smettila tu” lo rimbeccò Johanna, colpendolo ancora una volta con
l’asciugamano. “Già che ci sei dimmi anche che sono perfettamente al sicuro:
nudo e fradicio come un pulcino sotto la pioggia magari riesci anche a suonare
più convincente di Aurelius.”
Gale si
riappropriò dell’asciugamano e se lo legò in vita, prima di indirizzarle un’occhiata
cauta.
“Nessuno
è mai perfettamente al sicuro” ribatté, in tono di voce insolitamente fermo. “Ma
non troverai nessun pazzo armato di attrezzi per l’elettroshock in una doccia.”
“E
credi che io non lo sappia?” sbottò Johanna, stringendosi le braccia al petto
per ripararsi dal freddo. “Credi che sia contenta di puzzare come una capra
solo perché non ho le palle per ficcarmi sotto un getto d’acqua?”
“Perché
non ci provi?” replicò Gale, porgendo un asciugamano a Johanna.
La
ragazza glielo sfilò dalle mani solo per colpirlo ancora una volta.
“Ma
sei scemo o cosa?” strillò, gettandolo per terra.
“Intendevo
dire provarci più volte” specificò il ragazzo in tono di voce nervoso,
distogliendo lo sguardo. “Se mi fossi arreso tutte le volte che ho cercato di
costruire una trappola e non ci sono riuscito non avrei mai preso nemmeno un
coniglio.”
Johanna
lo fissò in cagnesco, per nulla convinta dalle sue parole. Non aveva senso
mettere a confronto le sue abilità artigianali con la paura di venire fritti
nell’acqua. Stava per augurargli di venire torturato da un esercito di
coniglietti assatanati, quando il fantasma di un ricordo vago le accarezzò la
mente.
Ripensò
all’espressione cauta di sua sorella Sloane mentre le porgeva l’ascia e una se
stessa bambina dall’aria furibonda, con le mani sottili piene di calli. Era
arrabbiata con se stessa perché non aveva forza a sufficienza nelle braccia per
adoperare l’ascia. Alla fine se l’era presa con sua sorella, che continuava a
porgerle l’accetta per riprovare, facendole così fare ogni volta la figura
della stupida di fronte agli altri boscaioli.
L’aveva
odiata quel giorno, proprio come in quel momento odiava Gale.
Poi,
però, dopo un paio di settimane di tentativi, la lama della sua ascia era
andata a fondo per la prima volta. Le sue mani stavano diventando più forte e
resistenti. E tutto quell’odio si era silenziosamente trasformato in
gratitudine.
Johanna
indirizzò a Gale una lunga occhiata inquisitoria. Infine, lo spinse di lato e
azzardò un passo verso il box doccia.
Quando
roteò il pomello di accensione lo scrosciò d’acqua la punse all’improvviso, facendola
sobbalzare. Tuttavia, non uscì. Si limitò ad irrigidirsi e a spostarsi di lato
per evitare il grosso del getto.
“Che
stai aspettando? Un’illuminazione divina?” commentò poi, dando le spalle a
Gale.
L’espressione
del ragazzo venne alleggerita per un istante da un lieve sorriso. Lentamente,
si sfilò l’asciugamano e tornò nella doccia. Regolò il getto d’acqua per
indebolirlo e, solo a quel punto, Johanna si staccò dalla parete del box.
Circondò
il collo di Gale con le braccia e si strinse a lui, facendo aderire i loro
corpi.
“Se
esci e mi lasci sola qui dentro ti ammazzo” gli sussurrò poi, sfiorandogli
l’orecchio con le labbra.
“Non
lo farò” dichiarò fermo il ragazzo, facendole scivolare le mani sui fianchi.
Johanna
si era aspettata di irrigidirsi e stringere i denti nel momento in cui l’acqua
avrebbe incominciato a pungerla con insistenza, coprendole volto e bocca. E
così accadde. Quello che invece non si era aspettata era la sicurezza che
avrebbe tratto dalla presa salda del ragazzo sui suoi fianchi, dal contatto con
il suo corpo, dal supporto donatole dalle sue spalle.
Non
esitò prima di cercare le sue labbra e far scendere le mani ad accarezzargli il
torace e poi il ventre, senza perdere il contatto contro la sua pelle; senza
osare allontanarsi troppo, per evitare di perdersi nella pioggia d’acqua
crudele, di finire alla deriva.
Con
sua sorpresa, Gale la lasciò fare; rispose ai suoi baci con una voracità
improvvisa, sospingendola contro la parete della doccia. La proteggeva dal
getto, facendole scudo con la schiena. Forse Gale non aveva paura dell’acqua,
ma c’era qualcosa di quella situazione che sembrava trafiggerlo allo stesso
modo con cui il getto tiepido faceva soffrire lei. E in quel momento, toccarsi
e sfogarsi l’uno con l’altra era l’unico modo per tenere il tormento a bada.
La
presa di Gale sui suoi fianchi era rimasta salda – gentile, ma ferma: Johanna
appoggiò le mani sulle sue per guidarle verso il basso, mentre le labbra del
ragazzo studiavano il suo corpo. Tirò poi indietro la testa e gemette,
concentrandosi sul tocco caldo dei suoi baci per ignorare quello gelido
dell’acqua. C’era del fuoco nei modi irruenti di Gale, nella foga con cui la
cercava e l’accarezzava, e Johanna immaginò che una tale fiamma potesse,
talvolta, far arretrare chi non vi era avvezzo. Forse era per quello che Gale
sembrava convinto di poter ferire con il solo tocco di una mano. Di rischiare
di deludere con un solo sguardo, di allontanare gli altri con qualche parola.
Forse
era per quello che se ne stava spesso in silenzio. Imbottigliava la rabbia – il
fuoco – e la faceva esplodere tutta d’un colpo, quando ben pochi sarebbero
stati in grado di soffocarla.
A
lei, però, quel fuoco faceva bene. L’aiutava a tenere a bada l’acqua: a
renderla insulsa e insignificante ai suoi occhi, perché per quanto forte non
era in grado di spegnere le sue fiamme.
Tornò
ad aggrapparsi alla schiena del ragazzo e avvolse una gamba al suo bacino,
facendo pressione per far aderire ulteriormente i loro corpi.
Gale
si mosse per assecondarla, accarezzandole le natiche. Le sue labbra ripresero a
percorrerle il collo e poi i seni e a quel punto Johanna era completamente
esposta al getto d’acqua della doccia. Tuttavia, non ebbe tempo di pensarci, né
di provare rabbia e disprezzo per se stessa al pensiero di quanta paura le
mettesse qualcosa di così insulso e fragile come un po’ d’acqua.
Non
era più solamente un pezzo di legno strattonato dalla corrente, ma anche un
corpo riscaldato dal fuoco. I brividi che le attraversavano la pelle
l’irradiavano di piacere e non di paura. I ricordi violenti della sua prigionia
erano caduti in basso, sotto la corteccia, e per un attimo la lasciarono in
pace.
“Possiamo
chiudere l’acqua quando vuoi” mormorò improvvisamente Gale, facendo scorrere le
dita lungo le braccia di Johanna: si era accorto che tremava, che aveva la
pelle d’oca.
La
ragazza scosse categorica la testa, benché una parte di sé stesse lottando per
convincerla a dire di sì.
“Non
ti fermare” gli mormorò invece contro la bocca, prima di mordicchiargli appena
un labbro.
Gale
sorrise e tornò a far scorrere le dita lungo i suoi fianchi e poi più in basso,
afferrandole le cosce per permettere ai loro bacini di aderire.
Mentre
la prima spinta costringeva Johanna a un nuovo gemito e i suoi brividi a farsi più
insistenti, l’acqua tornò a farle paura per un istante.
Per
un secondo, un secondo solo, si sentì disarmata, vulnerabile, in piena balia di
quel piacere che le stava scorrendo dentro.
Se
le scosse di elettro-shock l’avessero sorpresa in quel momento non avrebbe
potuto fare nulla per difendersi, per mostrarsi spavalda nonostante il terrore.
Per salvarsi.
D’istinto
tornò a irrigidirsi e si aggrappò a Gale con maggior vigore, affondando le
unghie nella sua carne.
Era
tornata a sentirsi un pezzo di legno in balia della corrente.
Gale
digrignò i denti in una smorfia di dolore, ma non disse nulla. Sollevò lo
sguardo per incontrare quello di Johanna, che era velato in egual misura da
terrore e piacere.
“È
vero, non sarai mai perfettamente al sicuro” mormorò a quel punto il ragazzo, cercando
alla cieca il pomello della doccia per moderare il getto d’acqua “Ma quello che
posso assicurarti e che in questo momento, insieme a me, lo sei.”
Johanna
sostenne lo sguardo a lungo, incapace di distogliere il contatto. Alla fine si
costrinse ad alzare gli occhi al cielo con fare cinico. Non era riuscita
tuttavia a ignorare la stretta insolita che aveva avvertito fissando così a
lungo i suoi occhi grigi. Era ancora alla deriva, ma in quelle acque le
correnti avevano incominciato a farsi meno violente.
“Te
lo ripeterò ancora una volta, Hawthorne, ma ascoltami bene perché sarà l’ultima”
mormorò infine, rinvigorendo la presa delle sue gambe attorno al bacino di
Gale. “Non. Ti. Fermare.”
Il
ragazzo scosse appena la testa, ma, ancora una volta, non riuscì a nascondere
un mezzo sorriso.
Tornarono
a far aderire i loro corpi, concedendosi al piacere e lottando per sfuggire al
dolore sempre in agguato.
*
Quando
un tronco finisce in acqua non affonda, ma con il tempo diventa pesante. È un
corpo morto, inerte, trascinato con violenza dai capricci della corrente.
Eppure,
c’è una probabilità su un mille che qualcuno prima o poi trovi quel tronco.
Qualcuno di altrettanto smarrito, rovinato ed esausto: qualcuno in cerca di un
appoggio.
È
probabile che, a quel punto, la persona si aggrapperà al tronco. Il pezzo di
legno sicuramente continuerà a sentirsi pesante e inutile. Verrà ancora
strattonato dai corsi d’acqua o dalla furia delle rapide, eppure questa volta
avrà qualcuno con cui condividere il dolore e la paura. Qualcuno con cui spartire
la stessa, attanagliante sensazione di smarrimento.
E
forse, prima o poi, uno di quei corsi d’acqua tutti uguali trascinerà entrambi
fino a riva.
Forse,
un giorno, grazie a quel qualcuno il tronco di legno verrà condotto a casa.
Note
Finali.
È
da diverso tempo che sogno di scrivere una shower!Ganna, probabilmente perché già
in diverse storie, soprattutto in Mi Aggrappo a Te,
avevo accennato che nel mio head-canon Johanna fa praticamente sempre la doccia
con Gale, per via della sua fobia dell’acqua. In realtà la prima shower!Ganna
me l’ero immaginata molto più fluffosa, ma alla fine non ce l’ho fatta, mi è
venuta fuori più ‘spigolosa’. La verità è che non riuscivo a immaginarmeli
troppo sdolcinati siccome la storia è ambientata in un momento abbastanza
angst. Johanna è ancora devastata da ciò che le è accaduto durante il periodo
di prigionia e arrabbiata con se stessa per via di questa fobia paralizzante
che la rende fragile e vulnerabile. Anche e Gale è devastato, vuoi per la morte
di Prim e la questione delle bombe, vuoi per via di Katniss e del modo in cui
si è chiusa in se stessa dopo l’uccisione della Coin. Tra l’altro, qui Gale e
Johanna sono ancora poco più che conoscenti, nonostante abbiano già condiviso
alcuni momenti assieme, come raccontato per esempio in “Prendi la mia
mano”. Eppure, io mi sono sempre immaginata la loro prima volta a questo
punto della loro relazione. Non sono ancora guidati da un sentimento vero e
proprio, ma sanno capirsi, si sfidano l’un l’altro a superare le loro paure e si
leccano le ferite a vicenda. Solo con il tempo la loro relazione verrà
approfondita anche sul piano emotivo.
E
niente, è una cosa un po’ delirante, lo so. Ma ogni tanto il mio cuore torna a
tifare per la Ganna e il prompt lasciatomi da Chara era troppo bello e
azzeccato e ci tenevo a usarlo (anche se mi veniva da ridere perché scrivendo
di tronchi e bei fusti ignudi come Gale mi veniva in mente la Littizzetto con
il suo ‘tronco di pino’ xD). Ho inserito il rating arancione, però non sono
sicura che sia adatto, perché io e le lemon non andiamo molto d’accordo, sono
una grandissima imbranata a riguardo e, oltre a non saperle scrivere, fatico
anche a capire quando il rating diventa più scuro. Spero di aver inserito il
colore giusto!