Would you teach me how to smile again?

di Phoenix Mars Lander
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Would you teach me how to smile again?




 
La porta d'ingresso del carcere si apre e io mi sento un ragazzino, un bambino con le lentiggini innamorato pazzo che sta aspettando con trepidazione di rivedere il suo principe azzurro.
È passato un sacco di tempo da quel giorno, da quella volta in cui misi la mano sul vetro e tu avresti voluto ammazzarmi – e anche un po' baciarmi.
È passato un sacco di tempo dal nostro ultimo saluto, da noi due che ci guardiamo e ci guardiamo e basta, non ci tocchiamo, non ci spacchiamo le labbra perché ci sono le guardie che controllano ogni tua mossa e c'è la barriera di plastica e mi viene da ridere perché tu sei l'unica cosa sicura della mia cazzo di vita eppure ti ho detto addio a distanza di sicurezza.
Caleb mi ha chiesto un appuntamento e io ho detto sì, l'ho detto subito, d'istinto, dopo solo mezzo secondo di scetticismo. Perché mi sono perso il nostro. Perché l'ultima volta ho aspettato troppo.
Mi sento un grandissimo stronzo a tornare da te adesso. Forse anche tu ti sei sentito così quel giorno di merda in cui ti sei sposato. 
Non piango più così tanto.
Non piango più come quando mi rifiutavi e io volevo solo marcire sul pavimento.
Fiona dice che sto meglio, ora, ma la verità è che non rido neanche più nello stesso modo di prima.
Ti odio, ti odio perché ti sei portato dietro quelle fottute sbarre pure il mio sorriso e vorrei solo fare irruzione là dentro, prenderti a pugni e ordinarti di ridarmelo. Baciarti fino a farti perdere ogni goccia di quel sangue che è mio, ogni millimetro di quella smorfia che appartiene al mio viso e che ti sei fregato. 
Non so neanche con precisione quand'è successo. Forse quando scopavamo o quando dormivo o quando mi ha detto ti amo.
Mi hai detto ti amo e io ho riso.
Ha fatto un male cane quella risata. Non come quella che mi è scappata quando abbiamo picchiato tuo padre – quella è stata bellissima, porca puttana, è stata felicità allo stato puro che mi scoppiava in testa disintegrando ogni diamine di fobia.
Non rido più così.
Le mie risate adesso non fanno male e non fanno bene.
Non fanno nulla, mi tirano solo su gli angoli delle labbra.
Cammino verso la stanza in cui stai seduto, solo, senza sapere che sto arrivando, e all'improvviso non so come giustificarmi, non so cosa confessarti, non so come superare quei ventisei metri.
Vorrei dirti che mi mancano le tue falangi, mi manca il tuo sangue sui miei polpastrelli, mi mancano le tue ciglia sulle mie lentiggini.
Meno quattro metri e tu mi vedi
Nessuno mi ha mai più visto così.
Spalanchi gli occhi e io ti raggiungo, finalmente, di nuovo, sempre, ti raggiungo e mi siedo.
Faccio un respiro profondo e afferro il telefono.
Vorrei dirti ti amo, sposami, concedimi un appuntamento, sono un ragazzino innamorato pazzo, usciamo domani a pranzo, ti odio.
Piango e sorrido.
«Scusa il ritardo.»









Author's corner ~
I miei metodi per tirarmi su il morale fanno schifo, me ne rendo conto.
E niente, spero che questa mini one shot vi sia piaciuta e che ve la stiate passando meglio di me nel sopportare la mancanza di Mickey e dei Gallavich c.c

*distribuisce amore e biscotti* 
 




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