Inferno.

di MetalheadLikeYou
(/viewuser.php?uid=130144)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Capitolo 25




Il giorno della sua partenza arrivò troppo velocemente e proprio come immaginavo, passai tutta la mattinata a non parlare.
Sapevo che se gli avessi detto qualcosa, sarei scoppiata di nuovo e non ne avevo la forza.
Così come mi aveva detto, mi aiutò a trovare una psicologa brava disposta ad aiutarmi ed ascoltarmi, ripetendomi con gentilezza che le cose sarebbero migliorate e anche se un po riluttante, decisi di fidarmi.
Lo vidi iniziare a smontare la sua Korg, sistemandola delicatamente nella sua custodia e fissandomi.

"E quella?" - domandai mentre portava vicino alla porta la valigia e la custodia.
"Quella te la lascio, suonare ti fa bene, sorridi".
"Io..non so cosa dire".
"Non devi dire nulla" - rispose ridendo e poggiandomi come sempre la mano destra sulla testa, facendomi sentire una bambina.

Lo abbracciai, poggiando la testa sul petto.

"Grazie" - dissi piano.
"Non devi ringraziarmi".
"Invece si perchè tu mi stai aiutando, mi sei vicino e io ti voglio bene".
"Piccola Hell, anche io te ne voglio".



***


Esattamente un mese dopo la sua partenza, decisi di recarmi dalla psicologa.
Presi coraggio e decisi di voler dare un taglio al mio passato.
Volevo andare avanti, ricominciare a vivere per me stessa ma anche per chi mi stava vicino.
Per Tuomas.
Per Bill.
Per William.
Per Tony con cui avevo chiarito.

La sera mi mettevo a suonare, appuntando su un vecchio quaderno tutte le melodie che mi venivano in mente e ciò, nonostante fossero tutte parecchio tristi e malinconiche.
Suonare mi riempiva il cuore di gioia.

Volevo smetterla di annullarmi per colpa di una disgrazia fin troppo dolorosa.
Volevo anche ritrovare quella Hell sorridente che avevo volutamente sepolto sotto finti sorrisi di circostanza e continuo pessimismo.
Avrei benissimo potuto competere con Leopardi.
Avevo il disperato bisogno di trovare un muro su cui poggiare la mia scala ed inziare la mia scalata, stando attenta a dove mettere i piedi.


Andrea Miller, la mia psicologa era la classica donna sulla cinquantina, con i capelli lisci in un caschetto perfetto e ordinato, dagli occhiali quadrati e spessi e la mania per l'ordine.
Nel suo studio non vi era polvere e sulle pareti, vi erano in bella mostra gli innumerevoli attestati che si era guadagnata nella vita.
L'unica cosa che poteva risultare anormale per uno studio così perfetto che rispecchiava indubbiamente l'anima e la vita della dottoressa, era il forte odore di incesco che aleggiava nell'aria e infondeva uno strano senso di pace.
Andare da lei, rappresentava uno sfogo e nonostante la mia strana quanto nuova timidezza, mi aiutava nella mia lunga e forse infinita scalata.

Per circa due anni di fila, ogni Martedì, mi sedevo su quella poltrona, comoda e invitante, costringendomi a calmare il mio cuore e dar sfogo a tutti i pensieri tristemente negativi che affollavano la mia mente, riuscendo in qualche modo ad affrontare quei demoni che tanto mi avevano terrorizzata nelle mie notti.
E mi sentivo meglio.
Molto meglio.
Mi sentivo libera e tranquilla, riuscendo anche a non sforzarmi più nel dover sorridere, gesto che di tanto in tanto tornava automatico sul mio volto, donandogli una luce nuova.
Ma la mia scala era lunga e quelli erano solamente i primi gradini.
Il mio percorso, inziava dalla mia infanzia, passando per gli anni in orfanotrofio o nelle famiglie che poco avevano rapprestentato per me una base solida.
Si proseguiva poi per la mia voglia di vita, la mia fuga verso il nord, verso la mia tanto amata Finlandia che ora più che mai mi mancava.

Raccontavo e comprendevo che i miei amici, o quelli che consideravo tali, per me rappresentavano la mia famiglia e così come avevo capito in precedenza, l'idea che anche solo uno di loro potesse uscire da quella struttura che io avevo inconsapevolmente costruito.
E poi si arrivava alla parte difficile.
La continua lotta tra Lui e Ville, la mia spasmodica necessità di mantenere in piedi un rapporto che forse sarebbe dovuto sfociare in altro, piuttosto che nell'odio reciproco.

Grazie ad Andrea, riuscii a capire che per quanto il mio amore nei confronti del biondo frontman dei Children of Bodom, per quanto sincero e ricambiato, non era solido e questa continua voglia di perfezione e la gelosia di entrambi, ci aveva portato più volte a doverci allontanare, soffrendo.
Ma, a distogliere l'attenzione su tutto ciò fu l'arrivo del bambino che mi costrinse a scegliere quale vita seguire.
Quale amore coltivare.
Ed Alexi era tornato prepotentemente a riavere la supremazia sul mio cuore.
Alexi.

Avevo da poco ricominciato a dire il suo nome, accorgendomi che faceva meno male del previsto e che con pazienza, avrei ricominciato a non soffrire più.
Il nostro rapporto era stato messo alla prova più volte e l'incidente fu quella che indubbiamente, decretò la fine dei giochi.
Stare insieme avrebbe portato forse ad ulteriore e futura sofferenza, quindi perchè mai avrei dovuto costringere qualcuno, oltre me stessa, a vivere una vita di continue discussioni e delusioni?
Lui, così come avevo affermato convinta nella mia stanza dell'ospedale, stava ricominciando a vivere e ciò l'avrebbe reso sicuramente più forte e forse, la mia fuga, era stata dettata dalla voglia di vederlo felice di nuovo.
Mi ero sacrificata per la sua felicità.

L'ultima parte dei miei racconti, come la maggior parte, andavano a finire su Ville e su quel maledetto giorno.
Ville.
L'eterno rivale e l'oscuro fantasma che percorreva silenziosamente le stanze della sua torre solitaria.
Lui era esattamente l'opposto.
L'unico capace di capire il delirio della mia mente, entrarvi quando voleva, prendere a braccetto i miei silenzi e tirarne fuori delle parole che nessun altro se non noi, potevamo capire.
Era un gesto così intimo che mi portava alla pace e i suoi continui sbalzi di umore, avevano condizionato il mio, rendendomi succube di se stesso e incapace di intendere e di volere se lui si avvicinava.

Quell'estasi che provavo in sua presenza era riconducibile ad un amore che covavo e nascondevo agli occhi di tutti, persino ai miei, constringendomi a ripetere che la mia voglia di averlo vicino fosse ricollegata all'amicizia.
Egoisticamente, credevo che avrei potuto continuare così, prendendo in giro non solo le persone che amavo ma anche me stessa e prima o poi il sipario sarebbe sceso inevitabilmente su quel mio teatrino.

"Stai migliorando molto dal primo giorno che sei venuta qui".
"Davvero?".
"Certamente, sei molto più rilassata e parli con più disinvoltura".

Sorrisi appena.

"Che ne dici di rendere meno frequenti le sedute obbligatorie e vedere come va?"
"Ok".
"Va bene, interrompiamo. Abbiamo finito, ogni tanto, ogni due o tre settimane ci rivedremo".
"Grazie" - dissi sincera.

Alla bella età di 35 anni, avevo finalmete riconquistato la mia stabilità e forse, una gran parte della mia vita.
Andrea, la mia psicologa, mi disse che forse era anche ora di tornare a casa, ripetendomi che per quanto mi sentissi a casa con Bill e il piccolo Will, era giunto il momento di chiudere il libro e iniziarne uno nuovo ed esso non era in America.

Non a New York.
Ma a casa mia.
Ad Helsinki, nel mio Inferno.









*******
Dopo secoli, sono tornata, con due nuovi capitoli pieni di novità.
Ce la farà la nostra Hell a tornare quella di prima?
Ce la farà a tornare a casa?
Oppure cadrà di nuovo nella sua spirale di sofferenza e malinconia?
Un bacione a chi ha letto e sta leggendo questo mio racconto e a chi mi ha lasciato e mi lascerà un suo parere.
Alla prossima <3





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3392535