Parenthood

di ViKy_FrA
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Parenthood

 

 

 

Si sedette nella poltrona scura dell’ufficio della dottoressa, guardandosi intorno un po’ a disagio. La donna sedeva di fronte a lui, composta ma rilassata, in un’altra poltrona identica.

“Come mai ha scelto di venire da me?”, iniziò lei, cortese.

Il ragazzo smise di guardarsi intorno e fermò lo sguardo sulla donna.

“E’ che… che c’è una ragazza che mi piace molto… e io piaccio a lei, credo… Insomma… Ma non dovrebbero esserci delle chaise longue e dei quadri astratti alle pareti?”

La dottoressa sorrise. “Se preferisci posso procurarmi un lettino, ma credo che un normale salotto metta le persone più a loro agio.” Aveva assunto un tono più confidenziale e ora attendeva che lui continuasse a parlare. Lui ridacchiò, esitò un poco e poi riprese.

Bhé, ho una ragazza, pensavamo di andare a vivere insieme, forse anche sposarci, non lo so. Ma prima vorremmo entrambi risolvere le nostre questioni in sospeso.”

“Questioni in sospeso?”

Inspirò a fondo e riprese a parlare lentamente, scegliendo con calma le parole.

“Sì, non possiamo far partire una vita insieme nel modo in cui siamo messi adesso. Se davvero ci sposassimo e poi avessimo dei bambini, sarebbe un disastro. E se anche solo vivessimo insieme, giorno dopo giorno, finiremmo solo col ferirci. Conosco i suoi limiti e lei conosce i miei, ma se dovessimo badare l’uno all’altra ho paura… abbiamo paura che questi limiti siano troppo grandi e ci impediscano di prenderci cura l’uno dell’altra e… e che finiremo col ferirci e basta.”

Rapidamente, le parole si erano incalzate e le frasi sovrapposte. Aveva rotto gli argini e finalmente aveva buttato fuori tutti i pensieri su cui rimuginava da mesi, pensieri che aveva percepito anche nella sua ragazza, ma che nessuno dei due aveva mai osato trasformare in parole. Li aveva percepiti nelle frasi a metà, in certi gesti arrabbiati o nervosi, nelle cose che la intristivano e in quelle che la rendevano felice. E allo stesso modo sentiva che era così anche per lei.

Li aveva buttati fuori nello studio di una psicoterapeuta arredato come un salotto, una terra di confine, un luogo di nessuno, perché se li avesse buttati fuori a casa propria sarebbero rimasti sui fornelli della cucina, sui mobiletti del bagno e sulle tende del soggiorno, come macchie di sporco. E lei li avrebbe visti. E lui avrebbe visto i suoi. E le frasi a metà, i gesti violenti e le cose malinconiche non avrebbero avuto più nulla da nascondere. E l’equilibrio precario che manteneva in piedi entrambi non sarebbe più bastato.

“Perché credi una cosa del genere?”

Il ragazzo sprofondò nella poltrona sospirando, sembrava si fosse svuotato. Guardò la donna dritto in faccia con un’espressione di rassegnata consapevolezza.

“Perché non siamo capaci di amare, o di essere felici. Non siamo capaci di vivere. I nostri genitori non ce l’hanno insegnato: non ne erano capaci nemmeno loro.”

“Ne sembri molto convinto.”

“Ho svariati anni di esperienza.” Si guardò le mani. “Shinji Ikari e Asuka Langley, come genitori, hanno fatto davvero schifo.”

 

 

 

 

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BHA, BUBBOLE!

 

Oh, , mica potevo starmene zitta il 29 Febbraio.

Infatti la fic esce incompleta. Ops!

Nella mia testa è una lunga oneshot, non credo la renderò una multicapitolo. Ma il 29 febbraio è arrivato prima che finissi di raccontarmela nella mia testa scriverla, quindi parto solo col “prologo”.

Come? Perché non ho aspettato di averla completata? E lasciarsi scappare l’occasione di dedicare a Eva un giorno che esiste solo ogni quattro anni? Come avrei potuto? =)

A presto! ^_^





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