*NB: Alcuni dei
personaggi presenti non sono di mia invenzione, ma sono degli originali
a cui ho chiesto il permesso ai rispettivi creatori per poterli
inserire nella mia storia*
Marco si alzò a fatica da terra, trovandosi ad arrancare su
gambe instabili che parevano potergli cedere in ogni momento, visto il
violento tremore da cui erano scosse. Avvertiva sulle labbra il sapore
rameico e disgustoso del sangue, mescolato ad una manciata di terriccio
che, involontariamente, doveva aver ingoiato mentre cadeva. Quel gusto
gli rivoltò lo stomaco portandolo a tossire convulsamente,
dei forti conati di vomito gli risalirono su per la gola, piegandolo in
due. Con entrambe le braccia si strinse lo stomaco mentre il mondo
attorno a lui pareva essersi fatto confuso, sfocato.
Quando
il suo stomaco finì di rimettere la bile che lo riempiva,
Marco si rialzò a fatica, sollevando poi il viso verso il
cielo che ora tendeva ad imbrunirsi. Aveva gli occhi bagnati da leggere
lacrime, dettate dal dolore fisico, dalla stanchezza e, doveva
ammetterlo, anche un po' dalla paura. Si sentiva esausto e senza quasi
accorgersene proruppe con un lungo e profondo respiro, lo sguardo
ancora perso verso il cielo, che comunque ai suoi occhi pareva ancora
sfocato. Gli ci volle qualche seconda per capire che non era la
stanchezza ad abbassargli la vista, ma la mancanza dei suoi occhiali,
sbalzati chissà dove dopo la sua caduta.
Con
delicatezza il ragazzo si portò una mano al viso, toccandosi
con estrema premura la radice del naso. Non stava cercando la conferma
di non indossare gli occhiali, già se ne era accorto, voleva
solo assicurarsi di essere ancora provvisto di un setto nasale, essendo
caduto a causa di un incontro sin troppo ravvicinato con il ramo di
albero.
Ad un
primo giudizio, per lo meno al tatto, non avendo a disposizione uno
specchio per assicurarsene, il naso pareva rosso e ingrossato.
Fortunatamente però non sembrava essersi rotto.
"Ora
sembrerò un pugile alle prime armi" sbuffò tra se
e se Marco ravvivandosi con la mano alcuni ciuffi dai corti capelli
scuri che gli cadevano sulla fronte, e ricadendo pesantemente seduto a
terra. Le gambe gli facevano troppo male per avanzare, gli si era
formato dell'acido lattico alle ginocchia e aveva tutti i muscoli
doloranti, era impensabile per lui proseguire. In più,
avrebbe dovuto ricercare lì intorno i propri occhiali, senza
aver indosso gli stessi, una sfida estremamente ardua e paradossale, in
cui ogni persona miope del pianeta si era trovata almeno una volta
nella vita. "Uhm... non dovrebbero essere caduti poi così
lontani" pensò cominciando a perlustrare a pochi centimetri
da se, non muovendo di un centimetro, aguzzando la vista per quanto gli
fosse possibile. Era notevolmente stanco e non desiderava nulla di
più che potersi fare una doccia calda e andarsene a letto.
La sua
ricerca venne però interrotta da una canzone degli ACDC che
aveva messo come suoneria del proprio cellulare, riposto nel taschino
interno del suo giubbotto in jeans firmato e fortunatamente indenne,
grazie a chissà quale miracolo.
-
Sì, che vuoi..?- rispose svogliatamente all'apparecchio
senza preoccuparsi di guardare chi fosse, non nascondendo nel tono
l'irritazione e la leggera incazzatura per la situazione in cui si
trovava.
-
M-marco! Dove sei finito?! - una voce squillante, che a differenza
della sua tradiva una certa preoccupazione mista a panico,
provocò a Marco un sospiro stanco. - Dovresti già
essere qui! Per te non è sicuro aggirarti lì
fuori!!! - gli urlava Simone, il suo migliore e più fidato
amico fin dall'infanzia, e il quale ora pareva sull'orlo di una crisi
di nervi. Per cui Marco si allontanò il telefono
dall'orecchio per non finire assordato.
- MARCO!
- insistette, già intuendo che l'amico non lo stesse
ascoltando,
- Si! Ho
capito che sei preoccupato! - lo interruppe urlandogli a sua volta
contro, avvertendo l'irritazione montare e volendo fermare qualsiasi
piagnisteo dell'altro sul nascere.
- Dove
sei? - probabilmente, intuendone la frustrazione, Simone parve calmarsi
notevolmente, prendendo un tono controllato e calmo, forse persino
serio, visti i suoi canoni.
- Credo
di essere nel boschetto dietro casa tua... ho cercato di far smarrire
le mie tracce quando mi sono accorto di essere seguito. Erano solo in
due, e sono riuscito a seminarli ma... - e qui s'interruppe, facendo un
altro sospiro, - ... Ma ora credo di essermi perso, sono ore che giro a
vuoto, e ormai mi sono pure stancato -
- Ore?!
- ripeté Simone, tornando nuovamente ad allarmarsi, per poi
essere vinto da un attacco di tosse simulato,
- Stai
ridendo... vero, Simo? - intuì Marco, un tremore alla mano
chiusa a pugno della rabbia, al quanto seccato quando l'amico non
riuscì più a dissimulare le risa, scoppiando
direttamente a ridergli in faccia.
- Ehm...
no - mentì Simone, schiarendosi rumorosamente la voce, - Ho
solo un po' di mal di gola - e tossi sforzatamente per altre due volte
per enfatizzare il concetto,
- Appena
ti vedo le prendi - lo minacciò, sbattendo con rabbia la
mano a terra, ritrovando così i propri occhiali. - Ah,
merd..! - imprecò sollevando le lenti e trovandone la
montatura piegata, li aveva colpiti inavvertitamente.
- Scusa,
scusa Marco - si affretto a dire Simone per calmare l'amico, trovandolo
sin troppo alterato, -... ma quel boschetto è poco
più grande di un giardino, non è una foresta.
Impossibile perdersi -
- Se io
mi sono perso, vuol dire che ci si può perdere! -
sottolineò Marco indossando gli occhiali che gli ricaddero
storti sul viso, sussultando per un improvviso dolore al naso. Si era
già dimenticato di aver appena preso un colpo dritto sul
setto nasale.
- Okay,
okay. Prova ad andare sempre dritto, vedrai che da qualche parte arrivi
- gliela fece fin troppo semplice Simone, ancora palesemente divertito
dalla situazione dell'amico,
- IO
DEVO ARRIVARE A CASA TUA! - lo interruppe, cominciando ad imprecare
subito dopo in maniera piuttosto colorita e volgare. - Non posso
permettermi di andare a zonzo a caso quando ho qualcuno piuttosto
incazzato e abbastanza psicopatico alle calcagna!! - gli
ricordò furente, ribollendo di rabbia e avvertendo una fitta
di paura pungergli lo stomaco.
- A
proposito di questo... - non pareva condividere la sua premura Simone,
facendosi anzi più esitante nel parlare, - Ho
dimenticato di dirti un certo dettaglio, quando ho detto di poterti
dare un posto in cui stare - confessò, e un senso gelo
attraversò Marco. Avrebbe picchiato quell'idiota. Mai una
volta che non combinasse qualche casino.
- Cosa
Simone?- e nella sua domanda si nascondeva la sottile minaccia: "Se mi
fai incazzare, te la vedrai così male che neppure tua madre
potrà riconoscerti"; Simone era però abituato
alle minacce a vuoto di Marco, e sapeva di non dover temere nulla da
lui.
Per
quanto gli abbaiasse contro, era Simo ad essere il più forte
trai due.
-
Ecco... all'indirizzo che ti ho dato. Ehm, quella non è
esattamente "casa mia" - si schiarì nuovamente la voce, sta
volta per il disagio,
- Sei
ospite di una casa di ricovero, vero?.. Niente lavoro, nessun titolo di
studio, ti sei riempito di debiti e ti hanno sfrattato, giusto? - c'era
un leggero godimento nel tono di Marco, quasi fosse soddisfatto delle
immaginarie sventure dell'altro. E pensare che era il suo migliore
amico.
Ciò
la diceva lunga su che tipo di persona fosse Marco Sartori,
- Ehm...
non esattamente - e Simone gli era fin troppo legato per notare quanto
bastardo fosse. D'altronde poteva capirlo, essendo stato colpito dalla
sventura, preferiva pensare che anche altri fossero nella sua medesima
situazione, piuttosto di sentirsi solo ad affrontare le proprie
sciagure.
- Non
esattamente? - ripete, facendosi più attento,
- Ecco,
se te lo dico per telefono, non mi crederesti. Ed è per
questo che te l'ho tenuto nascosto fino ad adesso - tentennava, e la
voce aveva cominciato a cedergli, probabilmente si stava rannicchiando
su se stesso come faceva sempre quando era nervoso.
-
Simone, cosa hai combinato? - cominciava sul serio a preoccuparsi,
- M-ma
nulla! - esclamò con voce squillante, - Sul serio, infondo
non è una cosa che dovrebbe preoccuparti, solo che...-
s’interruppe di colpo e, attraverso l'apparecchio, Marco
udì qualcuno chiamare l'amico. Era con altre persone?
"Ah!
Forse ha degli inquilini?.. Oppure addirittura una ragazza!?"
cominciò a fantasticare su ciò che l'amico
avrebbe potuto nascondergli. Se Simone si fosse davvero trovato a
coabitare con una donna, sul serio Marco avrebbe avuto
difficoltà a credergli. Lo conosceva da abbastanza tempo da
sapere che per lui era impossibile tenersi una fidanzata.
-
Simone? - cercò di attirarne nuovamente la sua attenzione,
sentendone la voce in lontananza a discutere con qualcun altro, aveva
un tono allarmato. C'erano forse problemi?
- Ah,
scusa. Stavo sistemando una cosa, comunque nulla che ti riguarda,
tranquillo - aveva la voce alterata, doveva trovarsi in
difficoltà, -... scusami, ma ora devo andare. Tu segui il
mio consiglio e vai sempre avanti, vedrai che arrivi da qualche parte
di sicuro -
-
Seeh..- rispose Marco scettico, trovando che infondo non gli era stato
poi molto d'aiuto, ma allo stesso tempo notando sempre più
la sua esigenza di chiudere presto la chiamata. - Ma se entro una
settimana non arrivo procurati una pala -
- Una
pala? -
- Per
cercare il mio cadavere - era una battuta triste, che in
realtà non voleva proprio essere una battuta. Se davvero
fosse stato troppo allungo lì intorno e i suoi inseguitori
lo avessero rintracciato, se la sarebbe passata veramente brutta.
- Non
farmi venire i brividi...- lo rimproverò Simone, il quale
pareva non averlo trovato per nulla divertente, - Vedi piuttosto di non
parlare con gli sconosciuti - gli intimò, facendosi
apprensivo.
-
Sì, okay "mamma" - lo apostrofò sarcasticamente
Marco, come se ciò avesse potuto fermare chi lo cercava, si
disse - E guarda che abbiamo la stessa età, non trattarmi
come un bambino. So cavarmela anche da solo - aggiunse piuttosto
seccato e offeso.
-
Disse quello che è inseguito da chi vuole fargli la pelle e
si è perso in un boschetto grande a malapena come un campo
da calcio -
- Ti
diverte mettere il dito nella piaga?! - sbottò,
- Se
devo dire la verità, sì - era fin troppo
contento. Marco poteva quasi vedere il suo sorriso divertito, - Ora
scusami, devo proprio andare - e detto questo chiuse la telefonata.
-
Grazie, eh - salutò il nulla rimettendo il cellulare nella
tasca interna della giacca, uno sbuffo stanco mentre si rimetteva
faticosamente in piedi, ora che si era riposato un po' si sentiva
meglio, riusciva a mettere un piede davanti all'altro senza il rischio
di inciampare sugli stessi. La telefonata era però durata
più del dovuto e Marco aveva perso dei preziosi minuti di
luce, ormai il sole era già quasi completamente tramontato
all'orizzonte, lasciando il cielo di una sfumatura crepuscolare, del
colore di un livido violaceo.
"Grande
come un campo da calcio?" pensò alle parole che gli aveva
detto Simone poco prima, cominciando a seguire il suo consiglio e
procedendo sempre dritto. Da qualche parte sarebbe arrivato, no?
"Questa
è la mia selva oscura, ed io sono un Dante Alighieri con
Virgilio che non ha le palle di muovere il culo e venire a fargli da
guida" seguendo una vena melodrammatica Marco si sentiva come un
pellegrino incapace di raggiungere la propria meta. "Non ho nemmeno una
Beatrice ad aspettarmi..." e rimuginò sui suoi precedenti
amorosi, riscontrando che forse il poeta aveva avuto ben più
fortuna di lui in quell'ambito, nonostante il sommo e la sua amata non
avessero mai consumato carnalmente il loro legame. "Almeno Beatrice non
ha mai cercato di uccidere Dante" constatò, continuando ad
avanzare tra erbacce alte fin alle caviglie e radici di alberi, a
scappare dal proprio ex-amante. Il quale, essendone stato tradito, ora
era al quanto incazzato e maldisposto nei suoi confronti.
"Eppure,
quando ho mollato il mio precedente ragazzo per stare con lui, non si
lamentava del mio essere un farfallone" cercò di sistemarsi
gli occhiali storti sul naso tumefatto, causandosi l'ennesima fitta di
dolore. Avvertiva l'esigenza di sputare per terra, così da
esprimere cosa ne pensava di quel gran bastardo di un nanetto malefico.
E pensare che si era fatto ingannare da quel suo bel visetto
angelico, lo aveva raggirato per bene con quei suoi modi
timidi e gentili, per poi dimostrarsi una serpe dal dente avvelenato.
"Gliela farò pagare prima o poi" si ripromise stringendo i
pugni rabbioso, per poi ricordarsi con una fitta allo stomaco che,
tutti quelli da cui avrebbero potuto essergli d'aiutato, Simone
escluso, erano ora dalla parte di Ettore.
- E'
solo perché ha una faccia carina!! - sbottò,
picchiando con il pugno sul tronco ruvido di un frassino, graffiandosi
così le nocche. Non trattenne un'imprecazione avvertendo il
dolore risalirgli lungo il braccio. Erano poco più di un
paio di graffietti, ma bruciavano come l'inferno. Si soffiò
sul dorso del pugno, cercando un po' di sollievo e sentendosi un
perfetto imbecille. Sapeva che urlare al vuoto non serviva a nulla, se
non a farsi individuare dagli scagnozzi del "nano malefico", ed era
altrettanto consapevole che non era stata soltanto la bellezza del
suddetto, a fargli rivoltare contro tutti quelli che erano stati i suoi
compagni.
Marco in
fondo aveva sempre saputo di avere un carattere difficile, ma era
comunque stato un brutto colpo per lui scoprire di non essere
sopportato da nessuno dei suoi. E pensare che era stato lui a fondare
la loro banda.
"Merda,
sono un totale sfigato!" cominciò a convogliare la rabbia
verso se stesso, consapevole di essersi cacciato da solo in quel guaio,
che tutto il karma negativo accumulato gli stava tornando indietro con
tanto di interessi.
Si
ritrovo a sistemarsi nuovamente, e con estrema delicatezza, gli
occhiali sulla radice del naso, aveva cominciato a vedere di nuovo
opaco. Gli ci volle un po' per capire che la vista gli si era offuscata
per via delle lacrime.
- Sono
penoso...- si rimproverò ricominciando ad avanzare, tirando
rumorosamente su con il naso, e causandosi così uno spasmo
di dolore.
-
Fazzoletto? - gli propose il ragazzo di fianco a lui, porgendogliene
uno,
- Non
serve, grazie - rispose in automatico Marco, concedendo a malapena uno
sguardo allo sconosciuto che lo aveva appena avvicinato. Noto solo che
era piuttosto alto e lo superava di almeno una spanna.
-
Sicuro?..- insistette lui,
- Ho
detto "non serve" - ripete Marco alterandosi, volgendosi completamente
al proprio interlocutore. Prima con uno sguardo arcigno da "smettila di
infastidirmi, idiota", per poi spalancare gli occhi, inorridito.
-
Aspe-.. Tu, TU CHI DIAVOLO SEI?!!- fece letteralmente un salto indietro
per lo spavento, del tutto colto impreparato da quell'arrivo
inaspettato, le braccia ricoperte dai brividi per la paura.
Era
forse un suo nemico? Eppure non gli pareva un volto conosciuto.
- Sono
Vittorio, e tu sei piuttosto cieco per non avermi notato prima - si
presentò sistemando il fazzoletto di stoffa che gli aveva
offerto nella tasca posteriore dei pantaloni. Nonostante il fresco di
quei giorni che lentamente dall'inverno passavano alla stagione
primaverile, non portava nulla sopra quella che sembrava una semplice
t-shirt di cotone. Il cui colore era per Marco un mistero, vista la
scarsa luminosità della sera.
- M-mi
ero solo distratto! - si giustificò Marco con voce un
tantino isterica, e un leggero imbarazzo a colorargli le guance. Va
bene essere presi alla sprovvista, ma non notare neppure che qualcuno
gli era arrivato tanto vicino... forse Simone faceva bene a
preoccuparsi per la sua incolumità.
- Va
bene, ma stai tranquillo dolcezza...- alzò le mani alla sua
reazione lo sconosciuto, quasi volesse assicurarlo che non era sua
intenzione fargli del male. Doveva avere all'incirca vent'anni,
giudicò Marco ad una seconda occhiata, "No, probabilmente ne
ha 25" rettificò, per quanto gli sembrasse avere circa la
sua stessa età, al medesimo tempo gli appariva
più vecchio. E ciò era dovuta ad una sua radicata
convinzione che solo i "vecchi" usavano fazzoletti di stoffa, come
quello che gli aveva invitato ad accettare.
-
Allora, cosa ci fai qui a gironzolare da solo? - gli chiese Vittorio
mostrandogli un sorriso rassicurante ed estroverso. Non sembrava
davvero avere cattive intenzioni o almeno non nei suoi confronti.
- Potrei
chiederti la stessa cosa - gli fece notare Marco, mantenendo un muso
duro ed inattaccabile, cercava di darsi un contegno, poiché
era certo che l'altro l'avesse visto piangere.
- Io
faccio una passeggiata. Sai, abito qui vicino - rispose, alzando le
spalle con aria svogliata per poi massaggiarsi il collo con una mano,
facendosi sfuggire ad una smorfia. - A star fermo troppo allungo mi
s'indolenziscono i muscoli - spiegò ammiccando, sempre con
quel sorriso amichevole che non celava una vena di strafottenza.
Sembrava
solo una di quelle persone capaci di uscire da casa in canotta in pieno
Gennaio, e anche a studiarlo Marco non trovava null'altro di strano in
lui, però continuava a rifiutarsi di mostrarsi amichevole
nei suoi confronti. Forse era stato il "dolcezza" con cui gli si era
rivolto ad offenderlo, o forse era che Vittorio fosse un ragazzo alto,
dal fisico asciutto e il viso dai tratti ben delineati. Tutte
caratteristiche per cui poteva essere definito un bel ragazzo, e per
cui Marco si sentiva sulle spine. L'ultima persona che aveva
rispecchiato i suoi gusti aveva finito per pugnalarlo alle spalle.
Anche se, a pensarci, Vittorio in realtà usciva un po' dai
suoi canoni.
- E
quindi..? -
-
"Quindi" cosa? - si trovò a cadere dalle nuvole Marco,
rimasto qualche momento incantato a studiarlo, Vittorio era diverso dai
soliti ragazzi che in passato aveva apprezzato. Eppure doveva
riconoscere il suo fascino, il quale gli impediva di staccargli gli
occhi di dosso.
- Io ho
risposto, quindi tocca a te dirmi cosa ci fai qui - e lo
indicò avvicinandosi abbastanza da appoggiargli l'indice
della mano proprio in mezzo alla fronte, enfatizzando in questo modo la
loro differenza d'altezza e irritando ancor di più Marco. Lo
stava forse guardando dal’alto in basso?! Inconsciamente
strinse nuovamente i pugni, assottigliando lo sguardo in una non molto
velata minaccia.
- Vedi
di starmi lontano - gli intimò serio, provocando una leggera
risata divertita al suo interlocutore,
- Ma che
tipetto sospettoso abbiamo qui - si allontanò di qualche
passo, ancora sorridendo divertito, - Mi sembravi in
difficoltà e ti ho avvicinato solo per aiutarti -
incrociò le braccia al petto con un'espressione falsamente
rammaricata, fingendosi offeso dal suo comportamento.
- Mi
è stato insegnato di non parlare con gli sconosciuti -
replicò freddamente Marco, sbuffando appena mentre voltava
le spalle a Vittorio e s'incamminava verso la direzione opposta,
lasciando l'altro spiazzato.
- Ehi! -
tentò di richiamarlo, - Non avrai intenzione di ignorarmi,
vero? - e gli arrivò affianco dopo un paio di falcate, e
Marco non seppe dire se era perché fosse davvero veloce o se
perché lui era veramente lento. - Sul serio, non ti sarai
mica offeso perché ti stavo un po' stuzzicando? - in
risposta Marco si limitò a fare scena muta, deciso a
procedere sempre dritto come se conoscesse la strada.
- Uhm...
permalosetto, eh? - sospirò Vittorio sempre camminandogli a
fianco, incrociando le braccia dietro la testa con aria sfrontata e
leggermente annoiata.
"PERCHÉ'
MI STA SEGUENDO?!?" era sull'orlo di una crisi di nervi Marco,
trattenendosi dal rivolgergli la parola perché convinto che
ignorandolo sarebbe sparito, "proprio come i ragni... se gli lasci il
tempo, poi tornano nella loro tana".
-
Cooomunque - continuò Vittorio, - dove avresti intenzione di
andare? Se procediamo da questa parte, poi ci ritroveremmo in mezzo ai
campi - lo informò indicando poi un punto imprecisato in
mezzo agli alberi. Alle sue parole Marco sentì le guance
pungergli dall'imbarazzo, e si fermò di colpo, cogliendo di
sorpresa Vittorio che per poco non gli finì addosso.
- Tu sai
come uscire da qui? - rinunciò a non parlargli
poiché aveva capito che, continuando a procedere a caso,
come stava facendo, non sarebbe mai arrivato da nessuna parte. Per lo
sforzo che gli costava, si trovò a mordersi l'interno della
guancia.
- Te
l'ho detto: abito da queste parti - alzò le spalle Vittorio,
- Perché, tu no? - gli domandò e nei suoi occhi
verdi, dal taglio sottile, a Marco parve che vi si accendesse uno
strano bagliore.
- No che
non sono di queste parti! - proruppe lui, quasi sembrasse offeso che
l'altro lo avesse anche solo potuto credere possibile, - Sono venuto
qui SOLO per trovare un amico, dovrebbe abitare qui intorno -
precisò, giustificando il suo vagare alla cieca in quel
boschetto.
-
Interessante - commentò Vittorio, all'improvviso
sovrappensiero, - Bhé, se il tuo amico non è un
cane randagio o uno scoiattolo, credo che difficilmente potrai trovarlo
qui - tornò a sorridere divertito, allargando le braccia per
indicare l'intero boschetto da cui erano circondati.
- Questo
lo so bene..- replicò acidamente Marco, "anche se un po'
Simone assomiglia ad un cane o ad uno scoiattolo ", - E' che... che mi
sono perso - dovette ammettere, arrendendosi all'evidenza. Dirlo ad
alta voce rendeva la cosa ancora più imbarazzante.
Vittorio
aveva davvero una bella risata squillante, il tipo che ti fa desiderare
di potergli rifilare un pugno in faccia e riempirlo di altri colpi fino
a farlo svenire. Marco lo conosceva da sì e no cinque
minuti, e lo aveva già preso in odio.
- E
piantala! - gli ordinò stizzito, sentendosi il viso
diventare di un porpora acceso,
- Scusa,
scusa ...- fece lui, anche se non pareva per nulla dispiaciuto mentre
si teneva lo stomaco per le troppe risate, e riuscendo a malapena a
trattenerne altre. Gli ci volle un minuto intero per ricomporsi, - E'
che questo boschetto sarà grande più o meno come
un campo da calcio. Difficile perdersi qui, anche se non si
è del posto - spiegò schiarendosi un paio di
volte la voce, cercando di darsi un contegno.
- Tsk...
questo me l'ha detto pure Simone - schioccò la lingua
seccato e, avendogli dato nuovamente le spalle, non notò
l'improvviso cambio di espressione del suo interlocutore, il quale
aveva strabuzzato gli occhi nel sentire quel nome.
- Oh...
Sarebbe Simone l'"amico" che sei venuto a trovare? - domandò
e il sorriso che prese posto sul suo volto nascondeva qualcosa di
minaccioso e animale, - Quindi tu sei il famoso "Marco", vero? -
Nel
sentirsi chiamare per nome Marco sussultò involontariamente,
voltandosi confuso e incuriosito a guardarlo, perché
pronunciato dalla sua bocca aveva un suono così strano? Ma
sopratutto, Vittorio conosceva Simone?
-
Sapendo com'è fatto, sono sicuro che Simo ti abbia
raccontato un sacco di balle esagerate sul mio conto -
sbuffò scuotendo il capo sconsolato ed incrociando le
braccia al petto.
- Per la
maggior parte non fa che dire quanto tu sia grandioso, straordinario,
il migliore, l'insuperabile... - preciso Vittorio, accentuando il
colorito già rosso sulle guance dell'altro che intanto
pensava: "Stupido Simone, hai dimenticato di enfatizzare la mia
bellezza". - Non ché, ti definisce come il suo migliore
amico. E per qualche motivo, di cui sono all'oscuro, è molto
orgoglioso di te - continuò a spiegare ostentando una certa
indifferenza sulla questione. Probabilmente Simone lo aveva esasperato
a tal punto da renderlo insofferente all'argomento.
-
Bhé... no, infondo non è stato poi
così esagerato. Io sono davvero grandioso - fece sicuro,
gonfiando il petto alimentando il suo enorme ego, per quel giorno
già abbastanza martoriato dagli eventi.
-
Infatti credo ci voglia proprio un "grandioso" senso dell'orientamento,
per perdersi in boschetto di 200 metri quadrati appena -
commentò sarcastico Vittorio, il suo non voleva essere certo
un complimento,
- Mi
stai facendo incazzare, stronzetto - lo fulminò a quel punto
con lo sguardo, la pupilla, nonostante l'oscurità, ridotta
ad una punta di spillo per la rabbia. Aveva davvero avuto un giornata
pessima, ed essendo alterato diveniva violento più
facilmente del solito. - O la smetti di sfottermi o ti frantumo quel
tuo sorrisetto irritante - lo avvertì sollevando il pugno
per enfatizzare il concetto, ma purtroppo per lui Vittorio non
reagì come si sarebbe aspettato.
- Ma
guarda, hai gli occhi verdi - esclamò il ragazzo chinandosi
su di lui così da avere la medesima altezza, per nulla
spaventato dalla minaccia, sul volto ancora quel sorriso arrogante. Di
riflesso Marco arretrò di un paio di passi, sentendo invaso
il proprio spazio personale, "Non è che abbia paura di lui!"
pensò avvertendo un brivido percorrergli la spina dorsale,
doveva però ammettere che quel ragazzo aveva iniziato un po'
ad inquietarlo.
- Ti ho
detto di starmi lontano! - si scaldò, specchiandosi per un
momento nello sguardo dell'altro, ancora fisso su di lui, e notandone
solo ora la stranezza delle sue iridi. Erano sottili ed allungate, come
quelle dei felini. "Questo qui sì è fatto di
qualche droga pesante" realizzò, e ciò spiegava
il suo comportamento curioso, la sua presenza nel boschetto (in cui
probabilmente si era appena fatto di una dose). Un timore sordo si
affacciò sul viso di Marco, se si era davvero drogato,
Vittorio poteva essere un pericolo per lui, visto che non poteva essere
sicuro delle sue reazioni.
- Ti sei
fatto male al naso? Sta diventando livido - non pareva sentirlo e,
quando fece per allungare la mano verso di lui, Marco gli
rifilò un pugno dritto in faccia.
Avendo
fatto box per un certo periodo, si sentiva sicuro della forza nelle
proprie braccia. Senza volerlo, e con un atteggiamento da principiante,
prima di colpirlo però aveva chiuso le palpebre, con l'unico
desiderio di non incrociare più quelle iridi strane. Ma
quando non avvertì alcun attrito contro le proprie nocche,
fu costretto a riaprirle.
- Eh?..-
esclamò incredulo,
- Oltre
che permaloso sei anche piuttosto violento, vero Marco? - il
sorriso di Vittorio era rimasto intatto, portandosi anzi ancor
più vicino a lui. Aveva stretto con una presa ferrea il
polso di Marco, deviandone il colpo, e non accennava a volerlo lasciare.
- M...
mollami- gli intimò balbettante dopo un istante di
sconcerto, era la prima volta che gli capitava una cosa simile. Nelle
risse aveva un record personale di colpi messi a segno, ed ora era
appena stato mandato in fumo. Con forza strattonò il braccio
per liberarsi, ma la morsa di Vittorio non diede segno di cedimento. -
Mollami ti ho detto! - insistette prendendo un tono più
aggressivo, solo per nascondere un velo di paura che gli aveva preso lo
stomaco.
Senza
rispondergli, ma mantenendo quell'espressione irritante, Vittorio gli
storse il braccio, facendogli emettere un singulto di dolore mentre lo
obbligava a voltarsi.
- O-ohi!
Che cazzo stai facendo?! - ora gli era impossibile nascondere il panico
che cominciava a riempirgli con il suo gelo il petto. Avvertendo poi
una pressione sulla schiena e ricevendo un calcio dietro le ginocchia,
Marco si trovò a perdere l'equilibrio, finendo ancora una
volta con la faccia a terra.
-
Attento a non rovinarti ulteriormente quel bel nasino - lo derise
Vittorio soffiandogli leggermente quelle parole dietro all'orecchio,
provocandogli di conseguenza un brivido dietro la testa. Marco
tentò di reagire alzando di scatto la testa, non sapendo
neppure lui se con la speranza di colpirlo con il retro della nuca o
come semplice tentativo di svincolarsi. Opportunità che gli
divenne totalmente preclusa quando Vittorio gli si sedette sopra,
appoggiandosi contro la sua schiena con il ginocchio, ancorandolo
definitivamente al terreno e tenendogli ancora bloccato un braccio.
-
Bastardo! Che intenzioni hai?! - gli ringhiò contro Marco
mostrando i denti, cercando di voltare la testa il più
possibile per poterlo guardare storto, non che potesse fare poi molto
altro infondo. La sua unica opzione era divenuta: urlargli addosso con
quanta più voce avesse; magari qualcuno lo avrebbe sentito e
sarebbe stato soccorso.
-
Cos'è non ti piace stare sotto, Marco? Eppure a me sembra
che questa posizione ti si addica - si chinò di nuovo su di
lui Vittorio, portando il viso così vicino al collo
dell'altro che questi poté avvertire il suo fiato contro la
pelle,
- Cosa
sei, una specie di pervertito? Lasciami!! - tentò di
voltarsi ancora di più verso di lui, ma una fitta al collo
gli suggerì che quella era la capacità massima
che il suo corpo potesse sopportare.
-
Pervertito..? Oh, così mi offendi - lo prese per i capelli
Vittorio, costringendolo a inarcare la schiena all'indietro,
procurandogli una serie di dolori lancinanti vista la posizione
innaturale che l'obbligò a prendere. - Volevo solo dare il
benvenuto al "carissimo" amico di quel bastardello di Simone... un
altro intruso ad occupare la mia proprietà insomma -
-
Aspetta! - lo bloccò nel bel mezzo del discorso Marco,
trovandosi ad ansimare a causa della posizione scomoda che gli mozzava
il fiato e a malapena riuscendo a vedere l'altro con la coda
dell'occhio. Di nuovo, gli pareva che le sue iridi avessero qualcosa di
strano. - I-io non so che problemi hai con Simone... ma io non ne so
assolutamente niente! Perché dovresti prendertela con me? -
"Se ce
l'hai con Simo vai a fare il culo a lui, non coinvolgermi" era in
sostanza la richiesta dell'occhialuto, il quale si trovava confuso
dalla situazione, e furioso nei confronti dell'amico. Lui aveva
già abbastanza problemi per conto proprio, non gliene
servivano altri!
-
Perché sei il suo "più caro" e probabilmente
unico amico, Marco - fece innocentemente, con quell'espressione falsa
di un sorriso dal fascino languido, che celava un barlume di folle
rabbia a ribollirgli nello sguardo. - E visto che non posso toccare
quel bastardello, vedrò di farlo soffrire in altra maniera -
fece colmando finalmente i pochi centimetri che separavano le sue
labbra dalla pelle di Marco, appoggiandogli un bacio sul collo.
-
O-ohi..! - protestò lui, incapace di capire, avvertendo il
proprio corpo che iniziava a tremare mentre un dolore pungente gli
attraversava le carni. Gli ci volle un po' per comprendere che l'altro
lo aveva appena morso. – Ch-che… che cazzo stai
facendo!? – chioccio spaventato, la voce rotta nell'avvertire
i denti di Vittorio graffiargli la pelle, penetrargli nella carne
bianca e morbida a lato del collo. Nell'avvertire qualcosa bagnarli la
giugulare, scendendogli poi lentamente verso i vestiti, la coscienza di
Marco fu sul punto di svanire dalla paura. Tento di nuovo di
svincolarsi dalla presa di quel pazzo, si agitò, nel
comprendere finalmente che la sua vita era in pericolo. Come risultato
la presa di Vittorio sulla sua nuca si fece più forte. Gli
tirò i capelli, mentre i suoi denti si chiudevano con
più forza sulla sua gola, rendendogli difficile respirare,
mozzandogli il fiato per un momento.
Soffocato
lentamente dalla sua presa Marco perse ogni resistenza prima di poter
capire che l'altro aveva preso a berne il sangue, la mente ormai
offuscata dalla mancanza di ossigeno.
- Ma che
carino ad addormentarti tra le mie braccia, dolcezza – gli
sorrise con falsa gentilezza Vittorio, staccatosi da lui con le labbra
incorniciate di rosso sangue, dal mento a gocciolargli l'inteso liquido
vermiglio.
I canini
gli si erano allungati al punto da divenir aguzzi come lame di un
rasoio, simili ad un paio di zanne. Gli occhi da prima verdi che
risplendevano di un inquietante luce dorata.
- Oh, e
grazie della tua gentile offerta - aggiunse, pur sapendo che l'altro
non lo avrebbe sentito, prima di riprendere a bere di lui attaccandosi
nuovamente alla sua gola. Essendo il primo pasto decente che faceva da
200 anni e passa, voleva goderselo al meglio, e gli era difficile
moderarsi, per quanto sapesse gli fosse necessario.
Infondo,
era un vampiro elegante e paziente, se desiderava vendicarsi dello
sgarbo che Simone gli aveva fatto doveva saper prendere con calma la
propria vendetta. In più quel ragazzo, Marco, si era
rivelato più appetitoso del previsto, o era solo la fame a
farglielo credere? Dopo tutto quel tempo obbligato al digiuno
però non si sarebbe limitato certo a consumarlo in una sola
portata. L'ingordigia era un peccato mortale di cui aveva
già fatto le spese e,soprattutto, a trovare un cadavere
morto dissanguato nel boschetto, sarebbe stato sin troppo ovvio chi
fosse il colpevole.
Quei
bastardi dell'associazione lo avrebbe ucciso all'istante, e doveva
tornare in forze prima di riuscir ad affrontare un qualsiasi
combattimento.
Sospirò
Vittorio trattenendosi ad andare troppo oltre, lasciando la presa dai
capelli di Marco, adagiandolo a terra dopo aver posato un bacio sui
segni che gli aveva lasciato sul collo, così da richiuderli.
Finalmente alzatosi lui, stava per andarsene, accompagnato da una
leggera foschia che già da un po' aveva preso a seguirlo,
sparendo tra gli alberi così com'era arrivato. Ma all'ultimo
si fermò, voltandosi verso il ragazzo svenuto che aveva
cominciato a mugolare intontito, anche se non sembrava sul punto di
risvegliarsi. Visto il suo pessimo senso dell'orientamento, anche
quando si fosse svegliato, probabilmente per lui sarebbe stato
difficile arrivare dal suo amichetto Simone. "Se dovesse inciampare su
una radice e crepare spaccandosi la testa, poi mi darebbero comunque la
colpa, dicendo che gli ho causato un mancamento o qualcosa di
simile…" rifletté il vampiro, pensando a quanto
la fissazione di Simone per il suo amico lo portasse a prendere
atteggiamenti al quanto esagerati.
Sbuffò
di nuovo Vittorio, per nulla intenzionato a farlo, aberrando anzi un
gesto del genere. Non lo voleva ASSOLUTAMENTE fare, era una cosa
indecorosa per lui e per il proprio rango, ma si caricò
Marco sulle spalle, trasportandolo quasi fosse un sacco di patate, per
portarlo in un punto dove gli fosse impossibile non trovare la strada.
"Chissà
se il suo amichetto gli ha rivelato quale genere di lavoro svolge?.."
Simone
si sollevò la sciarpa, in modo che gli coprisse parte del
viso e si avvolgesse meglio al suo collo, così da impedire
ad un sottile ed irritante spiffero d’aria gelida di
raggiungergli la pelle, ma pareva avesse quasi vita propria. Senza
alcuna intenzione di collaborare con lui la sciarpa gli ricadde subito
in un groviglio confuso di tessuto, provocandogli un moto di
irritazione, cominciava a chiedersi sul serio il motivo per cui
l’avesse indossata. Era inutile! In un impeto di rabbia fu
sul punto di strapparsela di dosso, seccato dalla situazione, dalle ore
di appostamento e dal freddo. Era accovacciato dietro a quella parete -
i resti fatiscenti di un muro in pietra di una qualche cascina ormai
crollata -, da quando il sole aveva da poco abbandonato
l’orizzonte, e il cielo aveva preso le colorazioni del
crepuscolo.
Ora solo
uno spiraglio pallido di luna brillava in cima alla sua testa. I suoi
occhi avevano avuto tutto il tempo di abituarsi
all’oscurità, e per cercare quelle poche
costellazioni che conosceva. Per sua fortuna, per lo meno, era una
nottata limpida. Non avrebbe sopportato di fare tutte quelle ore
d’attesa sotto ad una pioggia battente. Lo aveva
già fatto una volta e, per il resto della settimana, era
stato attanagliato dalla peggiore influenza della sua vita.
Probabilmente era stato da quel momento che aveva cominciato ad odiare
sul serio il freddo. La pioggia doveva averlo bagnato sin nelle ossa,
portando a formarsi uno strato di ghiaccio su di esse e rendendolo
così insofferente alle basse temperature.
- Avrei
dovuto andare ad aiutare Marco… - mormorò tra se
e se, trasformando il suo fiato in una nuvoletta grigia di condensa,
soffiandosi sulle mani giunte davanti al viso per riscaldarsi le dita.
Stava ripensando alla conversazione che aveva avuto con
l’amico qualche ora prima, quando era sul punto di partire.
“Come avrà fatto a perdersi, poi?”
ancora si chiedeva, rammaricandosi di essersene dovuto andare senza
potergli dare una mano. Ma aveva ricevuto una convocazione dal suo
maestro e, per quanto Marco fosse il suo migliore amico, Simone non
poteva rifiutarsi di presentarsi di fronte a lui. Infondo non si
trattava solo del suo maestro/ex tutore, ma anche del suo datore di
lavoro e padrone di casa. Per quanto la cosa potesse
seccargli, non poteva sottrarsi, soprattutto se riguardava uno incarico.
Un
movimento alla sua destra, percepito con la coda dell’occhio,
riportò l’attenzione di Simone a ciò
che stava facendo o, meglio, al motivo per cui fosse presente in quel
luogo.
“Voglio
tornare a casa…” piagnucolò tra se e se
mentre lentamente si sollevava in piedi, avvertendo quasi
immediatamente un fastidioso formicolio attraversargli le gambe. Gli si
erano intorpidite a causa della lunga immobilità. La sua
mano lasciò la sciarpa, a cui era ancora aggrappata, alla
fine non l’avrebbe tolta - era pur sempre un regalo -, e
andò veloce a sistemarsi i larghi occhiali che gli erano
caduti sulla punta del naso. Con quel gesto avvertì i
polpastrelli intorpiditi dal freddo e si pentì di non aver
preso dei guanti, era davvero una nottata gelida.
“Spero
che Marco sia riuscito ad entrare” si augurò
percependo un secondo spostamento d’aria, e accertandosi
così’di non essersi solo immaginato il primo.
Doveva sbrigarsi a concludere quel lavoro che gli era stato affidato, e
per cui aveva dovuto perdersi in mezzo ad un campo spoglio, le cui
zolle erano appena state rivoltate in previsione della futura semina.
Si
costrinse a sorridere, sistemandosi il giaccone che lo copriva come se
si fosse alzato in piedi solo per ripulirsi dalla polvere, imponendosi
di controllare lo sguardo, così che non corresse
istintivamente ai movimenti che aveva avvertito. Tendeva
però le orecchie, in modo d’assicurarsi di non
essere colto di sorpresa dalla propria ospite, la quale invece ora non
faceva nulla per nascondersi. Trattenne un sospiro, avvertendo
l’agitazione montare e le mani tremare. Doveva stare calmo,
non poteva permettersi di sbagliare. Se falliva avrebbe perso il
permesso di far vivere temporaneamente Marco con loro, e non poteva
permetterselo. Marco lo avrebbe ucciso.
Un
triste canto lo raggiunse mentre faceva simili pensieri, simile al
pianto inconsolabile di un’anima a cui fosse impedito di
riposare per l’eternità.
Era il
suo segnale. Con falso stupore Simone si guardò attorno,
cercando da dove provenisse una voce femminile tanto misera e penosa.
- Oh,
buonasera - trovò una sagoma indistinta e la
salutò come se non l’avesse notata prima, pur
consapevole che ormai da un pezzo era rimasta
nell’oscurità ad osservarlo, - . . . Come mai
tanto triste? - domandò sorridendole cordialmente.
Lei non
gli si era ancora mostrata, limitandosi a rimanere una semplice ombra,
ben lontana dal punto dove si trovava Simone. Non osava ancora
avvicinarsi troppo, probabilmente studiandolo cercando di capire se
fosse una minaccia o meno.
Una
sottile nebbia aveva preso ad alzarsi dal terreno.
-
E’ forse venuta qui a piangere le sue sventure? - insistette
Simone, sforzandosi di apparire il più inoffensivo
possibile. Una parte che gli riusciva piuttosto bene.
Spesso
lo avevano preso in giro, per quel suo volto dall’espressione
infantile e un poco scema, ma quella falsa ingenuità gli
tornava sin troppo utile in tali frangenti. - Se è
così, la posso capire. Per me è lo stesso, che ne
dice di parlare un po’? Magari può essere utile ad
entrambi - continuò sfoderando la propria parlantina mentre
portava entrambe le mani dietro la schiena, un gesto che doveva
dimostrare la sua disponibilità nei suoi confronti.
- Non
voglio parlarne - la voce di lei lo raggiunse simile ad un sospiro, e
un brivido ricoprì istintivamente la pelle di Simone.
Era
riuscito a farsi rispondere, ora gli si sarebbe mostrata.
- Ah,
certo. La posso capire. . . - si mostrò leggermente in
imbarazzo per il suo netto rifiuto, mettendosi a sistemare la sciarpa
che aveva al collo con un mano, palesando un falso disagio. - Ma non le
da fastidio, se sono io a farlo, vero? - propose e, dopo una manciata
di secondi in cui non ricevette risposta, decise che la sua fosse una
muta concessione, e prese quindi a raccontare.
-
Qualche tempo fa avevo una fidanzata, sa? Era tanto bella che tutti in
paese me la invidiavano. Ed io ero orgoglioso di lei, non solo per la
sua bellezza, ovviamente. Possedeva un carattere forte e risoluto,
nulla poteva fermarla se si metteva in testa qualcosa. Io al contrario
ho sempre avuto un’indole mite e passiva, quindi era lei il
mio sostegno - ne avvertiva i movimenti attorno a se, aveva preso a
girargli attorno, attraversata all’apparenza da una strana
smania. Simone però non si interruppe dal raccontare,
mantenendo sempre lo stesso sorriso di cortesia. - In molti si
chiedevano come avesse potuto un tale splendore innamorarsi di un
pezzente come me. Eppure, qualche strano scherzo del destino, aveva
voluto che fosse così - parlava donando una cadenza alle
parole che rendeva difficile non ascoltarle, legandole quasi fossero
una melodia, una catena da cui non ci si poteva liberare sino a quando
non si era giunti alla fine.
Il suo
aspetto e suoi modi potevano tradire una timidezza innata, ma Simone
contrariamente alle apparenze, sapeva rivelarsi un ottimo oratore e,
sopratutto, un esperto bugiardo. Difficilmente qualcuno si rifiutava di
ascoltare i suoi racconti, fossero fiabe per bambini o, come in quel
caso, tragedie.
-. . .-
infine lei si fermò, occultata al suo sguardo
perché nascosta dalla parete che lo fiancheggiava, Simone
l’avvertiva vicino, il suo racconto pareva interessarla al
punto da concedergli di concluderlo. Probabilmente lo trovava una
storia sin troppo familiare per non saperne la fine.
- . . .
Cosa le successe? - difatti gli domandò, la voce che tradiva
confusione e irritazione per l’improvvisa interruzione.
- Oh,
pensavo non vi interessasse e ve ne foste andata, signorina - si
giustificò Simone, voltandosi verso il muro mezzo crollato
che li divideva e occultava l’uno dall’altra.
- Cosa
le successe? - ripete gelida, mentre la nebbia si alzava e si addensava
sino ad arrivare alle ginocchia di Simo.
-
Arrivò un giorno in cui dovetti partire. . . -
sospirò con rammarico, quasi fosse realmente lui il
protagonista di quel racconto, e non stesse solo ripetendo una storia
che aveva udito, e sentì che anche lei fece lo stesso. - Ero
un commerciante, e avevo ricevuto un opportunità
irripetibile. Un incarico che allungo andare ci avrebbe fatto
arricchire. E nell’immediato abbastanza denaro da organizzare
un matrimonio - esitò, attendendo una reazione da lei, la
quale però parve rimenare immobile, rapita ad ascoltarlo.
Quindi riprese:
-
Accettai, più che per il guadagno, per la prospettiva di
poter finalmente sposarla e lei, come al suo solito, mi sostenne. Me ne
andai con la promessa che, al mio ritorno, ci saremo
sposati… ma purtroppo, a viaggio concluso, non la trovai ad
attendermi - sospirò fingendo rammarico e tristezza, - A
sentire gli altri del paese sarebbe fuggita con un forestiero suo
amante -
- NON
E’ VERO!- lo interruppe gridando, la voce deformata dalla
furia, e a quale punto gli si mostrò per quel che era.
Un
improvvisa esplosione fece crollare i resti del muro che sino a quel
momento li aveva separati, d'istinto Simone scattò
all'indietro per evirare di finir travolto dai detriti. A quanto
sembrava era riuscito a far infuriare la sua interlocutrice, non era
proprio sicuro se ciò fosse proprio un bene, per lo meno
l'aveva portata a mostrarsi non più come semplice ombra, ma
con la sua vera forma.
- Io...
io non l'ho tradito!! Non l'ho mai fatto!! - sbraitava avanzando con le
braccia protese in avanti, superando i resti fatiscenti della parete
che, con un semplice grido, aveva abbattuto. - IO LI ODIO! LI ODIO
TUTTI!! - urlava e le sue grida ferivano i timpani, troppo acute,
stridenti simili a unghie che graffiassero una lavagna.
Simone
nel frattempo non reagiva, limitandosi ad osservarla a pochi metri da
lei, all'apparenza per nulla infastidito dai suoni che produceva.
Guardava quell'ammasso di risentimento che un tempo era forse stato un
essere umano, probabilmente, se era come sospettava, la stessa la bella
donna protagonista del suo racconto. Ora la vedeva camminare
traballante su gambe prive di forma, ridotte a semplici ossa su cui non
rimaneva attaccato neppur un lembo di pelle, ingiallite a causa del
lungo tempo in cui erano rimaste a contatto con il terreno. Vedeva il
suo corpo, ormai quasi totalmente decomposto, le costole che spuntavano
da un buco della carne marcia, il ventre aperto da una lunga linea
orizzontale, completamente privato degli organi interni, forse divorati
dai cani randagi che pullulavano la zona. Quella ferita
però, quel taglio, era troppo preciso per essere stato
causato da un animale.
La
poveretta doveva essere stata sventrata con una lunga lama, forse un
pugnale o un coltello da macellaio; dedusse Simone, il quale, per
quanto l'avesse definita "poveretta", non provava alcuna
pietà per lei. Forse perché gli riusciva
difficile aver compassione per qualcuno che, sapeva bene, di
lì a poco avrebbe tentato di ucciderlo. O forse era
perché aveva conosciuto troppe storie tristi, simili al fato
subito da quella donna, per sentirsene toccato ogni volta.
- TU!..-
lo indicò la Wraith avendo sempre entrambe le braccia
protese, con le dita della mano destra consumate fino all'osso e la
sinistra mancante di due falangi. - Chi è stato... chi
è stato a raccontarti una simile storia!? - gli
domandò continuando a colmare la distanza che li separavano,
la voce che da acuta si era fatta gutturale, segno forse della presenza
di una rimasuglio di coscienza in una simile carcassa dal cervello
liquefatto.
Simone
non gli rispose, lasciando che lei continuasse ad avvicinarsi, lo
sguardo fisso su quello che doveva essere stato un bel viso, ma che ora
era devastato dalla morte, privato completamente del naso e con un
orbita vuota. L'unico occhio rimanente che lo fissava con un grigiore
cieco, vuoto, e i pochi lembi di pelle ancora attaccati al suo teschio,
di un colore verde-bluastro, che penzolavano dall'osso con il rischio
di cadere ad ogni passo.
-
PERCHÉ' NON PARLI!!? - si irritò la Wraith,
investendolo con la propria voce, un suono che era riuscito a spaccare
un muro diroccato e che Simone avvertì attraversarlo,
espandersi nel proprio corpo smuovendogli gli organi interni. Stupito
si trovò a tenersi lo stomaco, piegato in due a causa di una
fitta improvvisa, avvertendo il sapore rameico del sangue
sulle labbra. Non avrebbe mai creduto che la voce di quello spettro
potesse avere un simile effetto sul suo corpo. Forse era stato troppo
ottimista nel credere che gli sarebbe bastato limitarsi a proteggersi i
timpani, infilando degli auricolari speciali che attutivano quei suoni
che avrebbero potuto danneggiargli l'apparato uditivo.
- Che
crudeltà... - si disse tra se e se Simone, deglutendo il
grumo di sangue che gli aveva riempito la gola, era stato sul punto di
sputarlo a terra, per liberarsi del suo fastidioso sapore sulla lingua,
ma non c'era nulla di più pericoloso che spargere sangue in
giro, soprattutto quando era il proprio. - Sono solo un apprendista -
sbuffò scuotendosi con una mano i capelli castano chiaro
all'attaccatura della nuca, l'espressione contrariata e nervosa. -
Eppure mi affidano lavori sempre più ostici... -
inclinò la testa di lato guardando altrove mentre infilava
entrambe le mani nelle tasche della giacca, il volto sempre contrito in
una smorfia tutt'altro che felice.
- Non
vedo l'ora che il maestro ritorni dalla sua vacanza. Per quando non mi
manchi affatto, la sua assenza è una seccatura - Simone
aveva il pessimo difetto di parlare da solo, di perdersi nei
propri pensieri senza badare a chi o cosa gli stesse intorno.
- NON
IGNORARMI!!! - gridò la Wraith avventandosi su di lui con
furore crescente, aveva solo simulato la propria lentezza, camminando
malferma, quasi dovesse inciampare da un momento all'altro. In
realtà era una capacità tipica degli spettri
quella di muoversi come il vento, fluttuando con esso. Gli si scagliava
contro sbattendo più volte la mandibola la dai denti storti,
provocando un rumore secco ed inquietante.
- Sei
davvero uno spettro intelligente tu - si limitò a commentare
Simone, tornando a portare l'attenzione su di lei, sulle mani
scheletriche che gli protendeva contro, ora a pochi centimetri dal suo
viso. - E' la prima volta che mi trovo di fronte ad uno spettro con
abbastanza coscienza di se da poter dire qualcosa oltre a "whaaa" o
"groouw", o simili - continuò, e i suoi non erano
complimenti nei confronti della Wraith, semplicemente esponeva il
fatto, accettandolo come tale senza alcun interesse per la questione.
- Che...
che cosa?! - si trovò invece a balbettare lo spettro,
incapace di afferrare il ragazzo, poco più di un moccioso,
che aveva di fronte. - TU...!- gridò furiosa, allungando
quelle stecche d'ossa che gli rimanevano per braccia. Gli sporadici
brandelli di pelle che la ricoprivano parevano attraversati da
innumerevoli scosse elettriche, per qualche motivo visibili ad occhio
nudo, che la percorrevano disegnando strani arabeschi e figure su tutta
la sua carcassa. Non riusciva ad avanzare. Non riusciva a saltare alla
gola di quel marmocchietto che aveva avuto l'ardire di infangare il suo
nome, il suo passato. - IO NON L'HO MAI TRADITO! IO NON SONO FUGGITA!!
- urlava, sfruttando quella voce che, già da prima, aveva
notato avere effetto sull'altro.
Consapevole
che, ad una simile distanza, i suoi organi interni e probabilmente pure
l'esterno del suo corpo, sarebbe finito disintegrato da quell'urlo,
Simone si sposto di lato, evitando di riceverlo direttamente. Fu
colpito però in parte, e un'altra fitta dal proprio stomaco,
gli diede conferma di essere già stato danneggiato.
"Uhg,
avrò bruciori di stomaco per almeno un mese.."
pensò mentre gettava la piccola pietra che aveva tenuto per
tutto il tempo in tasca, e ormai frantumata, a terra. La runa che vi
era incisa l'aveva protetto bene, impedendo alla Wraith di toccarlo, ma
non appena era stato lui a muoversi, la magia si era spezzata, facendo
svanire l'incantesimo. La pietra era tornare ad essere semplice ed
inutile pezzo di roccia.
- NON
SONO FUGGITA! NON SONO FUGGITA!! - continuava ad urlare ancora lo
spettro, cominciando ad arretrare, a volteggiare su se stessa e attorno
il muro distrutto. "Ha smesso di prestarmi attenzione?", credette
Simone, pensando che forse la Wraith aveva perso l'ultimo frammento di
coscienza rimastole o perché divenuta totalmente cieca dalla
rabbia. Ma si sbagliava.
Il
terreno sopra cui lo spettro fluttuava cominciò a smuoversi,
la terra si spacco e qualcosa cominciò a spuntare, simile ad
un macabro fiore oscuro trasudante marciume e morte.
Un
cadavere si stava sollevando dal terreno, poi un altro, e un altro
ancora. Corpi ignoti, abbandonati, gettati in quel terreno sconsacrato
e poi finiti per essere divorati dalla terra, per sempre dimenticati.
In quella notte si rialzavano dal loro sonno per volere della Wraith,
in una brutta copia della "Notte dei morti viventi".
Sul
momento Simone si trovò ad osservare la scena allibito,
mentre una parte di lui, simile a quei cadaveri ridestati scava per
fuoriuscire, ma che a forza si costrinse a ricacciare indietro. Non era
il momento per farsi prendere dall'eccitazione del momento, doveva
mantenersi lucido e ragionare. Per quanto, invece di spaventarlo,
quella situazione si facesse per lui sempre più
interessante. Tanto che si dovette coprire la bocca con la mano, per
nascondere il sorriso natogli sulle labbra.
- Fammi
indovinare... sono quelli che hai ucciso in questi anni vero? -
parlò mordendosi l'interno della guancia, per costringersi a
non ridere, mentre contava all'incirca una ventina di zombie che
obbedivano alla Wraith. Lei però non gli rispose,
continuando a chiamarli a se radunandoli per fargli abbattere un unico
obbiettivo. "E' abbastanza intelligente da capire che non sono una
persona comune, e visto che non è riuscita ad attaccarmi
direttamente, adesso manda altri a farlo, sperando di mettermi alle
strette" ragionò nel tentativo di intuire i piani dello
spettro.
- E sono
sicuro che neppure uno di loro è il bastardo che ti ha
ucciso, vero? - un classico delle Wraith ammazzare chiunque invadesse
il loro territorio, in cerca di una vendetta che difficilmente ottengo,
puntando obbiettivi alla cieca non potendo lasciare il luogo in cui era
seppellito il loro cadavere.
"Ora che
la runa si è distrutta, anche lei potrebbe attaccarmi senza
difficoltà, ma è meglio che non lo sappia"
ragionò, incapace di trattenere ulteriormente il sorriso che
gli attraverso il viso con un'espressione sanguigna. Guardava ancora la
Wraith e finalmente intuiva, superando l'orrore della morte che la
devastata, quale splendore fosse stata vita.
"Sì,
quest'incarico è proprio una seccatura..." pensava, pur
consapevole che ora si stava sforzando di dirlo, e solo per non dover
ammettere di aver cominciato a divertirsi.
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Grazie per la lettura (^.^)b
Perdonate la banalità >.<''',
è la mia prima opera originale (che pubblico), e ha ben poco
di originale in realtà xD xD
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