I Veglianti di Synt
ciao...
è bello sapere che ci siete ancora, è stata una cosa molto dolce, l'ho apprezzato, voglio che lo sappiate.
ad ogni modo, alcune di voi mi avevano suggerito di mettere tutto in
terza persona... è stata una buona dritta mi piace, viene
meglio, grazie.
fatemi sapere se piace anche a voi.
CAPITOLO 1
Si fermò
davanti al nastro trasportatore in attesa delle proprie valigie,
studiava il proprio cellulare che, dopo circa un giorno di arresto
forzato in aereo, non sembrava smettere di notificarle cose. Non
prestava troppa attenzione, aveva un set di valigie verde menta, era
piuttosto certa che le avrebbe riconosciute.
Un bambino le
passò davanti, incerto nei suoi primi passi, e lei
allungò una mano per afferrarlo un secondo prima che un uomo lo
travolgesse. A volte sentiva che il problema era semplicemente la poca
attenzione che le persone davano alle cose importanti. Quindi si rimise
il telefono nella tasca della giacca.
I genitori la
ringraziarono in giapponese, mentre due signori in un completo
elegante, pantalone nero e giacca petrolio, le si avvicinarono.
«Minorou Lynn?», la chiamarono.
Lei alzò
gli occhi e lanciò loro uno sguardo, avevano la stessa
espressione tonta di Zach quando faceva qualcosa di stupido, ma il suo
cervellino da maschio non voleva saperne di chiedere aiuto.
«Eccomi», rispose lei, affatto sorpresa.
«Vorremmo
che ci seguisse, se non le spiace», le disse il primo
afferrandole il braccio con poco garbo e rendendo abbastanza superfluo
quel così cortese “se non le spiace”.
«Per la sua sicurezza la LTP ritiene di doverla scortare fino a Synt», spiegò il secondo.
«Ma le mie valigie!», si lamentò Lynn cercando di opporsi a quella specie di rapimento.
«Sono già state ritirate e perquisite».
Si fermò,
i due uomini rallentarono guardinghi, uno dei due – quello
più tonto – arrivò addirittura a portarsi la mano
destra all’interno della giacca, probabilmente aveva una pistola.
Lynn si strinse
nelle spalle. «D’accordo, allora», si arrese e si
lasciò trascinare via mentre rimpiangeva di non aver mandato un
messaggio a Nate. C’erano delle priorità, lo sapeva, ma
non voleva trascurarlo.
In una delle sue
valigie la LTP aveva trovato una katana, diverse armi bianche
più piccole, qualche pistola ed un pacco di marshmallows al
mandarino – impossibili da trovare in occidente. Le avevano
chiesto perché viaggiasse così armata, aveva risposto che
si trattava di regalini dall’oriente.
Considerando che
l’avevano portata dentro un’auto, infilata sul sedile del
passeggero tra due omoni e – cosa di gran lunga peggiore di tutte
– le avevano sequestrato il cellulare, sospettava che non
l’avessero creduta.
Becky
guardò Nate rigirarsi il termometro in bocca, chiudere il
computer e lanciarle un’occhiata fugace, prima di recuperare il
laptop ed allontanarsi dalla palestra. Dopo varie perlustrazioni
notturne in punta di piedi, avevano scoperto un punto cieco nel sistema
di controllo interno piazzato dai Veglianti di Wood.
Sapevano tutti che se fosse tornato
avrebbe capito, ma finché in caserma c’erano solo i suoi
Veglianti potevano dormire sonni tranquilli.
Indietreggiò di un passo ed il Vegliante che si stava allenando
con lei finì a terra ai suoi piedi. Becky si rannicchiò
davanti a lui e si abbracciò le ginocchia con le braccia.
«Sono un po’ stanca di vincere», osservò.
Il Vegliante
rise e rotolò sulla schiena osservandola con lo sguardo
assottigliato. «Cavolo, non ti sei nemmeno spettinata!»,
sbottò, indicando con un cenno i capelli di Becky, ordinatamente
intrecciati come quella mattina.
I Veglianti di
Wood non erano orribili, non tutti almeno. Era stata una lezione dura
da imparare, ma alla fine Becky aveva convenuto che potesse succedere:
Jean era stata una Vegliante di Wood ed era okay, Josh era stato un
Vegliante di Wood ed era… beh, Josh.
Il ragazzo con
il quale si stava allenando in quel momento, per esempio, aveva la sua
stessa età, erano stati scelti alla stessa Asta. Avevano passato
ore a fare gli increduli e scambiarsi informazioni. Era un ragazzo
simpatico, in gamba…
Bugiardo, le suggerì la propria coscienza.
Non esattamente, insomma, poteva semplicemente essere carino.
Si erano
conosciuti durante il programma di supporto al quale li aveva obbligati
Wood. Li aveva riuniti ed aveva spiegato loro che troppe perdite
avevano minato la loro coscienza, erano diventati aggressivi come un
branco di lupi, troppo legati al nucleo strettissimo che avevano creato
tra loro.
Per un mese li avevano divisi.
Becky era stata
rinchiusa in una stanza per tutto il mese. Andavano a farle visita uno
psicologo ed un medico; la incoraggiavano a parlare di tutto, le
consigliavano di parlare di Zach. E lei aveva obbedito, che avrebbe
potuto fare? Aveva raccontato della sua reclusione, di come Romeo
l’aveva minacciata giorno e notte in cambio di informazioni;
aveva pianto quando aveva ammesso di essersi fatta sfuggire qualcosa.
La dottoressa l’aveva abbracciata, Wood stesso l’aveva
consolata e rassicurata che nessuno avrebbe potuto pretendere
più da una ragazza così giovane, ma così
coraggiosa.
Felice della sua
collaborazione le avevano concesso delle visite, aveva chiesto di Matt,
le avevano risposto che era tempo di fare nuove amicizie.
Dean e Serena andavano e mangiavano con lei ogni giorno.
Becky mangiava con loro, rideva, scherzava, faceva amicizia.
Mai mele, non mangiava niente che avesse uno strano odore.
«Come fai
ad essere così più brava di me?», piagnucolò
Dean ancora sdraiato sotto di lei.
«Allenamenti da cheerleader», rispose divertita.
«È un mondo spietato, che vuoi che sia in confronto il
terrorismo di Romeo?», si era tirata indietro i capelli con un
colpetto, come un gran dama, ma quando l’aveva guardato di
sottecchi si era lasciata sfuggire un sorriso ed aveva lanciato un
urletto quando aveva cercato di buttarla per terra.
«È
così che vi allenate voi due?», li rimproverò
Serena con le mani ai fianchi.
Becky la
guardò ridendo. Dean e Serena erano fratelli gemelli ed erano
entrambi molto belli, avevano i capelli neri, gli occhi blu e pelle
pallida come porcellana; però non erano troppo vanitosi o
arroganti, anzi, erano entrambi molto semplici. Sembrava che piacesse
loro per davvero.
«Non fare la bacchettona, Serena», si lamentò Dean.
«Sei di ronda stasera?», le domandò Becky.
Scosse la testa
e si sedette vicino a loro a gambe incrociate. «Che dite se
usciamo a mangiare qualcosa?», propose.
Tutti e due guardarono Becky. «Perché no?», rispose lei raddrizzandosi.
Becky raggiunse
la sua stanza e trovò Courtney seduta sulla sedia davanti allo
specchio, con le mani sul viso.
«Ha di nuovo vinto lui?», le chiese.
«Ah.
Ah», sbottò lei. «Un peccato che io non sia
dell’umore per godermi il tuo spiccato senso comico».
Si sfilò le scarpe da ginnastica ed iniziò a togliersi la tuta.
«Esci?», le chiese Courtney.
Becky
tirò fuori una paio di pantacollant al polpaccio ed una
minigonna di jeans, poi una maglietta a maniche corte, sempre nera, ed
un top rosa fluo. «Andiamo a mangiare a Synt interna, vuoi
venire?». Sgomitò dentro ai capi fino ad uscirne nel modo
giusto.
«Con i tuoi nuovi amici?», continuò a domandare.
Recuperò
mascara, eye liner e lucidalabbra. «Ah-ah», rispose
concentrata sulle sue palpebre e le sue ciglia.
«Penso che
passerò». Sospirò la sua compagna di stanza. Non ce
n’erano abbastanza nella caserma di Synt, di stanze, la prima
idea era stata mischiarli con gli altri, ma Courtney aveva fatto
trovare la sua coinquilina legata alla rete del letto.
Legata sotto la rete del letto.
Il giorno dopo le era arrivata una scatola di cioccolatini tramite corriere.
Jared aveva dato i numeri, le loro urla si erano sentite per tutta la caserma.
Becky le
lanciò un’occhiata. «Non dovresti essere così
chiusa, è poco pratico in una situazione del genere, non
credi?».
Courtney era
ogni giorno un po’ più bella. Ogni giorno i suoi movimenti
erano più fluidi, i suoi sguardi più luminosi, più
diretti, aveva un modo di parlare, modulare la voce ed atteggiare le
labbra, che la rendevano spietatamente sexy. Era un modo di essere
seducente che non le sarebbe mai appartenuto. Erano diverse in ogni
fibra del loro essere, per questo non andavano molto d’accordo.
Si rispettavano ed aiutavano, con molta probabilità si volevano
anche bene, ma non andavano d’accordo.
«I patti
erano che ognuno avrebbe gestito al situazione come gli veniva
meglio», le ricordò, con uno sguardo percorse tutta la sua
figura, lasciando trapelare con gli occhi quanto fosse contrariata di
come Becky stesse gestendo la situazione. Si alzò in piedi e
sciolse i capelli, smuovendoli sulle spalle per cercare di eliminare i
segni dell’elastico.
«E poi oggi ho pranzato con Amanda, l’ho trovata piacevole».
Becky
infilò un braccio sotto il letto e tastò il pavimento
polveroso fino a trovare gli scarponcini che aveva comprato quando lei
e Serena erano andata a fare shopping. Davanti ad un frullato alla
fragola le aveva confessato i suoi sospetti sul fatto che il fratello
avesse una cotta per lei.
Becky aveva
abbassato lo sguardo sulla propria bibita sigillata, incerta; aveva
risposto che trovava Dean molto carino, ma non sapeva ancora come si
sarebbe comportata. Fraternamente, Serena aveva allungato una mano ed
aveva stretto la sua, dichiarando che l’avrebbero scoperto
insieme.
«Non trovi strano che tu abbia deciso di legare con quella che vuole uccidermi?».
Courtney si
strinse nelle spalle, mentre si avvicinava alla sua scrivania e
strappava un pezzo di carta da un quaderno. «In realtà mi
è sembrata l’unica via praticabile», spiegò e
stappò una penna. «Sai già dove andrete?».
«Probabilmente in quella pizzeria davanti alla farmacia».
«Perfetto». Si alzò appiccicò il foglietto
allo specchio con uno sbaffo del lucidalabbra di Becky, poi
spostò lo specchio davanti alla finestra.
B esce con quei due mostriciattoli.
Cenano a Synt interna da Jammy.
Datele un’occhiata.
Di ronda ci sono solo quelli di W.
Non fatevi prendere.
Grazie della cioccolata a quando un frozen yogurt?
C.
Romeo lesse il biglietto e recuperò il proprio telefono.
«Chi c’è per Becky?», chiese ad Ofelia.
«Io e Stu», rispose lei.
«Ci sono i gemelli», la avvisò.
«L’ho visto», la sentì sospirare. «Non
mi piace come quei due le stanno sempre intorno».
«Quei due obbediscono».
Rimise il
telefono ed il binocolo in tasca, poi si appoggiò con i gomiti
alla cornice della finestra e rimase a guardare la caserma. Da quando
c’erano i Veglianti di Wood – in particolar modo Dean e
Serena – cercavano di essere cauti. Non ne erano ancora sicuri,
ci stavano arrivando, ma sospettava che quei due non fossero niente di
buono, altrimenti di certo Wood non li avrebbe lasciati lì in
sua vece.
Aveva studiato a
lungo la situazione, c’era un vice Responsabile fittizio,
arrivato insieme a Wood, che, secondo quanto detto da lui, era
l’uomo di cui si fidava e che li avrebbe aiutati a Synt. Poteva
anche essere possibile, però aveva aspettato che arrivassero
quei due gemelli prima di allontanarsi.
Da quando sulla
tavola c’erano così tante incognite impazzite era
difficile tenere le fila di tutto. Gli venne un po’ da ridere a
pensare che aveva dei problemi a manipolare tutti, si chiese come se la
cavasse lei.
Un vociare
richiamò la sua attenzione, lentamente Romeo si ritirò
nascondendosi nell’ombra, mentre i Veglianti di ronda passavano
sotto il palazzo.
Stava per andarsene, ma lanciò un’ultima occhiata alla finestra di Courtney.
Sapeva che vedeva, sapeva che avrebbero comunque mandato qualcuno per Becky.
Sorrise.
Aspettò
di essersi allontanato abbastanza dai Veglianti, prima di recuperare
sigaretta ed accendino. Il suo cellulare vibrò nella tasca.
C’era un messaggio da un numero che non aveva registrato.
Portami un paio di scarpe.
Erano già stati a mangiare da Jammy.
Prima che
arrivassero in città i Veglianti di Wood, Becky non aveva
esplorato molto Synt; erano stati tutti così preoccupati di
metterla in guardia sui pericoli, sui rischi, sullo stare in guardia,
da farle quasi dimenticare che, la zona interna almeno, era piuttosto
pacifica.
Il coprifuoco
lì era posticipato di un’ora e, seduti al locale a
mangiare pizza, senza giacche verdi, erano esattamente come tutte le
altre persone.
Dean e Serena le
avevano raccontato che Wood li obbligava a comportarsi da ragazzi
normali una volta alla settima: in quel giorno non avevano ordini, non
avevano missioni, non erano obbligati a mangiare in caserma, non
dovevano render conto a nessuno.
Becky sorrise e
pensò a sua madre: non cercò di spiegare loro che anche
rendere conto a qualcuno significava normalità.
«Potresti farti trasferire», buttò lì Serena.
Becky
sgranò gli occhi senza parlare, intenta com’era ad
inseguire un filo di mozzarella sulla sua pizza. Masticò e
deglutì più in fretta di quanto avrebbe voluto.
«Come?», chiese stupita.
«Ma
certo!», rimarcò. «Così quando noi torneremo
a Los Angeles tu verresti con noi».
Becky arricciò il naso non esattamente convinta. «Ma si può fare?».
Dean si strinse
nelle spalle. «I Responsabili si scambiano i Veglianti di
continuo e poi hai detto che Wood era interessato a te, no?».
«Sì, ma… era più interessato a me come un manichino».
«Okay, ma
non sei mica la stessa ragazza ingenua che era all’Asta»,
la rimproverò Serena. «Hai dimostrato a tutti di avere
talento, Wood è intelligente, sono sicura che ha rimpianto
quella decisione».
«Potremo
lasciare a Synt quella rompipalle di Amanda ed il suo
boy-Kingley-inutile e prenderci te e…». Dean si interruppe
pensandoci su. «Mm… mi sa che quello più utile
sarebbe Matt».
Becky si morse il labbro e lanciò un’occhiata a Serena, che sbuffò sconsolata.
«Oh,
Becky!», la rimproverò. «Stiamo parlando di un
ragazzo piuttosto leggero, non credi?», sbottò indovinando
i suoi pensieri.
«Non è proprio così che definirei Zach», rifletté.
«No?», rimarcò incredula lei. «È venuto
qui e si è messo con Lindsey. Poi è arrivata Courtney e
lui ha annusato da un’altra parte, poi sei arrivata tu ed ha
scodinzolato fin lì», riassunse. «Cosa possiamo
dedurre da questo».
«Che gli piacciono le ragazze con i nomi che finiscono con “y”?».
Serena
sbatté le palpebre osservandola. «Anche. Ma soprattutto
che gli piacciono tutte le ragazze che gli passano abbastanza
vicino».
«Poco
lusinghiero», commentò semplicemente Dean, Becky
apprezzò che avesse deciso di rimanere in disparte da quel
discorso.
Becky
sospirò. «Non ho detto che è perfetto, né
che aspetto il suo ritorno con trepidante attesa, né che credo
sia innamorato di me», si fermò con una smorfia.
«Non so più nemmeno io cosa provo per lui». Non
volendo lanciò un’occhiata a Dean che la fissava serio.
«Ma sono sicura che se non torna e non ci parlo, una volta per
tutte, non lo saprò mai e resterò con questo
dubbio», concluse.
«D’accordo», concesse Serena. «Ma tu sei
proprio sicura che lui si faccia i tuoi stessi problemi?».
Zach entrò nella sua stanza.
Aveva affittato una camera in un motel, la pagava facendo le pulizie in una palestra poco distante.
Faceva ogni
volta il tragitto di corsa perché non aveva più un tapis
roulant, però Courtney aveva appoggiato sopra un secchio
dell’immondizia un sacchetto di plastica con dentro il suo
lettore mp3.
Come tutti i giorni sul tavolo c’era la cena, era Jamie a portargliela.
Sapeva che stava nel suo stesso motel e sapeva anche quale, delle macchine parcheggiate fuori, era la sua.
Però non lo importunava, lo controllava da lontano senza interferire.
Si sedette a tavola e scoperchiò la scatola del proprio hamburger.
Doveva tornare a Synt.
Diede un morso.
Voleva tornare a Synt?
Si alzò per prendere una bottiglia d’acqua.
No, non voleva tornare a Synt.
Non voleva stare in un posto per cui suo padre l’aveva plasmato.
La prima volta
che aveva parlato con Romeo non aveva capito. Per un mese intero era
rimasto a Synt aspettando che gli altri uscissero
dall’isolamento. Stare fermo in attesa l’aveva fatto
pensare, l’aveva costretto a farlo. Aveva metaforicamente messo
mano ai propri ricordi ed aveva iniziato a fare ordine.
Per la prima
volta ogni cosa aveva trovato il suo posto: ora sapeva il perché
di tante situazioni spiacevoli, di alcune più piacevoli e si era
sentito molto più equilibrato.
Inizialmente.
Poi quella frase gli era entrata nel cervello e non l’aveva più lasciato in pace: Non è un bambino vero.
L’aveva
detto suo padre a Sean, che gli era sembrato confuso. Zach li aveva
sentiti perché stava origliando, aveva sempre pensato che si
riferisse al fatto che non era come tutti, che era strano, cagionevole,
goffo. Goffo.
Ma no, era stato un concetto molto più semplice.
Non era un bambino vero: perché l’avevano fatto. A tavolino. Un pezzetto per volta.
Non era un
bambino vero perché con ogni probabilità sarebbe dovuto
essere completamente diverso. Magari a lasciar perdere la manciatina di
cellule che doveva essere stato, sarebbe diventato uno studioso, un
letterato, un campione degli scacchi.
Non era niente di quello che sarebbe potuto essere, l’avevano cambiato troppo.
Non era più un bambino vero.
Punto.
«Posso parlarti?», le chiese Dean mentre si dirigevano nella propria camera.
Becky sentì un leggero panico montarle all’interno, paura, agitazione.
Serena li
salutò entrambi e si affrettò a raggiungere la propria
camera per lasciarli soli, Becky si fermò con lui. Sapeva di
dover rispondere di sì.
«Certo».
Dean si
guardò intorno e, insoddisfatto delle persone che sentiva
chiacchierare in lontananza, la prese delicatamente per mano tirandola
piano verso la mensa. Sembrava deserta, ma in fondo, lontano
dall’entrata c’erano due ragazzi un po’ ammucchiati.
Becky finse di non vederli, anche se si sentiva a disagio ad essere nel
posto in cui i Veglianti di Wood andavano a pomiciare, soprattutto
stando in compagnia di un Vegliante di Wood.
Dean si
arrampicò fino a sedersi sul tavolo, i piedi appoggiati alla
panca; Becky rimase in piedi di fronte a lui, incrociò le
braccia sul petto osservandolo.
«Quel discorso in pizzeria era per me?», le domandò.
Becky trattenne
il fiato, il suo cervello alla precipitosa ricerca del modo giusto per
portare avanti quella conversazione. Rimase zitta.
«Non
voglio che ti senta in dover di farlo», sorrise. «Mi piace
quello che abbiamo, mi piace passare il tempo con te e ridere, non
voglio smettere».
Allungò
una mano fino ad afferrare la sua, che usò per avvicinarla,
Becky lo lasciò fare.
«Riporteremo qui Zach Douquette», le disse stringendole
entrambe le mani, come in una promessa solenne. «Quando
sarà qui ed avrai modo di chiarire la vostra situazione,
parleremo della nostra».
Becky
deglutì e lo fissò, scavalcò la panca che li
divideva spontaneamente, con calma. Dean fu tanto rispettoso da tirarsi
un po’ indietro per darle tutto lo spazio che voleva. Scosse la
testa con un mezzo sorriso. «Quello che ha detto Serena è
vero», ammise. «Mi sentivo sempre tanto partecipe quando
lui mi prestava attenzione, perché quelli come lui non danno mai
retta a quelle come me».
«Che dici? Quelle come te sono adorabili», la interruppe.
Lei sorrise ed aspettò che la lasciasse continuare.
«Okay, vai, sto zitto».
«Non era
giusto», deglutì. «Non era giusto che mi sentissi in
quel modo. Siete dovuti arrivare voi perché per la prima volta
pensassi di valere qualcosa come Vegliante».
Dean rimase in
silenzio, nei suoi occhi c’era comprensione, tanta partecipazione
per la sua esperienza in una squadra che non aveva avuto il coraggio di
guardare le sue capacità, oltre gli evidenti limiti fisici.
Bugiardo, le ripeté la stessa voce nella sua coscienza.
«Vieni a
Los Angeles con noi», ripeté fissandola, stavolta
più che una proposta divertente, sembrava una preghiera.
«Forse dovrei», rifletté abbassando lo sguardo.
Dean lo rincorse
fino a guardarla di nuovo negli occhi. «Vieni a Los Angeles con
me, non riesco a pensare di lasciarti qui».
Per un attimo
Becky rimase attonita, in apnea; era tutto così perfetto,
così adorabilmente normale, così desiderabile. Un
romanzo. La giovane ragazza incontra un giovane uomo dagli occhi blu,
intenzionato a portarla via da quella città piena di rancori e
smog.
Si trovò
a guardare la bocca di Dean prima ancora di realizzare di starsi
avvicinando. Si incontrarono a metà, per un attimo le loro
labbra rimasero immobili, le une contro le altre; si dischiusero
lentamente, non c’era fretta in quel bacio, né frenesia:
non era un bacio arrabbiato, o un bacio da fine del mondo, o…
Becky si staccò, per un attimo vide Zach, un battito di ciglia.
Abbastanza da fargli venire la nostalgia.
Dean la abbracciò, senza dire niente.
Bugiarda.
Quando
tornò nella propria camera, Courtney la aspettava sveglia, la
osservò tutta mentre entrava, chiudeva lentamente e si
appoggiava con la schiena alla porta, poi tornò a sfogliare la
propria rivista.
«Hai esagerato», le disse.
Becky sospirò. «Non se mi racconta qualcosa».
«A Zach non piacerà».
«Zach se
ne è andato», sbottò. «Non credo che sia
giusto che abbia voce in capitolo su cosa posso o non posso
fare», la fissò. «Magari Dean mi piace davvero,
potrei andare a Los Angeles e costruirmi tutta un’altra
vita».
«Ah-ah», convenne annoiata. «Buon viaggio, telefona
ogni tanto», la salutò sarcastica.
Becky scosse la
testa ed iniziò a prepararsi per mettersi a letto. «Non so
davvero perché dovrei rimanere», borbottò.
Courtney rimase
in silenzio, Becky le lanciò un’occhiata da sopra la
spalla, capì al volo che la sua compagna di stanza si era posta
quella domanda un milione di volte; forse per lei era molto più
doloroso e frustrante rimanere in quella caserma.
Spostò lo
sguardo su di lei e sorrise, convinta e sicura. «Per Nate»,
disse. «Rimaniamo per Nate».
Romeo si accese
una sigaretta, seduto alla guida di una monovolume nera, dischiuse il
finestrino per non far impregnare la tappezzeria di fumo. Quella
macchina era di Iago, non voleva che ci si fumasse dentro.
Lynn lo
raggiunse zoppicando ed aprì la portiera come una furia.
«Le mie», iniziò, sfilandosi una scarpa con il tacco
spezzato e lanciandola lontana in mezzo alla strada.
«Scarpe», proseguì, facendo fare la stessa fine
anche all’altra. «Preferite», terminò
sbattendo lo sportello nel chiudere.
Romeo si
allungò all’indietro e le porse una scatola con un fiocco
rosso. «Spero siano del numero giusto».
Lynn sbuffò e gli lanciò un’occhiata. «Sono le stesse, non è vero?».
Lui rise ingranando la marcia. «Beh, erano le tue preferite».
«Ho comunque voglia di ucciderti per quello che hai lasciato fare a Nate».
«Sta
tranquilla», cercò di rassicurarla recuperando il
telefono. «Lo risolveremo», promise prima di denunciare
alle autorità competenti un’auto finita oltre il guardrail.
non so davvero cosa penserete di questo capitolo, è tutto molto diverso.
però io volevo che fosse diverso, volevo che fosse così.
baci
Fragolottina
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