Il paleopatologo
Prima classificata al
contest "Segui
il sentiero dorato"
indetto da Shizue Asahi sul forum di EFP, poi
affidato a i love Ace 30 e vincitrice del premio "miglior
storia che ha fatto emozionare".
Prompt: Citazione
#9
- Addio, uomo di latta!
Oh, non piangere altrimenti ti arrugginisci un'altra volta.
Seconda classificata al
contest "Scienza
e fede" indetto da Hedoniste sul
forum di EFP e vincitrice
del premio "pregog" per la migliore storia edita.
Pacchetto Scienza (A) - Umano,
troppo umano
Tema: intelligenze
artificiali, robot e macchine.
Obbligo: uno dei personaggi principali (non neccessariamente il
protagonista) deve essere un AI.
Divieto: genere guerra
Note autore
Questa
one-shot si può definire uno spin-off di un racconto molto
più
lungo che sto scrivendo.
Il lasso di
tempo preso in considerazione in questo breve testo si può
intendere come la parte centrale di due blocchi (prequel e sequel). Il
primo l'ho già quasi completamente scritto, il secondo
è
ancora in via di sviluppo nella mia mente.
La sigla "a.n." che compare nelle date sta per "after nuketion", ossia
un avvenimento mondiale di cui parlerò in modo
più approfondito quando pubblicherò il prequel.
Un
secondo e l’eternità
Città di Weinix
Data
locale: 5
marzo 116 a.n. ore 9:01 am.
Meteo: cielo soleggiato.
Temperatura: 32 °C.
Notifica: La deviazione dal percorso
breve
prestabilito comporterà un ritardo di 1h e 35’.
Il
Sole splendeva magnifico sulla città. I grattacieli dai
vetri specchiati sembravano in fiamme: in quello
più
alto, sormontato da un enorme cupola antigravità, Devin ci
era stato nei panni
di poliziotto in borghese circa cent'anni prima con la sua
collega. Il caso
per cui lavoravano allora era stato il più complicato della
carriera. Quel giorno, Alandria, dopo aver
guardato giù in strada dal ventottesimo piano, si era girata
e gli aveva
sorriso, come se il vuoto e l’altezza l’avessero di
colpo rassicurata.
Devin
scartabellò tra i vari registri di sistema e finalmente
ritrovò la foto che le
sue iridi sintetiche avevano immortalato. Capelli rossi, sorriso
luminoso, occhi
verdi.
Constatò che la sua memoria non era più
veloce come un tempo: aveva un
ritardo di tre bit per secondo. Forse avrebbe dovuto farsi fare un
controllo:
magari, a sua insaputa, qualche collegamento sinaptico del suo cervello
artificiale aveva
perso conducibilità.
Tre
bit al secondo: un tempo trascurabile in confronto agli eoni che lo
separavano
da lei.
Proseguendo
con passo lento, superò il quartiere amministrativo e
raggiunse l’incrocio più
a sud. Lì c’era il bar in cui avevano fatto per la
prima volta colazione
assieme: il Bku
Vega II, come il nome del pianeta che
era
stato colonizzato l’anno in cui era stata aperta la gestione.
Quando
ci passò davanti, si fermò a osservare il proprio
riflesso sulla vetrina: nulla di
nuovo in lui, non una ruga nel volto, lo stesso fisico magro e agile,
gli
stessi capelli biondi... Ripensandoci però, forse qualcosa
di diverso c’era:
non gli riusciva più di sorridere come un tempo. Dava la
colpa a quella miscela
chimica che gli scorreva sotto la pelle al posto del sangue,
sostituendosi alle
funzionalità del classico chip emotivo. Era stato creato
così: né robot, né
umano. Un essere immortale fabbricato con materiali sintetici e,
tuttavia, dotato
di emozioni così intense da sembrare reali. Ma quanto si
possono dire sincere
le emozioni create da un meccanismo artificiale? Non sono, in
realtà, una mera
illusione? Devin, in fin dei conti, era come un computer: un computer
molto
avanzato e multifunzionale, ma pur sempre dotato di una programmazione
creata
dall’uomo. Si può forse supporre che anche i
computer provino emozioni?
Lui
e Alandria avevano iniziato a conoscersi proprio al Bku Vega II; in
quel locale, una mattina – precisamente la mattina
in cui Devin era entrato in servizio – si erano fermati
lì a fare colazione.
Non ci voleva una laurea per accorgersi che lei non provava molta
simpatia nei
suoi confronti. Quello che non gli era chiaro era il motivo, ma di
tempo per
capirlo ne avrebbe avuto, visto che il capo del dipartimento lo aveva
nominato nuovo
compagno di squadra della poliziotta.
«Lasciami
fare
colazione in pace, ragazzino!», gli aveva urlato contro la
donna, quando lui
le aveva gentilmente sconsigliato di assumere caffeina. Lo chiamava
sempre “ragazzino”,
come se dentro di sé già fosse a conoscenza
del fatto che il suo partner
non potesse invecchiare.
«Io
non prendo
nulla, non ho fame», aveva risposto Devin al robot-cameriere
che attendeva
l’ordinazione. Quel mucchio di ferraglia arrugginita, con due
occhi
tondi e neri e le
mani scheletriche, si vedeva lontano un miglio che era un
elettrodomestico. E
Devin lo guardava quasi con compassione, senza immaginare di essergli
in
qualche modo parente.
Qualche
minuto dopo, la
vetrina del bar era andata in frantumi e lui si era gettato
d’istinto verso
Alandria per proteggerla. Il ricordo del dolore lancinante alla
schiena, dove
lo avevano raggiunto i proiettili, era ancora vivido. Quella volta
aveva avuto paura, aveva creduto di
morire. Non sapeva ancora di essere una creatura indistruttibile.
Tutto
era di nuovo a
posto ora. Dopo l’attentato avevano sostituito il
vetro e
rinnovato gli interni
danneggiati, ma il nome del locale era rimasto lo stesso: Bku Vega II. Le piastrelle usurate del
marciapiede davanti l’entrata
erano l’unica cosa lì attorno che mostrava i segni
del tempo.
Quella
città era come un vecchio scrigno in cui aveva lasciato a
impolverare troppi
ricordi. Tornare in quei luoghi familiari era strano; tristezza e gioia
si
mescolavano dentro di lui. Si chiedeva come facesse a sopportare quella
sensazione pressante che pareva volergli schiacciare la
cassa toracica a ogni
finto respiro. Avrebbe voluto piangere, ma i suoi occhi erano
programmati per
farlo in un’unica occasione.
Alandria
abitava in una villetta nel quartiere nobile a est della
città. La notte, Devin se la
immaginava rintanata dentro l'osservatorio nell’attico a
guardare il cielo
stellato, circondata da almeno una decina di robot domestici. Si legava
di più
alle macchine che agli esseri umani, ma aveva la pessima abitudine di
dare ai
primi ordini autodistruttivi e riservare ai secondi una malcelata
insofferenza.
Si
era affezionata molto di più a Devin quando aveva scoperto
che era un robot e,
paradossalmente, aveva iniziato a preoccuparsi di più per
lui proprio quando la
sua natura immortale era risultata palese… Come se la vita
eterna potesse
essere una condanna da compatire. Non
c’era niente da fare: Alandria era un’anima
complicata, con una personalità
piuttosto eccentrica.
Quante
volte l’aveva vista alzarsi di malumore la mattina e inveire
contro Kevin che
apriva le tapparelle seguendo la programmazione che lei stessa aveva
prestabilito la sera prima.
«Miseria
Kevin! Hai rotto con questi bruschi risvegli! Apri la finestra e
buttati di
sotto!»
E
Kevin si buttava. Qualche attimo dopo, Alandria scendeva al piano terra
disperata, pregando perché non si fosse rotto niente.
Il più delle
volte Devin osservava in silenzio, affacciandosi dalla finestra della
cucina,
mentre
preparava la colazione.
Quando
non aveva nulla da fare, passava la notte appoggiato allo stipite della
porta a guardarla dormire. C’era perfezione, grazia e mistero
nel
viso della
sua amica-collega
addormentata. Era davvero bella: capelli lunghi tendenti al
rosso,
fisico attraente, lineamenti dolci che contrastavano con il suo
carattere un po' burbero.
Abbracciava il cuscino come se fosse stato il suo amante, segno che
avrebbe
voluto avere qualcuno accanto, ma la sua complessità mentale
glielo impediva.
Quanti ricordi
può evocare un semplice riflesso sulla vetrina di un locale!
Devin
lasciò dietro di sé anche il Bku Vega II e
proseguì. Attraversò un altro quartiere e
raggiunse una grande piazza: al centro si distinguevano i resti del
monumento
storico eretto in onore del primo viaggio interstellare. Protetto
al di là di una recinzione, se ne stava un modello
in scala
ridotta della nave spaziale Vessel, piegato su di un lato,
corroso
dal tempo, immobile come una cosa stanca adagiata a terra.
Non
aveva mai saputo dare una definizione precisa al rapporto che si era
instaurato
tra lui e la sua collega; sicuramente non erano semplici amici, ma
nemmeno
amanti. Li legava un forte sentimento platonico che ogni tanto sfociava
nel
manifesto - come la sera prima del trasferimento, quando Alandria aveva
finto
di ubriacarsi. Sì, aveva chiaramente finto, ma Devin era
stato al gioco,
recitando la parte del compagno premuroso.
La ragazza si era girata improvvisamente verso di sé con
un’espressione grave
dipinta sul volto, proprio mentre stavano passeggiando vicino
ai resti di quello stesso monumento vandalizzato dall’uomo e
dalla natura.
«Vorrei
essere come te, ragazzino», aveva detto. «In due
potremo
consolarci a vicenda per
l’eternità.» Un singhiozzo aveva
interrotto
momentaneamente le sue considerazioni e a Devin era parso che i suoi
occhi
brillassero
più del normale sotto la luce dei lampioni a energia
tachionica. Poi l'aveva
sentita continuare con voce stranamente
allegra: «Così non va bene, è come
essere innamorati di una stella. La mia esistenza
è un solo secondo, se equiparato ai miliardi di anni di vita
del Sole.»
Nell’aria
c’era una brezza tiepida e rassicurante che sembrava voler
tener lontano dai
cuori delle persone ogni possibile risvolto negativo.
«Anche
la vita di una stella è insignificante, se paragonata a
quella dell’universo»,
le aveva risposto Devin.
Cent'anni dopo,
fermatosi nello stesso luogo di allora, cercò tra i
video salvati nella
sua memoria. E il Sole splendeva magnifico sulla città, sui
grattacieli dai
vetri specchiati e sul telaio delle auto ricoperte di scintillante
vernice
intrisa di microcelle fotovoltaiche.
Ancora quei tre bit di ritardo,
prima che
il file che cercava si aprisse nello schermo mentale.
Andando
contro ciò che era scritto nella sua programmazione, quella
sera aveva posato
le mani sulle guance della ragazza e l’aveva condotta
dolcemente verso di lui. Non sapeva il significato di quel gesto che
gli era sembrato
tanto
naturale; l’aveva visto fare nei film e aveva percepito in
Alandria
disponibilità e desiderio… Tutto ciò
che voleva era confortarla, scacciare via
le sue preoccupazioni.
La
strana trepidazione che Devin aveva provato in quel momento, il sapore
vivo
delle labbra calde e umide di lei sulle sue sintetiche, il desiderio di
poterla
condurre ai
confini del tempo: tutto si era mescolato in modo confuso, mandando in
tilt
qualcosa dentro di lui. Poteva, un essere che non era né
robot né umano,
innamorarsi? Cosa si poteva dire dell’amore, se non che era
un imbroglio della
mente, causato da qualche reazione chimica facilmente riproducibile
anche in
laboratorio?
«Addio,
uomo di latta! Oh, non piangere altrimenti ti arrugginisci un'altra
volta»,
aveva detto la donna con nonchalance dopo il bacio.
«Posso
accompagnarti a casa?»
«Ti
ho appena detto addio, ragazzino», gli aveva risposto lei
corrucciando
la fronte. «Dovremo
rifare le presentazioni e far finta di non conoscerci.»
Barcollò
pericolosamente di qualche passo facendo scattare i sensi di Devin a un
livello
di allerta.
«Mi
chiamo Devin e appartengo alla classe dei robot», si era
presentato lui,
avvicinandosi e allungando
un braccio per sorreggerla.
«Io
mi chiamo Alandria Daukins e sono il miglior agente di polizia del
dipartimento di
Wenix.»
Aveva
scansato la mano che lui le
offriva,
ma aveva lasciato che la affiancasse e così avevano
camminato assieme fino alla vettura
di servizio.
Devin
superò anche la grande piazza con il monumento. Tutti i file
con i ricordi del
tempo trascorso con Alandria erano sistemati in modo ordinato in un
angolo
della sua mente. Non c’era più niente per lui in
quella città; era pronto a continuare
il suo camino commemorando dentro di sé i bei momenti del
passato, perché
dimenticare non è una soluzione ammissibile.
Era
pronto a partire verso la sua nuova missione: avrebbe conosciuto nuove
persone,
magari avrebbe trovato un’altra ragazza come Alandria, in
grado di
scombussolargli i circuiti, e tutto sarebbe ricominciato.
La
vita nell’Universo è una coincidenza fortuita che
si manifesta con la stessa
effimerità della luce di una meteora che solca il cielo. E
Devin si sentiva
come un nodo fisso, immutabile nel disegno dell’intero cosmo.
L’essere una creatura
immortale comportava una fortissima sensazione di solitudine: tutti
quelli che conosceva, prima o poi,
erano destinati a svanire.
Immune
alla distruzione per mezzo di qualsiasi dinamica, Devin sopportava
senza troppi
problemi l’esposizione a temperature pari a quelle di
un’esplosione nucleare.
Gli era capitato di finire disintegrato, e in quell’occasione
aveva perso
totalmente coscienza al punto di diventare vuoto, oscuro, morto,
completamente
annullato. Dopo una buona mezz’ora di stasi le sue polveri
avevano iniziato a
riaggregarsi e lacrime senza sale avevano iniziato a scendere sul suo
nuovo
volto. Gli occhi di Devin, per qualche insana motivazione decisa dai
suoi
creatori, erano programmati per piangere solo durante la rinascita.
«Addio,
uomo di latta! Oh, non piangere
altrimenti ti arrugginisci un'altra volta»
Sembrava
adatta a ogni attimo della sua esistenza, quella frase. Solo che lui
non arrugginiva.
Si poteva, tuttavia, considerare tranquillamente come
un’espressione
metaforica: una ruggine invisibile che inibiva la sua
volontà di reagire e spegneva
lentamente il suo sguardo innamorato.
Se
c’era una cosa certa, che non avrebbe necessitato di
conferme, quella cosa era
che tutto sarebbe ricominciato… Devin avrebbe incontrato di
nuovo Alandria.
Chissà quanto tempo avrebbe dovuto trascorrere: quanti
secoli, quanti
sconvolgimenti geologici, quante ere, quanti disordini universali prima
di
tornare all’inizio del tempo.
Ma
il Sole di quella giornata splendente illuminava la città e
i grattacieli in un
modo che Devin non aveva mai visto prima e i suoi pensieri mutarono
trasportati dal corso degli eventi.
Sembrava quasi
che le insegne pubblicitarie nei pressi del casello per la tratta
spaziale
Selene-Mars spandessero un’essenza tenebrosa.
«Buongiorno!»,
lo salutò un uomo sulla sessantina vestito elegantemente e
con paio di occhiali
AR tra i capelli brizzolati. «Sa dirmi che navetta devo
prendere per
raggiungere la base orbitante di Nettuno?»
Devin
lo guardò distrattamente: «Esiste una base
orbitante attorno a quel pianeta?»
«Non
in questo tempo», rispose l’altro.
I
due si fissarono per qualche istante parlandosi solamente attraverso
impercettibili segnali non verbali nascosti dentro i loro occhi. Poi
finalmente
l’uomo allungò la mano sulla quale teneva un
cartellino.
«Ci
sono due modi per raggiungere ciò che cerchi. Uno: arrivare
alla fine del tempo
e sperare che dopo il Big Crunch[1] ci sia un nuovo Big Bang.
Due: risolvere
quest’equazione…»
Una
serie complicatissima di numeri e simboli copriva l’intera
superficie del
piccolo rettangolino traslucido tra le dita del misterioso individuo.
«Che
cosa rappresenta?», chiese Devin.
«Tutto.
Dall’apparente caos con cui le foglie cadono in autunno,
alla simmetria che lega i filamenti di materia aggregata a livello
cosmologico.»
Città di Weinix
Data
locale: 5
marzo 116 a.n. ore 11:01 pm.
Meteo: cielo stellato.
Temperatura: 25 °C.
Notifica: La deviazione dal percorso
breve
prestabilito comporterà un ritardo di 28,82 miliardi di anni[2].
Glossario:
1-
Il Big
Crunch è il contrario simmetrico del Big Bang.
L’universo inizia a contrarsi finché tutta la
materia non finirà per
concentrarsi in una
singolarità.
2-
Attualmente
l’età stimata dell’universo è
di 13.82
miliardi di anni. Io ho
ipotizzato che nel futuro di
Devin e Alandria si sia scoperta un’età ancora
più vecchia 14,41. Ho scelto di
proposito un valore palindromo per rendere il tutto più
misterioso.
14,41 (periodo di tempo dal presente al Big Bang) + 14, 41 (periodo dal
Big Bang al presente) = 28,82
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