interpretazione

di sarasuskind
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Un giorno, mentre osservavo il cielo, sdraiato sull’erba umida, notai quanto le nuvole potessero avere voce. Le nuvole non facevano altro che interpretare le parole del vento, di quella brezza che nell’infinito scorreva, e si riversava sul mondo. E quelle, soffici, creavano forme, figure, disegni. E pensai di non aver mai pensato in questo modo. Pensai di non essere stata abbastanza acuto e riflessivo fino a quel momento, nella mia vita. Me ne rattristai. Ma iniziai a notare quei dettagli che creano la perfezione nel tutto che ci circonda. E vidi il respiro delle persone prendere colore, e fino a quel momento mai avevo considerato il fumo della sigaretta in quel modo. Lo stesso fumo, che denso, saliva in cielo e insieme alle nuvole cantava le parole del vento. E nell’illimitato spazio, si confondeva nel buio. Ma lentamente col passare dei mesi, mi accorsi che quelle tenebre, quel buio, che mi accoglievano nella notte, non facevano altro che fare luce sui miei pensieri: nel nero, senza luna, creavo connessioni tanto illogiche quanto profonde sulla vita. E mi faceva paura. Perché alla fine nulla era ciò che sembrava. Così come il mio respiro, e il mio buio, e il mio vento, io ero contraddizione. Io ero scostante e poco fondamentale oggetto del mondo.  Mi attraversò angoscia, più che altro invidia verso coloro che non avevano sentito alcuna voce nelle nuvole, e che non avevano visto colore nel proprio respiro, e verso coloro che nel buio scorgevano sottile paura, ma niente più.




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