Quel
manicomio in Corso Tre Novembre numero trentatré
1.
Benvenuti in manicomio: l’estintore si trova nell'ingresso,
in
basso a destra
Era
una bella giornata di sole: gli uccellini cinguettavano, le persone
che si erano appena alzate sorridevano, le caffettiere
fischiettavano… O, almeno, questo era quello che stava
accadendo in
qualsiasi appartamento che non fosse l'interno otto di Corso Tre
Novembre numero trentatré, secondo piano, prima porta a
destra, di
fianco all’ascensore, abitato a partire da quell'anno da
cinque
inquilini piuttosto particolari.
“Michele!”.
Il ragazzo rabbrividì: il suo nome urlato e scandito bene
significava sempre guai. “Dannazione, se decidi di cucinare i
pancake non sparire!”, gridò Margaret Arrigoni,
agitando le
braccia da destra a sinistra, nel tentativo di far sparire il fumo
che si era addensato nella cucina.
“Scusa
scusa scusa!”. La risposta del giovane si udì
forte e chiara dal
corridoio ed era accompagnata dai suoi passi pesanti. Michele
Rangotti non era assolutamente in grado di cucinare: anche quel
giorno, nonostante avesse acquistato il preparato per pancake al
supermercato e avesse incaricato Megan di finire di mescolare
l'impasto, non era riuscito a seguirne la cottura, poiché
era stato
distratto da un pensiero fulminante.
“Stavo
cucinando e mi è venuto in mente che dovevo farmi una
doccia!”,
esclamò, tentando di giustificarsi, passandosi
le dita in mezzo alle treccine nere.
“E
mentre ti fai la doccia pensi che i pancake si girino da
soli?!”.
Ok, l'amica era davvero alterata quella volta: di solito non alzava
la voce di due ottave.
“Sì?”,
tentò, mordendosi il labbro inferiore e provando a rendere
il suo
sguardo dolce come quello di un cucciolo indifeso.
“No,
cazzo! Sei un idiota, Mike!”, gridò Margaret, ma
dal fatto che lo
aveva chiamato con il suo soprannome lui comprese che era
già stato
perdonato, grazie al Cielo!
“Io
direi di punirlo costringendolo a lavare i piatti per una
settimana”,
si aggiunse intanto un’altra voce, mentre l'ombra del giovane
a cui
apparteneva si faceva largo nel fumo: un attimo dopo l'aria fresca
del mattino inondò la stanza, e a poco a poco
cominciò ad
intravedersi l'espressione compiaciuta di Margaret, che evidentemente
trovava l'idea del coinquilino molto allettante.
“Non
mi dispiace come pu-”, si bloccò a metà
frase, perché un urlo di
gioia la interruppe.
“Scacco
matto, pivello! E sono tre partite di fila che la grande Megan
vince!”.
A
quelle parole Mike e Margaret si affacciarono con sguardo confuso
alla porta del soggiorno, la quale confinava con quella della cucina,
mentre l'altro ragazzo sbiancava e balbettava sillabe sconnesse,
incredulo.
“Ma
come?! Stavo vincendo io!”.
“Ieri
sera a mezzanotte, forse! E solo perché stavo crollando dal
sonno”,
ribatté l'altra, senza ammettere repliche: amava vincere
contro
Jack, perché lui, a differenza di tutte le altre persone che
aveva
sfidato in passato, era un degno avversario. Ovviamente non lo
avrebbe mai ammesso davanti a lui.
“Ho
sentito come crollavi dal sonno quando all'una gli hai gridato che
stava barando”, borbottò Mike, beccandosi una
gomitata dalla donna
al suo fianco, la quale voleva evitare una rissa: Megan era su una
sedia a rotelle, ma le aveva dimostrato più volte di sapersi
difendere.
“Non
era l'una”, ribatté Jack sorridendo: le partite
sue e di Megan si
protraevano per ore, ma qualche giorno
prima avevano deciso che arrivati alla mezzanotte avrebbero
continuato la mattina. Ovviamente prima di andare a letto
fotografavano entrambi la scacchiera: si fidavano l'uno dell'altra,
ma un po’ meno confidavano nel fatto che Mike avrebbe
lasciato i
pezzi nella stessa posizione, se si fosse svegliato durante la notte.
“Sono
convintissimo che fosse l'una”.
“All'una
russavi come un trombone, te lo posso assicurare”, si
intromise
Margaret, che ogni tanto si svegliava nel bel mezzo della notte a
causa del sonno leggero: il minimo rumore la portava ad aprire gli
occhi, a meno che non si fosse infilata nelle orecchie le sue
inseparabili cuffiette color bordeaux, meglio se con sottofondo
musicale.
“Io
non russo!” protestò Michele, indignato, mentre
tutti gli altri
scoppiavano a ridere. “Comunque, cambiando argomento, io non
ho
ancora fatto colazione”.
“Puoi
prendere i miei biscotti!” propose Megan, ma sul viso
dell'altro
comparve un'espressione disgustata.
“Faccio
a meno dei biscotti integrali, grazie”.
“Ingrato”.
“Salutista”.
“Ingordo”.
“Credo
che possa bastare. Mike, ti offro la colazione quando arriviamo a
Povo”, li interruppe Jack, il ‘giudice di
pace’ della
compagnia, mentre si infilava le scarpe nere. “Preparati che
andiamo”.
“Siamo
in ritardo?”, esclamò a quel punto l'altro,
mettendosi
sull'attenti: Jack abitava con lui da ormai tre anni, e quella frase
era da tempo entrata nella sua routine.
“Il
cinque parte tra dieci minuti”, lo informò Megan,
che non lo
conosceva ancora abbastanza bene da sapere che lui sapeva
già la
risposta alla sua domanda. Senza contare che non era mai stanca di
battibeccare con lui e che, non avendo altre particolari occupazioni,
aveva imparato l'orario a memoria.
“Stalker”,
borbottò Mike in risposta, mentre cercava il cappotto sotto
a quelli
dei coinquilini: a sorpresa ne trovò uno di colore giallo,
che
evidentemente non apparteneva a nessuno di loro, ma non se ne
curò
più di tanto.
Seguì
a ruota l'amico già scomparso sulle scale, e si chiuse la
porta alle
spalle con un tonfo.
“Ciao,
ragazze, ci vediamo questa sera. Divertitevi a lezione!”.
Margaret
scimmiottò la voce di un uomo con fare teatrale, rimarcando
il fatto
che i due amici non le avessero salutate, mentre Megan rideva in
risposta, gli occhi azzurri che scintillavano.
“Ragazzi,
benvenuti al corso di fisica nucleare e subnucleare”. Il
professor
Franconi, un
uomo
brizzolato e sulla quarantina, stava introducendo il suo corso,
gesticolando animatamente e rischiando di rovesciare la bottiglia
verde di vetro contenente mezzo litro di chinotto che aveva
appoggiata sul tavolo a fianco a lui. Si interruppe alla fine della
frase, alzando gli occhi verso l'ingresso dell’aula, dopo
aver
udito la porta aprirsi: due ragazzi, uno dalla pelle scura e pieno di
treccine tra i capelli e l'altro moro e caucasico,
entrarono cercando di fare meno confusione possibile, maledicendo il
fatto che le porte fossero in cima all’aula invece che in
fondo, e
sgattaiolarono fino al posto libero più vicino.
“Benvenuti
anche ai nuovi arrivati: prego, venite pure più avanti, qui
ci sono
ancora delle sedie libere”, commentò sorridendo:
si divertiva
troppo a veder trasalire i poveri malcapitati. Nonostante se lo fosse
ripromesso più volte, non riusciva a far finta di niente
come
facevano i suoi colleghi, né ad evitare le frecciatine
scherzose.
Jack
sbuffò e, mentre si accomodava nei posti indicati dal
professore
tirò una gomitata a Mike: odiava arrivare in ritardo, lo
portava a
dire addio al suo amato anonimato.
Soprattutto,
però, odiava ritardare a causa del suo adorato coinquilino,
il quale
era troppo lento per prendere il primo cinque e pretendeva
addirittura di fiondarsi in caffetteria: lo odiava, oh, se lo odiava!
“Questa
sera ti insegno a giocare a scacchi, allora”. Durante la
pausa
pranzo Margaret e Megan quel giorno avevano deciso di evitare la
mensa universitaria sovraffollata, optando per il panificio
“Sosi”
di Via Belenzani, che esponeva sempre delle focacce fantastiche, e in
quel momento erano sedute a mangiare sui gradoni
dell’imponente
Fontana del Nettuno, in Piazza Duomo, e davano le spalle alla
cattedrale.
“Questa
sera è il turno di Harry Potter”,
puntualizzò Margaret,
contraddicendo l'amica.
“È
vero! Tu sei l'unica persona sulla faccia della terra che non ha mai
giocato a scacchi né ha visto HP. Dovremmo sfrattarti: mi
chiedo
perché sei ancora mia amica”.
“Perché
ti spingo per tutta la città?” propose l'altra,
retorica, mentre
addentava un pezzo della sua focaccia alle cipolle.
“Giusto:
perché non ci ho pensato prima?!” risero assieme,
mentre i minuti
passavano e si avvicinava l'ora di entrare tra le quattro mura
dell'università. Risero assieme in quel soleggiato
pomeriggio di
fine settembre, perché tra amiche è piacevole
trascorrere il tempo
anche in quel modo.
Alcune
ore dopo, invece, Jack non rideva, perché era stato
costretto a
scendere troppe fermate dopo quella di Piazza Fiera. Il suo presunto
amico, infatti, nel bel mezzo della lezione si era improvvisamente
ricordato che non possedevano ancora una connessione WiFi nel loro
palazzo storico, così lo stava trascinando verso la
biblioteca di
Via Roma, quella all'incrocio con Via Belenzani, per recuperare il
Dvd da guardare quella sera.
Non
appena entrarono nel palazzo Jack scomparve tra gli scaffali di Sala
Manzoni, alla ricerca di un buon libro in cui potersi rifugiare prima
di addormentarsi, mentre Mike si avvicinò sorridendo alla
donna
bassa e sulla cinquantina che sedeva sul lato del bancone circolare
che dava verso l'ingresso.
“Salve…
Pamela!” esclamò solare, dopo aver letto il nome
della
bibliotecaria sul cartellino che portava appuntato alla camicetta
bianca: l'altra alzò lo sguardo dal libro che stava
sfogliando e
piegò le labbra verso l'alto.
“Buongiorno”,
gli rispose, mentre Mike osservava curioso la copertina del volume e
cercava di decifrarne il titolo.
“Astrologia”,
spiegò l'altra, notando il suo interesse.
“Wow.
Sono un ariete: che cosa può dirmi sul mio segno
zodiacale?”. In
risposta Pamela cominciò ad elencargli una sfilza di
informazioni,
parlando come una macchinetta ed interrompendosi solo a tratti per
occuparsi di prestiti e restituzioni. Ad un certo punto Mike perse il
filo del discorso, cogliendo parole strane come ascendente ed ora di
nascita, così si limitò ad annuire e a fornirle
le informazioni che
gli richiedeva: mezz'ora dopo uscì dall'edificio con un
libro
sottobraccio, mentre Jack lo derideva e gli sventolava davanti al
naso il primo film di Harry Potter, che si era ritrovato a dover
chiedere ad una donna giovane e bionda di nome Ilena, dopo che la
bibliotecaria seduta accanto a Pamela lo aveva indirizzato con fare
brusco dalle sue colleghe. Si era spazientito, ma ne era valsa la
pena: vedere l'espressione imbronciata di Mike, combinata alle sue
braccia incrociate, non aveva prezzo.
Angoletto
di Gio e Marghe:
benvenuti
nel nostro amato manicomio!
Solo
alcune precisazioni:
la storia è ambientata a Trento: i luoghi in cui vivono e si
muovono i personaggi sono esattamente quelli della città, e
anche eventuali personaggi "famosi" che nomineremo esistono realmente.
Al contrario, i personaggi sono solo frutto della nostra fantasia,
così come le situazioni in cui si vanno a cacciare.
Speriamo
che continuerete a seguire questi ragazzi un po' matti: se, poi,
deciderete di lasciarci anche una piccola recensione, ci renderete
molto felici :)
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