Sette raggi intorno a un cerchio
Come potrebbe risultare evidente
dall'introduzione (ma anche no, in effetti, essendo questa stata
scritta sotto l'ebbrezza della prosa di Yeesha, che fa male),
trattasi di una raccolta di What if con l'intento di esplorare
svariati finali negativi. Alcuni riprenderanno quelli mostrati dai
giochi, ad esempio una prospettiva su Catherine nel primo negativo di
Riven; più spesso, invece, proverò ad indagare il
quasi-accaduto,
il temuto, lo sventato dal mirabile tempismo di un'anima buona. E
se... Saavedro si fosse collegato un giorno prima? E se... e se,
tanto per cominciare sul classico, Gehn fosse riuscito ad aprirsi una
strada per D'ni?
Questa prima ipotesi è sponsored by Fanworld.it, nella persona di
Graffias, col suo concorso “Il trionfo
dell'antagonista”. Prompt
come da titolo, con limitazione aggiuntiva che l'antagonista non deve
fare il cretino. Non c'è problema: Gehn? Gehn è
serious business...
al massimo gorgheggia un poco.
Frallaltro, è
l'idea che volevo già usare sia per il prompt sul momento
del
piacere che poi è diventato 'Ricoperta di fiori blu' sia per
la
coppia Grotta-sangue che è diventata 'Terra tradisce, cuore
non
vede'. Così invece non posso proprio svicolare: i due
scassamaroni
scassino maroni lontano dalle mie fanfic, Saavedro non conta del
tutto come antagonista (mezzo antagonista, mezzo damsel in distress,
mezzo Mario, per un totale di 150% pure win) e Esher... aaaaah,
Esher.
Disclaimer: Gli
avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare
rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte
né
offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da
intendersi come tributo di affettuosa stima.
In differenza
Perché aveva esitato?
Gehn soppesò il libro. Qualcosa aveva
portato quell'abitante di superficie a prendere tempo e il gesto
poteva nascondere più di una semplice ritrosia a condurlo di
fronte
ad Atrus.
Accese il cannen e, di lì a
poco, la pipa. Mentre le note profonde della sua ultima registrazione
si innalzavano come sbuffi di fumo, si sedette alla scrivania e
aprì
il volume alla pagina della finestra di collegamento, in cerca di
risposte.
Quell'immagine sembrava, era
D'ni - K'veer, la sua casa, nella sua patria, nel suo mondo.
Gehn lasciò che il fumo e la musica
portassero con sé una chiarezza di pensiero di cui aveva
bisogno, ma
che non riusciva a trattenere in quel momento che si era d'un tratto
rivelato così vicino al ritorno.
Inspirò a fondo, gustando il sapore
pungente dell'ytram, e si preparò ad un rigoroso lavoro di
revisione.
Le frasi scorrevano naturali sotto i
suoi occhi. Trent'anni di assenza si annullavano in poche ore nel
ripensare a ogni dettaglio della stanza cui il libro conduceva e a
tutte le volte in cui lui per primo aveva scritto quelle identiche
parole.
Senonché, verso la fine...
Non sei mai stato sottile, Atrus,
mormorò Gehn raggiungendo la boccetta dell'inchiostro con un
gesto
trionfante. In questo, come nel resto, hai ancora molto...
molto
da imparare.
*
Le correzioni sembravano complete,
restaurata la stabilità del legame.
Era sera. Appropriato, si disse, che la
distesa sotto i suoi occhi si facesse rosso cupo al calar del sole.
Un dolce invito, presagio di vittoria.
Gehn si alzò, distendendo la schiena
indolenzita dal lungo studio, e come officiando un rito
allineò sul
banco il libro chiuso, la penna, l'inchiostro. Ad essi aggiunse,
ordinatamente appoggiati sulla sedia, il mantello, i diari, la
memoria del proiettore, una sacca, il fucile, la lente cristallina
sottratta ai ribelli. Tutto era pronto.
Prese d'impulso uno dei libri per Riven
custoditi nello studio, per avere certezza di una via d'uscita, ma
prima ancora di impilarlo sul resto si rese conto che nello stato
degradato delle isole sarebbe stata una scappatoia ben fragile.
Così
si collegò lui stesso alla Quinta Era tramite quel libro,
prese con
sé il volume di ritorno custodito nella cupoletta e si
concesse
un'ultima passeggiata sul suolo della sua prigione, ormai forzata.
Anche quello, rifletté appoggiandosi
ad osservare il mare dal lungo ponte di legno fra le isole, era parte
del rito. Addii, ricordi da incasellare nella memoria. Passaggi.
Ancora stanotte mi attardo
sull'uscio di questa gabbia ostile, scrisse prima di
addormentarsi, ma la porta è aperta e il sentiero
ha il profumo
di casa. Che i fantasmi cullino il mio sogno. Domani renderò
loro
onore.
Sognò suo padre che gli sorrideva.
*
Avrebbe voluto terminare l'esilio con
la mano aperta e tesa, certo che la patria l'avrebbe accolto con
uguale benevolenza. Non aveva però idea di cosa, o chi,
l'avrebbe
atteso all'altro estremo del legame: da qualche parte, suo figlio
stava scrivendo per salvare Catherine, forse anche l'Era, forse anche
chi gli aveva donato la vita. Quella era una certezza, seppur vaga.
Non riusciva invece a spiegarsi quella presenza straniera
così
cocciutamente devota ad aiutare Atrus e, prudente com'era sempre
stato, a malincuore si trovò a caricare il fucile prima di
porre –
infine! – la mano guantata sull'immagine e svanire con un
malcelato
brivido.
*
Al suo arrivo, D'ni lo accolse con un carico di ricordi.
Il mosaico rotondo ai suoi piedi, l'aria stagnante che soffocava la
luce delle lampade: tutto in quella stanza era impregnato dal
passato. Quello che aveva iscritto nella sua memoria con la
fissità
della pietra riacquistava la dimensione del reale.
Nel tavolo rozzamente accomodato fra una colonna e una nicchia, Gehn
poteva rivedere se stesso chino a lavorare su un libro.
Atrus sollevò la testa, incuriosito dal rumore improvviso
che aveva
scosso la tranquillità di K'veer e che, per assurdo,
sembrava quello
di un collegamento.
Col pennino immobile sull'ultima parola scritta, ora rovinata da una
macchia crescente d'inchiostro, guardò per lunghi attimi attraverso
Gehn, incapace di distinguere la sua sagoma rigida e severa
dall'atmosfera di una stanza che da mezzo secolo era satura del tocco
del padre.
Si sistemò gli occhiali, incerto.
La penna gli cadde di mano e rotolò giù dal libro.
Gehn assisté a quel tormento con interesse: seppe
osservandolo in
pochi gesti costretti, se mai ne aveva dubitato, che Atrus era ancora
cosa sua.
Suo figlio era inerme: una pallottola sarebbe stata il giusto
compenso per le umiliazioni che gli aveva causato. Questo gli
suggeriva l'istinto e questo era il metro che avrebbe usato per
giudicare un qualunque selvaggio, in qualunque Era. Ma suo figlio era
anche intento a praticare l'Arte seduto nel cuore di D'ni, nella casa
che era stata sua, come aveva tentato d'inculcargli anni addietro. In
allora il ragazzo era stato sordo ai suoi insegnamenti, con le
orecchie imbottite del sentimentalismo di Anna. Eppure, adulto, era
lì. E per due mani capaci ad aiutarlo nella ricostruzione,
per uno
spirito che comprendesse il peso del loro destino, molti peccati
potevano essere perdonati.
Esitò. Suo figlio era inerme e senza via d'uscita, tranne il
vicolo
cieco che era il libro descrittivo della Quinta Era. Il suo trionfo
era già compiuto: forse che l'esilio l'aveva indurito
così tanto da
non permettergli di condividerlo, magnanimo, con chi sembrava
finalmente dimostrarsene degno? Fece un passo in avanti e
incontrò
il suo sguardo perso, rassicurandolo sulla realtà della sua
presenza.
“Sono tornato a prenderti, Atrus”, lo
apostrofò. “È così che
saluti tuo padre?”
Atrus fermò la penna nel suo lento percorso verso terra, ma
nel
farlo il suo braccio tremava. Si strinse nella casacca.
“Eri atteso”, rispose. Si resse la fronte con la
mano sinistra:
gli era calato sulle spalle un peso insostenibile.
Suonava falso, poco convincente. Gehn si avvide però che non
era
tanto una menzogna – non Atrus, no, come
aveva commentato
solo un giorno prima – quanto una possibilità fra
le più remote,
accettata per scrupolo nel congegnare il suo piccolo piano ma mai
seriamente considerata. Stolto. Inesperto, fiducioso e stolto.
E, per una volta, l'altra serpe traditrice non sarebbe giunta a
coprire le evidenti falle del suo pensiero.
“Catherine?”, mormorò Atrus, come a fare
da contrappunto a
quelle riflessioni.
Gehn scosse la testa e fece qualche passo senza meta nella stanza,
come preparando un discorso grave che però non venne. Gli
avrebbe
potuto dire molto di quello che aveva visto di lei negli ultimi mesi:
mezze verità, parole scelte con cura, una prigionia
necessaria alla
luce della precarietà del suo stato.
Ma il silenzio di orrori inenarrabili era un'arma più forte
e lasciò
che lavorasse a suo vantaggio, legandolo a lui, vanificando ogni
giorno e ogni notte passati a scrivere per potersi permettere ogni
volta poco più che due o tre ore di riposo in cui sognare di
salvarla.
“Dov'è?”, chiese. Guardava lui e il
libro di Riven e un altro
diario che teneva sul banco, poi ancora Riven, ancora lui.
Era un animale in trappola. Ma perché il diario?
Gehn s'irrigidì, paonazzo in volto. Strinse le labbra in una
linea
sottile, girandosi verso il figlio senza più traccia del
compatimento che aveva inscenato fino ad attimi prima.
Diario?
“Alza le mani!”, intimò. Si
avvicinò al tavolo, imbracciò il
fucile e lo puntò.
Quello non era un diario.
“Cos'è questo?” chiese con disprezzo
prendendo con sé il libro,
la cui copertina scarna recitava semplicemente
“MYST”.
Aveva rischiato di perderli, suo figlio e un'Era preziosa. Mentre lui
si concedeva la calma del vincitore, Atrus sarebbe potuto svanire in
ogni istante su Riven col libro in mano e, da lì, collegarsi
ancora
lasciandolo cadere in acqua: la più classica delle fughe.
L'avrebbe
fatto, se non avesse avuto a cuore la moglie adorata più
della sua
stessa vita.
“Padre, devo tornare a scrivere.”
“No.”
Ritirò fra sé e sé l'aggettivo
'preziosa' mentre sfogliava il
libro di collegamento: il testo parlava di una modesta stanza in
legno, con un caminetto e nuvole affrescate a decorare il soffitto.
Dalla porta s'intravedeva un praticello, qualche pino. Aria
salmastra. Una piccola isola.
“Cos'è?”, chiese ancora.
Atrus esitò.
“Casa”, rivelò con un sospiro.
“E questo?”, ribatté Gehn irato.
“Cos'è per te questo,
allora?, disse indicando lo spazio attorno a sé col braccio
armato.
“Questa è una prigione, che tu costruisti. Quella
è casa, che
Anna creò.”
Gehn non amava sperare: le azioni di chi gli era stato vicino avevano
eroso da anni il sentimento, lasciandone solo tracce da cui si teneva
bene in guardia. Né era solito fidarsi, tranne che di se
stesso. Non
si era fatto illusioni di poter veramente parlare con Atrus, non
subito almeno, non prima di aver cancellato da quell'animo semplice
ogni sciocchezza che si portasse ancora dietro dagli anni in
superficie. Ma se la risposta era quella, no, non c'era salvezza nel
cambiamento. Solo distruzioni e rinascite.
“Era una prova, Atrus!”, disse gettando il libro
per terra, nella
polvere. Polvere e rovine, certo. Decadenza. Nessuno aveva
più
onorato quel luogo. Gehn scosse la testa. “Ti stavo mettendo
alla
prova. Come puoi pretendere di giungere alla grandezza se non
attraverso difficoltà, sacrifici? Se non agisci?”
Lo guardò
dritto negli occhi. “Non mentirmi. Non hai fatto nulla per la
Città, vero?”
Tentò di restare calmo, ma Atrus sembrava esserlo abbastanza
per
entrambi e non lasciargliene modo, immobile tranne che per le mani
alzate, che iniziavano a risentire della stanchezza. Senza tradire le
sue emozioni, sosteneva il suo sguardo da oltre uno spesso schermo di
cui gli occhiali erano solo una minima manifestazione materiale.
Provava emozioni? Tutto il suo conflitto si era
risolto in un
tremito, un'espressione smarrita, poi triste, stanca, poi
più nulla.
Restava passivo a custodire chissà cosa, dopo essere stato
sconfitto
in tutto.
“Com'è possibile? Non lo senti, Atrus?
È il tuo sangue... il tuo
nome.”
Non lo capiva, non l'aveva mai capito.
“Invece”, incalzò, “invece ti
sei rintanato in quest'isola...
questo buco senza orgoglio?”
“Si chiama Myst, padre. Ha un nome, come ogni Era ne ha uno,
scelto
dal suo popolo o risiedente in un'intima essenza che sta allo
scrittore cogliere.”
“E per questo l'hai chiamata Myst?” Diede sfogo a
una risata
amara. “Missed, perduto? Come opportunità perdute,
come il buon
senso che hai perduto che eri ancora in culla? Ho provato a credere
in te, Atrus, ad andare oltre le parole grevi con cui ci salutammo.
Cosa pensi che mi trattenga il dito sul grilletto? Mi hai fatto
perdere trent'anni. Trent'anni di stenti, passati giocando a fare il
dio minore. Eppure vivi. Perché sei mio figlio, e il sangue
lega te,
me e il ricordo di tua madre più di quanto ti abbia mai
unito a
quell'esterna. Ma posso ancora ripudiarti.”
“L'hai già fatto, padre. Due volte.”
Avrebbe voluto farlo ancora, di fronte a quell'insolenza. Cosa doveva
fare di quel figlio emotivamente storpio, senz'altre aspirazioni
fuorché dare vita artificiale ad un'Era morta?
Alzò nuovamente il fucile e si appoggiò sul
tavolo, premendogli la
baionetta alla gola fino a ferirlo. Atrus si ritrasse, ma Gehn
incalzò e gli parve di sentire il battito accelerato del suo
cuore
trasmettersi attraverso la canna metallica.
“Dimmi, Atrus. Non hai ambizione. Non hai aiutato la
ricostruzione.
Non hai... Cosa hai fatto nella tua vita? Cosa fai qui?”
Atrus deglutì e chiuse gli occhi per il dolore.
“Ho osservato un cielo grigio”, rispose dopo aver
riflettuto. “Ho
imparato a distinguere le sue nuvole e a dare loro nomi. Ho ammirato
tutte le sue tonalità, più di quante immaginassi,
e quando infine è
tornato azzurro ho festeggiato sul tetto di una fortezza che aveva
perso il suo scopo. Ho studiato le stelle del cielo sopra Myst e le
ho radunate in costellazioni: riconosco l'occhio, il serpente, la
freccia, l'ancora... Ho camminato sul mare circondato da un tappeto
di foglie. Ho scritto un galeone, ma ho visto che è meglio
costruirlo con assi e pece. Ho vissuto, padre, sotto molti
soli.”
“E poi?”
“E poi l'ho condiviso e mi è stata donata
saggezza.”
“E poi? Rispondi, quando ti viene posta una
domanda.”
Atrus cercò con lo sguardo il libro di Myst.
“E poi”, disse, facendosi piccolo e sconfitto,
“poi ho commesso
un errore.”
E infine era lì, solo, prigioniero, umano nei suoi rimorsi e
nella
sua paura, e Gehn credette di capirlo e compatirlo.
“Due”, si corresse, ma non tradì altro.
“E ora, se vuoi
scusarmi, devo tornare a scrivere.”
Premette dolcemente la mano sulla canna del fucile.
Lo sparò riecheggiò per sale e corridoi franati
fino a disperdersi
nella calma accogliente del lago.
Gehn osservò la scena come se stesse accadendo a qualcun
altro, in
un altro tempo, in un'altra Era.
Era sereno e deluso.
Sereno perché infine lo sentiva. Il silenzio di D'ni, la sua
profondità benedetta, al cuore dei mondi; promesse,
aspettative e
segreti. Era quello il ritorno che aveva atteso e lo sentiva sulla
pelle, un sentimento già forte acuito dalla lunga cerca.
Deluso da se stesso. Aveva sempre saputo che l'unica persona degna di
fiducia si era consumata sotto i suoi occhi cinquant'anni prima, in
un torrido buco nel terreno. O vent'anni prima ancora, come un eroe
ma senza salutarlo, senza un ultimo abbraccio al figlio che stava
lasciando solo, e quel nome proprio non poteva andare perso...
così,
nel profondo, al di là della ragione, aveva sperato un poco.
Si chinò sul corpo riverso, studiandolo, cercando di capire
allora
quello che non aveva compreso quand'era in vita.
Voleva solo essere orgoglioso di suo figlio.
Sfogliò il libro descrittivo della Quinta Era fino a tornare
all'inizio di tutto, alla pagina dell'immagine porta, e vi
appoggiò
la mano di Atrus senza distogliere lo sguardo finché non fu
svanito.
Cos'altro avrebbe dovuto fare? Forse nulla. Forse la Storia voleva
che tagliasse del tutto i legami col passato prima di donare un vero
nuovo inizio alla sua civiltà.
In pace, sentendo gli echi di quella stessa Storia sussurrare
nell'immobilità di K'veer, si sedette al suo posto con
lentezza
rituale, raccolse la penna e la intinse nel calamaio.
Era tornato a casa.
***
In quel momento, Riven: Catherine si alzò dal giaciglio
della sua
prigione. Silenziosa e compunta, quasi temesse di disturbare il legno
su cui poggiava i piedi, si vestì e si affacciò
sul camminatoio che
dava sul mare. Aprì le braccia e tenne alta la testa,
fissando
l'orizzonte: avrebbe assistito il suo mondo morente fino all'ultimo
respiro.
Nuoteremo fra
le stelle, amore mio,
disse
ancora salda e immobile al vento nero quando sentì la terra
aprirsi
sotto di lei.
*
In quel momento, 233: il suo cuore impazzito sovrastò il
boato del
collegamento. Con i nervi tesi, si preparò ad accettare la
proposta
di Gehn.
E la prima
persona sarebbe rilasciata nel mondo,
recitava il diario: il libro era una trappola pensata per un solo
uomo. Aveva letto quella pagina fino ad averne nausea prima di
trovare il coraggio di tornare. Ebbene. Era lì.
Ma lo studio era vuoto.
Si cullò nell'osservazione di quello spazio intimo e rosso
mentre la
sua mente si arrovellava sul nuovo enigma e non capiva, non capiva,
non capiva.
Quando tornò su Riven l'aria era scura e densa e l'isola
irriconoscibile, piagata da una ragnatela di nuove ferite
incandescenti. Con gli occhi arrossati e fissi sulla devastazione
causata dal suo fallimento, che ancora non comprendeva, non
cercò
scampo dal miasma.
*
Cinquemila anni prima, Windring: nel centoventiseiesimo giorno
l'Osservatore si preparò al riposo, poiché
l'opera era terminata ed
ogni sua riga era bella e giusta e piena di speranza . Ma giunse
allora al suo orecchio una voce immensamente triste che gli chiese di
tornare ad impugnare la penna, perché delle correzioni erano
diventate necessarie, e per cinque giorni egli cancellò e
trascrisse
seguendo l'altrui sapienza, che trascendeva il tempo e le Ere. Nel
centotrentunesimo giorno dacché aveva riacquistato la vista
il
lavoro fu compiuto e l'Osservatore, stanco, lesse per la prima volta
nella loro interezza le parole trasmessegli dal Creatore. E il suo
cuore divenne pietra.
Cosa crescerà?
L'albero con
rami di orgoglio.
Chi lo farà
crescere?
Il
ricostruttore.
Un
ricostruttore che rifiuterà il dolore.
Un
ricostruttore che terminerà l'esilio.
Un
ricostruttore che si volgerà al passato.
Un
ricostruttore che seccherà le radici.
Un
ricostruttore che restaurerà i primi.
Un nuovo uno
regna.
Per dominarli;
Per svuotarli;
In solitudine.
...sì, mi sento un verme ignobile. Appronterò al
più presto un cartello con su scritto "Kick me". Nel mentre,
nerdaggine & credits:
@ introduzione alla raccolta: la faccenda del simbolo di negazione
non è 'wingrovismo', ve'? *guarda santino di RAWA con
occhioni
supplicanti*
@ titolo: indifferenza formale di Atrus, indifferenza emotiva di
Gehn, 'nella differenza' fra i due.
@ fanfic: la pianificazione è stata un amore. Cinque punti
di
scaletta tematica da sviluppare in dialogo sarebbero semplici, non
fosse che metà delle parti in causa aderisce strettamente
all'approccio 'shoot first, ask later' e l'altra si appella al quinto
emendamento, già che siamo negli USA... o sotto gli USA...
whatever.
u_u 'na meraviglia proprio.
Alla fine non sono riuscita né a ridare il Gehn che volevo
(cioè la
meraviglia trasmessaci dal signor Keston <3) né
l'Atrus che
volevo (*glomp*)... non credo (spero...) sia una questione di OOC
quanto di situazione in cui li ho piazzati. Gehn in quella posizione
lì si rifà infatti più al Gehn del
libro; Atrus può fare proprio
pochino. Per vendicare la scintillante caratterizzazione del secondo
mi sto già attrezzando; per il primo non ho idee, ma la BDT
è
lunga!
@ implicazioni dell'introduzione alla raccolta che cozzano con le
implicazioni della parte finale: in realtà l'intro
è così solo
perché suona bene, so che cozza con le basi esplicite della
serie
fin dal più tenero 1997. Mi sembra che la parte finale
invece salvi
benino il tema di profezie + libero arbitrio... e la presenza dei
finali multipli.
@ mare rosso cupo: this.
@ Gehn che esita: lo so che nel finale negativo
#5468ter
gli spara a vista, come fa in più o meno tutti i finali con
più o
meno qualunque bersaglio abbia a tiro. Un campioncino a Duck Hunt,
quell'uomo. Ma la sua 'magnanimità selettiva', passatemi la
definizione, nei confronti dei Rivenesi (case in point: 234th)
mi fa pensare che si compiaccia nel dimostrare la sua divina
benevolenza, quando può. Cioè, insomma, il Gehn
col fuoco sotto le
chiappe è molto diverso dal Gehn che può
permettersi di prendere le
cose con calma.
Inoltre, se avesse sparato a vista la fanfic dove sarebbe andata a
finire, eh? EH?
Credo che il 'parto armato perché sai mai'
possa essere
applicabile al gioco stesso, anche a parte le necessità di
sceneggiatura qui: Gehn esce pure di casa armato, non so se mi
spiego... 233rd! Piena così di
pericoli... soprattutto il
sabato sera...
@ rimembranze: Mechanical (quant'è bello quel diario?
ç_ç), Myst,
Channelwood, Stoneship. I due errori da non tradire sono l'unica cosa
che lo sa buttar giù così: i figli. E guai se
Gehn li avesse
scoperti!
@ emotivamente storpio: emotionally crippled, of course: 'invalido'
mi sembrava un termine troppo moderno. Diversamente emotivo,
asd. Si vede che qui c'è uno Straniero generico anche
perché la
mia, dopo aver letto un insulto del genere, appena
incontrato
Gehn l'avrebbe steso con un montante attraverso le sbarre. Non
s'insulta Atrus in sua presenza e nemmeno in sua assenza. u_u Questo
vale anche per te, Achenar, ha occhi ovunque, Haven
inclusa
è_é
@
nuotare fra le stelle: Book of Atrus. Riprende
uno dei
suoi primi momenti dolci con Atrus, quello sul pianetino di Mario
Galaxy, ripreso poi al confronto alla Fessura.
"Did you ever
wonder what it would be like to go swimming among the stars?",
chiede Catherine ridendo a un attonito Atrus che sta ancora cercano
di mettere insieme come quella roba lì possa
esistere
(evidentemente non aveva giocato a Mario Galaxy). "If it is my
dream, we could fall into the night and be cradled by the stars and
still return to the place where we began." *sniff*
@ assenza di declinazioni: l'ho fatto di nuovo. Mi odio, è
la morte
civile e sintattica. Ma quando non è protagonista voglio che
rimanga
il più possibile neutro.
@ Windring: ...o Rolep? Ma con 'as I waited near the cavern of Rolep'
ho inteso che ci fosse una caverna chiamata Rolep nell'Era di
Windring citata nella pagina prima. O su D'ni nel posto dove sta
l'Albero, se poi è la prima cosa che vede... o quello
è metaforico?
X_x Beh insomma, delle tre l'una, resti valido il concetto. '_'
@ violenza fatta a Words: 'Ricostruttore' as in
'Rebuilder of
pride', come lo definisce Yeesha. E anche come differenza fra restore
e rebuild nel senso inteso da Phil. Fra me e me la traduco come
ristorare VS restaurare, ma restauratore suonava buffo. In originale:
What will grow?
The tree of all things.
Who will grow it?
The grower.
[...]
A grower to learn of the death.
A
grower to see new life.
A grower to bring the gathered.
A
grower to restore the least.
A grower to move through time.
A
grower to link at will.
A grower to follow the shell.
A grower
to banish the darkness.
A grower to graft the branches.
A
grower to join the paths.
[...]
A new one reigns.
To send
them away;
to push away;
to divide.
[...]
A new one
reigns.
To send them away to what is good;
To return them to
what is right;
To unite them to what is true.
...amen. Torno ai miei tiny enemy quabs.
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