Volo OS 547
VOLO OS 547
Disclaimer: questa è
una fanfiction ispirata dall’anime “Alpen Rose” del
1986. Il diritto d’autore dei personaggi di “Rosa
Alpina”, degli eventuali avvenimenti e frasi riportati da
“Rosa Alpina” appartiene a Michiyo Akaishi, alla Flower
Comics Wide (Shogakukan) ed alla Tatsunoko Pro. Il diritto
d’autore è tutelato dalle leggi del copyright, e qui non
ne è intesa alcuna violazione. Questa storia è stata
scritta senza alcuno scopo di lucro, è solo un racconto
amatoriale. Il diritto d’autore dei personaggi originali presenti
in questa storia, che non compaiono né nel manga, né
nell’anime appartiene all’autrice Tetide.
Questa storia mi è stata ispirata dalla bellissima canzone
“Cinque minuti e poi…”, interpretata da Maurizio dei
New Dada, e ri-interpretata da Claudio Baglioni nell’album
“Quelli degli altri… tutti qui”.
CAPITOLO 1
UNA VITA PERFETTA?
Il sole stava tramontando tra le nuvole; Jeudi guardò
tristemente fuori dal finestrino: tra poco atterreremo, pensò.
Girò la testa verso l’interno dell’aereo, osservando
la solita scena del pre-atterraggio: gente che si svegliava
profondendosi in sbadigli a catena, assistenti di volo che giravano tra
i sedili chiedendo di allacciare le cinture di sicurezza, una ragazza
che canticchiava ascoltando musica dal suo hi-pod… tutto come
ogni volta, tutto visto e rivisto!
Chiuse gli occhi, e cercò di concentrarsi su ciò che
avrebbe trovato a casa: sicuramente, Lundi e Pierre la stavano
aspettando, sarebbero venuti a prenderla all’aeroporto;
l’indomani, alla sede del giornale si sarebbe tenuta la tanto
attesa riunione per l’unificazione delle due testate…
tutto a posto, allora.
Eppure, da qualche tempo, Jeudi sentiva che nella sua vita c‘era
qualcosa che mancava, ma cosa? Aveva un lavoro che amava: era
giornalista; aveva un marito, Lundi, che divideva con lei
l’appartamento da quasi tredici anni; aveva un figlio, Pierre,
che amava molto; aveva un gran numero di amici; aveva sua sorella
Martha e suo cognato Hans; aveva un bell’appartamento nel centro
di Ginevra… aveva tutto ciò che aveva sempre
desiderato… che motivo aveva per non stare bene?
Ripensò a sé e Lundi, alla loro casa: ecco, la frase più esatta era che loro dividevano la stessa casa,
ma non anche la stessa vita: Lundi era un affermato manager, che aveva
lavorato per diverse aziende, ma da quando era stato assunto alla
Troncan Company era divenuto molto strano. La teneva… a
distanza, ecco. Ma perché? Eppure, non erano mai stati in
disaccordo, prima. Ma poi, quando lui aveva preso il nuovo lavoro,
erano iniziate le liti, anche furiose a volte. Certe volte erano
così furiose che Pierre si chiudeva in camera sua, spaventato,
ficcando la testa tra i cuscini per non sentire.
A sentir lui, non andava mai bene nulla: se Jeudi proponeva una gita
domenicale, lui borbottava che doveva andare in ufficio a finire un
qualche rapporto; “Andate pure voi, se ci tenete”; Jeudi,
naturalmente, gli rispondeva: “In ufficio? Anche la Domenica?
Puoi rimanere un giorno con la tua famiglia!”. E litigavano.
Lundi era stranamente cambiato, pensava.
“Il comandante annuncia che tra poco atterreremo. Vi preghiamo di
allacciare le cinture di sicurezza”. La voce della hostess
riportò tutti i passeggeri alla realtà dai loro assonnati
pensieri.
Il sole era oramai del tutto tramontato, lasciando il posto ad una
luminosità violacea; l’aereo si abbassò sulla
pista, la sfiorò, poi toccò terra del tutto.
Recuperati i bagagli, Jeudi passò la dogana, quindi uscì
fuori nel grande atrio arrivi dell’aeroporto. C’era la
solita confusione: un mare di gente con gli occhi assonnati che
prendevano improvvisamente vita al momento dell’apertura della
porta a vetri; alcuni di loro recavano in mano dei cartelli di
benvenuto, tipo “Fleur d’eté viaggi”,
“Benvenuto Frederick”… Jeudi girò attorno lo
sguardo ed in un angolo vide Lundi con in braccio Pierre. “Ecco
la mamma!”, esclamò questo.
Il padre lo fece scendere, lo prese per mano e si avviò verso la moglie.
“Ciao piccolo pirata!”, esclamò lei prendendo in
braccio il figlio; poi abbracciò il marito “Ciao
amore”, “Ciao tesoro. Come è andato il
viaggio?”, “Mah! A Toronto c’era un tempo orribile!
Siamo partiti tra i fulmini”.
Presero un taxi per dirigersi verso casa. “Dov’è la macchina?”, chiese Jeudi a Lundi,
“Dal meccanico. Ha avuto un piccolo problema con la frizione”,
“Capisco”.
I fari del taxi illuminarono la tranquilla via dove abitavano, una via
piena di eleganti palazzine con giardino. “Quindici euro,
signore. Grazie, signore. Buonanotte”.
Lundi aiutò la moglie a scendere le valigie, mentre lei lo
guardava di sottecchi. Non sembra felice di rivedermi, pensò. Il
bambino sbadigliava.
Entrarono in casa.
“C’è puzza di rinchiuso, qui dentro!” esclamò Jeudi, subito aprendo le finestre del salotto,
“Sì, non sono stato molto in questa stanza ultimamente. Senza di te mi rattrista”.
Jeudi sorrise. Si girò per aprire la finestra in fondo alla
stanza. “…Si vede…!”, stava dicendo al marito
girandosi di scatto, quando notò che lui si stava affrettando a
nascondere qualcosa raccolto tra i cuscini del divano, con aria
colpevole e malcelata ansia.
“Lundi, tesoro, cosa c’è? Cos’hai lì dietro?”,
“Niente… niente di importante, Jeudi.. solo una cicca di sigaretta, nient’altro!”.
Jeudi sorrise: il marito sapeva bene che lei detestava il disordine in
casa, quindi la risposta le era sembrata più che plausibile.
“Allora sei entrato qui dentro, dopo tutto!”,
“Solo una volta… Una sera in cui io e Jean dovevamo revisionare i bilanci…”.
Lei scoppiò a ridere “E per una cicca di sigaretta ti
vergogni tanto! Dammela, vado a gettarla nel secchio dei rifiuti”.
Inaspettatamente, Lundi balzò all’indietro “No!”, fece.
Lei rimase interdetta: perché reagire a quel modo? L’uomo
si calmò “Faccio io, non preoccuparti! Sono io che
l’ho fatta cadere lì, no?”. Le diede le spalle ed
uscì dalla stanza.
Ma che strana reazione, pensò lei; davvero molto, molto strana.
Forse si sente in colpa per aver fatto disordine in mia assenza,
pensò.
Poi, salita al piano di sopra, iniziò a disfare le valigie, e non ci pensò più.
Il mattino dopo, vi fu la tanto attesa riunione. Il pezzo di Jeudi era
uno dei più attesi, e riscosse un grosso successo. Robert, il
direttore del giornale, ne era entusiasta.
“Sei la nostra migliore opinionista. Non so che faremmo senza di te!”,
“Dài, non esagerare: un giornale è un lavoro di
squadra, me lo hai insegnato tu. Ognuno di noi fa il suo dovere”,
“Ma se tutti lo facessero come te… raddoppieremmo i
lettori nel giro di un mese! E a proposito di questo, ti volevo
proporre una cosa”,
“Di che si tratta?”,
“Ecco… sai che in questi giorni è in corso una
mostra di opere d’arte. Vorrei farci una recensione”,
“Ma io non capisco un tubo di arte!”,
“Infatti non dovresti farla tu. Ho contattato un critico
d’arte a Vienna, e gli ho chiesto di venire qui. Sarà lui
a fare la recensione, e tu dovresti solo trascriverla, sotto forma di
intervista”,
“Va bene. Chi hai contattato?”,
“Com’è che si chiama… andiamo nel mio ufficio, devo averlo trascritto da qualche parte”.
Lasciata la sala riunioni, si avviarono lungo il corridoio, un
corridoio sui toni del beige, luminoso, pieno di gente
indaffaratissima. Entrarono nello studio di Robert, una grande stanza
con una parete a vetri sul fondo, contro la quale si trovava la
scrivania.
Robert si avvicinò alla scrivania piena di fogli “Qui non
si capisce nulla. La segretaria deve averlo messo da qualche
parte… Ah, ecco qua: Aschenbach! Leonhard Aschenbach”.
Jeudi sgranò gli occhi “Hai detto Aschenbach?”.
Robert alzò la testa dalle scartoffie e la guardò “Perché? Lo conosci?”,
“Sì- fece lei – eravamo colleghi
all’Università, finché lui non cambiò
facoltà”,
“Meglio, allora! Il tuo lavoro sarà più semplice”, rise lui.
Più tardi, Jeudi ripensava al passato.
Leonhard… erano stati assieme per circa un anno. A
quell’epoca lui era il più bello della facoltà:
alto, biondo, occhi viola, voce profonda e calda, modi gentili…
le altre colleghe la invidiavano molto. Era stata bene con lui.
Finché lui, all’improvviso, non era scomparso: sparito, in
un’altra facoltà, a Salisburgo. Le aveva inviato una
lettera, invitandola a venire anche lei “Anche qui
c’è la facoltà di Scienza della
Comunicazione”, le aveva scritto. Ma a lei non fu possibile
trasferirsi, dato che poco dopo entrambi i genitori erano morti in un
incidente automobilistico, e lei aveva dovuto occuparsi delle esequie,
di tutte le formalità, e dell’educazione della sorella,
all’epoca ancora adolescente. Così, si erano persi di
vista. Poi, aveva iniziato a lavorare e poco dopo aveva conosciuto
Lundi. Era stato durante un congresso per un’azienda di alta
tecnologia, al quale lei fu obbligata a presenziare per il giornale. Si
erano innamorati e l’anno successivo si erano sposati. Anni dopo
era nato Pierre. E la sua vita aveva così preso un binario
differente da quello di Leonhard.
Ed ora, Leòn che tornava a farsi vivo… era così che era solita chiamarlo: Leòn. A lui piaceva.
Come aveva potuto dimenticarlo, per tutto quel tempo, si domandava.
A quanto pare, adesso il passato esigeva di saldare i conti.
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