Di
voci e parole
( I just wanted to let you know)
“Anche
solo immaginare il tuo modo di
parlare mi calma. E mi rende felice.
Mi scorre nel corpo come una medicina,
facendoti gorgogliare dentro di me. Non smettere. Non smettere
mai.”
David Grossman
Probabilmente
avrebbe
dovuto tornare indietro.
Se
avesse avuto un minimo di buon senso, si diceva, avrebbe seguito
l’esempio
di tutti gli altri e sarebbe salito sullo scuola bus, apparentemente
l’unico
posto in cui sarebbero stati al sicuro da eventuali altri attacchi,
cercando
di
recuperare un po’ del sonno perduto. Isaac riusciva
perfettamente a immaginarsi il suo volto, gli occhi gonfi e
tuttavia vigili, la pelle ancora madida di sudore per le allucinazioni
di
qualche minuto prima.
Aveva
impiegato del tempo a riprendersi – del tempo
affinché i contorni del suo
campo visivo tornassero definiti, i colori meno sfocati e
perché, nella sua
mente, le voci tacessero.
Aveva
contato, in silenzio, mentre le urla di suo padre non divenivano
null’altro che un’eco distorta, soltanto
l’ombra delle grida che gli avevano
stretto lo stomaco e immobilizzato gli arti per anni.
Scosse
la testa, sedendosi ai piedi di un letto che non era il suo, le gambe
oltre le trapunte consunte di quel disgustoso verde slavato. Dio,
quanto odiava quel motel.
Al
di là della parete e della porta appena socchiusa, Isaac
poteva benissimo
udire lo scorrere dell’acqua nella doccia, così
come i respiri irregolari di
Scott.
Stiles
doveva avergli parlato, subito dopo aver evitato che il suo
migliore amico si desse
inavvertitamente fuoco,
perché li aveva sentiti discutere a voce sommessa
prima di vedere Stilinski uscire,
le
mani ancora tremanti per l’ansia e lo
stress ai quali era stato sottoposto, per poi raggiungere Allison e
Lydia.
Eppure
Scott non sembrava essersi calmato, e poteva ancora sentire il suo
cuore
battere furioso contro la cassa toracica, il corpo immobile sotto il
getto di
acqua bollente.
E
lui provava a non pensarci, torcendosi le mani fino a far sbiancare le
nocche, ma l’odore di Scott impregnava l’aria,
assieme ad un misto stomachevole
di benzina e bagnoschiuma maschile, ed Isaac a malapena riusciva a
pensare.
E’ troppo importante per lasciarti
distrarre, si
ripeteva.
Ricordati
perché sei qui e non essere
patetico.
E
importante lo era davvero, anche se non avrebbe saputo spiegarsi il
perché.
Allo
stesso modo di quel groppo alla gola, come se all’improvviso
fosse
diventato difficile respirare, lo stesso di quando aveva pestato Ethan,
quella
mattina,
e
solo la voce di Scott era riuscita a far breccia oltre quella nebbia
ovattata che sembrava annebbiargli anche la mente.
La
voce di Scott sembrava avere una frequenza particolare in grado di
sovrastare ogni suo pensiero — la sentiva risuonare
all’interno del cranio
percependo ogni minima sfumatura, ogni minima inflessione del suo tono,
e
quasi
istantaneamente provocava in lui un qualche tipo di reazione. Ogni
volta, era come risvegliarsi da un torpore diffuso. Come
riprendere a respirare.
Ed
era per questo che, nonostante i postumi dell’aggressione
(potevano sul
serio chiamarla così? Erano davvero sicuri che potesse
essersi trattato di un
attacco,
o
forse era stata tutta colpa sua e si era trattato di allucinazioni
tutte dentro la sua testa l̶a̶ ̶s̶u̶a̶ ̶d̶a̶n̶n̶a̶t̶i̶s̶s̶i̶m̶a̶
̶t̶e̶s̶t̶a̶ ̶o̶r̶m̶a̶i̶ ̶i̶r̶r̶i̶m̶e̶d̶i̶a̶b̶i̶l̶m̶e̶n̶t̶e̶
̶d̶a̶n̶n̶e̶g̶g̶i̶a̶t̶a̶ ̶d̶a̶ ̶u̶n̶’̶i̶n̶f̶a̶n̶z̶i̶a̶
̶d̶i̶s̶t̶r̶u̶t̶t̶a̶ e null’altro? Isaac non ne era
ancora
certo)
era
riuscito a sentire perfettamente ciò che Scott aveva detto. Non
c’è speranza.
Un
suono sommesso, addolorato, che aveva il volto e le sembianze di Scott,
ma che non sembrava appartenergli. Non
per me, non per Derek.
Aveva
seguito quelle note tremanti nella notte finché non
l’avevano condotto da
lui, il corpo immobile in modo innaturale zuppo di benzina e gli occhi
spenti, fissi
in un’espressione vuota che non avrebbe mai dimenticato,
ed
era rimasto
immobile, paralizzato da una sensazione che sembrava avergli tolto ogni
energia
e che, allo stesso tempo, sembrava lottare disperatamente
affinché facesse
qualcosa. Non capiva, semplicemente.
Non
capiva come Scott potesse scegliere di
compiere un gesto simile, lui che era sempre così positivo,
sempre pronto a
fare la cosa giusta, a fare di tutto per gli altri.
Come
poteva essere arrivato
ad un punto tale da considerare il togliersi la vita come unica
opzione, come
poteva credere che loro, uno
qualunque di
loro,
potesse andare avanti senza di lui?
Più
Isaac ripensava a lui, più non riusciva a trovare qualcosa
che non avesse
fatto per amore, o per affetto profondo, o anche soltanto per un
intrinseco
senso della giustizia.
Consciamente
o meno, Scott aveva sempre seguito il cuore, aveva sempre agito
secondo il suo lato umano, rifiutandosi di cedere agli istinti dettati
da una
natura che lo possedeva ma che non aveva scelto, perché
convinto che ci sarebbe
sempre stata un’altra strada. Scott era quello delle terze
opzioni, delle vie
di mezzo. Perché ora non riusciva a trovarne
un’altra per sé?
Ogni
volta che provo a fare qualcosa la
situazione peggiora, le persone vengono ferite.
Le persone vengono uccise. Nascosto
nell’ombra, Isaac avrebbe voluto urlare
che non era vero.
Tutti
i piani avevano dei punti deboli, e in una battaglia come quella che si
erano ritrovati a combattere non c’erano regole né
alcun tipo di certezze,
e
sapevano bene ormai che giocare una partita senza avere a disposizione
tutti i
pezzi giusti non era semplice. Bisognava essere disposti ad accettare
le
perdite perché consapevoli che, altrimenti, nessun altro
avrebbe potuto
salvarsi.
Scott
ci aveva provato, aveva fatto del suo meglio, e nessuna di quelle morti
era
stata colpa sua.
Forse
in un contesto come quello sarebbe stato meglio essere freddi,
calcolatori e lasciare fuori ogni emozione, magari comportandosi come
gli
Argent.
Ma
chi avrebbe potuto onestamente scagliare la prima pietra, dicendo
che nei suoi panni non avrebbe fatto lo stesso? E per cosa poi, per
correre il
rischio di diventare uno psicopatico come Gerard?
Scott
stammi a sentire, questo non sei tu,
capisci? Stiles.
E’ qualcuno nella tua testa che ti dice di fare
così, adesso—
E se
non fosse così? Dannazione,
Scott! E se fosse
colpa mia? E se farla finita fosse… la cosa migliore che
io… che io possa fare per tutti? Tutto è iniziato
quella notte, quando sono
stato morso. Ti ricordi com’erano le cose prima che
accadesse, per te e per me?
Eravamo nullità.
Non eravamo
popolari, non eravamo bravi
a lacrosse, non eravamo importanti.
Non eravamo niente. Forse… dovrei tornare ad esserlo ancora.
Assolutamente
niente.
E
in quel momento Isaac avrebbe
giurato che se Stiles non avesse iniziato a parlare un attimo dopo,
riuscendo a
convincerlo, a distogliere i suoi pensieri da quelle idee distorte e
non sue,
avrebbe ululato con tutto il fiato che aveva in corpo.
Solo in seguito si
accorse di essersi quasi perforato le mani, stringendo i pugni con gli
artigli
sfoderati, e fu costretto per qualche minuto a respirare profondamente,
nel
tentativo di ingoiare il grido che gli era nato nel fondo della gola e
sopprimere
la sua natura animalesca.
Fu il fermarsi improvviso del getto d’acqua nella doccia a
farlo tornare alla
realtà, distogliendo lo sguardo dalle dieci piccole
cicatrici sui palmi delle
sue mani non ancora del tutto guarite.
« Isaac? »
Il tono confuso di Scott lasciava supporre, seppur inverosimilmente,
che non
l’avesse sentito entrare.
Nonostante l’udito sovrannaturale, però, le
emozioni
restavano umane, e forse, per una volta, il ronzio insistente dei suoi
pensieri
doveva aver annebbiato ogni altra percezione.
Dal canto suo, Isaac scattò in piedi, passandosi
nervosamente una mano tra i
capelli.
« Che ci fai qui? »
« Io… io, beh, volevo solo accertarmi che tu
stessi bene »
Il ragazzo dinanzi a lui sospirò, per poi passarsi
stancamente le mani sul
volto.
« Nessuno di noi ha avuto una nottata semplice, non
è vero? » liquidò in
fretta, dirigendosi verso la valigia posata sul letto con
l’intenzione di
recuperare degli abiti e liberarsi dall’asciugamano che si
era avvolto in vita.
«
La mia non è stata certo la peggiore né la
migliore »
«
Già » si limitò ad aggiungere Isaac,
ancora immobile, seguendo con lo sguardo
i movimenti di Scott attraverso la stanza. « Dobbiamo
decisamente andarcene da
qui »
«
Mai stato più d’accordo. Stiles mi ha detto che
gli altri cercheranno di
recuperare qualche ora di sonno nello scuolabus, e anche se penso
manchi poco
all’alba credo che li raggiungerò anche
io… tu cosa hai intenzione di fare? »
«
Credo che seguirò lo stesso consiglio »
Era
evidente che fosse ora di andarsene. Non sarebbe mai riuscito a dire
ciò
che voleva, non era neppure sicuro di aver del tutto capito
ciò che l’aveva spinto
ad andare da lui e Scott, seduto sul letto con i vestiti in una mano,
probabilmente
aspettava soltanto che uscisse per potersi rivestire in pace e
raggiungere
gli altri. « Isaac? »
Aveva
quasi raggiunto la porta, rassegnato a non concludere nulla in merito a
quella conversazione, quando la voce di Scott, ancora
una volta, lo
costrinse a girarsi. « Mmh? »
«
Qual è il vero motivo per cui
sei
qui? »
E
in quel momento Isaac si voltò del tutto, la schiena premuta
contro la porta
in legno, e alzò lo sguardo per poterlo guardare dritto
negli occhi. Quello
sguardo comprensivo, benevolente, che aveva visto posarsi su di
sé per più di
un’occasione.
Un
brivido lo percosse confrontando quello sguardo pieno di vita, seppur
stanco, seppur provato da una notte difficile e da una vita complicata,
con
l’espressione vacua di una mezz’oretta prima.
Non
avrebbe mai potuto accettare che anche lui, che anche Scott…
aveva
già perso Camden.
Aveva
perso sua madre, suo fratello, tutte le persone cui un tempo aveva
voluto
bene e che in lui avevano visto di più che un semplice
ragazzino da manovrare o
su cui sfogare i propri rimpianti.
Anche
suo padre era stato un buon padre, una volta. Prima di perdere sua
moglie, prima di perdere il proprio figlio maggiore in combattimento
— e non
avere poi null’altro che una nullità in compenso.
Poi
c’era stato Derek, che
non aveva esitato a chiudergli le porte in faccia una volta
ricongiuntosi con
la sorella, e Isaac non era sicuro di poterlo biasimare.
Quando
una sorella morta torna in vita dopo anni, immaginava non si potesse
pensare poi di potersene separare di nuovo… infine
c’erano stati Erica e Boyd,
e aveva perso entrambi.
Scott
era stato l’unico a spalancargli le porte nonostante tutto,
nonostante il
modo in cui si era comportato nei suoi confronti, nonostante facesse
parte di
un altro branco, nonostante non gli dovesse nulla.
Scott
l’aveva accolto senza
chiedere nulla in cambio, gettando uno spiraglio di luce nella prigione
buia
della sua mente. Gli aveva dato una possibilità non per
poterlo poi sfruttare
in seguito, non per un puro e semplice gioco di favori o di potere, ma
per
umanità.
Perché
in qualche modo teneva a lui e in lui riponeva fiducia.
«
Mi fido di te, Scott » esordì, cancellando ogni
insicurezza, « mi fido di te
più di chiunque altro e per me sei tutt’altro che
una nullità.
Sei
stato
l’unico che mi abbia dato fiducia, l’unico che
oltre ad insegnarmi come
controllare la parte animalesca mi ha permesso di diventare anche una
persona
migliore.
Prima
che un lupo mannaro tu sei una persona, una persona
straordinaria, e per ogni morte di cui non puoi fare a meno di
incolparti devi
ricordare che, soprattutto, tu hai fatto del bene.
Senza
di te io non sarei
qui, probabilmente sarei a vagare da qualche parte, come omega, e
finirei per
farmi uccidere. Senza di te Stiles sarebbe diverso, Allison, Lydia,
Derek,
tutti senza di te saremmo tutt’altre persone »
Isaac
si fermò per riprendere fiato appena un attimo, appena un
secondo, utile
anche a fermare il tremolio delle sue mani. Quanti
anni aveva, cinque? Il bambino imbarazzato di parlare davanti a tutta
la sua
classe? Per la miseria.
«
Tu non sei una nullità, Scott, sei letteralmente tutto
quello che ho.
Volevo solo che lo sapessi »
Fu
rapido, pochi secondi dopo, a chiudersi la porta alle spalle e andare
via,
ma ciò non gli impedì di vedere il volto
stupefatto di Scott né i suoi occhi
che brillavano di un’emozione indecifrabile.
Isaac
era già in uno stato di dormiveglia, stravaccato su uno
degli ultimi
sedili posteriori dello scuolabus, quando udì Scott salire a
sua volta in
compagnia di Stiles. Il suo odore, così come la sua voce,
erano inconfondibili.
Aprì
gli occhi per qualche istante, almeno per sincerarsi di avere ragione e
di
non essersi instupidito del tutto, e - avrebbe potuto giurarlo - vide
Scott
fissarlo.
Non
appena i loro sguardi s’incrociarono, Scott sorrise radioso.
[
2.098 words ]
Angolo
Autrice.
Questi
due. No, sul serio, cosa sono? Isaac Lahey e Scott McCall sono due
personaggi con una chimica straordinaria, e nulla, assolutamente
nulla,
potrà mai convincermi che fra loro due non ci sia stata
più che una semplice amicizia.
Credo
che l'unico vero migliore amico di Scott sia Stiles, un migliore amico
che è una sorta di fratello, tanto profondo è il
rapporto che li lega, ma quello con Isaac è un legame
più viscerale, più intimo, più
e basta.
Nella
terza stagione Jeff mi/ci ha dato talmente tanti spunti di riflessione
su questa meravigliosa ship che onestamente non avrei potuto non
scrivere qualcosa a riguardo, anche perchè la 3x06
è stata una delle mie puntate preferite in
assoluto!
Insomma,
si tratta della mia prima ship slash nonché della prima
fanfiction in questo fandom, quindi spero davvero di aver fatto del mio
meglio e di aver reso al meglio il carattere di ogni personaggio.
Fatemi
sapere cosa ne pensate, nel frattempo corro a fangirlare maledettamente
sulla 3x19 quindi vi prego, cercate
di evitare gli spoiler sugli episodi/stagioni successive!
Love
you always,
—
afterallthistime.
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