Il professore
Nietsnie ci impiegò tre
mesi per raccogliere e catalogare tutti i documenti riguardanti i tempi
e i
modi che portarono allo sviluppo degli avvenimenti che
l’Imperatrice gli aveva
chiesto di cercare.
Trovò
non solo una videostoria degli
avvenimenti, ma anche documenti, alcune immagini, documenti cartacee
dei
servizi segreti civili e militari del tempo.
Era passato tanto
tempo, ma i documenti,
stranamente, erano ben conservati.
Il professore
pensò che qualcuno aveva
voluto farglieli trovare: erano tutti nella stessa ala della gigantesca
biblioteca, tutti catalogati, tutti in ordine.
Mai una ricerca del
genere era stata
così facile e mai aveva trovato così tanti
documenti che ne parlassero. Strano.
Ma i documenti non
parlavano chi erano e
che fine avevano fatto Doc e il Conte Black.
La storia, le
immagini, i dati
terminavano nel momento in cui la giara era stata consegnata.
Doc era sparito,
letteralmente ingoiato
dal pianeta Oleg.
Il Conte Black con
Freddy non avevano
lasciato tracce sul pianeta su cui erano andati ad
abitare: chi attualmente comanda quella zona
della galassia non era neanche un loro diretto discendente.
E Invincible era
stata ingoiata dalle
fauci fameliche del nulla.
Il professore aveva
un sacco di
documenti, ma pochi riferimenti reali su cui lavorare.
Sì,
aveva indicazione di dove era
situata la tana delle tigri, la sua collocazione all’interno
della galassia,
come raggiungerla: ma perché sulla tana delle tigri tanti
dati e niente di Doc.
Il professore
continuò la ricerca tra le
carte di quella zona della biblioteca. Alla fine trovò un
documento con dei
riferimenti che non facevano parte di quel lato della biblioteca.
Ci volle un
po’ per capire a cosa si
riferivano quei documenti, ma alla fine trovò il bandolo
della matassa.
Chi gli aveva messo
in bella mostra
tutti quei documenti, ne aveva lasciato uno, sicuramente per errore,
con
riferimenti ad un altro lato della biblioteca.
Al professore non
ci volle molto per
capire a quale zona della biblioteca faceva riferimento il documento,
ma la
zona della biblioteca indicata era dall’altra parte del
pianeta.
Il professore
partì alla ricerca degli
altri documenti.
Per andare
all’ala della biblioteca che
gli interessava il professore ci impiegò un giorno,
utilizzando i mezzi di
trasporto pubblici.
I mezzi di
trasporto erano dei cilindri
che viaggiavano in tubi sotto vuoto, posizionati sotto terra, ad alcune
centinai di metri sotto la crosta del pianeta.
Quel lato della
biblioteca era molto
antico.
Era dentro un
palazzo, un vecchio
palazzo.
Il professore,
all’ingresso della
biblioteca, ebbe come un sussulto. Gli ricordava le immagini viste del
palazzo
dell’Imperatore Frederickon II.
Era certo che fosse
il palazzo Imperiale
descritto nei documenti che aveva trovato.
Il professore si
ricordò delle piante
del palazzo reale e cercò subito la sala dove vi erano state
le riunioni dei
servizi segreti.
La trovò
al piano interrato.
Era proprio come
era stata descritta nei
libri.
Ma ora era occupata
da documenti, che il
professore incomincio a guardare.
Vi erano carte,
dischi, videolibri.
Ma non erano le
carte che cercava.
Erano la storia
della galassia dal
ventisettemila al ventottomila dell’anno galattico.
Cerano
però delle strane immagini.
“Invincible!”
urlò il professore.
Si girò
per controllare che nessuno lo
avesse sentito.
L’immagine
era su una carta strana, ma,
sul fondo dell’immagine, vi era l’astronave tanta
cercata.
Ma che ci faceva
una astronave di
cinquemila anni fa in una foto vecchia di solo duemila anni?
Il professore
controllò meglio la foto:
il pianeta su cui era stata fatta assomigliava molto alla tana delle
tigri.
Il professore
continuò le ricerche in
quella stanze e quelle attigue.
Poi
passò alle stanze dei piani alti.
Trovò
altre tracce in una stanza che
sembrava una camera da letto.
Era la stanza da
letto dell’Imperatore
Federickson II.
Le tracce
continuarono in altre stanze.
E le date
continuavano a modificarsi.
Alcune erano vecchi
di solo cento anni.
E le coordinate in
cui le foto erano
state fatte spesso distavano anni luce e i tempi erano di sole poche
ore.
Il professore
lasciò lo stabile, il
vecchio palazzo Imperiale soddisfatto, ma con ancora un sacco di
domande.
E non aveva nessuna
intenzione di
tornare dall’Imperatrice senza risposte.
Dei giardini che
erano di fronte al
palazzo Imperiale, era rimasto solo quello primaverile.
Quello dei
documenti, penso il
professore.
Vi fece un giro,
controllando l’ora: non
aveva nessuna intenzione di essere bagnato dall’impianto di
irrigazione a
pioggia.
Lo attraverso e
uscì dall’altra parte.
Si trovò
davanti a un palazzo molto più
recente, anzi recentissimo.
Era nuovo, appena
fatto.
Strano, non era
segnato su nessuna mappa
generale della biblioteca.
Vi
entrò, ma l’edificio era ancora
vuoto.
Era enorme: solo
l’ingresso era alto più
di venti metri.
Spettacolare, con
enormi finestre
lavorate con colori veramente sgarcianti.
Bello,
pensò il professore.
Ma una cosa strana
attirò la sua
attenzione.
In un angolo vi
erano delle casse di
legno, contenenti dei documenti siglati top secret.
Il professore si
guardò intorno
circospetto, poi apri la prima cassa e ci guardò dentro.
Non c’era
molto di interessante: foto,
vecchi documenti cartacei, lettere… Conte Black.
Il documento non
era molto antico, era
datato 29540: vi era un documento che parlava del Conte Black e della
tana
delle tigri, della necessità di controllarli e di sapere
cosa stavano
combinando.
Un simile
documento, lasciato lì così:
al professore non parve vero.
Ma un sospetto gli
corse nel cervello,
fino alle viscere del suo intestino: troppe tracce inequivocabili che
collegavano il Conte Black all’Invicible e alla tana delle
tigri.
No. Il Conte Black
faceva parte della
tana delle tigri, questo ormai era assodato, ma… no, non
poteva.
Uno dei primi
documenti parlava
dell’idea di Doc per quanto riguardava Invincible.
Un rumore alle sue
spalle lo fece
trasalire.
Si girò
di scatto, la mano nella tasca,
pronto a difendersi.
Forse qualche
animale entrato per
errore.
Il professore
copiò i documenti sul suo
mini computer.
Appena ebbe finito,
uscì di corsa
dall’edificio e ritorno sui suoi passi.
Attraverso il
giardino di primavera di
corsa, primo che la pioggia lo irrogasse.
Prima di entrare
nel palazzo principale
si voltò.
Era quasi certo che
un’ombra si aggirava
in quel posto.
Ormai aveva
parecchi documenti da
presentare all’Imperatrice.
Alla sera riprese i
mezzi pubblici e
tornò al suo appartamento.
Fece i bagagli e
prese la prima
astronave che partiva per il pianeta dell’Imperatrice.
Il professore
continuava guardarsi
intorno preoccupato.
Il viaggio
durò due giorni, nei quali il
professore dormì poco.
Quando
atterrò all’astroporto della
capitale, il professore si rivolse ad uno degli agenti
della sicurezza presenti.
Si fece
accompagnare, o meglio scortare
fino al Palazzo Imperiale.
Era notte quando
arrivò al palazzo
Imperiale.
I domestici si
innervosirono alla sua
presenza: mai nessuno si era permesso di arrivare a quell’ora
così discutibile
e chiedere dell’Imperatrice.
Ma, stranamente,
l’Imperatrice lo
ricevette.
L’Imperatrice
Koiula aveva quarant’anni
galattici standard.
Era una bella
donna: alta, magra, con un
viso ovale, occhi di un blu intenso, labbra piccole.
Al professore
piaceva come vestiva
l’Imperatrice in privato: indossava sempre vestiti succinti,
che mostravano le
sue forme e il seno prosperoso.
“Allora,
professore, quali notizie?” Gli
chiese l’Imperatrice nel suo salottino privato, seduta su un
divano blu notte.
Il professore si
sedette su una sedia,
davanti ad un tavolo dove appoggiò il suo mini computer e lo
collego ad una
presa multipla, posta sul tavolo.
Un video, grande
quanto la parete posta
a destra dell’Imperatrice, si illuminò.
Il professore
incominciò a spiegare
all’Imperatrice tutto quello che aveva scoperto.
Entro nei
più minimi particolari, fin
troppo noiosi, ma l’Imperatrice ascolto tutto con attenzione.
Era
l’alba quando il professore terminò
la sua relazione.
La luce entrava da
un pesante tendaggio
che chiudeva la finestra.
L’Imperatrice
si alzò e aprì la tenda:
la luce invase tutta la stanza.
Il professore
chiuse gli occhi per la
troppa luce.
Quando li riapri
l’Imperatrice era
davanti allo schermo a giocherellare con i dati della ricerca.
“Quindi,
secondo voi, è possibile che
siano tutti bionici?” Chiese con noncuranza.
“Sì,
mia Imperatrice. Ho paura che Doc
sia un vecchio Imperatore, forse esistito cinquecento anni prima degli
avvenimenti che tanto ci interessano. E che il Conte Black, o almeno il
suo
cervello, sia finito a comandare l’Invincible. Non di meno
l’orso Ronson e la
tigre Elsa sono sicuramente i consiglieri fidati del vecchio
Imperatore.” Disse
il professore, alzandosi dal divano e avvicinandosi
all’Imperatrice.
“Posso
chiedere a cosa vi serva questa
ricerca?” Il professore lo chiese sotto voce, come se
qualcuno potesse sentire.
“Sì.
Ma non è detto che abbia voglia di
rispondervi, mia caro professore.” Disse
l’Imperatrice, giocherellando con i
dati sul video.
“Però,
potrei fare un’ipotesi.”
Insistette il professore. “Voi siete la…
settecentocinquantaduesima Imperatrice
di questa galassia. Le dinastia che si sono succedute sono circa dieci.
Le
precedenti dinastie si sono estinte naturalmente e sono state
sostituite da
altre, in modo del tutto naturale…”
“Lo
credete davvero, professore?”
L’Imperatrice guardò il professore, con quel
sorrisetto furbino che spesso
segnava il suo volto, come un bambino che ha rubato la marmellata ma
nessuno
riesce a scoprire come ha fatto.
“Voi
sapete più di quanto credevo.
Quindi non è una leggenda. È tutto vero. Ma la
vostra dinastia non è tanto che
governa, voi siete solo la… quarta.
Perché?” Chiese incredulo il professore.
“Perché
ho messo al mondo un sola
figlia, e invece dovevo mettere al mondo un maschio. Avrebbe sposato la
figlia
del Conte Koiuyt, continuando tranquillamente la dinastia senza
problemi. E
tenendo buoni tutti. Invece mia figlia dovrà sposare chi
vuole, mischiando,
forse, il sangue con un con sanguigno. Sì, lo so. Si possono
fare dei
controlli. Ma questo rischierebbe di mettere in luce troppe magagne
Imperiale,
che nessuno vuole. Caro professore, siamo finiti. A meno che mia figlia
non
sposi il figlio dell’Imperatore della galassia di Androgina.
In tal caso il
problema sarebbe risolto, ma sa com’è: non si
sposa il figlio dell’Imperatore
di un’altra galassia. Anche se i due si amano.”
Concluse l’Imperatrice,
sedendosi sul divano e coprendo il volto con le mani.
“E
perché non glielo fa sposare?” Chiese
il professore, che si era seduto di fianco a lei.
“Perché
la tana delle tigri non vuole. O
almeno, quello che rimane della tana delle tigri.”
”E’ sicura che siano rimasti in pochi?”
“Il
ricambio c’è sempre stato e sempre
ci sarà, caro professore. Non è gente che si
ferma davanti a questi problemi.”
“Già.
Ma se qualcuno pensasse o, meglio,
sapesse che si sono messi contro l’Imperatrice, cercando di
detronizzarla…”
“Non sono
così stupidi. Non lo faranno
mai. Non si metteranno contro di me. Lo faranno solo quando non ci
sarò più.”
L’Imperatrice si era appoggiato alla schienale del divano. Il
professore era
sempre più sopraffatto dai desideri di aiutare la sua
Imperatrice.
“Perché
non li anticipate. Fategli
sapere che sapete. Ci penseranno bene…”
“Professore.
Uomo di dura cervice. Non è
che state esagerando nel vostro volervi aiutare. Non pensate che abbia
già
fatto le mie mosse. No, è impossibile. Lottare contro la
tana delle tigri non è
possibile.” Disse l’Imperatrice, guardandolo
amorevolmente.
Il professore e
l’Imperatrice rimasero
sul divano, mentre il sole si alzava sopra l’orizzonte.
“I
burocrati. Non è la tana delle tigri,
mia signora. Sono i burocrati che decidono chi sarà
l’Imperatore. Sono loro che
controllano i documenti delle nascite. Loro che sanno tutto e ben se ne
guardano di dirlo. No.” Disse il professore, come se avesse
capito il mistero.
“Non è la tana delle tigri che decide. Sono i
burocrati. La tana delle tigri ha
sempre lottato contro di loro. La tana delle tigri, se come dite voi
è vero,
dovrebbe aver già inviato al vostro successore la giara
della verità, ma
nessuno la mai ricevuta…”
“Mica lo
dicono se ricevono la giara, professore.”
L’Imperatrice rise rumorosamente. “Non lo hanno mai
detto.” Disse infine.
“Oh, no.
Questo non è vero. Ho visto un
elenco di nomi di imperatori, aspetti…” Il
professore si alzò e si mise davanti
al video. Cercò qualcosa, per un breve tempo.
All’improvviso sul video apparve
un elenco di nomi, tutti gli imperatori che avevano comandato su quella
galassia. Di fianco ad ogni nome c’erano stani simboli, tra
cui una giara.
“Visto!”
disse girandosi verso
l’Imperatrice, che si alzò e si
avvicinò al video. “Tutti i nomi degli
Imperatori, con a fianco
il simbolo
della giara. Visto, al cambio di dinasta vi é una giara.
Tranne al cambio della
vostra dinastia. La vostra dinastia è salita al potere senza
la giara. Com’è possibile?
Di sicuro c’è sotto qualcosa. O la tana delle
tigri non ha più proseliti, o i
burocrati hanno preso il comando!” Disse il professore.
L’Imperatrice
guardò tutti quei nomi, i
simboli a fianco di ogni nome, e la giara, messa esattamente al cambio
di
dinastia.
Davvero i burocrati
alla fine avevano
preso il sopravvento sulla tana delle tigri e avevano messo un
Imperatore
scelto da loro, per poter fare quello che volevano, comandare
nell’ombra senza
dover rendere conto a nessuno?
L’Imperatrice
cominciò a capire tante
cose.
“Sì,
mio caro professore. È proprio
così. I burocrati hanno preso il comando. Si sono
impadroniti dell’Impero e
della galassia. Adesso so cosa devo fare.” Disse
l’Imperatrice, battendo una
mano sulla spalla dell’anziano uomo, per così
tanto tempo fedele servitore.
“E cosa
volete fare, mia signora?”
“Andremo
alla tana delle tigri e lo
chiederemo direttamente agli interessati. Avremo notizie più
interessanti e
sapremo come sconfiggere il nemico.”
L’Imperatrice
spense il video, toccò un
tasto rosso e apparve la faccia di un uomo robusto, con il viso pieno
di
cicatrici, viso rotondo, di stazza grossa, non molto alto, vestito da
militare.
“Rudolf,
preparate la mia nave da
battaglia. Dobbiamo partire. Subito!” Gli ordinò
l’Imperatrice, che non attesa
la risposta e accese un altro pulsante.
Apparve una donna,
minuta, piccola,
anziana.
“Delia.
Fai preparare subito la mia tuta
da combattimento.”
L’anziani,
stupida, non ebbe il tempo di
rispondere. Il video si spense subito.
L’Imperatrice
guardò il professore.
“Bene,
professore. Partiamo. La tana
delle tigri ci aspetta.”
“Non
vorrà ficcarsi in quel guazzabuglio
di gente…”
“Di gente
fedele alla galassia,
professore. Fedele alla galassia, non a se stessi. Se riusciremo ad
avere i
contatti necessari, pensò che la galassia sarà al
sicuro. E credo che l’unione
tra mia figlia e l’uomo che tanto ama non sarà
così tanto osteggiato come noi
crediamo. “ Concluse l’Imperatrice, dirigendosi
verso una porta, in fondo alla
stanza.
“Cosa
volete che faccia?” Chiese il
professore timoroso.
“Verrete
con me. Fatevi trovare
all’astroporto tra due ore. Vedrete che faremo un bel
viaggio.” L’Imperatrice
sorrise, tranquilla, ed uscì dalla stanza.
Il professore
preparò le sue cose (non
aveva neanche disfatto i bagagli) e andò
all’astroporto.
La nave da guerra
dell’Imperatrice era
superba. Nei ultimi duemila anni le navi per viaggiare nello spazio
erano
parecchio ambiate. Ora erano degli enormi dischi, piatti, con i motori
arretrati rispetto ai dischi. Le velocità che raggiungevano
erano di parecchio
volte superiore alla velocità della luce. Di parecchio
superiore.
Il professore
salì da una passerella
posta sotto la zona vicino ai motori.
All’interno
dell’astronave fu accolto da
una sua vecchia conoscenza.
“Professore.”
”Elisabeth! Che piacere vederti. E il tuo occhio, come sta?
”
“Bendato!”
Gli rispose la ragazza. Era
un tipo corpulento, alto, viso magro, labbra carnose, capelli lunghi e
neri,
l’unico occhio aveva una pupilla nera come la notte. La benda
copriva l’occhio
destro, cavatogli dalla sua sede dall’Imperatrice di persona
durante un
allenamento con le spade. Da allora l’Imperatrice la aveva
elevata al rango di
suo attendente.
Indossava una tuta
da battaglia nera,
talmente aderente che mostrava i muscoli e tutta la sua
femminilità. Il
professore non riusciva a capire perché
l’Imperatrice si circondasse di donne
guerriere, come le antiche amazzoni. Gli uomini erano più
affidabili,
lottatori, guerrieri veri. Poi si ricordò che le tute da
battaglia avevano la
possibilità di aumentare la forza del combattente di almeno
dieci volte: anche
una donna poteva spaccare la testa di un uomo distratto davanti alle
sue
grazie.
“Allora,
professore, un’altra avventura?
Questa volta cosa cerchiamo? Un pianeta che non
c’è? O dobbiamo cercare strani
documenti in qualche posto remoto della galassia?”
“Se fossi
in te, Elisabeth, non farei
troppo la spiritosa. Stavolta, forse, devi sporcarti le mani. E non
credo che
sarà divertente. Posso andare nella mia solita
stanza?” Chiese il professore,
dirigendosi verso un ascensore.
“Sì.
Come al solito. Sporcarmi le mani?
Ma se ogni volta non succede niente. Una viaggio di piacere e torniamo
dopo
neanche una settimana. Che barba!” Disse Elisabeth, girandosi
e dirigendosi
verso degli uomini che stavano caricando dei macchinari sulla nave.
Il professore rise.
Prese
l’ascensore e si diresse al ponte
cinque.
La sua stanza era
segnata con la sigla
E5010.
La camera era
spoglia. Vi era un
finestrone, a metà altezza, lungo tutta la stanza che dava
verso l’esterno
della nave. Sotto di esso vi era divano per metà della sua
lunghezza e una
tavolo.
Un altro da lavoro
era nella parete di
fianco alla porta di ingresso.
Il computer era
acceso e sul video vi
era un messaggio interno.
Una riunione di
lavoro era fissato dopo
la partenza, che era prevista per le ore undici.
Come al solito,
l’Imperatrice non aveva
perso tempo. Sembrava che ogni volta che il professore tornava con dei
dati per
la ricerca di qualcosa, l’Imperatrice già sapesse
il risultato e cosa doveva
fare.
Il professore aveva
sempre avuto il dubbio
che l’Imperatrice lo spiasse in qualche modo durante le sue
ricerche.
Ma la cosa non lo
aveva mai preoccupato.
Ma stavolta
qualcosa non quadrava.
I macchinari che
aveva visto caricare
dagli uomini di Elisabeth erano robot da guerra. Non i soliti,
però. Alcuni
suoi allievi avevano sperimentato la possibilità di guidare
i robot con la
mente. Cosa che da parecchio tempo si faceva. Ma i suoi discepoli erano
arrivati al punto che la menta del pilota quasi si fondeva con la
macchina,
fino al punto che le reazioni di intervento dei robot erano immediate,
con la
differenza di intervento così minima, che
l’Imperatrice aveva avuto paura a
produrre più di qualche esemplare di prova. Per
l’esattezza cinque.
Lui ne aveva visti
almeno venti.
Il professore prese
le sue borse e
schiacciò un pulsante sulla parete libera.
Si aprì
un armadio e sotto apparve un
letto.
Appoggiò
le borse sul letto, le apri con
calma e cominciò a tirare fuori i vesti, appendendoli con
ordine.
Di solito li
prendeva e li buttava
dentro, ma il pensiero di qualcosa di strano gli fece fare le cose
senza
rendersene conto.
Svuotata una borsa,
iniziò con l’altra.
La sua vecchia tuta
da guerra era lì,
nera come la pece.
La teneva sempre in
ordine. Odiava la
guerra, ma troppe volte l’Imperatrice l’aveva
trascinato in situazione poco
piacevoli. Stavolta si era preparato.
All’interno
della tuta faceva bella
mostra di sé un disegno stilizzato di una animale. Il
professore la guardò con
sentimento. Era giunto il momento che quel simbolo tornasse a dire la
sua, a
dire qualcosa per la galassia?
Sul video del
computer apparve la faccia
di Elisabeth che lo chiamava.
Il professore
nascose la tuta e si
diresse al video.
Alzò il
volume dell’audio.
“Professore.
Come al solito.. il volume…
quante volte le devo dire che deve essere alzato al massimo…
se no cosa la
chiamo a fare…”
“Smettila,
Elisabeth. Cosa vuoi?” Disse
il professore in modo sgarbato.
“Scusi.
L’Imperatrice è a bordo e stiamo
per partire. Ha detto di scendere in sala…”
“Va bene.
Arrivo.” Rispose il professore
sgarbatamente, e chiuse la conversazione spegnendo il video.
Dalla sedia su cui
si era seduto per
rispondere a Elisabeth guardò la tuta.
Ora il destino
dell’universo era nelle
sue mani.
Nascose la tuta e
il borsone che la
conteneva.
Chiuse
l’armadio e il letto.
Si diresse verso la
porta: prima di
uscire si girò a controllare che tutto fosse a posto.
Guardò
in alto: la telecamera di
sicurezza era accesa: qualcuno spiava, come al solito. Poco male.
Uscì e
si diresse in sala riunione.
Anche se Elisabeth
non aveva concluso al
frase, sapeva che l’Imperatrice era là con tutto
lo staff.
La sala era
dall’altra parte della nave
e gli ci volle un buon cinque minuti per arrivarci.
Odiava quella nave:
bisognava sempre
camminare per postarsi da un punto all’altro, usare scale:
non capiva perché
gli unici ascensori che vi erano installati portassero solo al ponte di
volo.
Quando
arrivò nella sala, l’Imperatrice
era già lì, nella sua tuta da guerra blu cobalto.
Una meraviglia, penso il
professore.
Non così
lei, che glielo fece capire con
una sguardo meno benevolo del solito.
L’Imperatrice
stava parlando con
Elisabeth e con un uomo, di media statura, anche lui con una tuta da
guerra
indossata, con un fregio sul petto: era il comandante della squadriglia
di robot.
Aveva un nome strano… il professore, come al solito, i nomi
stupidi non se li
ricordava. Fa niente, pensò, non ci doveva parlare con
quello.
Nella sala vi erano
altre persone,
alcune vestite con tute da lavoro, altri con i vestiti di ordinanza
delle navi
spaziali.
Riconobbe il
comandante della nave, il
Generale Kutre e un uomo dei servizi segreti militari, anche lui con un
nome
strano e stupido.
Quando tutti furono
seduti ai loro
posti. L’Imperatrice iniziò la riunione. Guardando
il tavolo, lei si accorse
che un posto era vuoto.
“Dov’è?”
Chiese, scocciata.
“E’
il solito ritardatario.” Disse una
voce.
Qualcuno rise
sottovoce, con
l’Imperatrice che stava incominciando a sbuffare come un toro.
Ad un certo punto
una porta di aprì di
colpo e un omino, di piccola statura, grassoccio, entro nella sala
riunione.
Aveva una tuta da
lavoro logora, e lei
sembrava ancora più trasandato.
“Caro
Leonard, non puoi tutte le volte
essere in ritardo e conciato come… un animale! Ma ti
lavi?” Disse
l’Imperatrice, mentre un odore nauseabondo investì
tutti i presenti.
“Posso?”
Chiese Elisabeth.
L’Imperatrice
l’anticipò, schiacciando
un pulsante sul tavolo.
Il povero Leonard
fu investito da un
getto di acqua calda, sceso dal soffitto, che lo lavò
completamente.
“Visto,
Leonard. Ad ogni problema la sua
soluzione.” Disse l’Imperatrice.
“La
ringrazio, mia signora.” Rispose
Leonard con la sua vocina, mentre con la mano sinistra si toglieva
l’acqua che
dai capelli scivola sul suo volto. I presenti non riuscirono a
trattenere una
sonora risata.
“Bene.
Dopo questo piccolo fuori
programma, torniamo ai nostri affari.”
L’Imperatrice schiacciò un pulsante su
un pannello posto alla sua sinistra e dietro a lei scese un enorme
video, su
cui apparse una zona della galassia.
“Come
vede” Continuò ”noi dobbiamo
andare sul pianeta PY253YU, detto anche la tana delle tigri. Non
sarà un
viaggio lungo, ma sicuramente quello che troveremo sarà
molto importante per
tutti noi. Come al solito la segretezza è importante. Solo
che questa volta non
perdonerò strane comunicazioni (guardò tutti con
aria pericolosa,
tambureggiando con le unghie sul tavolo) con personaggi equivoci.
Questa volta
chi si azzarda a disobbedirmi lo sistemo di persona!”
Così dicendo sferrò un
pugno sul tavolo, che fece trasalire tutti.
Una voce subito si
alzò da un posto
vicino al professore “Non crederete che tra noi ci siano dei
traditori?”
“Mio
caro, questa volta i traditori
saranno morti! Credo di essere stata molto chiara!” E un
altro pugno cadde sul
tavolo.
Il professore
guardò Elisabeth, che se
la stava ridendo silenziosamente: altri, invece, avevano la facci
decisamente
preoccupata.
I burocrati avevano
infiltrato persone a
loro fidate sulla nave da guerra dell’Imperatrice.
Il professore
cominciò a capire.
Erano arrivati a
tanto, pur di comandare
la galassia.
La riunione
continuò con dati e
sistemazioni dei ruoli, fasi di attacco e di protezione
all’operazione.
Ma al professore
questo non interessa.
Anzi, l’Imperatrice per quelle riunioni non lo aveva mai
chiamato.
Perché
stavolta era diverso?
La riunione
durò parecchio. Continuò
anche quando la nave partì.
Strano, si parte e
il comandante della
nave e l’Imperatrice non sono sul ponte di comando.
Sempre
più strano, pensò il professore.
Ma era inutile
chiedere, nessuno ci fece
caso.
Durante la riunione
mangiarono qualcosa
di frugale, bevvero solo acqua (l’alcool sulla nave
dell’Imperatrice era
vietato quando si andava in missione) e la riunione proseguì
fino alle cinque
del pomeriggio di un giorno galattico standard.
Alla fine della
riunione tutti se ne
andarono alle loro mansioni. Il professore rimase meditandolo.
Elisabeth se ne
accorse e si avvicinò.
“Non mi
sembra il caso di essere
preoccupato. Tutto fila come previsto.” Le disse, dolcemente.
“Tu
credi. E allora perché ho dovuto subire
questa riunione ”
“Come,
non lo sai. Ci aspettano. Non
vorrai fare brutta figura.”
Elisabeth si
allontanò, scortata dal
comandante della squadriglia.
L’Imperatrice
stava leggendo sul video
dei dati, quando alzò la testa e guardo il professore.
“La
riunione è finita, Gorge. Qualche
problema?”
“Non mi
avete mai chiamato per nome,
Koiula. Come mai adesso… “
L’Imperatrice
si pose il dito indice
della mano destra sulla bocca. Fece un gesto e la sala fu chiusa,
sigillata. Il
rumore delle porte blindate ce si chiudevano fu quasi assordante. Le
telecamere
della sicurezza si spensero. Non tutte, ma George notò che a
una buona parte di
esse la luce rossa si era spenta.
L’Imperatrice
si avvicinò al professore.
“So il
vostro segreto. So cosa
nascondete. E voi avete capito cosa voglio fare. Prima di arrivare alla
tana
delle tigri, i burocrati dovranno essere spariti su questa nave. Conto
su di
voi. Non importa come lo farete o come gli scoprirete. Fatelo e
basta.”
“Non sono
un assassino! Non posso…”
“Non lo
farete voi il lavoro sporco. Ci
penserà Leonard.”
“Leonard?!”
“Sì,
Leonard. Voi trovateli e poi ditelo
a lui. Buon lavoro, professore.”
L’Imperatrice
si alzò dalla sedia su cui
si era seduta. Si volto, facendo un altro gesto.
Le porte blindate
si aprirono, forse ancora
più rumorosamente di quando si erano chiuse e le telecamera
si riaccesero.
Il professore
uscì dalla sala e andò
nella sua stanza.
Scoperto come un
bambino. Era stato
stupido. Ma il pensiero si rivolse ad altro. L’Imperatrice
doveva essere o
chiaroveggente o telepatica. Forse, i burocrati avevano sbagliato
qualcosa
quando avevano scelto la sua dinastia.
E la tana delle
tigri doveva approfittarne.
Il professore si
cambiò e se ne andò a
letto.
Fuori dalla
finestra, le stelle
correvano veloci. Dalla parte sbagliata.
Capì che
alla tana delle tigri ci
sarebbero arrivati dopo almeno due mesi.
Già. I
burocrati dovevano scendere dalla
nave, possibilmente morti.
Il professore
spense le luci e se ne
andò a letto.
Si addormento
guardando le stelle che
scorrevano. Dalla parte sbagliata.
L’astronave
incominciò ad andare a zonzo
per la galassia.
Le giornate
passavano stancamente, tra
intrallazzi di potere, strane sparizioni, gente trovata morta nei letti
mentre
dormiva ed altre dicerie del genere.
L’astronave
era grande e le leggende
incominciarono a crescere come i parassiti sulle piante.
Il professore
individuo solo tre degli
uomini inviati dai burocrati. Gli altri si fecero scoprire da messaggi
maldestramente inviati ai loro capi burocrati.
Alla fine gli
uomini al servizio dei
burocrati risultarono venti.
Tutti fecero la
stessa fine.
Ma strani messaggi
continuavano ad
essere spediti da uno strano strumento a bordo dell’astronave.
Nessuno,
però, fece niente.
Il professore
sapeva che, comunque, era
necessario che i burocrati ricevessero notizie, magari anche false, ma
l’importante era che il cordone ombelicale non fosse tagliato.
Così,
dietro ordine dell’Imperatrice,
l’uomo che si salvò continuò ad inviare
notizie, controllate in modo indiretto
dall’Imperatrice. Peccato che lui non lo seppe mai che faceva
il gioco
dell’Imperatrice e non dei burocrati.
Dopo circa un mese
di viaggio nella
galassia, dove l’Imperatrice poté in contemporanea
visitare pianeti del suo
Impero che non aveva mai visitato, la nave si diresse definitivamente
verso la
tana delle tigri.
A circa due giorni
di viaggio dalla
tana, l’Imperatrice fece chiamare il professore.
Era il secondo
turno di guardia, in
teoria erano le due del mattino in un giorno galattico standard.
Il professore stava
dormendo
profondamente, quando una delle guardie personali
dell’Imperatrice lo svegliò.
Il professore si
sveglio alquanto
arrabbiato, in quell’ora così indicente.
Per fare in fretta
si mise una tuta da
lavoro e andò dall’Imperatrice.
Lo sapeva che con
lei era inutile
discutere, ma a quell’ora, diamine.
Il professore
andò diretto verso una
sala dell’ultimo ponte.
Il soldato lo fece
entrare in un grande
stanzone: era la stanza adibita alle carte spaziali tridimensionali.
“Professore.
Come sta?” Gli chiese
l’Imperatrice, ma prima che lei potesse continuare, il
professore incomincio a
borbottare.
“Che
orario indecente. Ti sembra l’ora
di far alzare un povero vecchio come me dal letto per cosa?”
“Perché
non troviamo la tana delle
tigri, professore.” Gli disse seccata
l’Imperatrice. “Non è dove dovrebbe
essere. Perché?”
“Perché
sono passati cinquemila anni e
potrebbe essersi spostato. Rispetto alle carte. Leonard, fai una
cosa… immetti
i dati per calcolare lo spostamento delle stelle rispetto al centro
della
galassia..” Disse il professore, ma Leonard non aspetto che
la frase fosse
finita. Sul cielo virtuale apparve un puntino, spostato di circa dieci
gradi
rispetto al punto ricavato dai dati da parte del professore.
L’astronave
ebbe un sussulto e si
diresse verso il punto segnato nella volta.
Il professore si
girò ed usci dalla
stanza.
“Avvisi i
suoi amici, professore.
Veniamo in pace.” Disse l’Imperatrice.
Il professore non
si volto.
“Lo sanno
già.” Disse, oltrepassando la
porta, che si chiuse dietro a se con uno scatto, mentre
l’Imperatrice lo
guardava in modo interrogativo.
Il giorno dopo
arrivarono al pianeta.
L’astronave
gli girò intorno, facendosi
la sua personale eclisse con il pianeta ed il sole arancione.
Il professore
salì sul ponte di comando
per vedere il pianeta.
Il ponte di
comando, anche se ampio, era
occupato da un sacco di comandanti, venuti a prendere ordine per la
discesa sul
pianeta.
Sul grande video si
vedeva il pianeta e
altre navi, di dimensioni decisamente più piccole di quella
su cui avevano
viaggiato.
Le informazioni del
professore erano
esatte.
L’Imperatrice
aveva mandato avanti altri
navi a controllare la zona.
Ma lui non si
preoccupò.
Scese nella sua
stanza e indossò la tuta
da guerra.
Dalla stesa valigia
tolse un mantello,
nero, con un cappuccio.
Lo
indossò. Sulla spalla destra la testa
di tigre d’orata tornò a rivedere la luce.
Uscì
dalla stanza. Ma qualcuno, vestito
come lui, lo aspettava.
Si diressero verso
un hangar secondario
e presero una navetta.
Il compagno del
professore guidava la
navicella, mentre il professore gli dava le coordinate per il viaggio.
Uscirono
dall’hangar sotto gli occhi
increduli di alcuni tecnici e si diressero verso il pianeta.
Il viaggio
durò alcune ore.
L’astroporto
verso cui erano diretti era
il principale. Il professore pensava che era l’unico modo per
entrare senza
provocare danni a nessuno e preoccupare in modo illogico gli abitanti
del
pianeta.
Le coordinate
dell’astroporto furono
inserite nella navetta, che vi arrivò tranquillamente, senza
troppi scossoni e
senza che nessuno si facesse vivo.
Quando atterrarono
era notte su quella
parte del pianeta.
L’astroporto
era enorme, ma a nessuno
dei due viaggiatori scappo l’ombra che una delle lune
stagliava sul suolo
dell’astroporto di una nave spaziale di notevoli dimensioni.
“Invincible!”
Disse il professore.
I due scesero dalla
navetta e si
diressero verso la nave. Era li, sopita, dormiente, tranquilla, che
spettava di
essere svegliata dal lungo sonno.
Il
professore prese per un braccio il suo
compagno, che si era diretto decisamente verso la nave.
“Non
è il momento. E comunque non spetta
a noi svegliarla.” Gli disse.
I due si diressero
verso un portone aperto
che dava su una grotta. Accesero delle lampade portatili molte luminose
ed
entrarono della grotta.
Un rantolio veniva
dal fondo della
grotta.
“Le
macchine… si stanno spegnendo…
andiamo da questa parte, le riattiveremo…” Disse
il professore.
I due percorsero un
corridoi stretto,
posto a destra dell’enorme corridoio, seminascosto da un
enorme arazzo.
Strano disegno:
sull’arazzo vi erano
vecchie navi spazili che lottavano con un’altra nave,
più grande: ma le torce
non riuscivano ad illuminare tutto l’enorme arazzo, e il
compagno del
professore non poté vedere il disegno in tutta la sua
interezza.
Il corridoio,
stretto, continuava a
girare, destra, sinistra, poi incominciò a scendere, girando
sempre a sinistra.
Camminarono per
almeno due ore.
Il professore,
anche se era ben
allenato, arrivò ansimante alla fine del corridoio.
La porta che
chiudeva il corridoio fu
aperta di slancio da lui e il suo compagno.
L’enorme
stanza che si aprì davanti a
loro era piana di quadri, leve, pulsanti, indicatori.
Il professore si
diresse su di una leva.
La
abbassò e la rialzò.
Il rumore della
macchine, da un
borbottio diventò un sibilo continuo ed ininterrotto.
La luce
incominciò a tornare in tutta la
tana.
Il compagno di
viaggio del professore si
tolse il cappuccio.
“E’
tutto a posto, adesso, professore?”
Elisabeth si stampo
in faccia un sorriso
di quelli a cui il professore non sapeva dire di no.
“Non
credo. Doc non è qui. Sarà rimasto
di sicuro su Oleg, e tu non hai pensato ad andarlo a prenderlo.
Invincible è
vuota. Mancano Elsa, Ronson e Black. Invece di essere a cercarli, sei
qui che
ti pavoneggi con me. Sono vecchio, ma non scemo. Adesso me lo spieghi
come
facciamo?” Il professore sgridò
l’allieva in modo alquanto brusco.
Elisabeth si difese.
“Non
è che non ci ho pensato. Ho mandato
qualcun altro a prelevarli…”
“E
che?” la incalzo il professore.
“Un uomo
fidato.” Gli disse Elisabeth,
con fare da gattona. “Ho mandato la figlia
dell’Imperatrice.”
“Ma
brava. Se lo sa la madre, salta
tutto.”
“Sa
già tutto. Quella legge nella mente.
Cinquemila anni di manipolazione genetica ci hanno portato ad avere una
che
legge nel pensiero, che è sempre avanti a noi di un passo.
Non serviamo più. Lo
capisci, professore. Non serviamo più.”
“Serviamo,
sciocca donna. Siamo la sua
armata segreta contro i burocrati! Ce l’avevamo fatta a
tenerli buoni, ma tu
cosa ti sei messa in testa non so. La giara della verità non
può mettersi in
viaggio senza due che la portano. Sai, due gemelle. E noi le gemelle
non ce le
abbiamo. Due gemelle fidate non le abbiamo. Quante volte te lo devo
dire. Fino
ad ora ci siamo arrangiati, ma i burocrati hanno capito. E lo
capirà anche lei
che non da una dinastia, ma che da ben cinque la giara non viene
consegnata. E
tu giochi.” Il professore era furibondo. Guardò
Elisabeth dritto negli occhi.
“E’ inutile parlarne. Adesso sistemiamo le cose a
dovere.”
Il professore
uscì dal locale, lasciando
Elisabeth lì, come uno straccio usato.
Elisabeth si
riprese subito e lo seguì.
Quando tornarono
nell’astroporto,
un’altra nave stava atterrando.
Era una nave di
piccole dimensioni,
anche lei formata da un disco piatto e i motori separati dalla parte
principale
dell’astronave.
Era colorata
completamente di nero,
difficile da individuare nello spazio profondo.
Quando i motori si
spensero, una
passerella dal lato motori scese, silenziosa.
Poco dopo delle
ombre apparvero sulla
passerella, mentre le luci tornavano lentamente
nell’astroporto.
La prima che scese
era una ragazza:
aveva circa venticinque anni, alta, viso ovale, occhi neri, i capelli
raccolti
dietro alla nuca. Assomigliava troppo all’Imperatrice. Era la
sua primogenita
Giulia. Al professore ricordava qualcosa quel nome, ma al momento non
riusciva
a collocare dove lo aveva sentito. Indossava una tuta da guerra color
blu cobalto
e si era coperta con un enorme celata nera con cappuccio, di quelle
usate dai
soldati durante le battaglie sotto gli acquazzoni di acqua.
Dietro a lei
scesero tre figure, coperte
fino ai piedi da un mantello nero e incappucciate, come a non volersi
far riconoscere.
La principessa
Giulia era decisamente
più alta del professore e anche di Elisabeth.
Quando fu vicino a
loro li guardò con
insufficienza.
“Non
capisco perché mandare me a
prendere queste persone?” Disse. La sue erra moscia era
terribile. Il professore
aveva tentato, insieme ad altri colleghi, a farla smettere di parlare
con
quella cadenza. E c’erano anche riusciti. Ma la principessa,
ogni qual volta
doveva parlare con dei sottoposti in luoghi non pubblici, come
ricevimenti o
visite ufficiali sui pianeti, si divertiva a parlare in quel modo, e
nessuno
era mai riuscita a farle smettere.
“Capisco
la sua indignazione,
principessa, me era necessario andare a prendere queste persone.
Scusateci
dell’inconveniente.” Rispose amorevolmente il
professore.
“Sì,
si. Capisco.” Disse la principessa.
”Ma la prossima volta avvisatemi che il pianeta è
infestato da robot guerrieri.
Abbiamo dovuto battagliare per due giorni per riuscire a portare via
quelle
persone. Poi, non capisco professore… perché non
si tolgono mai il cappuccio. A
parte che non hanno neanche mangiato per tutto il viaggio.”
“Gorge
caro, come va?” Uno degli
incappucciati si era avvicinato a loro. Si tolse il cappuccio e apparve
un
uomo, completamente pelato, con un viso familiare.
“Doc. Che
piacere rivedervi. Spero che
il viaggio vi sia piaciuto?” Rispose il professore,
sorridendo all’uomo di cui
aveva tanto sentito parlare, ma mai visto se non in alcune immagini.
“Oh,
sì. Divertente. Se non fosse per
quella erre moscia… terribile… veramente
terribile…” Disse Doc, facendo
l’occhiolino a George.
Elisabeth
scoppiò a ridere: sapeva che
la principessa avrebbe sbottato per quella osservazione.
Stranamente, Giulia
non si infuriò.
“Se vi
dava tanto fastidio “ Disse senza
la sue erre moscia “potevate anche gentilmente farmelo
notare. Non sono una
persona indifferente alle necessità altrui. E dopotutto,
come vede, so parlare
in modo corretto.”
“Bene.”
Disse il professore “Se vogliamo
metterci al lavoro. Devo avvisare l’Imperatrice che
può atterrare.”
“Sa
qualcosa…” Doc fu subito fermato con
una mano da George.
“Prima
entriamo e vediamo se è tutto a
posto. L’Imperatrice saprà tutto a suo
tempo.”
Il gruppo
entrò nella tana.
Ci impiegarono due
giorni a controllare
che tutto fosse efficienze nella tana.
Alla fine
avvisarono l’Imperatrice, che
stava già incominciando a spazientirsi: non gli piaceva
aspettare. Ma quando
seppe che Giulia era nella tana si tranquillizzò. Perlomeno
qualcuno di fidato
era presente sul pianeta.
L’Imperatrice
diede ordine di preparare
una navetta; voleva andare alla tana al sorgere del sole sul pianeta.
Quella sera Doc e
il professore si
ritrovarono nella vecchia stanza di Doc.
“Come
stanno le cose?” Chiese Doc.
“Da
quello che ne so, sembra che le
ultime cinque dinastie siano state scelte dei burocrati, anche se nella
scelta,
non so certamente chi ringraziare, hanno fatto delle scelte che sono
andate e
nostro favore. Tutti gli imperatori che sono saliti sul trono della
galassia
hanno fatto il suo bene, non certo quello dei burocrati. Ma adesso
pretendono
il dazio, caro Doc. Hanno presentato il conto
all’Imperatrice. Lei vorrebbe,
dato ormai la vicinanza tempistica con la galassia Androgina, di far
sposare
sua figlia con il figlio dell’Imperatore. Ma i burocrati
hanno paura che ciò
comporti cambiamenti e rimescolamenti di ruoli e non vogliono. Sembrano
decisi
a un colpo di mano. Così facendo, si impadronirebbero del
potere e dell’Impero,
quindi la galassia, sarebbe smembrata in mille staterelli comandati da
crudeli
padroni.”
“E noi
non possiamo permetterlo, vero
professore?” Disse Doc.
“Già.
Prima il bene della galassia.”
“D’accordo.
Domani sentiremo cosa vuol
fare l’Imperatrice. Se sarà il caso useremo
Invincible. Ma sarà necessario
eliminare i burocrati più pericolosi. Ci
penseremo.” Doc finì la frase
assopendosi.
Il professore lo
guardò. Sapeva che non
stava dormendo. Chissà quanto tempo poteva ancora funzionare.
George
lasciò la stanza e si diresse
verso la sala delle riunioni.
L’aveva
vista una sola volta, con le
torce elettriche, quando era venuto lì con suo padre anni
fa, o forse secoli:
era passato così tanto tempo da quando gli era stato dato
l’incarico di
proteggere la tana delle tigri.
Lui ce
l’aveva messa tutta perché il
segreto non fosse violato, ma ora era necessario che qualcuno sapesse.
Ma
quanti sapevano.
Dietro a lui
arrivò uno degli
incappucciati che lo chiamò per nome.
“George!”
Era una voce femminile, soave.
“Evane!
Che piacere vederti! Avevi
bisogno?”
La donna
tirò indietro il cappuccio e il
suo volto giovanile apparve in tutto il suo splendore a George.
“Stanno
arrivando gli altri. Stanno
atterrando negli altri astroporti. Mi raccomando. Ricordati
dell’altra volta.
Qualcuno potrebbe essere scappato all’Imperatrice ed essere
qui a fare il
doppio gioco.”
“Non ti
preoccupare, Evane. Stavolta non
capiterà più. Abbiamo imparato. Noi. Vedrai,
stavolta il bene della galassia
trionferà senza troppi problemi. Una guerra ogni tanto serva
a fare pulizia.
Anche se noi vorremmo evitarla. A proposito, Doc è troppo
stanco…”
“Si, lo
so. Anche noi. È troppo tempo
che siamo in queste macchine e non dureremo per sempre. Forse
Invincible, ma
non ne siamo sicuri. Anche se facciamo continuamente manutenzione, non
abbiamo
apportato grosse modifiche alla tecnologia usata. Ma siamo anche noi
stanchi di
essere in queste condizioni. Forse dovremmo riposarci per sempre. Con
Doc ne
abbiamo già parlato. Cinquemila anni sono stanti.
E’ ora di modificare le cose.
Un’altra tana con altre tigri deve sorgere, George. Ma di
questo ne parleremo
dopo.”
“Si.
Andiamo ad accogliere gli altri.”
Così
dicendo George ed Evane uscirono
dalla sala e si diressero verso il punto di raccolta di tutti quelli
che
stavano arrivando.
La notte, nei cieli
della tana, fu
trafficata, con astronavi di tutte le forme e grandezze che arrivavano.
L’Imperatrice
dalla sua nave guardava le
astronavi arrivare. Sapeva che una cosa del genere non era mai stata
vista da
nessuno. Tutti coloro che facevano parte della tana delle tigri stava
arrivando
sul pianeta.
Alcune navi non
erano di quella galassia,
ma neanche di quella vicina.
Con tutto il tempo
che ci voleva, quando
era partite e da chi erano state avvisate?
Il ponte di comando
rimase in subbuglio
per tutta la notte del pianeta.
Due turni di
guardia passarono, prima
che il sole sorgesse sulla tana e che l’Imperatrice decidesse
di scendere sul
pianeta.
Nell’astroporto
principale era stato
destinato uno spazio per l’atterraggio della navetta
dell‘Imperatrice.
Ad accogliere la
navetta vi era solo il
professore: gli altri erano già nella sala.
La navetta
atterrò, silenziosa. Appena
la passerella fu abbassata, l’Imperatrice scese di corsa,
seguita da un gruppo
di uomini.
L’Imperatrice
indossava una mantello
nero, con cappuccio, con i bordi dorati. Gli uomini che la seguivano
avevano le
celate nere.
L’Imperatrice,
anche con addosso gli
scarponi, aveva sempre una camminata molto femminile.
Passò
davanti al professore facendogli
un semplice cenno col il capo.
Il professore,
girandosi, notò sul
mantello dell’Imperatrice il simbolo della tana delle tigri
sulla spalla
destra.
“Ma…
mia signora…” Disse il professore,
balbettando.
L’Imperatrice
si fermò e voltò la testa
verso il professore, sul cui viso si era manifestato lo stupore per
ciò che
aveva visto.
“Non lo
sapete, George. La segretezza
dei suoi componenti è l’arma più
pericolosa della tana.” Gli disse
l’Imperatrice, pacatamente.
L’Imperatrice
si rivolto e riprese a
camminare con fare deciso.
Il professore gli
corse dietro e gli
uomini di scorta dell’Imperatrice li seguirono,
silenziosamente.
Nella sala vi era
un brusio di
sottofondo, che cessò quando l’Imperatrice
entrò, seguita dal professore.
Doc era al suo
solito posto, circondato
da quattro personaggi incappucciati.
Evane aveva preso
posto sugli scranni di
fronte a Doc. Ai suoi piedi facevano bella mostra di sé
l’orso Roson e la tigre
Elsa. Il tempo non gli aveva invecchiati.
Giulia, la figlia
dell’Imperatrice, si
era seduta su uno scranno vicino ad Evane.
Il professore si
ricordò dove aveva già
sentito quel nome. Strano, si era seduta sullo scranno della sua
precedettrice.
Il professore si
sedette sullo scranno
vicino ad Evane.
L’Imperatrice
rimase un attimo lì, in
piedi, davanti a tutti: poi, con fare molto umile, si sedette vicino
alla
figlia.
Sedutasi, guardo
Doc. Subito,
l’Imperatrice fece un cenno e gli uomini di scorta uscirono
dalla sala.
Un enorme portone
si chiuse dietro loro.
“Per la
sicurezza di tutti!” Disse Doc
“Qui le armi non sono mai entrate.”
L’Imperatrice
accennò ad un sorriso.
“Bene.”
Iniziò Doc, alzandosi. “Come
sapete, i nostri tentativi di tenere unita la galassia, si stanno
mostrando
inutili. Ormai non abbiamo più il controllo dei burocrati,
che stanno ormai
operando a viso scoperto, pur di impossessarsi del potere, che
ritengono gli si
dovuto. Dobbiamo serrare i ranghi e rimettere il bene di tutti davanti
al bene
di pochi. Come vedete, la stessa Imperatrice è dovuta uscire
allo scoperto, per
poter fermare qualsiasi tentativo di successine da parte dei burocrati.
Purtroppo, la guerra, che tanto abbiamo voluto evitare, è
necessaria. O almeno,
cercheremo di far sì che interessi meno individui possibili
in questa galassia.
Ora, cara Imperatrice, credete che i burocrati che sono qui siano
pericolosi?”
L’Imperatrice
si alzò. Guardo i
personaggi sulle balconate.
“No, Doc.
Le persone che sono qui
presenti non sono che insignificanti burocrati di poco conto. Non penso
che
impediranno che si compia il loro destino…e il
nostro!”
“Bene.
E’ inutile continuare questa
riunione. I burocrati si stanno organizzando su un pianeta fuori dalla
galassia.
Sarà bene attivare Invincible e chiudere la questione in
tempi brevi. Per
quanto riguarda la giara della verità, Non si
muoverà fino al tempo previsto.
Che, ovviamente, non è adesso.” Doc fece un
sorriso all’Imperatrice, che
contraccambiò.
La sala si
svuotò.
Alcuni dei membri
della tana partirono
in gran fretta.
Alcuni burocrati
presenti tentarono una
mediazione con l’Imperatrice, ma il risultato non fu molto
favorevole. Le
segrete della tana delle tigri non diedero loro alcun scampo.
George
parlò della cosa con Elisabeth.
“Non vedo
perché dovremmo sporcarci le
mani di sangue!” le disse preoccupato.
“Non
è il nostro sangue e non lo stiamo
facendo noi. Lascia perdere. Pensa solo ad Invincible.”
La nave da guerra
dormiva ancora quando
il professore, Elisabeth, Giulia con Roson e Elsa vi salirono.
La tigre seguiva
come un’ombra la
principessa, mentre Roson faceva sempre compagni ad Elisabeth.
La nave sembrava
che respirasse. Ogni
tanto si sentiva un rantolo.
Roson prese con la
bocca la mano di
Elisabeth e lo portò verso un locale vicino ai motori della
nave.
Tutti gli
seguirono. Elisabeth era
spaventata: se Roson avesse chiuse le mascelle la sua bella mano
sarebbe
diventata solo poltiglia.
Dietro ad una porta
blindata vi era una
stanza enorme, di forma semisferica.
Aveva un diametro
di almeno venti metri,
ed era alta almeno altrettanto.
Al centro vi era
uno strano macchinario
circolare.
Il professore si
avvicinò ad un quadro
comando.
Un pulsante verde
diceva chiaramente
“Accensione”.
Il professore non
se lo fece dire due
volte e premette il pulsante.
Il rantolo divento
un sospiro, poi un
ansimare, poi un respiro regolare.
Le luci della nave
si accesero.
Dopo cinque minuti
di terrore dei
presenti, il pannello di comando davanti al professore si
illuminò come un fuco
d’artificio.
I livelli indicati
sui quadranti
saltavano dai numeri più bassi ai numeri più alti
e viceversa.
Quando tutto si
stabilizzò, su di un
video apparve la faccia di un uomo.
“Conte
Black.” Disse il professore.
Una telecamera
uscì da quella strana
struttura e squadrò il professore.
Poi fece una
panoramica sul locale e sui
presenti.
“Ronson!”
Una voce uscì dal nulla,
mentre sul video la faccia muoveva le labbra.
“Ciao,
Black.” Disse l’orso “E’ un
piacere vederti… vivo!”
“Chi sono
questi qui?”
“Oh…
amici di Doc… Abbiamo bisogno di
te.”
“Meno
male che i sistemi si attivano da
soli ogni cinquecento anni e mi rimettono in sesto. Bhe, cosa
volete?”
La telecamera
puntò sulla principessa.
Il professore
tossì in modo rumoroso e
la telecamera si voltò verso di lui.
“I
burocrati hanno tentato un colpo di
mano e dobbiamo fermarli. Abbiamo bisogno di voi per stanarli e
batterli.”
“Non
credo che una guerra farebbe bene
alla galassia, mio caro.” La telecamera di
avvicinò ancora di più. “Una guerra
provoca morti e noi non vogliamo ciò, vero?”
“Sì.
Purtroppo non siamo noi che
vogliamo la guerra, ma loro. E comunque la zona di intervento
sarà limitata.
Fuori dalla galassia. Gli unici a rimetterci saranno i
burocrati.” Disse il
professore.
La telecamera
andò su Elisabeth e poi su
Giulia.
Controllo Roson e
si avvicinò ad Elsa.
“Sei
sempre la guardia della figlia
dell’Imperatrice, Elsa. Così fedele.” La
telecamera si alzò. “Va bene. Avete un
equipaggio da mettermi a disposizione?”
“Tutti
coloro che sono fedeli alla tana
delle tigri parteciperanno a questa azione.” Disse Giulia. La
telecamera si
tuffò verso di lei.
“Ma tu
non avevi la erre moscia?
Strano.” Disse Black.
Il rumore di
sottofondo diventò più
alto.
“Mi ci
vorranno quattro ore a mettere
tutto in funzione.” La telecamera si spostò sul
professore. “Fate salire tutti.
E datemi le coordinate di dove andare.”
La telecamera
rientro nella sua sede. Il
video si spense.
Le luci si
abbassarono.
Il rumore di
sottofondo incominciò ad
essere fastidioso.
Tutti uscirono
dalla stanza e la porta
blindata si chiuse dietro a loro in modo fragoroso.
Il professore, con
Roson ed Elisabeth si
avviarono verso gli hangar.
Giulia con Elsa
andarono verso il ponte
di comando.
Da quando ad
Invincible erano state
fatte le modifiche, per navigare nello spazio con lui erano sufficienti
poche
persone.
Quando la nave fu
pronta, un suono
lancinante di una sirena percorse tutta la nave.
Gli astroporti si
erano svuotati in
parte: le navicelle rimaste erano di coloro che erano saliti a bordo
dell’Invincible.
La nave di stacco
dal suolo del pianeta
sobbalzando alquanto.
Il professore ebbe
da ridire qualcosa
sul ponte di comando. Di tutta risposta su un video apparve Black
lamentandosi
di essere un po’ arrugginito.
Quando uscirono
dall’atmosfera, la nave
si stabilizzò e si diresse verso la nave Imperiale, che si
era posizionata al
di fuori di una nube galattica, lontana alcuni anni luce dal pianeta.
Black, per
sgranchirsi le gambe, superò
quella distanza in meno di un secondo.
Fu una cosa
traumatica per la persone a
bordo. Non esisteva niente nella galassia così veloce.
All’arrivo
nella zona, tutti poterono
vedere l’enorme flotta che l’Imperatrice aveva
riunito.
Oltre alla nave
Imperiale, ve n’erano
altre dieci grandi quanto lei, accompagnate da innumerevoli navi di
dimensioni
e stazza più piccola. Era una flotta di circa cento navi.
L’Imperatrice
indisse una riunione via
video con tutti i comandanti.
Non era solita fare
così, ma il tempo
stringeva.
Da notizie ricevute
dai servizi segreti
militari, la flotta che i burocrati avevano messo insieme era diretta
fuori
dalla galassia, su di un pianeta vicino ad una nebulosa, in direzione
della
galassia.
La flotta era ben
armata e composta da
parecchi navi, che erano più di trecento, ben armate, alcune
di notevole
stazza. Addirittura sembrava che della flotta facessero parti navi
militari do
altre galassie.
Di certo
l’Imperatore dell’altra
galassia ne era all’oscuro, ma non si sapeva esattamente fino
a che punto la
corruzione dei burocrati era arrivata sulle due galassie.
“Il piano
è abbastanza semplice.” Disse
l’Imperatrice. “Per raggiungere quella zona della
galassia ci vorranno due
settimane. La flotta dei burocrati potrebbe essere già
piazzata e pronta a
riceverci. Ritengo opportuno che Invincible ci preceda in zona e
incomincia una
guerra psicologica, colpendo più navi possibili e
ritirandosi dopo ogni
attacco. Mi raccomando, Giulia: gli eroi morti non servono alla nostra
causa.
Anche se le navi sono colpite in modo lieve, non devono essere
distrutte, se non
in caso eccezionale. So che Black farà di tutto
perché siano eseguiti questi
ordini.”
Il viso di Black si
sovrappose, sul
video, a quello dell’Imperatrice.
“Non si
preoccupi. Colpiremo le navi in
modo da renderle inutilizzabili.” Disse
“Il resto
della flotta” Continuò
l’Imperatrice “proseguirà a
velocità massima. Quando saremo in zona ci
divideremo in dieci gruppi ed attaccheremo il grosso della flotta da
tutti i
lati. Invincible rientrerà nella galassia e
procederà secondo il piano che
abbiamo già studiato e di cui Giulia è a
conoscenza.”
Il volto
dell’Imperatrice sparì dal
video e, al suo posto, riapparve lo spazio con la flotta pronta a
partire.
Il volto di Black
apparve sul video in
console principale, ove vi era Giulia.
“Quindi,
adesso devo ubbidire a voi.”
“No. Io
vi devo solo dare le
indicazioni. Penso che voi sappiate fare bene il vostro
lavoro.” Disse Giulia,
facendoli l’occhiolino.
Sotto la console
principale vi era tutto
il ponte di comando.
Robot e bionici
erano al loro posto.
Il gorilla
guardò Giulia e a un suo
cenno, ordinò la partenza.
La flotta era
davanti a loro, che stava
prendendo velocità.
Invincible fece una
curva larga a
destra, inclinando il piano dell’orizzonte virtuale.
Prese
velocità in pochi attimi, facendo
star male tutti i presenti.
Il gorilla vide le
facce di tutti e si
mise a ridere sonoramente.
Invincible ci
impiegò un’ora ad arrivare
nella vicinanze della nebulosa indicata dall’Imperatrice.
Il professore prese
i suoi appunti:
quella galassia gli ricordava qualcosa.
“Black,
fermati!” Urlò alla console.
La nave si
fermò di colpo, in mezzo la
nulla.
“Cosa
c’è professore? Non vi è piaciuto
il viaggio?” Chiese Black, apparendo sul video della console
di Giulia.
“La
nebulosa. È la stessa dove Gloria vi
giunse dopo il vostro ultimo attacco. Non può essere un
caso. Ma cinquemila
anni per una vendetta mi sembrano troppi!” Disse il
professore preoccupato.
“No.
Credo che sia solo un caso.” Disse
Elisabeth. “La zona l’avevo già
controllata io anni fa. Su quel pianeta,
vedete, quello dietro la nebulosa, vi è una
civiltà spaziale non molto evoluta.
Non credo che sappiano qualcosa.”
Giulia premette
alcuni pulsanti e su di
un video laterale apparve la cartina tridimensionale della zona.
Guardò
il video, zoomando in più o meno
a seconda della zona che stava guardando.
“Sì.
Lì c’è una civiltà spaziale,
ma
questo pianeta ha una civiltà più evoluta.
Guardate, anche se non ha atmosfera
è colonizzato. Parecchio colonizzato. Forse abbiamo trovato
la base dei
burocrati. Black, attacchiamoli!” Ordinò Giulia.
Elisabeth
intervenne.
“La
nostra priorità sono le navi. Quelle
dobbiamo attaccare!” Disse a Giulia.
“Sì.
Ma quel pianeta è piano di navi.
Guarda. Ci sono più di cinquecento navi da guerra sulla
superficie. Ci sono
segnalatori, torri di controllo, torrette con cannoni laser. No.
Dobbiamo
attaccarli di sorpresa.” Le rispose Giulia.
“No.
Aspettiamo. È troppo pericoloso!”
Dietro a loro era apparso Doc. “Attacchiamo le navi. Quando
arriverà
l’Imperatrice dirà lei cosa vuol fare.”
Giulia se ne fece
una ragione e diede
l’ordine di attaccare le navi sparse nelle vicinanze della
nebulosa.
Invincible fu
ingoiato dal buio dello
spazio e incominciò ad apparire di qui e di là,
confondendo le navi dei
burocrati.
Le navi venivano
attaccate quasi sempre
dalla parte dei motori. Un colpo ben assestato da parte dei cannoni
laser sui
motori e le navi erano fuori gioco.
In un giorno
Invincible mise fuori uso
ben cinquanta navi.
Ma le navi di
battaglia del pianeta
colonizzato non si mossero.
Invincible, nei tre
giorni che
seguirono, continuò a colpire navi.
Ormai, nello spazio
le navi dei
burocrati si contavano sulle dita di una mano.
Così
credeva Giulia.
Ma la sorpresa non
fu delle migliore.
Il quarto giorno
Invicible scampò ad una
trappola per poco. Una nave era nascosta dietro ad una cometa che stava
passando nella zona. Invincible la intercetto, ma nel momento di far
fuoco,
colpi laser la sfiorarono.
Invincible fece
delle manovra elusive.
Il piano virtuale della galassia giro così tante volte sul
pannello della
console di un tecnico, che per poco non gli veniva il vomito.
Fuori si vedevano
le stelle continuare a
girare.
Dopo
un’altra manovra elusiva,
Invincible si trovo davanti i suoi attaccanti.
Erano quattro navi,
di stazza media, ben
armate. Avevano uno strano simbolo sopra i dischi. Lo stupore del
professore fu
enorme.
Il simbolo era
formato da quattro
spicchi di luna, posizionata ognuna ai quattro punti cardinali,
collegati tra
di loro da un cerchio centrale.
“E’
il simbolo del Barone Makarre. Ma
com’è possibile?”
Giulia non ci
pensò due volte.
“Fuoco!
Distruggetele!”
Il gorilla si
precisò ad una console
libera e fece fuoco con la testa dell’aquila.
La bordata non
perdonò la prima nave di
destra.
La seconda bordata
colpì la nave vicina
a quella colpita.
La altre due navi
cercarono di
scansarsi, ma Invincible di fermò di colpo e la testa di
tigre e del
triceratopos fecero fuoco in contemporanea.
Le due navi furono
colpite in pieno,
disintegrandosi nel silenzio dello spazio.
Le altre due navi
colpite esplosero poco
dopo.
Tutti i radar
incominciarono a
controllare la zona intorno ad Invincible.
Nessuno.
“Adesso
basta. Pensi ancora Doc che
dobbiamo aspettare?” Giulia si era girata a guardare Doc, che
stava sdraiato
per terra.
Elisabeth si
precipitò su di lui.
“E’
inutile. Non posso più resistere.
Portami in laboratorio.” Gli disse Doc con un filo di voce.
Elisabeth lo prese
in braccio e uscì dal
ponte di comando.
Giulia si
rigirò.
In quel mentre uno
dei robot segnalò la
presenza di una grossa flottiglia di navi spaziali.
“E’
l’Imperatrice!” Urlò il gorilla.
Sul video apparve
la faccia
dell’Imperatrice.
“Tutto a
posto, Giulia?” Chiese alla
figlia.
“No. Doc
è stato male. E c’è un pianeta
pieno di navi. Ti invio i dati e le immagini che abbiamo raccolto.
Sarà dura
questa volta, madre.”
“D’accordo.
Invia i dati. Vi richiamerò
più tardi.”
Il video si spense.
Tutti guardarono
Giulia. Il suo volto era segnato da lacrime.
Il professore le si
avvicinò e
l’abbracciò. Dopotutto essere una principessa e
una guerriera insieme non era
facile
Dopo
un’ora l’Imperatrice chiamò e
inviò
i dati di battaglia per la distruzione del pianeta.
Le navi sul pianeta
erano tante: un
gruppo di navi, anche se ben armate, non ce l’avrebbe fatta.
Ma
l’Imperatrice sperava che Invincible
riuscisse, nel suo primo attacco, a distruggere buona parte delle navi
e dei
segnalatori.
Invincible
partì.
Il professore scese
nella sala dove
aveva visto Black.
Entro nella sala.
La solita telecamera
lo punto e Black apparve sul video.
“Penso
che tu abbia visto le cose strane
che accadono.” Disse il professore.
Black rimase
pensieroso sul video,
mentre la telecamera guardava in girò, come se cercasse
qualcuno.
“L’Imperatrice
aveva detto due settimane
ed è arrivata in cinque giorni…
l’emblema del Barone Makarre sulle navi… qualcosa
non quadra.” Disse Black.
Un segnalatore
suonò nel locale.
Black spense tutto
e la telecamera tornò
al suo posto di riposo.
George
uscì dalla stanza e si diresse
sul ponte di comando.
Anziché
andare sul ponte alto, entro
dove vi erano tutti gli operatori e il grosso gorilla che dava ordini.
La nave era ormai
in vista del pianeta.
Senza
l’atmosfera, sferrare l’attacco
alla superficie sarebbe stato un gioco per Invincible.
La nave scesa a
bassa quota e le tre
teste iniziarono a fare fuoco, alternativamente, per circa un secondo
l’una.
Altri cannoni,
posti in vari punti della
nave, di varia potenza, iniziarono a sparare su tutto ciò
che si muoveva.
Parecchie delle
navi furono distrutte
nei loro hangar, che si erano già aperti per permettergli di
uscire in volo.
Le navi
dell’Imperatrice, più in alto,
posizionate tutt’intorno al pianeta, facevano fuoco
incrociato su quelli che
riuscivano a scappare.
Anche se la flotta
dei burocrati era
numerosa, pochi riuscirono ad allontanarsi: quelle che scamparono
lasciavano
dietro di sé una scia di fumo e fuoco. Alcune si distrussero
appena
oltrepassata la cintura della navi imperiali. Altre esposero nella
nebulosa,
illuminandola.
Pur con forze
superiori, i burocrati
vennero sconfitti.
O almeno, questo
è quanto gli assalitori
pensavano.
Invincible fece
parecchie volte la
circumnavigazione del pianeta.
All’improvviso
una seconda ondata di
navi uscì dal sottosuolo: uscendo dagli hangar distrussero
buona parte degli
edifici che coprivano il pianeta.
Erano navi enormi.
Parecchie avevano le
dimensioni di Invincible.
Le bordate dei
cannoni laser da una e
dall’altra parte non si contarono più.
Black
incominciò a calcolare possibili
soluzioni per sbloccare la situazione.
Gli schemi
matematici che calcolava in
pochissimi millisecondi diedero un solo responso: un attacco con i
robot!
Parecchi uomini
della tana delle tigri
andarono negli hangar e liberarono dai cavi i robot.
I portelloni degli
hangar vennero
aperti, e i robot venerano sganciati sul pianeta, mentre Invincible
passava a
bassa quota sul pianeta.
I robot penetrarono
nel sottosuolo del
pianeta.
Sferrarono un
attacco massiccio ad
alcune postazioni di comando del pianeta.
Intanto Invincible
continuava i suoi
attacchi veloci e silenziosi alle navi nemiche.
Nello spazio freddo
e silenzioso che
circondava il pianeta, le navi dell’Imperatrice continuavano
ad infierire sulla
navi da battaglia dei burocrati, che portavano tutte i simboli del
Barone
Makarre.
Alcune navi dei
burocrati riuscirono a
scappare, in direzione di un pianeta abitato vicino e il loro pianeta
fu
conquistato dagli uomini della tana, dopo aver combattuto per alcune
ore: dal
ventre del pianeta uscivano fiamme e fumo, che circondavano il pianeta
come un
pianeta quando è circondato dalla nebulosa che lo ha creato.
Dopo la battaglia
furono contati i
feriti e le navi distrutte.
L’Imperatrice
scese sul pianeta con una
flotta di robot e un numero imprecisato di uomini pronti a tutto.
Ci volle parecchio
perché lei e i suoi
uomini trovassero il comando principale del pianeta.
In una sala al
quinto livello inferiore
(la bellezza di cento metri sotto terra) trovarono il comando.
Le carte sparse sui
tavoli, i video e
altri tipi di strumenti di controllo segnalavano la presenza delle navi
amiche
e nemiche per i burocrati.
Ma i video
rilevarono anche che altre
navi erano nelle viscere del pianeta, e che stavano per partire e
sferrare un
altro contrattacco.
Le navi stavano
scaldando i motori ed
alcune stavano già alzandosi in volo.
L’Imperatrice
si mise in contatto con le
sue navi, che permisero alle navi nemiche di lasciare indisturbate la
zona.
Le navi che
scapparono alla flotta
Imperiale era più di cento.
L’Imperatrice
chiamò, da altri navi,
altri uomini della fanteria, che cominciare a setacciare tutto il
pianeta.
Dopo tre giorni
dall’inizio
dell’attacco, l’Imperatrice riunì tutti
i partecipanti dell’attacco sulla sua
nave.
La riunione a
George parve una farsa.
L’Imperatrice
ringraziò tutti per il
valore dimostrato in battaglia.
Furono ricordati i
comandanti e le nave
distrutte nell’attacco.
Quando la riunione
finì, il professore,
Elisabeth, Doc, Giulia ed alcuni uomini della tana delle tigri si
fermarono.
L’Imperatrice
stava dando ordini ad
alcuni comandanti, quando guardò storto la strana comitiva
che si era formata e
fermata in un angolo.
“Cosa
c’è, adesso? Non vedete che sono
occupata? Giulia, non dovresti essere sull’Invicible ad
attendere ordini per
l’attacco finale?” Disse l’Imperatrice,
con un tono di voce molto arrabbiato.
Doc fece per
affrontare l’Imperatrice,
ma il professore lo prese per un braccio, fermandolo, ed avanzando vero
l’Imperatrice.
“C’è
qualcosa che non capiamo, mia
Imperatrice.” Disse George “I dati in nostro
possesso non sono quelli che voi
continuate a darci. Le navi, in numero decisamente superiore al
previsto,
portavano tutte il vecchio emblema del Barone Makarre. Ci avete messo
meno del
previsto per arrivare. Senza contare che scendete tranquillamente su di
un
pianeta prima che sia stato bonificato dai nemici e permette alle navi
nemiche
più grandi di andarsene. Cos’è, la
guerra è stata fomentata dei burocrati o
l’avete costruita voi apposta per scaricare sui burocrati
qualche problema
irrisolvibile senza tagliare qualche testa? Vedete… noi
sappiamo molto, ma fino
ad ora non ci era mai capitato di non sapere niente. O almeno, Doc e la
tana
delle tigri non hanno saputo niente di questo fino a qualche tempo
fa.”
L’Imperatrice,
che prima dava le spalle
al gruppo, si girò verso il professore e gli altri. Dietro
di sé, i suoi fidati
uomini guardarono il gruppo con fare preoccupato.
“Vedo che
la cosa le interessa. Vediamo…
cosa c’è di così tanto pericoloso da
postare l’attenzione di tutti da un
pericolo vero ad un pericolo falso… Già,
cosa?” Si chiese il professore,
girandosi verso Doc.
Doc si
avvicinò al professore, scrutando
il volto dell’Imperatrice.
“Sì.
Perché distrarre tutti verso i
burocrati? Cosa c’è che non va?” Disse
Doc.
Elisabeth stava per
parlare, quando
Evane avanzò dal gruppo.
“Caro
Doc, cosa c’è di più importante di
una tecnologia così evoluta da poter viaggiare non solo
nella propria galassia,
ma nell’universo intero, con un semplice schiocco delle dita.
Ma la tecnologia
bisogna averla.” Disse Evane.
“Ma
l’Imperatrice c’è là questa
tecnologia.” Disse Doc “Se no come poteva
impiegarci così poco tempo dalla tana
a qui. Sì, può farlo, ma non è
perfetto. Le menti usate non sono allenate e
quello che a lei serve è la metodologia di allenamento per
queste menti. Direi
che ha usato menti di galeotti, che non avevano più niente
da perdere. Peccato
che si sono ribellati. Vero Imperatrice? Le navi che avete lasciato
scappare
erano le navi guidate da queste menti geniali ma… come si
può dire…
incontrollabili. Ed ecco che qui entra in gioco la tana delle tigri.
Prima
servono i dati, per controllare le menti più deboli, poi
servono i muscoli per
eliminare i ribelli, che intanto sono stati contatti dai burocrati
ribelli. Ma
i burocrati ribelli sono stati aiutati, dire da una coalizione di
galassie.
Quali? Oltre la nostra perenne nemica, che voi vorreste ammansire con
lo
sposalizio di vostra figlia, chi altri non vi vuole libera
nell’universo? Voi
siete cinquemila anni di generazioni che abbiamo controllato,
modificato,
relazionato, per avere persone che avessero come solo pensiero la
galassia, non
se stessi. Invece voi, avete deciso che il bene della galassia era
quella di
sottometterne delle altre. Stano pensiero. Ma voi ci avete provato. Ma,
siccome
siete così brava, non avete pensato che qualcuno potesse non
solo prevenirvi,
ma anticiparvi. Così abbiamo fatto. Sapevano dei vostri
poteri, quello di
leggere la mente, e ci siamo organizzati.”
Gli uomini fidati
dell’Imperatrice
circondarono il gruppo.
“Certo.
Bravi.” Disse l’Imperatrice. ”Peccato
che anch’io vi abbia pensato. In questo momento qualcuno sta
assaltando
Invincible. Sarà mia, come lo sarete voi e la tana delle
tigri, che in questo
momento viene messa sotto sopra dai miei uomini. Poveri sciocchi,
pensavate di
farmela. Le navi che ho lasciato andare sono alla tana delle
tigri…”
“Se ci
sono arrivate, Imperatrice.”
Disse Elisabeth. ”Penso che i vostri uomini avranno una
brutta sorpresa.
Invincible non è più qui. Da un bel pezzo. E le
vostre navi non hanno mai visto
la tana delle tigri. Vedete, gli imperatori di alcune galassie vicine
sono
intervenuti in nostro aiuto, e la vostra flotta in questo momento e
distrutta e
alla sbando nelle viscere della galassia. La nostra tecnologia
è stata data
anche agli altri, per il bene delle loro e della nostra galassia. Vi
abbiamo
fatto credere quello che avete voluto, ma ormai sono anni che la
tecnologia più
evoluta è stata data agli altri. Ora, cara Imperatrice, cosa
volete fare?”
L’Imperatrice
ebbe uno scatto d’ira.
Stacco con un colpo netto il video dal tavolo e lo sbatté
per terra.
I suoi uomini si
ritirano in buon ordine
dietro a lei.
Giulia non sapeva
se andare a consolare
la madre o di rimanere lì dov’era.
L’Imperatrice
si lasciò cascare sulla
sedia. Tutta la sua fatica di anni, i soldi spesi, gli intrighi di
palazzo
durati per anni, prima come principessa, poi come Imperatrice erano
svaniti nel
nulla.
Dopo pochi istanti
entrarono alcuni
uomini portando notizie non molto confortanti per
l’Imperatrice.
La flottiglia di
navi scappate era stata
distrutta da una forza di navi di molto superiore e apparsa dal nulla.
Invincible era
corso alla tana delle
tigri e aveva distrutto, con l’aiuto di altri navi, quelle
che l’Imperatrice
aveva mandato dopo la loro partenza.
Alcuni Imperatori
ed Imperatrici delle
galassie vicine volevano spiegazioni sui suoi atteggiamenti avuti negli
ultimi
giorni.
Tutto era svanito
in un attimo nel
nulla.
Giulia si
avvicinò alla madre.
“Mi
dispiace, madre. Ma forse è il caso
che voi abdichiate a mio favore. Non potremmo mai sostenere una guerra
contro
tutte le altre galassie.” Le disse Giulia, amorevolmente,
mentre
all’Imperatrice il volto si riempiva di lacrime.
L’Imperatrice
firmo un documento, che fu
preparato da lei stessa, per la sua abdicazione.
Giulia prese subito
in mano il comando
della flotta, dando l’ordine di rientro al palazzo Imperiale.
L’Imperatrice
fu esiliata su un pianeta
vicino alla nebulosa della battaglia. Nessuno ne seppe più
nulla.
Giulia fece il suo
ingresso a palazzo
con tutti gli onori dovuti ad una Imperatrice.
Alla sua
incoronazione, a cui seguì il
matrimonio con il figlio dell’Imperatore della galassia
Androgina, della
galassia che per secoli era stata nemica, Giulia sorrideva, come una
bambina:
così giovane e con il destino di due galassie sulle sue
spalle.
Doc, Evane con
Roson ed Elsa, dopo i
festeggiamenti, si ritrovarono a casa del professore.
Ormai era tutto
finito. O almeno, così
pareva.
Il professore
abitava in una casa
monofamiliare, su due piani, in una città distante dal
palazzo Imperiale,
nell’altro emisfero del pianeta, nel meridiano opposto a
quello della capitale,
in riva ad un enorme lago .
Doc si era seduto
su una sedia posta nel
porticato della casa.
Evane si sedette su
una sedia a dondolo.
L’orso e
la tigre si sedettero ai piedi
dei gradini che davano l’accesso al porticato.
La casa era in
legno e pareva parecchio
vecchia.
George si sedette
su una sedia, che
aveva preso in casa, e si sedette di fronte a Doc.
Un robot
portò agli ospiti da bere.
“Allora,
Doc. E’ tutto finito. Cosa
farete adesso?” Disse il professore
Evane si stava
dondolando sulla sedia.
“Se pensi
che tutto sia finito, non sai
leggere le cose che ti succedono intorno.” Gli disse Evane,
distrattamente.
Doc
sorseggiò il liquido caldo che era
nel suo bicchiere.
“Non
pensi che qualcuno ci abbia
giocato?” Disse Doc.
“Sai…
pensavo che tu avevi voluto che
questo succedesse… o forse ho capito male?” Disse
George.
“Mhu…”
fece Evane, distrattamente
“Secondo te, era meglio la madre o sarà meglio la
figlia come Imperatrice?… o
forse pensi che sarebbe meglio Elisabeth?… o forse la giara
della verità, se si
mettesse in viaggio ora, non saprebbe come arrivare a
destinazione?”
“Senza le
gemelle come si fa a
consegnare la giara?” Gli disse il professore.
“L’importante
è sapere che è in viaggio
e che qualcuno, che non sei te, potrebbe ricevere la giara della
verità,
fregandoti il posto. Pensi che se qualcuno sapesse che una cosa
così importante
vada a qualcuno d’altro, non si preoccuperebbe? Anzi, sapendo
che tutti
penserebbero che tu non sei chi devi essere, ti darebbero retta. O,
meglio, ti
…” Disse Doc.
“Non
capisco.” Disse il professore.
“La
vecchia Imperatrice era stata messa
al suo posto dai burocrati. La nuova Imperatrice è stata
messa dalla madre. Ma
nessuno le ha mai accettate. Vedi, la vecchia Imperatrice voleva
eliminare i
burocrati per salvarsi la testa. Ma non c’è
riuscita, né da sola, ne con la
tana delle tigri. Perché noi non ci siamo stati al suo
gioco. La nuova
Imperatrice ha deciso di fare buon viso a cattivo gioco. Ha accettato
di
governare la galassia sposandone uno di un’altra galassia,
per evitare lotte
intestine che l’avrebbero messa in cattiva luce. Ma i
burocrati non mollano.
L’unica è sconfiggere i burocrati al loro stesso
gioco. Dici che una cosa è
partita, ma lei non si è mai mossa. Di sicuro i burocrati si
muoveranno. E
allora scopriremo chi è quello che ha fatto il doppio gioco
e chi deve essere
gentilmente allontanato.“ Disse Doc.
“Ma ci
vorrà tempo.” Disse George.
“No. Si
sono già esposti. Ai visto chi
era presente ai festeggiamenti e chi invece non
c’era?”
“Sì.
Erano pochi, ma li ho visti. Certo
mancavano… Ah. Ho capito.”
“Bene.
Pensa che quelli che non c’erano
sono morti. Poveretti. Il Barone Makarre insegna ancora le cattive
maniere dopo
cinquemila anni. Ora, visto che sappiamo chi è stato,
possiamo mascherarli.
Direi di incominciare a dire che la giara della verità
sarà consegnata entro la
prossima settimana. Non di persona, ovviamente. A chi possiamo mettere
in bocca
tale informazione?” Doc rimase falsamente pensieroso, mentre
George disse
“Elisabeth.”
Evane si
alzò dalla sedia a dondolo.
“Bene. Se
avete finito di studiare
strategie, direi di andarcene, Doc. E’ meglio se non siamo
qui quando succederà
il caos. Quando i vassalli sapranno quel che succede, credo che la
credibilità
di Giulia non la salverà dalla loro rabbia e i burocrati
saranno
definitivamente messi a tacere.”
Evane e Doc,
seguiti dagli animali, si
allontanarono.
Calava la sera.
Dove sarebbero andati da
soli? Il professore non se ne preoccupò.
Sapeva che da
qualche parte Invincible
sarebbe apparso e li avrebbe portati a casa.
Doveva chiamare
Elisabeth e dirle cosa
doveva fare.
Il robot puliva la
tavola.
Scese lentamente la
notte: il professore
rimase lì a lungo a vedere la luna sorgere e riflettersi nel
lago.
Era una serata
calma.
Nel cielo apparve
un sciame di meteore.
Tutte insieme.
Che bello,
pensò George.
Andò a
letto tardi.
L’indomani
chiamò Elisabeth e gli spiegò
cosa doveva fare.
Quando spense il
video, uscì sulla
veranda, posta nel retro della casa.
Le montagne,
lontane, erano imbiancate.
Ormai aveva fatto
il suo tempo.
Aveva combattuto
battaglie strane. Non
certe inutili. Per la galassia.
Aveva dato tutto
alla galassia. Non ne
aveva ricevuto molto. Ma d'altronde era quello che spettava ad un
servitore
fedele.
Rimase
lì tutto il giorno.
Il robot, alla sera
lo scrollò per
svegliarlo. Non ebbe risposta.
Elisabeth, dopo la
telefonata del
professore ebbe paura.
Ma se era
necessario farlo, lo avrebbe
fatto.
Gli piaceva giocare
alla spia, ma questa
volta non era un gioco.
Per meglio spargere
le indiscrezioni sulla
consegna della giara, senza che fosse possibile risalire a lei,
cominciò a
diffondere la strana voce tra le dame di corte di più basso
rango.
Pettegole
com’era, non si sarebbe
ricordate chi glielo aveva detto, per non trovarsi nei guai.
La voce
incominciò a correre, alle volte
veloci, altre più lentamente.
Purtroppo Elisabeth
non poteva chiedere
aiuto a nessuno.
Non era stata
abbandonata al suo
destino, ma era difficile capire chi era amico o nemico.
La voce si diffuse,
lentamente, come un
rigagnolo scava nella roccia un passaggio. E quando la roccia cede, dal
fiume
si passa al fiume.
Elisabeth
controllò che il fiume
camminasse.
Era stata chiamata
dall’Imperatrice
Giulia a occupare il posto di dama di compagnia di secondo grado. Non
era un
posto privilegiato, ma gli permetteva di controllare le informazioni
che
arrivavano dalla dame o dalle moglie dei vassalli
all’Imperatrice.
Alcune notizie
Elisabeth le bloccava,
altre le faceva passare senza controllarle.
Bloccò
tutte quelle notizie che davano
per sicuro che nessuno era in viaggio con le giare della
verità.
Di certo non poteva
fermarle tutte, per
non insospettire l’Imperatrice.
Le voci della giara
arrivarono
all’Imperatrice in una tranquilla giornata primaverile.
Ovviamente,
l’Imperatrice non fece caso
alle dicerie. Ma si preoccupò.
Decise di indire
una riunione dei
servizi segreti.
Stranamente,
Elisabeth fu convocata
dall’Imperatrice prima della riunione.
Giulia attendeva
Elisabeth in una
saletta al piano interrato.
Giulia si era
vestita con una uniforme
militare. Ci teneva quanto sua madre a mostrare di poter comandare come
un
uomo.
“Cara
Elisabeth, come stai?” Gli chiese
l’Imperatrice.
Elisabeth aveva
indossato un vestito
lungo, stretto in vita e con una gonna larga.
“Bene.
Grazie.” Inchinandosi all’Imperatrice.
“Vorrei
che tu ti fermassi qui e
seguissi da qui la riunione.” Giulia schiacciò un
pulsante ed una parete
divenne trasparente, permettendo a Elisabeth di vedere tutta la sala
della
riunione. “Potrai sentire tutto quello che diciamo. Vorrei un
tuo parere alla
fine della riunione.”
Giulia era molto
sicura di sé.
“Va
bene.” Disse Elisabeth.
Giulia le sorrise
ed uscì.
Elisabeth non
credeva ai suoi sensi:
poteva seguire la riunione dei servizi segreti, vedere chi era
presente.
Piccola problema: cosa avrebbe poi detto a Giulia su quello che
succedeva.
Giulia
entrò nella sala. Si sedette a
capotavola. Entrarono parecchie persone.
Alcune erano
conosciute a Elisabeth, per
motivi di lavoro o conoscenze varie.
Ma altri,
specialmente un omino basso e calvo,
che sedeva in fondo al tavolo, quello no. Ma il suo volto gli ricordava
qualcosa.
Gli venne in mento
solo quando iniziò a
parlare, per esporre la sua relazione.
Era il marito di
una della dame di corte
a servizio di una delle cugine dell’Imperatrice, quella
bisbetica che nessuno
sopportava, con la lingua lunga.
La relazione
dell’uomo era un solo
sentito dire, quello che si dice a corte.
Elisabeth se la
rideva. Non solo non
sapevano se la cosa fosse vera o falsa, ma era proprio come diceva Doc:
i burocrati
non controllavano mai le voci fino in fondo, anzi, proprio non le
controllavano.
Elisabeth
capì che il piano era
riuscito.
Dopo la riunione,
Giulia la raggiunse
nella saletta.
Elisabeth si
divertì a metterla sulla
strada sbagliata. Mentre parlava, controllava le reazioni di Giulia.
Anche se
Giulia non muoveva un muscolo, Elisabeth capì che era
preoccupata.
Alla fine Giulia
uscì furibonda.
Elisabeth decise
che era meglio per un
po’ di tempo stare lontano da palazzo.
L’idea
non fu cattiva.
Nel mese che
seguì, le dicerie erosero
alle fondamenta la fiducia dei vassalli verso l’Imperatrice.
I burocrati
tentarono di tenere unite le
loro schiere, ma ben presto i burocrati dei sistemi solari
più periferici
incominciarono ad avere a che fare con i vari baroni, conti, duchi e
quant’altri comandassero quei pianeti per conto
dell’Imperatrice. Anche se
l’Imperatrice non li aveva investiti lei direttamente della
carica.
I burocrati nella
capitale si
spaventarono.
Le dicerie presero
il posto della
verità.
I servizi segreti
non riuscirono più a
controllare le voci. Ma non riuscirono neanche più a
controllare nessuno,
neanche se stessi.
L’Imperatrice
decise di andarsene, di
fare un giro della galassia per portare un po’ di ordine.
Ma i burocrati, per
paura che più che un
giro fosse una fuga, minarono la nave.
Con a bordo
l’Imperatrice, il marito e
buona parte della sua corte, la nave esplose mentre era in viaggio.
I burocrati
tentarono, con un colpo di
mano, a impadronirsi del potere.
Fu allora che
Elisabeth, che nel frattempo
si era rifugiata alla tana delle tigri, parti con Invincible per il
palazzo
Imperiale.
Insieme a lei
viaggiavano parecchi
uomini e donne della tana.
L’ordine
fu riportato a fatica. I
vassalli, saputo che Elisabeth, con l’aiuto della tana delle
tigri aveva preso
il comando, si fecero forti e fecero quadrato intorno a lei.
I burocrati
golpisti furono arrestati.
Molti credettero
che lei aveva ricevuto
la giara delle verità, e fu eletta Imperatrice per
acclamazione.
Ma Doc non si
fidava e decise di far recapitare
lo stesso ad Elisabeth la giara delle verità.
La cerimonia fu
molto ufficiale.
La giara fu portata
da due donne della
tana piuttosto somiglianti.
La giara fu posta
davanti a Elisabeth,
che la aprì e la richiuse.
Tutti i presenti
urlarono di contentezza.
Finalmente una
Imperatrice che avrebbe
fatto gli interessi della galassia.
Doc ed Evane si
fecero accompagnare su
Oleg. Con Roson.
Elsa la tigre
rimase con Elisabeth: un
giorno avrebbe avuto dei figli e lei doveva proteggerli.
Invincible fu
posteggiato
nell’astroporto privato dell’Imperatrice. Il
sistema si spense e il sonno
riposo ristoratore del guerriero avvolse l’astronave.
Elisabeth fu
l’ultima a scendere a terra
dalla nave. Tolse la chiave di apertura della nave e la nascose sotto
le sue vesti.
Il tempo
incominciò a scorrere
tranquillo e silenzioso.
Elisabeth
cercò il professore, ma lui
non le diede risposta.
Elisabeth si rese
conto che ormai era
tutto sulle spalle e che non avrebbe mai condiviso quel peso con
nessuno.
Strano peso quello
del potere, pensò
Elisabeth, mentre accarezzava il pelo di Elsa, in una sera
d’inverno, seduta
su una poltrona,
mentre fuori dal
palazzo Imperiale nevicava.
Elisabeth vestiva
un accappatoio, dopo
un bagno rigeneratore nella vasca di idromassaggio.
Il fuoco
scoppiettava del camino,
riscaldando l’ambiente dolcemente.
Elisabeth si era
versato un liquore in
un bicchiere e lo stava sorseggiando.
“Ti manca
solo un sigaro.” Gli disse
Elsa.
“No. Mi
manca un uomo. Dici di
cercarlo?”
Elsa fece le fusa.
Elisabeth rise.
Bhe, un uomo.
C’era tempo.
Dopotutto nemmeno
un uomo forte e bello
poteva aiutarla a sopportare il peso.
Il peso delle
bugie. Aveva imbrogliato
tutti. Aveva raggirato tutti. Dopotutto la sua famiglia era stata
usata. C’era
voluto così tanto tempo. Ma lei si era vendicata di tutto e
di tutti.
Passo la mano sotto
l’accappatoio. Sulla
sua giarrettiera il simbolo della sua famiglia, un cammeo con quattro
spicchi
di luna, posizionata ognuna ai quattro punti cardinali, collegati tra
di loro
da un cerchio centrale.
Elsa ebbe uno
strano movimento ed
Elisabeth ritrasse la mano.
Elsa
voltò la testa e la guardò.
“Si. Lo
so cosi nascondi lì sotto. Cosa
credi, che non lo sapevamo?”
Elisabeth rimase
come tramortita.
“Sapevi?…”
“Tutti
noi sapevamo. Ma era necessario. Era
necessario che qualcosa cambiasse. Crediamo che sia la sola che
può
sottomettere i burocrati, tenera unita la galassia, permettere a tutti
di
vivere in modo decente, senza troppo spreco. Abbiamo creduto in te,
sopra ogni
altro. Ora tocca a te. Noi abbiamo fatto il nostro tempo. Possiamo
ancora
aiutarti, ma di più non possiamo.”
Elisabeth sorrise.
Rimasi la mano
sotto l’accappatoio e
tocco l’emblema del Barone Makarre.
Dopo tutto i suoi
antenati avevano fatto
di tutto per salvare la galassia, per mantenerla unita.
Già, la
galassia era l’unica cosa che
doveva importarle, d’ora in poi.
Le sue dita
sfiorano l’emblema della sua
famiglia e le scritte, incise sotto lo stemma.
Tutto per il Bene
della Galassia.
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