hidden truth 2
I can't help but love
you
Even though I try not to
I can't help but want you
I know that I'd die without you
(Ruelle - War of Hearts)
Malia
lasciò andare il cucchiaio, che cadde sulla tovaglia con un
tonfo, e
si alzò in piedi imprecando tra i denti, mentre una smorfia
di
dolore le deformava il viso.
«Che
cosa ci fai qui?» fece qualche passo
indietro.
«H-ho...
ho sentito Braeden parlare con Deaton. Di te.»
«Cosa?!
No, non può essere, lei non l'avrebbe mai fatto, lei
non...»
«Non
è colpa sua, ho ascoltato per sbaglio la loro conversazione
e poi
quando è saltato fuori il tuo nome, io...» si
schiarì la voce per
sciogliere il groppo in gola «io avevo bisogno di
vederti».
Lei
lo guardò smarrita, aprì e richiuse la bocca ma
non aggiunse altro,
se non un lungo sospiro.
«Malia,
dobbiamo parlare» provò ad avvicinarsi, ma
più Stiles avanzava più
lei indietreggiava, finché Malia non si ritrovò a
sbattere contro
il ripiano della cucina. Allungò allora un braccio per
fermarlo,
prima che fosse troppo vicino.
«Stiles,
ti prego, va via».
Il
rifiuto lo prese a pugni, ma lui non cedette sotto i suoi colpi,
forte delle parole dette da Deaton. Il Druido era una persona saggia,
forse la più saggia che avesse mai conosciuto e se per lui
Stiles
era la soluzione a qualsiasi cosa fosse capitata a Malia, non poteva
far altro che tentare.
Avrebbe voluto abbracciarla e stringerla
fino a romperle e rompersi tutte le ossa, ma non poteva.
Prese
la sua mano ancora tesa a mezz'aria tra le proprie e ne
baciò il
palmo; a quel gesto Malia si ritrasse, come scottata.
«Che
ti è successo?»
«È
tardi per chiederlo» fu la secca risposta della ragazza.
«Malia,
fino a poco fa credevo che tu fossi a Tucson e che probabilmente non
ti avrei più rivista. Ci sei andata almeno in Arizona o era
tutta
una montatura?» la tristezza stava lasciando il posto a
qualcos'altro.
«Non
mi riferivo a questo» indicò se stessa con un
ampio gesto «ma non
ha importanza ormai».
«Starò bene, se è ciò che ti
interessa
sapere, quindi perché non torni a vivere la tua
vita?»
«La
mia... ma di cosa stai parlando? Non andrò da nessuna parte
finché
non mi dirai cosa cazzo hai fatto dalla sera in cui hai affrontato la
Lupa del Deserto a oggi» era senza fiato, ma non stava
urlando.
Rabbia, preoccupazione e paura avevano aumentato i battiti del suo
cuore.
Malia sorrise amara e gli si
avvicinò, tanto che potè vedere le lacrime
riempirle gli occhi e
sentire sul viso l'odore dei cereali al cioccolato.
«Fottiti»
disse decisa e fece per scansarlo, ma Stiles le afferrò
d'istinto il
polso.
Malia
gridò dal dolore e lui la lasciò andare sorpreso.
«Scusa, mi
dispiace io... io non sapevo che...» boccheggiò
confuso.
Malia
lo ignorò e sollevò invece svelta la manica della
felpa, guardando
il braccio fasciato da varie angolazioni.
«Le
ferite di cui ha parlato di Deaton, sono queste?»
«Stiles,
torna a casa» gli indicò la porta continuando a
tastare le bende.
«Sai
che non posso farlo...»
Malia
alzò gli occhi su di lui per un lungo istante, in silenzio.
«Va
bene resta pure, ma ho bisogno di sedermi» disse poi con tono
neutro.
Si
sentì disorientato da quel repentino cambio d'atteggiamento,
ma
evitò di farglielo notare e la seguì in salotto,
sedendosi sul
divano accanto a lei.
Malia
appoggiò la testa sullo schienale e, da quella posizione,
Stiles
potè vedere i lunghi segni rosacei attraversarle il collo in
senso
verticale. La luce del sole, unita al colore scuro dei capelli,
metteva ancora di più in evidenza il suo pallore cadaverico
e le
marcate occhiaie che le contornavano gli occhi stanchi.
Rimasero
fermi per un tempo che a Stiles sembrò infinito. Lei lo
conosceva
bene, odiava aspettare, ma se sperava di sfinirlo si sbagliava,
perché non si sarebbe arreso.
Non
più, non dopo l'ultima volta.
«Sai
cosa succede quando un licantropo trova la sua
àncora?» gli domandò spezzando il
silenzio.
«Riesce
a controllare l'istinto di uccidere. Perché me lo
chiedi?»
Lei non rispose, ma con uno
strattone tirò la stoffa del pantalone, arrotolandola fin
sopra
il ginocchio. Stiles vide spuntare altre bende.
«Cristo...»
imprecò a mezza voce «quanto sono
estese?»
«Abbastanza»
«Quanto?»
disse allora aspro e quasi sentì un ringhio gorgogliare nel
petto.
Alla sola idea che qualcuno
le avesse causato tutte quelle sofferenze sentì il sangue
arrivare alla
testa. Raramente gli aveva dato quel genere di preoccupazione, ma si
rese conto di quanto forte e diverso da tutti gli altri fosse il
senso di protezione nei suoi confronti.
«Prova
a immaginare...» lo sfidò, le labbra incurvate in
un falso sorriso.
L'immaginazione non era mai stata il suo forte, non in quel
genere di situazioni. Afferrò con prepotenza la maglia di
Malia
e la sollevò, scoprendo che anche l'addome e il petto erano
fasciati e macchiati di sangue.
«Dimmi chi è
stato e ti giuro che andrò a cercarlo di persona»
«E
poi lo ucciderai?» chiese beffarda costringendolo a mollare
la presa.
«Forse».
Malia
gli andò vicino, a pochi centimetri dal viso,
per poterlo guardare dritto negli occhi. Era il suo modo du fargli
capire che non poteva scappare da ciò che stava per dire.
L'aveva
già fatto un'altra volta, su quello stesso divano. Ricordava
tutto
di quella notte: l'asfissiante caldo estivo della California, il
profumo della sua pelle, le goccioline di sudore tra i suoi seni
nudi, la sua risata, quello sguardo e il "ti amo"
sussurrato a fior di labbra.
«Sono stata io» disse con tono
piatto e l'immagine di quel dolce ricordo sfumò via,
cancellata
dalla nuova terribile consapevolezza.
«Cosa?»
chiese senza rendersene conto.
«Hai
capito bene, sono stata io» disse dopo essere tornata al suo
posto.
Era stata lei. Lei si era ridotta in quelle condizioni.
Scartò le domande ovvie e scontate, ce n'era una
più importante,
forse l'unica che contasse davvero.
«Perché
non stai guarendo?»
Malia lo guardò di traverso.
«Conosci
la risposta»
«Voglio
sentirla uscire dalle tue labbra»
«È
già uscita dalle mie labbra. Andiamo Stiles, tu sei un
detective,
sai fare di meglio»
«Ti
sembra il momento di scherzare?»
«Non
sto scherzando, è solo che... è
difficile» battè un pugno sul
bracciolo del divano imprecando.
Quelli
che a chiunque sarebbero sembrati sbalzi d'umore non erano altro che
il maldestro tentativo di nascondere le sue vere emozioni. Lo faceva
spesso quando stavano insieme: indossava la maschera di cinico
sarcasmo e fingeva che il dolore non la toccasse. Peccato fosse
davvero una frana a recitare.
Si asciugò gli occhi e sospirò per
impedirsi di continuare a piangere. Stiles provò ad
accarezzarla, ma
lei lo scansò brusca.
Dentro il suo cuore Malia era ancora sua e lui
le apparteneva, ma non riusciva a staccarsi di dosso la sensazione di
essere diventato un intruso.
«Sto
bene, non sei obbligato a toccarmi» disse fra le lacrime.
«Credi
che io mi senta in dovere di fare una cosa del genere?»
Malia non
sembrò ascoltarlo. Si era sollevata e non faceva che
torturare
l'orlo della felpa, che riconobbe – era la sua –,
guardando fuori
dalla finestra con il volto corrucciato. Stava
pensando a qualcosa di molto importante e allo stesso tempo doloroso
e Stiles decise di aspettarla senza farle pressioni.
«Tu...
tu eri la mia àncora» disse infine, dopo una lunga
pausa.
Sarà
stata la disperazione malcelata in quelle parole, la lacrima
solitaria che le solcò il viso proprio mentre provava a
regalargli
un sorriso – nonostante tutto –, Stiles
sentì il cuore
frantumarsi.
«Ma
io sono la tua àncora, lo
sarò sempre» le disse con voce
tremante.
Malia
scattò in piedi e prese a girare per la stanza, parlando
più a se
stessa che a Stiles.
«No,
non funziona così. No. Io ti amavo così tanto e
tu non c'eri, non
ci sei stato quando avevo bisogno di te, poi ho saputo che lui
sarebbe arrivato» prese fiato e si fermò
«ho visto una speranza,
ma non era destinata a durare. Forse io non avrò mai la mia
occasione, forse me lo merito» il corpo scosso dai
singhiozzi,
Stiles non le permise di cadere, la prese fra le braccia e la
strinse forte al petto.
«Perdonami»
sussurrò con il volto immerso tra i suoi capelli,
finché Malia non
si calmò e fece un passo indietro. Stiles non la
lasciò comunque
andare, trattenendola per le spalle.
Aveva voglia di piangere, ne
sentiva il bisogno, ma non poteva crollare senza trascinarla con
sé.
«Malia,
perché l'hai
fatto?» chiese
cauto.
«Ho
perso il controllo. Senza di te a tenermi ancorata alla mia forma
umana mi sono trasformata all'improvviso, in pieno giorno e... e
allora ho ricordato le parole di Scott»
«"Il
dolore ci rende umani"» ripetè meccanicamente la
frase che
molte volte aveva sentito pronunciare al suo migliore amico.
«Ha
funzionato, ma non avevo messo in conto qualcosa di fondamentale: il
motivo per cui avevo dato di matto mi avrebbe anche impedito di
guarire»
«E
qual è questo motivo?»
Malia sospirò e abbassò per un
attimo lo sguardo.
«Io
sono una falla nel sistema, non sarei dovuta venire al mondo. No, non
dire niente, ascoltami. Se io non fossi mai nata, la famiglia Tate
sarebbe ancora viva e tu... tu non saresti coinvolto in questa
storia, potresti vivere il tuo vero amore senza sensi di
colpa»
«Il
mio vero amore? Malia, che stai dicendo?» le prese il volto
tra le
mani, per impedirle di fuggire ancora una volta, e lo strinse fino a
sentire la forma dei denti attraverso le guance scarne.
«Sei
tu il mio vero amore» poggiò la fronte contro la
sua e si costrinse
a non baciarla, sapeva che l'avrebbe scacciato se avesse osato tanto.
«Ipocrita»
la cupa rassegnazione sul suo viso gli riempì il cuore di
angoscia.
«No,
Malia ascolta, sono stato stupido. Avevo paura che nessuno potesse
capirmi e credevo che in fondo tu meritassi di meglio e...»
«Smettila,
è solo il mucchio di cazzate che racconti a te stesso. Tu
ami ancora
Lydia e io ti ho concesso tutto il tempo e lo spazio per capirlo, che
altro vuoi da me?» lo spinse via, ma lui non ci fece caso,
troppo
spiazzato, la mente in subbuglio per far combaciare i pezzi del
puzzle e vedere il quadro completo.
«Tu
non puoi dire sul serio... non puoi! Io e Lydia siamo solo amici,
devi credermi. Perché sarei qui?»
«Non
lo so, probabilmente ti senti in colpa. Ma non devi, ero già
un
disastro prima di incontrarti» asciugò le ultime
lacrime con la
manica della felpa.
La sua felpa blu portafortuna. Una mattina
aveva trovato accanto a sé Malia, dormiva stringendola tra
le
braccia come se fosse un orsacchiotto di peluche. Sentì una
fitta
allo stomaco.
«Cosa
vuoi che faccia?» allargò le braccia esasperato, i
nervi
sfilacciati e pronti a cedere.
«Torna
alla tua vita, continua a fare quello che hai fatto fino ad oggi, io
non resterò ancora per molto a Beacon Hills» disse
lei con
semplicità. Fin troppa semplicità.
«Che
idiota, avevo già la soluzione...»
biascicò tra i denti «Be',
immagino ci sia una zia ansiosa di conoscerti che ti aspetta in
Arizona» gli sembrò di poter sentire il veleno
sgorgare tra le
labbra, ma Malia ignorò il sarcasmo.
«Seguirò
Braeden. Non ho doti eccezionali, ma sono forte e posso lavorare per
lei»
«Ah,
va bene. Passerai il resto della vita a muoverti da un posto
all'altro uccidendo persone che non conosci per soldi, mi sembra un
buon piano»
«Lo
è!» disse risoluta.
«E
non pensi che sia da egoisti?» sbottò
«Non pensi alle persone
che...?»
«Persone?!
Quali persone?» lo fronteggiò con occhi
fiammeggianti.
«T...
T-tuo padre!»
«Mio
padre starà meglio senza di me, l'ho quasi ucciso due volte
da
quando ho ripreso ad avere gli incubi» si portò
una mano alla bocca
e masticò un'imprecazione: le era sfuggito qualcosa di
troppo.
Stiles
respirò a fondo, il momento della resa dei conti era
arrivato. Stava
per tuffarsi nel mare in tempesta dalla cima di una scogliera alta
decine di metri, sotto di sé c'erano scogli appuntiti e
acqua scura
come la notte, ma doveva farlo.
«Me»
disse in un sospiro «pensa a me»
Malia
non esitò neppure un istante a rispondergli.
«L'ho
fatto, Stiles. Ho pensato a te, più di ogni altro, e ho
messo la
parola fine a questo capitolo – il nostro capitolo
– per il tuo
bene»
Testarda
e orgogliosa come una Hale, lo sfidava con lo sguardo, proprio come
un tempo aveva fatto Derek.
Lui
però non aveva ancora raggiunto gli scogli.
«Dunque
è questo che sono per te? Un capitolo chiuso?»
«Chiuso»
ribadì.
Stiles
accorciò la distanza che li separava, avvolse tra le dita
uno dei
lacci sdruciti, che penzolava molle dal cappuccio della felpa
– la
sua felpa, la felpa di Malia - e lo tirò piano verso di
sè.
«E
allora perché indossi ancora i miei vestiti?»
Non
c'era cattiveria, non c'era vittoria in quella domanda, solo una
richiesta, l'ultimo disperato tentativo di far breccia nel muro che
li divideva.
Malia
si morse le labbra «Sono oggetti come altri, non hanno alcun
valore».
Stiles
tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il suo mazzo di chiavi:
attaccati all'anello principale c'erano un portachiavi con un
pupazzetto dai colori sgargianti e la linguetta argentata di una
lattina.
«Vedi
questi? Sono oggetti molto importanti, mi ricordano una persona
speciale. Da quando l'ho persa ho deciso di portarli sempre con me,
per non dimenticarla, per non dimenticare il sorriso che aveva la
sera del nostro primo appuntamento. In quel periodo mio padre era
pieno di debiti e non potevo permettermi di portarla a cena in un bel
ristorante. Provai a spiegarle la situazione, ma lei rise, mi
guardò
come se fossi matto e mi disse di prenderle un Happy Meal e una
lattina di cola» fece una pausa e deglutì per
scacciare il nodo in
gola che era tornato a fargli visita. Malia invece era immobile e
fissava le chiavi con gli occhi lucidi e le sopracciglia aggrottate.
«Non
mangiava un hamburger da più di otto anni»
proseguì «e, a quanto
pare, aveva dimenticato il sapore delle bibite gassate,
perché reagì
con stupore al primo sorso di coca-cola e mi guardò sorpresa
come
una bambina. Ho...ho pensato che fosse la persona più dolce
e... e
pura che avessi mai incontrato» non era abituato a versare
lacrime e
aveva gli occhi e la gola in fiamme.
«Noi
due non possiamo essere un capitolo chiuso, non così, non in
questo
modo»
«Stiles,
ti prego non rendere tutto più difficile» disse
con voce rotta.
«Non
capisci? Io non voglio perderti» lei scosse la testa. Testarda
come una Hale.
Le
mise una mano sulla nuca per attrarla a sé e,
inaspettatamente, non
incontrò alcuna resistenza. Disegnò con il
pollice un arco dalla
guancia fino alle labbra morbide, che si schiusero al suo tocco.
«Guardami negli occhi e dimmi che non mi ami; se lo fai ti
prometto che uscirò da quella porta e non mi vedrai mai
più»
sussurrò ad un soffio dal suo viso e raccolse con un bacio
le ultime
lacrime salate che lo bagnavano.
Lei
allora si sgretolò tra le sue braccia come un castello di
sabbia,
smise di lottare contro se stessa si abbandonò a lui in un
bacio
frenetico che sapeva di disperazione.
Malia
che lo baciava, Malia che lo toccava, accarezzava, mordeva, non
sentiva altro che lei, dentro e fuori di sé, il mondo
sarebbe potuto
crollare in quell'istante, Stiles non se ne sarebbe accorto.
Si
lasciò cadere tra i cuscini del divano trascinando con
sè Malia.
Era finalmente a casa, aveva schivato gli scogli, affrontato la
corrente gelida ed era arrivato incolume sulla riva.
Now I learned a lot from my
mistake
Never let a
good thing slip away
I've had a
lot of time to look back
And my only
regret is
Not telling
you what I was going
through
You didn't
even know that
I try to
speak but you got me
tongue-tied
(NF -
Paralyzed)
Si
rese conto di aver vissuto per mesi in apnea quando riprese
finalmente fiato, rubandolo a lui.
L'aveva
baciato e baciato ancora, fino a sentire le labbra bruciare, poi
aveva adagiato la testa nell'incavo dell sua spalla ed erano rimasti
fermi in quella posizione per minuti, forse ore.
Stiles le
accarezzava la schiena, mentre lei tracciava ghirigori sul suo viso,
dove era appena visibile un accenno di barba.
Le
sembrò di essere uscita da un'opaca bolla di sapone, Stiles
l'aveva
fatta esplodere e lei era tornata a vedere i colori del mondo, a
sentirne i suoni e gli odori. Ciononostante c'era una macchia sulla
sua anima, che le impediva di trovare la pace. Il segreto che aveva
nascosto gelosamente per mesi avrebbe distrutto ogni
cosa.
Stiles spostò alcune ciocche dei suoi capelli,
portandole dietro l'orecchio, e con il pollice iniziò a
disegnare
piccoli cerchi sulla pelle morbida appena sotto il lobo.
Era
distante, perso in un intricato groviglio di pensieri a lei
inaccessibili. O forse no.
«Malia...»
«Sì?»
«Chi è lui? Prima hai detto
che sapevi che lui sarebbe
arrivato».
Gli aveva mentito per tenerlo al sicuro, aveva preso
la decisione di sopportare da sola il peso di quel fardello
perché,
se la sua vita era sempre stata un disastro, quella di Stiles aveva
ancora qualche possibilità di migliorare. Il suo piano,
tuttavia, si
stava dimostrato un fallimento su tutta la linea.
«C'è
una cosa che devi sapere» sussurrò piano, come se
qualcuno avesse
potuto sentirli.
Stiles
girò un po' la testa e la interrogò con lo
sguardo.
«Resta
qui» gli disse e poi andò di sopra, in camera sua,
e prese un
piccolo portagioie che giaceva sepolto in un cassetto sotto una pila
di vestiti.
Vederlo
le causò una fitta allo stomaco e indugiò qualche
secondo sulle
scale prima di scendere e tornare in salotto. Non sapeva come
impostare il discorso, da dove partire e dove finire.
Si
accoccolò al suo fianco e Stiles le avvolse un braccio
attorno alle
spalle, sfiorandole le labbra con le proprie. Malia
approfondì quel
contatto e registrò mentalmente ogni dettaglio per poterlo
portare
per sempre con sé, come se fosse il loro ultimo bacio.
«Cos'è?»
le chiese con voce roca, indicando la scatola di legno che teneva in
grembo.
Malia
sospirò «Promettimi che non ti darai la colpa di
ciò che sto per
raccontarti»
«Mal,
di cosa stai parlando? Che c'è in quella scatola?»
«Ti
prego, è importante che tu mantenga la calma, non perdere la
testa»
«Non
perdere la testa? Sono bravo a questo gioco» provò
a scherzare, ma fu tradito
dal ritmo martellante del suo cuore.
«Stiles!»
«Okay,
va bene» sbuffò e iniziò a far
saltellare un ginocchio. Odiava
quel gesto, le dava ansia, ma non poteva dirgli di smettere o sarebbe
imploso.
Si
sentiva strana. Aveva passato così tanto tempo a pensare e
ripensare
a quel momento, l'attimo in cui i proiettili le avevano attraversato
il ventre, a cosa avrebbe potuto fare per ripararsi dagli spari e poi
al futuro, a ciò che sarebbe potuto essere e che non sarebbe
mai
stato.
«Allora?»
le chiese impaziente, strappandola ai propri pensieri.
«Sì,
scusa è che non trovo le parole, non so da dove
cominciare» sospirò
«forse è meglio che guardi con i tuoi
occhi» tolse il coperchio
intarsiato e gli mise la scatola tra le mani.
Si
aspettava una reazione esagerata, aveva visto Stiles arrabbiarsi e
fare a pezzi qualcosa per molto meno, e invece lui rimase immobile,
sospeso tra incredulità e angoscia.
C'erano
tre oggetti, le tracce del suo passaggio in quel
mondo senza
pietà. Stiles li esaminò uno alla volta
– più volte – come se
potessero dargli le risposte alle domande che vorticavano impazzite
nella sua testa. Si rigirò tra le mani il test di gravidanza
per un
po', guardò le due ecografie e, quando una lacrima
riuscì a
superare la barriera delle sue ciglia scure, Malia l'asciugò
con la
punta delle dita.
«Quella
sera in ospedale non hanno estratto solo i proiettili, non è
vero?»
fece un pausa per schiarirsi la voce «È per questo
che tuo padre mi
ha detto di andar via, non volevi che lo venissi a sapere».
Paralizzata
dal senso di colpa, un pugno piantato nello stomaco a impedirle di
respirare. Avrebbe voluto tirare fuori tutte le parole che non gli
aveva mai detto, ma queste si affollarono, crearono un terribile
ingorgo nel passaggio dal cervello alla lingua e non riuscì
a fare
nulla a parte ricambiare il suo sguardo risentito, sforzandosi di non
piangere.
«Perché
non me l'hai detto? Avevo il diritto di sapere...»
Il
suo tono lieve e stonato era solo il preludio di ciò che
stava per
accadere, Malia non doveva far altro che aspettare il momento in cui
avrebbero attraversato il confine sulla via del non ritorno.
«Non
volevo darti questo peso» disse a fatica, l'aria era satura
dell'angoscia di entrambi e sentì mancare il respiro.
Stiles non
rispose, si alzò in piedi e si mosse in giro per la stanza
fino a
fermarsi davanti alla finestra, così come aveva fatto lei in
precedenza. Artigliò con entrambe le mani il davanzale e
poggiò la
fronte contro il vetro.
«Stiles...»
«Un
peso? È questo che era per te?» la
fulminò con lo sguardo «Non me
l'hai detto perché credevi che se l'avessi saputo io ti
avrei
impedito...» si interruppe bruscamente.
«Cosa? Abbi il coraggio
di completare la frase».
Era precipitata nella bocca dell'inferno
ed era tornata indietro per lui, perché lo amava e sapeva
quanto
avrebbe sofferto, ma a cosa era servito?
«Mi
avresti impedito di uccidere mia madre? Dai, dillo, so a cosa stai
pensando!»
Stiles non rispose e lei lo schiaffeggiò con tutta la
forza che aveva in corpo; fosse stata nel pieno delle sue energie gli
avrebbe rotto l'osso del collo, ma era debole e l'unico risultato fu
vedere il segno della sua mano stampato sul viso del ragazzo che mai
avrebbe smesso di ferirla.
«Tu
non hai idea di cosa ho passato, sei solo uno sciocco ragazzino che
si crede il centro del mondo» disse tagliente con l'unico
obiettivo
di fargli del male, tanto quanto ne stava facendo a lei.
«Ho
scoperto di essere incinta la sera in cui sono quasi morta, mentre tu
eri ad Eichen House. Sì, è inutile che mi guardi
così, ero incinta
quando Theo mi ha sparato, ero incinta quando ti ho seguito dentro
quel fottuto manicomio, ma tu non te ne sei accorto, io ero l'ultimo
dei tuoi pensieri».
Vide il volto di Stiles cambiare colore ed
espressione ad ogni rivelazione, come un camaleonte gettato in un
caleidoscopio. Sconvolto, triste, arrabbiato. Non disse nulla, si
passò le mani tra i capelli e li tirò, quasi a
volerli strappare,
sopraffatto dalla piena delle sue emozioni.
«Hai
ragione, non volevo che venissi a saperlo perché ero
convinta che
non t'importasse più niente di me» si strinse
nelle spalle. «Tutti
mi credevano solo un'assassina senza cuore, pensavo che anche
tu...»
«No, non è vero! Sai che non ho mai, nemmeno per
un
attimo, dubitato di te» disse, gli occhi lucidi e rossi.
«Ho sempre
voluto proteggerti, da te stessa e dal giudizio della gente»
«E
allora perché non mi sei rimasto accanto?»
«Credevo
di aver ucciso una persona e...»
«Lo sapevo e ti ho già detto
che non mi importava!» sbottò esasperata.
«Ma
è questo il punto! Mi sentivo sopraffatto e non volevo
coinvolgere
nessuno, volevo affrontare da solo tutte le conseguenze di
ciò che
avevo fatto. Senza mio padre, senza Scott, senza te. E poi la
situazione è precipitata e niente aveva più
senso, quel che contava
era sopravvivere»
«E siamo sopravvissuti tutti. Più o
meno...»
Stiles sospirò «Se solo avessi saputo quel che so
oggi avrei
fatto di tutto per tenerti lontana da lei»
«Non
ha più importanza ormai...»
Era esausta, sfibrata, voleva solo
gettare le armi e alzare bandiera bianca. Gli cinse la vita tra le
braccia e poggiò il viso sulla sua spalla.
Sentì
il sangue ribollirgli nelle vene e pulsare in fretta attraverso le
arterie e poi un singhiozzo, seguito da un altro, finché
Stiles non
si sciolse in un pianto dirotto. Si aggrappò a lei per non
annegare
in quella pozza di fango e dolore, erano due anime solitarie in
balìa
della loro personale tempesta.
«Malia,
dimmi cosa devo fare? Io... io non so più cosa
fare»
Lei
accolse il suo volto tra le mani e gli disse ciò che
ripeteva ogni mattina a se stessa: «Andare avanti».
- - - - -
Ed eccoci qua con la seconda parte! Un ringraziamento
speciale va a Doomsday_
che ha letto ogni versione di questa storia e ha sopportato tutti i
miei scleri
<3
Ringrazio tantissimo anche tutte le persone che hanno letto e
apprezzato questa piccola storia :)
Vi anticipo che tre momenti importanti del passato di Stiles e Malia,
che ho solo accennato, saranno trattati separatamente in una raccolta
di one-shot!
Per rimanere sempre informati seguitemi sulla mia pagina Facebook: Horror
Vacui.
A presto ;)
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