That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Chains - IV.032
- Nel nome della Madre (1)
Evan Rosier
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 23 gennaio
1972
“Evan caro,
come stai? […] Avrei voluto incontrarti a Hogsmeade, per
assicurarmi di persona che tu stia bene, purtroppo quel vecchio
babbione di Dumbledore è deciso a portare avanti la ridicola
punizione che ha dato a te e agli altri ragazzi, impedendovi di uscire,
[…] devo perciò accontentarmi di spedirti questa
lettera e questo pacco di abiti nuovi: sono stati realizzati sulle
misure prese durante le vacanze, in caso tu ti sia alzato ancora,
affidati agli Elfi per i ritocchi. All'interno troverai anche una
lettera di tuo padre e una boccetta: non so che cosa abbia intrugliato,
negli ultimi giorni, ma desidera che tu la riceva prima possibile.
Vuole anche che tu faccia attenzione nel maneggiarla perché
contiene, dice lui, una pozione “preziosa e rara”.
Sai com’è fatto. […] Mi raccomando, non
rovinare il mantello nuovo che ti abbiamo regalato a Natale, impegnati
nello studio e stai lontano dai guai, cerca almeno tu di non farmi
sfigurare di fronte a quei palloni gonfiati dei Black e di Malfoy [...]
A presto. […] Mamma.”
Stronza…
Le stelle brillavano nell'oscurità gelida della notte ed io
feci un altro tiro, nel vano tentativo di calmarmi, cenere rovente
cadde dalla sigaretta e andò a bruciacchiare proprio una
porzione del collo di pelliccia del mantello nuovo. Scoppiai a ridere,
una risata nervosa, isterica. Mi sentivo soffocare. Per questo ero
sgattaiolato fuori dal dormitorio nel cuore della notte e, facendo
attenzione a Pix, ero arrivato al cortile della Torre dell'Orologio, mi
ero sistemato sul muretto del porticato e avevo affrontato il freddo,
creando con la Magia delle Fiamme Trasportabili per scaldarmi con la
loro luce fredda. C'erano molti controlli di notte nella scuola, per
evitare episodi incresciosi, ma usando bene i passaggi segreti dei
ritratti, conoscendo i vezzi di alcuni professori poco abili nel fare
la ronda, come Pascal, comprando la complicità di qualche
Prefetto e, soprattutto, con una buona dose di culo, era possibile
strappare rari momenti di intimità e solitudine anche in
quella dannata scuola.
Un altro tiro. Guardai ancora una volta le lettere dei miei, dovevo
distruggerle entrambe, per quell'accenno alla fialetta: quando le vidi
raggrinzirsi e sparire nelle fiamme, per alcuni istanti riuscii a
dimenticare quanto rischioso fosse quello che mi era stato chiesto di
fare, e il pensiero scivolò di nuovo, improvviso, a mia
madre, ai suoi dannati roseti, al suo maledetto giardiniere
Magonò e a tutte le schifose chiacchiere che avevo sentito
su di lei durante le ultime vacanze di Natale. Con un gesto secco mi
tolsi il mantello, e stavolta non mi limitai a bruciarlo, ma staccai di
netto il collo di pelliccia, creando uno strappo lungo tutta la linea
mediana delle spalle. Poi affondai il taglierino, che avevo sempre con
me, più e più volte, immaginando che dentro al
mantello ci fosse lei. Avevo cercato di fingere che non ci credessi o
che non m’importasse, ma prendevo fuoco ogni volta che
qualcosa mi ricordava quella stronza demente e Malfoy, col ghigno di
chi sa tutto, non mancava certo occasione per fare le sue battutine del
cazzo. Non mi ero mai vergognato tanto della mia famiglia, neanche
quando avevo scoperto che quell’idiota di mio padre era
riuscito a farsi beccare l’unica volta che aveva dato a un
Babbano ciò che meritava ed era quasi impazzito dopo appena
una manciata di mesi nella prigione di Azkaban. Sospirai, avevo giurato
a me stesso, da un pezzo, che non sarei diventato come i miei e da
allora entrare nella cerchia di Lord Voldemort era diventata la mia
sola aspirazione.
A
costo di morirci, tutti vedranno che non sono solo il figlio di un
coglione e di una puttana!
Tirai l'ultima boccata, gettai la sigaretta su quello che restava del
mantello e la spensi sopra, poi feci Evanescere tutto. Dovevo
concentrarmi: la tensione era sempre lì, insieme al cuore
che pulsava furioso e a quella strizza che provavo solo di fronte alla
McGonaghall. Ero furioso con me stesso perché avevo paura,
io che non la provavo quasi mai, e la percepivo ora, quando avevo
più bisogno di essere lucido; avevo perso troppe occasioni,
aspettando le istruzioni di mio padre, e adesso mi restavano poche ore
per agire, non avevo tempo per dubitare, per chiedermi se
ciò che volevo fare coincidesse con quello che andava fatto,
dovevo solo trovare il modo di riuscirci, preferibilmente salvando le
chiappe.
E invece…
No, non era stata una buona idea uscire con quel dannato mantello e
sommare alla paura l’odio per i miei, lo capivo solo adesso:
stavo perdendo tutta la mia determinazione. Prima, mentre mi rigiravo
nel mio letto con quella fialetta in mano, mi chiedevo solo se sarei
riuscito a trovare in tempo il modo di farla sotto il naso di Rabastan
senza che se ne accorgesse. Ora che mi ero incazzato a morte con quella
troia, invece, avevo iniziato a chiedermi se volessi davvero fare
ciò che mi aveva chiesto mio padre, se i suoi piani
coincidessero con i miei, se andassero o meno nella direzione che mi
avrebbe portato al cospetto del Signore Oscuro e ben lontano dal
destino infame che i miei volevano per me. Ero lì, al
freddo, pieno di dubbi, e con la mente rivedevo le parole minute che si
rincorrevano nervose nella calligrafia infantile del mio vecchio, su un
rettangolo sdrucito di pergamena, e pensavo che assomigliassero a tanti
schifosi, putridi scarafaggi. Proprio come lui.
“Figliolo, ti
ho sempre detto di tenere gli occhi aperti e le orecchie tese. E tu non
mi hai mai deluso. Il giorno della riscossa per la nostra famiglia
stavolta è a portata di mano, se mi aiuterai di nuovo. So
per certo che il fratello del tuo amico vuole attentare alla vita del
giovane Mago del Nord, metteranno qualcosa nel suo bicchiere. Voglio
che tu mi riferisca ogni eventuale confidenza su questo progetto e, al
mio ordine, che tu faccia di tutto per boicottare il loro piano,
sostituendo il veleno con la pozione che ti ho fornito io. Aspetta le
mie istruzioni e non farti scoprire, mi raccomando, non si possono
commettere errori con quella famiglia. In bocca al lupo. Brucia subito
questa lettera…”
Ero abituato alle imprese folli di mio padre e a essere coinvolto mio
malgrado, ma questa le superava tutte. C’era di che essere
spaventati e ansiosi: la lettera e la fiala, infatti, erano state
allegate al pacco della mamma, arrivato con la posta del
venerdì mattina, mentre il fratello di Rabastan si era
presentato a scuola ventiquattro ore più tardi, preciso come
la morte, e con la scusa di accordarsi per il funerale del loro padre,
aveva preso il mio amico da parte e gli aveva chiesto di avvelenare
Rigel Sherton, l’indomani, poco prima di partire per la
Francia, così che, quando la tragica fatalità
fosse avvenuta, i due Lestrange si sarebbero trovati ben lontano. Mi
aveva raccontato tutto, Rabastan, esaltato, questa era la sua prima
vera occasione di fare qualcosa per conto del Signore Oscuro, ed era
così “generoso” da confidarsi con me e
invitarmi a partecipare, per farmi notare a mia volta da Milord. Mi
aveva mostrato compiaciuto anche gli anelli che il fratello aveva
strappato dalle mani del loro vecchio, come gli aveva promesso anni
prima, facendomi giurare che non ne avrei mai parlato con nessuno.
«Te
l’ho detto che quel bastardo mantiene le promesse, ci
aiuterà anche con Milord, vedrai!»
L'aveva detto battendosi il petto all’altezza della tasca
interna della giacca, facendomi intendere che la fiala fosse
lì. Io, intanto, mi chiedevo come mai per una volta i folli
progetti di mio padre si basassero su una fonte attendibile, chi fosse
tanto pazzo o disperato da coinvolgerlo o, peggio, chi l'avesse
incastrato in un’operazione così rischiosa e
insulsa, in cui non aveva nulla da guadagnare.
Nonostante le perplessità, per una sorta di bovina
consuetudine, avevo scritto subito quello che avevo scoperto, sperando
in una risposta celere, che giunse invece solo a pomeriggio inoltrato,
all'ora dell'ultima consegna della posta, con una copia de
“La Rivista del Quidditch” consegnata da un gufo
anonimo: nel gagliardetto dei Tornados che vi era allegato,
c’era nascosto solo l’ordine di procedere,
“a ogni costo”, senza alcuna altra istruzione,
suggerimento o spiegazione.
Nulla di nulla, mentre il tempo a mia disposizione è ormai
ridotto a uno sputo di cane. E tutto questo perché?
Perché sono un coglione, un bravo figlio che non
disubbidisce mai… ecco cosa si guadagna a dire
sì… a rispettare gli ordini… a fare
sempre quello che gli altri… ma per Merlino…
Avevo ricominciato a sudare freddo, rendendomi conto del fallimento
incombente, le ultime ore erano trascorse veloci e io non avevo ideato
uno straccio di tattica da portare avanti: durante la giornata, avrei
potuto intrufolarmi nella camera di Rabastan mille volte, oramai invece
era impossibile, non sapevo dove tenesse nascosto il veleno
né che forma e colore avesse la fialetta di Rodolphus.
Maledizione!
Dovevo mettere le mani addosso a Lestrange prima di colazione, arrivati
a quel punto, infatti, l’avrebbe avuta per forza con
sé, dovevo sottrargli la fiala, sostituirla con la mia
e…
E
affatturarlo per renderlo cieco… solo se fosse cieco non
vedrebbe che la fiala è diversa…
Avevo già provato ad aggredirlo in un paio di occasioni,
quel giorno, l’avevo provocato, coinvolto in zuffe, gli avevo
messo le mani addosso con la scusa della lotta, azzuffarci non era
inusuale tra noi, non poteva insospettirsi per un mio attacco fisico,
solo che… non solo non gli avevo trovato la fiala addosso ma
i tentativi fatti non avevano portato a nulla di buono: Rabastan aveva
reagito in maniera… strana… troppo, persino per
lui… fin dalla visita alla Guferia era stato strano, con la
coda dell'occhio avevo visto che mi fissava e che aveva portato la mano
quasi all'altezza della mia nuca, poi... qualsiasi cosa avesse in
mente, ci aveva ripensato. Arrivati a quel punto, a poche ore dalla sua
partenza, l’ultima soluzione praticabile pertanto era tentare
di renderlo mio complice, corrompendolo o dissuadendolo.
Impossibile, per quanto faccia il gradasso, ha troppa paura di
Rodolphus per tentare di fotterlo… e anche ammesso riuscissi
a dissuaderlo… Rodolphus Lestrange mi attaccherebbe a un
palo da Quiddich per le palle, se solo sospettasse di me…
così potrei scordarmi di arrivare al Signore Oscuro col suo
aiuto… anzi mi darebbe proprio in pasto al Lord e, oltre a
morire, diventerei lo zimbello di tutti i Serpeverde, proprio come mio
padre… E per chi dovrei rischiare tutto questo? Per mio
padre? Cosa ha da offrirmi quel fallito? Diventare come lui?
Perché dovrei aiutare lui invece di Rodolphus Lestrange?
Perché sto ancora qui, al freddo, a pensare come aiutare
quel coglione?
Mi alzai dal muretto, presi la boccetta di mio padre, la guardai contro
luce, ondeggiai piano la mano così che il liquido perlaceo
si mescolasse lentamente… Fu un attimo: stappai la
bottiglietta, caricai il braccio in un ampio arco, lanciai: il liquido
fuoriuscì dalla boccetta e si disperse in mille gocce che
cristallizzarono e caddero giù miste alla neve, tanti
piccoli spiriti opalescenti e azzurrini.
Non so perché non abbia fatto effetto, padre … ho
fatto tutto quello che tu mi hai chiesto...
Ridevo, pensando al colpo che gli sarebbe preso quando avesse scoperto
che il suo grande piano per ristabilire il nostro buon nome era andato
a farsi fottere, minimo chi l’aveva tirato in ballo avrebbe
pensato che avesse sbagliato a distillare la pozione, coglione
com’era. Se ero fortunato, l’avrebbero pure
Cruciato a dovere. Sotto la neve, ridevo, ondeggiando e saltellando su
un piede e poi sull’altro per riscaldarmi, libero finalmente
da tutti i miei crucci. Quando leccai via la neve che mi si attaccava
alle labbra, però, sentii aspro il sapore del sale e un peso
terribile andò a sfondarmi lo stomaco.
Rigel…
che cazzo… si tratta di Rigel…
La sua salvezza era da qualche parte, a terra, metri e metri
più in basso, mischiata alla neve. Era di lui che si
trattava, non di Malfoy o di un altro stronzo qualsiasi… si
trattava di Rigel… non c’erano mai stati screzi
tra noi, era leale, si faceva in quattro per difenderti e pararti il
culo nelle emergenze... non meritava tutto quello che gli stava
accadendo ed io… Rigel era mio amico… ed
io…
No… non sono stato io… è stata
l’arroganza di tuo padre e la stupidità di tuo
fratello a metterti contro il Signore Oscuro… io non ho
colpa… solo perché non voglio finire come
te… non è colpa mia… solo
perché non sono uno sciocco… solo
perché non intendo subire le scelte sbagliate della mia
famiglia… mi dispiace Sherton, l’ho
giurato… non sarò mai un idiota, come siete tutti
voi.
***
Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 23 gennaio
1972
“... A far
luce c'erano solo tre candele, su un candelabro all'angolo
sinistro della stanza. Così oscura, piccola e umida, doveva
essere una cripta, le pareti popolate da sinuosi serpenti di pietra, le
cui spire prendevano vita nel bagliore tremolante delle fiamme. Ruotai
appena il capo, con la coda dell’occhio vidi alcune persone,
dietro di me, poche ombre strette nei mantelli: vestiti di nero, a capo
chino, bisbigliavano una nenia ininterrotta. Rabbrividii: sembrava
quella che avevo sentito tra le rose, sotto la torre di Herrengton, la
sera in cui vidi per l'ultima volta mio fratello... Tornai al presente
con un sussulto, il cuore in gola, il luccichio di una lama
d’acciaio, a poca distanza da me.
“Ti senti
bene?”
Annuii appena, smarrita,
ma quando la mano forte mi serrò l'avambraccio sinistro, mi
voltai verso l’ombra al mio fianco, celata sotto un cappuccio
simile al mio, e un timido sorriso si stampò sulle mie
labbra, le guance mi presero fuoco. Strinsi la mano grande e forte che
mi era offerta, emozionata, mi aggrappai ad essa, alla mia ancora di
salvezza. Non c’era nient’altro oltre quella mano,
stretta alla mia, ormai. Rimasi incantata dal luccichio
dell’anello d’argento con simboli runici, un anello
identico al mio, un anello che non mi apparteneva ma che avevo imparato
a riconoscere. E ad amare.
“Sei sicura,
Meissa? Sicura di volere… lui?”
Una voce dietro di me...
dentro di me... una voce del mio passato... voleva trattenermi, una
voce simile a quella del mio padrino... Orion Black...
Black... Black...
Black...
Quel nome voleva
riportarmi indietro ma era troppo tardi... mi feci più forte
di ogni pensiero, di ogni ricordo, di ogni speranza. Non c'era niente,
solo dolore se avessi seguito quella voce. Sorrisi.
“Sì…
certo che sì...”
L’uomo anziano
dinanzi a noi, nelle ricche vesti verde e argento, estrasse il prezioso
nastro di seta da una scatola di antico legno istoriato, mi
fissò a lungo e mentre la nenia diventava un canto,
annodò stretta la seta intorno ai nostri polsi, borbottando
le formule del rito… Quando tutto si concluse, umide labbra
si stamparono sulle mie…
E anche la voce di
Black, infine, mi lasciò andare.”
*
«Vuoi che ti riaccompagni in
infermeria?»
Mi voltai verso Rigel, stanca e provata, negai con la testa. La notte
era stata piena di incubi, ancora una volta avevo sognato di cadere in
mare e annegare tra i flutti e di trovarmi in una grotta da cui non
riuscivo a uscire, le dita massacrate nel vano tentativo di scavare una
via di fuga. Il giorno prima ero scivolata in una sorta di torpore
addirittura a lezione di volo, mentre la Hooch spiegava i vari tipi di
legno magico usati per costruire Scope, in infermeria era arrivato
anche il Preside che mi aveva parlato, soffermandosi, con parecchie
domande, sui sogni che mi perseguitavano. Il risveglio, quella mattina,
era stato peggiore del solito, col lenzuolo incollato alla schiena
caldo e appiccicoso di sangue: mi ero spaventata, all'inizio non
riuscivo a distinguere il sogno dalla realtà, poi le fitte
alla pancia e la sensazione di essere un pallone mi ricordarono che ero
solo una stupida ragazzina imbranata, smemorata e sprovveduta. Se
avessi potuto, sarei sparita dalla faccia della terra e non sarei
più tornata indietro, l’unica cosa positiva era
che fosse domenica: senza lezioni, avrei passato tutto il giorno da
sola in qualche anfratto della biblioteca, bastava non insultare
qualcuno a colazione e non mettermi a piangere per ogni sciocchezza e
forse sarei stata in salvo.
«La guaritrice mi ha
già dato delle pozioni per dormire, Rigel, ma sappiamo
entrambi quale sia l’unica cosa che potrebbe calmarmi...
»
«Devi avere solo
pazienza… sono sicuro che nostra madre…
»
«Basta, Rigel! Tu e quel tuo
stupido anello mi avete stancato!»
Stizzita e esasperata lo distanziai, Rigel mi lasciò fare ma
già dopo pochi passi fu di nuovo al mio fianco, tirai su col
naso, piano, non volevo vedesse che stavo per rimettermi a piangere.
«Non c’è
solo l’anello di nostra madre, ci sono anche i tuoi sogni:
potrebbero non essere solo incubi e tu lo sai, a Herrengton spesso i
sogni sono premonizioni... Qui siamo a Hogwarts, qui incantesimi
potenti ci difendono dalla magia esterna, lo so, Herrengton,
però, è poco lontana, appena di là
delle montagne, la sua influenza è forte e... scommetto che
è per questo che il Preside è interessato ai tuoi
sogni e ti ha fatto tutte quelle domande ieri, magari
riuscirà a trovarli grazie a te!»
«E cosa troverebbe, Rigel? Se
fosse come dici, starei sognando mamma e papà in estremo
pericolo... ed io… io non riesco a vedere uno straccio di
indizio per capire dove si trovino!»
«Tu potresti non capire gli
indizi ma Dumbledore sì... »
Lo fissai esasperata e incredula, anch’io volevo aggrapparmi
a quella speranza, ma ormai…
«Da quanti giorni faccio
questi incubi? Se mamma e papà fossero in quella grotta o in
mare, come potrebbero essere ancora vivi? Tu non hai idea di quanto sia
orribile quello che sogno... »
Era impallidito, preda degli stessi dubbi e delle stesse paure che
avevo io, lo sapevo, vidi la sua mano guizzare nella tasca, cercava di
non farsi più vedere con quell'anello in pubblico, dopo che
il Preside gli aveva detto di fare attenzione, ma lo teneva sempre in
tasca e, forse inconsapevolmente, le sue dita si stringevano di
continuo attorno a quella piccola verghetta appartenuta a nostra madre,
alla ricerca di una qualche inutile forma di rassicurazione che io
neanche cercavo più.
«Orion non riesce
più neanche a guardarci in faccia... »
«Preferisce tacere
perché… è una persona concreta,
Meissa: all'inizio si è sbilanciato troppo, ora non vuole
che lo crediamo un bugiardo… e se sei ancora arrabbiata con
Dumbledore perché ha fatto sospendere le
consegne del Daily a chi non è Insegnante, Prefetto o
Caposcuola, pensaci… dopo quello che ha cercato di farti
MacNair, con quel dannato giornale, puoi forse biasimarlo? E a cosa
servirebbe leggerlo, poi? Il Daily racconta solo stupidaggini, l'ha
sempre detto anche papà... »
«Dirà anche
stupidaggini, Rigel... ma sono in molti a crederci qui dentro...
»
«Ragione in più per
non farlo circolare dentro la scuola, almeno smetteremo di essere
distratti dalle cavolate che sparano quei ciarlatani! Di danni ne ha
fatti a sufficienza, per quanto mi riguarda… Meissa,
ascoltami... fai pace con Sirius, ci stai male e non hai bisogno di
altri stupidi motivi per… »
«IO NON SONO TRISTE PER QUELLO
STUPIDO IDIOTA, CHIARO?»
«Certo… come no...
ascoltami... »
«NO ASCOLTAMI TU…
è stato lui a ferirmi quando ero più debole. E
sai come? ripetendo tutte le bugie di quel suo dannato Potter su nostro
fratello! Cosa dovrei farmene di un “amico”
così?»
«MEISSA!»
La voce mi si incrinò, accelerai per le scale, diretta in
Sala Grande, dovevo sbrigarmi a recuperare un minimo di contegno, ci
eravamo attardati nei sotterranei per parlare lontano dalle orecchie
dei soliti impiccioni ma avevamo quasi raggiunto i nostri compagni e
dovevo tornare impassibile in fretta: a parte Lestrange, che quella
mattina sarebbe partito per la Francia col fratello, nessuno aveva
impegni urgenti tali da lasciare presto la sala, se mi fossi mostrata
debole mi sarebbero piombati addosso con la scusa di consolarmi, in
realtà per sbranarmi come iene, incapace com'ero di
liberarmi di loro.
«Io non posso fare nulla per
riportarti mamma e papà, mi dispiace... questa storia invece
posso risolvertela, in qualche modo... Zelda ha detto che ti sei
lamentata anche più del solito stanotte... »
«Quella lì se la
deve finire di fare l'impicciona, se non vuol finire male!»
«Si può sapere cosa
ti prende? Zelda non ti ha mai fatto nulla… dovresti provare
a dare un po' di fiducia agli altri, Meissa, non serve a nulla
chiudersi a riccio come fai tu, devi farti degli amici e distrarti con
loro, in certi momenti, anche le stupidaggini aiut... Meissa...
»
«Impicciati dei cavoli tuoi,
Rigel… e pensa ai tuoi di amici... ti aspettano!»
Scossi la testa: all’improvviso era riemerso il ricordo di
quella mano legata alla mia, del rituale e di quel dannato anello, lo
stesso che avevo visto nel sogno in cui qualcuno mi aiutava a fuggire
dalla scuola. Dovevo interrompere quella conversazione e trovare una
scusa per non entrare neanche a colazione, non potevo né
volevo parlare con nessuno. Mi sentivo soffocare, quello non era un
caso, temevo che quell’anello esistesse realmente. Ormai
vivevo nel terrore che qualcuno mi passasse un piatto o un libro e gli
vedessi l’anello sulle sue mani... A volte temevo di aver
capito a chi appartenesse, ma non sapevo come verificarlo, solo a
Herrengton, esaminando i vecchi tomi del nonno sulle antiche famiglie
purosangue di mezza Europa, forse avrei potuto scoprire la
verità.
«Non mi importa un cavolo dei
miei amici, dobbiamo prima finire questo discorso…»
«Dovrei fare pace con Black e
tu non saluti Lestrange, oggi che per lui è un brutto
giorno?»
«Brutto giorno per chi? Non
farmi ridere, se non dovesse trovarsi qui già domani, si
sbronzerebbe per la gioia fino allo svenimento, appena fuori di qui...
quanto ai saluti, ti ho già spiegato che a quello
lì non importa un fico secco delle stronzate sentimentali
tra amici. E a parte tutto questo, non intendo perdere tempo con
quell’idiota, quando non ho idea di cosa stia succedendo a
te!»
«Mi sta succedendo quello che
sta capitando anche a te, puoi fingere quanto vuoi di essere forte e
sicuro, ragionevole e saggio, ma non lo sei... non sei né
papà, né Mirzam... e non sei in te…
come non lo sono io… altrimenti ora staresti con quei
nullafacenti dei tuoi amici, non con me!»
«Hai ragione, se fossi in me
ti manderei al diavolo come ho sempre fatto… e sai
perché? perché sei sempre la solita mocciosa
irritante che si ostina a non voler capire niente, Meissa!»
Non lo disse con il tono con cui litigavamo di solito, ma con
un’esasperazione che non gli conoscevo. Mi strinse con
più forza la mano per trattenermi ma io mi divincola: no,
non era nostro padre, non volevo che mi abbracciasse o mi consolasse,
soprattutto non ora che, con la coda dell’occhio, avevo visto
Black e i suoi amici scendere l’ultimo ramo di scale, non
avrei permesso che quell'idiota mi vedesse debole o che mio fratello
trovasse il modo di costringermi a parlargli. Rigel seguì il
mio sguardo e vide Sirius, io riuscii a sfuggirgli ma lui, invece di
seguirmi in Sala Grande, si diresse proprio verso i Grifondoro; forse
dovevo raggiungerlo per impedirgli di parlare con Black ma ne sarebbe
nata una scena imbarazzante durante la quale Black o Potter avrebbero
detto qualcosa che mi avrebbe fatto piangere o arrabbiare, e avremmo
finito col litigare ancora di più.
E tu non vuoi più litigare, non ne hai neanche
più le forze... vorresti solo che ricordasse... che capisse
quanto male ti ha fatto. Non esiste più il vecchio Sirius,
però... quello che ricorderebbe le promesse fatte, quello
che sentirebbe la tua mancanza, quello che farebbe la prima mossa,
dimostrando che ci tiene a te... il vecchio Sirius non
tornerà più... non finché quello
stupido Potter continuerà a infestargli il
cervello…
***
Rigel Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 23 gennaio
1972
«… la nuvola si
lasciò convincere a farsi trasportare lontano, nelle
Highlands, con la promessa di trovare un luogo e una compagnia degne
della sua nobiltà. Una volta arrivata però, non
solo non trovò alcuna nuvola, ma il vento smise di soffiare,
così rimase da sola, intrappolata nelle Terre del Nord, dove
passò la sua vita a meditare sull’importanza
dell’umiltà… »
I miei compagni di Casa erano intenti a raccontarsi stupide facezie
quando entrai in Sala Grande, persino Rabastan era ancora
lì, benché il giorno prima il fratello,
arrabbiato perché non si era fatto trovare al luogo e
all'ora convenuti, gli avesse intimato di non farlo più
aspettare. Mi passai la mano sul viso, assonnato, mi sedetti al mio
posto, alla destra di Meissa, accanto a Rosier, e subito si
materializzò davanti a me la lauta colazione. Non riuscii a
trattenere un gemito di affamata soddisfazione, benché
quella mattina mia sorella ce l'avesse messa tutta per farmi incazzare
come un cinghiale: quando santificava il suo adorato Mirzam,
sottolineando come io al contrario fossi inutile e cretino, riuscivo
ancora a detestarla come quando eravamo più piccoli,
benché razionalmente sapessi di non dovermi arrabbiare con
lei, perché era solo una bambina confusa e spaventata. Non
sapeva cosa provassi realmente per nostro fratello, quanto fossero
simili i nostri sentimenti verso Mirzam, non sapeva che io ero a
conoscenza di quanto realmente accaduto tra lui e papà. E
dovevo comportarmi da stupido riguardo a Mirzam, proprio per evitare
che sospettasse qualcosa.
«Esatto… Pure io
l’ho sentita raccontare così.»
«Non ho mai capito il senso
della storia, dalla prima volta che l'ho udita a casa
Warrington...»
«Te lo ripeto... un senso non
ce l’ha… »
Ero impegnato a gustarmi tutti i sapori quella mattina ma, le orecchie
tese, non riuscii a non ascoltare la conversazione. Chissà
chi aveva tirato fuori quella storia, era uno dei cavalli di battaglia
di mio padre, lo usava spesso, soprattutto quando voleva far colpo sui
figli di amici che non appartenevano alle Terre. Ero certo che l'avesse
raccontata ai Black già la sera del loro arrivo a
Herrengton. Non ci prendevamo molto, mio padre ed io, ma era innegabile
la sua abilità nel raccontare storie.
E
ora chissà dove sei finito…
Mi concentrai sull’odore penetrante del bacon ancora
sfrigolante e mi chiusi a quei pensieri. Gli avevo fatto una promessa,
occuparmi di Meissa, qualsiasi cosa fosse avvenuta, potevo lasciarmi
andare alla disperazione e alla rabbia solo quando lei non era nei
paraggi... e anche riguardo alla rabbia, dovevo darmi una calmata, lo
sapevo, non tutti i professori sarebbero stati disposti ancora per
molto a tollerare le mie alzate d’ingegno…
dubitavo persino che Black, nostro padrino e tutore, per quanto ci
tenesse a noi, avesse la stessa capacità di mio padre di
tirarmi fuori dai casini se avessi esagerato ancora. Tagliai una
striscia sottile, feci un respiro fondo, dovevo riuscire a mettere in
pratica i buoni propositi che mi accoglievano al risveglio…
e che di solito per metà giornata erano già tutti
morti e sepolti. Quella mattina avevo tempo per me, non
c’erano neanche gli allenamenti, mi sarei goduto in pace la
colazione. Volevo e dovevo farlo. Soprattutto ora che mi sentivo
soddisfatto di me, per aver fatto la cosa giusta, parlando con quel
moccioso di Black. Dovevo riuscire a sistemare quello che era alla mia
portata, per sentirmi un poco in pace con me stesso, e non pensare a
nient’altro.
Voglio
parlarti, Black... possiamo vederci al cortile dell'Orologio tra un
paio di ore?
Era stato tanto semplice che mi insultavo da solo per non averci
pensato prima, bastava essere pazienti e persuasivi… e la
persuasione era da sempre uno dei miei punti di forza. Avrei parlato
anche a quel Potter: fanatico di Quidditch com'era, avremmo trovato un
punto in comune e da lì tutto sarebbe stato semplice. Ci
sarei riuscito, non potevo permettere che mia sorella passasse giorni
d'inferno per le cazzate scritte da uno stupido giornale e per
l'esaltazione di un piccolo pallone gonfiato.
Ti dai tanto da fare perché pensi che se farai le cose
giuste il destino sarà in debito con te, e dovrà
darti ciò che vuoi... ma sai bene che le cose non vanno mai
come dovrebbero andare...
«È solo una delle
stronzate che raccontano questi prestigiatori del Nord, non ricordo una
sola volta che non soffiasse un vento maledetto in quelle lande
desolate, quando ci sono stato… »
«Quello è
perché neanche la natura ti vuole tra i piedi,
Malfoy… »
«Ahahahaha… Buona
questa, Sherton!»
Avevo continuato a fissare le uova strapazzate, senza dar prova di
seguire la conversazione, così nessuno si era accorto che li
stessi ascoltando e tutti, sorpresi, esplosero in risate alla mia
risposta ghignante: non Lucius, naturalmente, che mi fissava risentito
da capotavola, ben lontano da me.
Accanto
a Narcissa…
Sospirai, quello era un altro argomento su cui mettere una pietra
tombale, una buona volta e alla svelta. Sollevai lo sguardo, senza
degnare d'attenzione i miei compagni, lo lasciai spaziare lontano dal
nostro tavolo, per tutta la sala, allungandomi verso i Ravenclaw, e
infine feci un sorriso storto e fascinoso dei miei a una tizia del
quarto che, me ne ero accorto solo negli ultimi giorni, mi fissava
insistente ogni volta che girovagavo smarrito nel settore di Erbologia,
in biblioteca.
«Secondo me Malfoy non vuole
uscire vivo da questa scuola, viste le stronzate che spara!»
«Ahahahahah…
»
«E tu sei uno che se ne
intende di stronzate, vero Lestrange?»
«Ahahahahah…
»
«Ahahahahah…
»
Rabastan, seduto quasi in braccio a Evan, mi diede un paio di pacche
alle spalle che quasi mi fecero mollare il boccone, io sghignazzai,
benché, dopo i fatti delle ultime settimane, cominciassi a
stufarmi degli stupidi rituali che mettevano in piedi i miei amici. Tra
l’altro, non capivo che cosa avessero, tutti e due, tanto
Evan che Rabastan sembravano ancora più strani del solito:
Rosier sembrava triste o incazzato, mi aveva detto sì e no
mezza parola, ma per quanto ci pensassi, non capivo cosa avessi detto o
fatto per farlo risentire, mentre Lestrange era fin troppo espansivo
per i miei gusti, se non rompeva le scatole a Malfoy, infatti, faceva
casino spintonandosi con Evan e gettandomelo quasi contro, o lasciando
libero un maledetto boccino davanti a me e a mia sorella.
«Dai, stai buono,
Rabastan… e stai al posto tuo… »
«A parte le stronzate, Malfoy
non ha tutti i torti, se ci pensate tutte le tempeste che si scatenano
sulla scuola salgono da quelle montagne... e di là delle
montagne, si sa, ci sono le Terre del Nord!»
Finalmente Rosier era uscito dal suo mutismo rancoroso e mi lanciava
uno di quei suoi sguardi liquidi che cercavano approvazione. Io decisi
di fargliela scontare per un po’, in quei giorni Evan mi era
sembrato l’unico capace di comprendere i miei casini senza
risultare invadente e ora quel suo atteggiamento incomprensibile e
distaccato mi aveva dato fastidio, non avevo mai sopportato le persone
che erano o sembravano incoerenti.
«Si sa, Rosier? E chi lo
dice?»
«Me l’ha detto
Rigel… ha detto “è vero…
sono di là delle montagne…” vero
Rigel?»
Mollai la pancetta per fissarlo beffardo, a pochi centimetri da me:
Evan pensava di aver detto una cosa intelligente o di aver mostrato
buona memoria ricordando discorsi di un anno e mezzo prima, per questo
rimase incerto, non trovandomi rapido a fargli da spalla. Ghignai, poi
scoppiai a ridere.
«Ci hai creduto, Rosier? Come
dice Malfoy, da bravo Mago del Nord dico solo stronzate, no?»
«Ma come... ohhh.... ma vai a
farti un giro da Godric pure tu, Sherton!! Ahahahahah»
«Ahahahahah…»
Lucius tossicchiò di disapprovazione, poi decise di
dimenticare la presenza molesta di tutti noi, ottusa plebaglia, per
concentrarsi sulla sua principessina dai boccoli dorati, io mi voltai a
fissare il mio piatto per non guardare, la bocca improvvisamene piena
di fiele, chiesi a Rabastan di passarmi del succo di arancia, dalla mia
parte non c’era rimasto nulla, era finito tutto davanti a
lui, il solito idiota che non smetteva mai di fare scherzi cretini,
neanche il giorno del funerala di suo padre.
«Cercavi di scolartele tutte
per diluire gli alcolici che hai nel sangue, Lestrange? Zio, nonno e
fratello si son tutti coalizzai per costringerti a condurre una via
sana e morigerata? Ahahahaha… »
«Quegli stronzi possono
provarci a costringermi a fare qualcosa, così li ritrovano
domattina a zampe in su, dentro una di quelle tinozze di brodaglia che
producono, da bravi mangialumache!»
«I Maghi francesi coltivano
viti e producono vino? Salazar! È…
SCHIFOSAMENTe... babbano!»
«Che ne so, Alecto... la cosa
peggiore è che mio fratello intende portare avanti la follia
che da qualche mese aveva colto mio padre, ma sia chiaro io non
avrò mai nulla a che fare con quelli lì...
»
«Sicuro, Lestrange? Se non
sbaglio sei già in riardo per l'appuntamento con tuo
fratello... destinazione: raggiungere quelli lì!»
«Devi sempre farti i cazzi
degli altri Malfoy? Ti senti punto sul vivo? Hai parenti mangialumache
che si comportano da volgari babbani da difendere?»
«Noi Malfoy siamo inglesi
molto più di voi, Lestrange… siamo qui
addirittura dai tempi di Guglielmo il Conquistatore, noi...»
«E da allora, fino al Trattato
di Segretezza Magica, tutti sanno che non vi ha mai fatto schifo
sposare dei Babbani per appropriarvi dei loro patrimoni e dei loro
terreni... ahahahahah… »
«Buon giorno,
ragazzi… Non ti avevo detto che ti attendevo alla scala del
Preside, alle nove in punto, fratello?»
Ammutolimmo tutti, persino Malfoy, quando la voce di Roddy
“faccia di cane” Lestrange mi raggiunse alle
spalle: non avevo bisogno neanche di voltarmi per riconoscerlo, avevo
sentito la sua dannata voce fin troppo per i miei gusti, a casa, a
ridere e confabulare con mio fratello. Tutto il peggio che stava
accadendo alla mia famiglia, ne ero certo, nasceva da quella stupida e
inopportuna amicizia.
Sai che occorre fare buon viso, Rigel…
I miei compagni si alzarono e lo salutarono, mi alzai a mia volta, in
attesa di salutarlo anch’io, tra pavoni ci si intendeva e
Rodolphus era già tutto preso da Malfoy, sembrava trattarlo
da suo pari, facendo stupidi convenevoli e complimentandosi per
l’ennesima volta per la bella coppia che costituivano lui e
Narcissa: in quel momento compresi perché Rabastan diceva
che suo fratello lo faceva vomitare. Stavo cercando di trattenere il
disgusto per quelle smancerie, quando Meissa dietro di me mi diede una
piccola spinta, mi voltai e la vidi mentre rimetteva a posto il mio
bicchiere.
«Perché mi rubi il
succo di zucca?»
«Chiedilo a Evan, è
riuscito a versare il poco che non aveva ancora bevuto quell'altro
cretino!»
«Ma porc... non ho bevuto
neanche una goccia e questo cavolo di bacon già sembra
fuoco!»
Meissa fece spallucce, conoscendola, secondo lei, quella era la giusta
punizione per essermi attardato a parlare con Black, il
nemico... mentre già iniziavo a boccheggiare,
Rodolphus, con uno dei suoi caratteristici ghigni, salutò
mia sorella e me: quando si voltò di tre quarti per guardare
il tavolo dei professori, dicendo qualcosa sul fatto che Dumbledore
aveva passato la notte a Londra, la sua giacca si aprì
leggermente, lasciando intravvedere una copia del Daily che teneva
nella tasca interna. Ebbi un sussulto quando mi parve di leggere le
lettere SHERT a caratteri cubitali sul poco che si intravvedeva del
titolo. Meissa mi strattonò, doveva aver visto e aver avuto
lo stesso sospetto, era verde da quanto era pallida, gli occhi lucidi e
febbricitanti, temetti stesse per crollare. Sentii anch’io lo
stomaco e le viscere torcersi dalla paura e dall’angoscia.
Cercai di farmi forza e ci provai.
«Signor Lestrange, mi
scusi… ho visto che ha una copia del Daily…
potrebbe prestarcelo, per favore? Da alcuni giorni il Preside non
permette a tutti gli studenti di riceverlo e mi è
sembrato… »
«Sarebbe meglio di no,
ragazzi… mi spiace… »
«Perché
cos’è successo stavolta? Sono sicura di aver visto
il nostro nome sul titolo del… »
«Meissa!»
«Mio fratello rischia di
essere sbattuto fuori alla prossima che combina, signorina Sherton, e
il professor Slughorn è stato molto risoluto sul discorso
giornali… perciò, per favore, non chiedetemi di
andare contro le regole... Il Preside è a Londra, vi
parlerà al ritorno, presumo, buona giornata…
»
Riuscii a malapena a prendere e scolarmi l'ultimo bicchiere di succo
che Rabastan mi concesse di bere, senza versarmelo addosso, prima che
Meissa mi arpionasse l'avambraccio: aveva capito come me che era
accaduto qualcosa e a mano a mano che salivamo, diretti al cortile di
Trasfigurazione per parlare con la McGonaghall, mia sorella, dopo i
fatti di Halloween, riteneva che la professoressa fosse più
malleabile di Slughorn, sentivo il cuore saltarmi fuori dal petto dalla
paura. Cercavo di interpretare il volto di Lestrange e più
lo ricostruivo nella mente, meno mi sembrava il volto di un uomo che
porta buone notizie. Non ero sicuro di voler sapere, di voler leggere
il titolo di quel dannato giornale, non ero sicuro di avere le forze
sufficienti per affrontare la verità. Ma neanche io, come
mia sorella, potevo restare ancora sospeso, inconsapevole, sopra il
baratro che ci stava aspettando da tanto, troppo tempo.
***
Rabastan Lestrange
Plumelec, Bretagna - dom. 23 gennaio 1972
«Alla fine sarà l'inverno più freddo
degli ultimi anni, credetemi, mai vista così tanta neve qui
in Bretagna! E voi, ragazzi?»
Ero affogato da settimane in quella dannata neve, a Hogwarts,
figuriamoci se mi interessava che avesse nevicato anche in Francia. Non
la sopportavo più da un pezzo. E, da un pezzo, non
sopportavo più quella rottura di scatole che erano i miei
compagni di viaggio.
«Non saprei, signore: non
vengo in Bretagna dal funerale di mia madre... »
Cygnus Black forse capì dalla mia risposta secca quanto
molesti risultassero per me quel suo ciarlare petulante e
l’enormità della gaffe appena fatta, lo osservai
riflesso sul finestrino mordersi mortificato il labbro e arricciarsi
nervoso gli assurdi baffetti rachitici che gli incorniciavano la faccia
pallida, senza neanche riuscire a mitigare quel naso da coglione che si
ritrovava, eredità dei Crabble, sicuramente. Il silenzio
imbarazzato durò per poco, Augustus Rookwood
iniziò a raccontare cosa avesse sentito negli uffici del
Ministero e come la compravendita in cui si stavano impegnando tutti e
tre potesse essere favorita dall'attuale politica estera del Ministro
Lodge, così ripresero come nulla fosse a parlare dei loro
affari del piffero ed io continuai a essere un fantasma ai loro occhi,
come già per tutta la prima parte del viaggio. Non
mi stupiva che mio fratello avesse fatto cadere il discorso, passando
oltre con estrema non curanza: non sapevo che cosa avesse in mente,
perché lo facesse, ma Rodolphus da un po' cercava di
ingraziarsi il vecchio Pollux con ogni mezzo, soprattutto incensando in
ogni occasione, soprattutto a sproposito, il figlio Cygnus, terzogenito
tanto prediletto quanto petulante e incapace.
Sbuffai e continuai a guardarli disgustato attraverso il riflesso sul
finestrino, le mani affondate nelle tasche e il mento dentro il bavero.
Avevo duemila domande da fare a mio fratello, sugli esiti della notte
precedente, sugli effetti della pozione che mi aveva dato da
somministrare, sul “fidanzamento” che voleva
impormi; chiarire era l'unico motivo per cui avevo accettato di
sottopormi alla tortura di quella giornata in Francia, ma la presenza
di quei due imbecilli mi privava della possibilità di
parlargli di ciò che mi premeva.
Se
avessi capito in tempo cosa mi avrebbe riservato la giornata, mi sarei
messo d'impegno a tentare di sbronzarmi ed evitare la partenza. E
invece… vai a farti fottere, Rodolphus!
Da alcuni minuti eravamo sbucati fuori dal vortice magico, nel bel
mezzo della foresta di Paimpont, la coppia di Thestral che trainava la
nostra carrozza galoppava impazzita, le due orride bestiacce neanche
sfioravano il terreno, mentre due ali di alberi si aprivano a stento ai
nostri fianchi, schizzando addosso ai vetri ghiaccio misto a resina.
Mio fratello aveva deciso di fare le cose in grande, presentandosi con
quella dannata carrozza, voleva impressionare i parenti francesi,
dimostrare di essere un capo famiglia diverso da mio padre, di sapersi
occupare di me e, con la partecipazione del suocero, voleva far
presenti le conoscenze altolocate che avevamo in Gran Bretagna: nonni e
zii non dovevano pensare a noi come orfani incapaci di provvedere a
sé stessi, ma come minacce ai loro interessi.
“Meglio
che lo capiscano subito… se provassero a impicciarsi delle
nostre cose, Rabastan, sarebbe solo peggio per loro...”
L'aveva sibilato attraversando il portico della scuola con passo
militare brandendo la bacchetta. No, non sarebbero stati gli amici
ricchi e potenti di Cygnus e Pollux Black il problema di chi avesse
fatto l'errore di ostacolare il suo cammino, ma un Mago Oscuro, ormai
noto anche fuori dai confini del Regno, come il Mondo Magico non ne
vedeva di eguali dai tempi di Grindelwald. Fu l'unico momento di tutta
la lunga giornata in cui mio fratello mi aveva strappato un singulto di
ammirazione.
Anche se capivo gli intenti di mio fratello, avrei preferito una
partenza meno spettacolare, una bella Passaporta, o al limite il
caminetto del Preside, invece, quando Rodolphus mi aveva prelevato a
forza dalla Sala Grande, ad attenderci al centro del cortile, presso le
serre, in bella vista rispetto al loggiato del terzo piano, c'era
proprio la carrozza vinta ai dadi a quella schiappa di Malfoy senior, a
Natale. Non era frequente che qualcuno ottenesse il permesso di
accedere al castello con un mezzo privato come una carrozza,
così la maggior parte dei miei amici e degli altri studenti
si accalcò nel loggiato a guardare: avevo visto con la coda
dell'occhio anche Lucius che fissava risentito la sua vecchia carrozza
ridipinta con i nostri colori, su, al terzo piano, e già
questo mi aveva irritato, ormai dove c'era lui c'era anche Narcissa ed
io non volevo mi vedesse salire su quel trabiccolo pacchiano, come un
ladro approfittatore qualsiasi.
Sebbene
la simbologia di entrare in qualcosa che appartiene a Lucius e a cui
lui tiene tanto... meglio non pensarci, già solo il nome di
Narcissa mi infiamma e mi rende difficile sedere comodo dentro queste
braghe strette... poi il fatto di ripensarla nuda mentre quel
deficiente del padre parla a sproposito qui davanti a me...
Salazar… aiutami a resistere…
Rodolphus mi aveva preso per la collottola e spinto nella carrozza,
mentre mi attardavo a fissare e insultare i miei amici, impegnati a
fare il coretto agli uggiolii di Alecto e di Evan che canticchiavano il
ritornello di “Goodbye my princess…”.
Avevo mandato alla malora anche mio fratello, mentre salivo, e
Rodolphus aveva subito chiuso la portiera dietro di sé,
così la carrozza era partita a scatto, ed io, prima ancora
di rendermi conto che non avrei viaggiato solo con mio fratello o al
limite con sua moglie, ma che nel buio c'erano altri due uomini, ero
già caduto addosso a quello più anziano.
«Datti un contegno, o il mio
gentile suocero penserà che tra le altre disgrazie, da mio
padre io abbia ereditato anche un fratello minorenne e minorato,
incapace di badare a sé stesso.»
«Mi scusi signor Black... non
volevo… di certo… non mi sono reso
conto… »
No. Se me ne fossi reso conto, in realtà, avrei cercato di
fare più danni possibili, solo per mettere in imbarazzo
Rodolphus, ma mi guardai bene dal dirlo o dal farlo capire.
«Non darti pena, figliolo, la
colpa è di questi dannati Elfi che non sanno stare al loro
posto, ma vedrete che Bellatrix imporrà presto anche ai
vostri domestici la disciplina che ha imparato nella Sacra Casa dei
Black... dovete sapere che il trisavolo Phineas a tal proposito
diceva... »
Quello che era seguito mi aveva portato a un passo dal coma o dalla
narcolessia irreversibile, se c'era qualcosa che mi strappava smorfie
di disgusto era la prosopopea di quella manica di palloni gonfiati: la
mia mente era subito volata lontano per difendermi, al punto che
trattenni a stento un ghigno malefico quando ripensai alla gara fatta
con Evan, durante le vacanze di Natale, al ricevimento per il
fidanzamento di Narcissa e Lucius, avevamo passato buona parte del
tempo a sbronzarci e a scovare tutti gli stemmi dei Toujours Pur
distribuiti negli eleganti giardini di Black Manor e ci eravamo
divertiti a chi li innaffiava da più lontano. Rodolphus
notò la mia faccia irridente e compiaciuta e temendo qualche
mia uscita fuori luogo mi fulminò con
un’occhiataccia carica di minacce. Finsi di essere un bravo
giovane cortese e provai a interrompere il fiume di blateramenti.
«A proposito, scusatemi...
ma... dov'è Bellatrix?»
«Non si sente ancora molto
bene, ho preferito non si stancasse con questo viaggio…
»
Beata lei!
«Sono presente io, in sua
vece, per testimoniare la
partecipazione e la vicinanza di tutta la nobile famiglia Black al
vostro lutto, ragazzi... »
«Salazar… Che
bello… »
Questo mi sfuggì a voce alta, Rodolphus mi
incenerì, io gli rimandai l'occhiataccia in tralice: che
cosa voleva da me? Se non voleva correre il rischio di fare brutta
figura a causa mia con i suoi adorati Black, poteva lasciarmi
tranquillo a scuola, o no?
«Scusatelo, Cygnus, purtroppo
mio fratello si agita parecchio al pensiero di incontrare alcuni dei
nostri cugini, in parte però ne sono compiaciuto,
è bello scoprire che esiste qualcun altro che mio fratello
addirittura detesta più di me,
ahahahah…»
«Oh, no… Che parole
grosse, Rodolphus… detestare... potrei raccontarvi aneddoti
atroci sulle battaglie tra i miei fratelli e me... anche quella
è una fase della vita, un giorno avrete bisogno davvero uno
dell'altro e vi renderete conto di quanto sia fortunato chi
può contare sulla presenza di un fratello.»
BASTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
Avrei voluto ribattere, ma immaginavo che avrei solo dato a mio
fratello ulteriore soddisfazione e non ne avevo alcuna voglia, avevo
affondato le mani nelle tasche del pastrano e sollevato il bavero, mi
ero voltato verso uno dei finestrini e avevo finto di dormire, tutto
pur di non farmi coinvolgere in altre discussioni con uno di loro.
Finché non avevo capito che avrebbero parlato solo degli
affari comuni delle famiglie, avevo però tenuto le orecchie
tese, sperando di cogliere qualche informazione su quanto era accaduto
la sera prima, ma nessuno vi fece cenno. Non c'erano neanche discorsi
circa la divisione o l'utilizzo del patrimonio di nostro padre, che
potessero interessarmi e mettermi sull'avviso, tutto si era concentrato
sull'acquisizione di terre e vigneti nel sud della Francia, ovvero
l'alibi che mio fratello aveva costruito per giustificare la presenza e
la morte del vecchio bastardo in terra francese. Rodolphus aveva tirato
fuori un paio di pergamene e si erano talmente immersi in quella
discussione che neanche si accorsero, a parte la battuta sulla
nevicata, che eravamo arrivati.
*
Avevo visto la villa in cui era nata nostra madre pochissime volte, lei
non amava ritornarci, nostro padre aveva di meglio da fare e io legavo
l'idea di quella casa solo a ricordi lontanissimi di noiosi raduni di
famiglia, di cugini odiosi che si divertivano a parlare una lingua che
a quei tempi non capivo. L'unica memoria piacevole erano gli ettari di
foresta sterminata che si sviluppava in ogni direzione, dove amavo
inoltrarmi e perdermi, sicuro che nessuno sarebbe venuto a cercarmi,
cagasotto com’erano. Avevo viso la natura fare cose
meravigliose, molto istruttive, molto... ispiratrici... in certi antri
oscuri. Ghignai, mi chiedevo se l'amore per il sangue mi fosse nato da
quello che avevo visto, o se la foresta mi aveva lasciato guardare
dentro di sé, perché sentiva già in me
l'attitudine al sangue...
Quando scendemmo, lasciai che Rodolphus stesse dietro a quell'impiastro
di Black, svicolai a un tentativo di attaccar bottone di Rookwood e mi
avviai spedito lungo il sentiero che conduceva all'entrata, la tenuta
era immersa nella neve, al punto che non si riusciva a distinguere
niente, neanche le forme degli alberelli di rose cui mia madre pare
avesse dedicato buona pare della sua fanciullezza.
Di
sicuro sono state strappate via appena lei è
morta…
Scossi leggero la testa, non volevo ricordare che lei non aveva vissuto
neanche lì un minimo di felicità, non amavo
pensare a mia madre e se non volevo essere lì, era proprio
perché sapevo che nonostante tutti gli sforzi avrei finito
col rimuginare troppo su di lei. Gli Elfi presero i nostri pochi
bagagli e ci fecero strada, il corridoio sembrava infinito, e
già avevamo attraversato un ampio ingresso, eravamo scesi di
una mezza rampa, avevamo lasciato un giardino coperto alla nostra
sinistra, poi eravamo entrati nel corpo fortificato dell'edificio
più antico, arrampicandoci nella scala interna di uno
stretto torricino, da lì si era aperta la galleria degli
antenati, dove un tempo dovevano esserci i cimeli del ramo francese
della nostra famiglia. I nostri passi risuonavano cupi del nostro
silenzio tra quelle pareti ormai spoglie, tra i pochi arazzi tarlati
rimasti si susseguivano sempre più fitte le nicchie che un
tempo custodivano statue e arredi, ormai miserande e vuote. Vidi
l'espressione accigliata di Rodolphus, le cose erano ben diverse
dall'ultima volta che eravamo stati lì e non era cosa buona
che il suocero vedesse tutta quella decadenza.
Il nonno deve aver sperperato in fretta e furia il ricavato della
vendita di mia madre...e mio padre deve aver smesso subito di
elargirgli mance, una volta messa la moglie sottoterra.
Strinsi i pugni nelle tasche, la bile che mi saliva fino alla bocca.
Sapevo che sarebbe finita così. Serrai tra le dita gli
anelli che mio fratello mi aveva donato, gli occhi sempre fissi a
terra, maledicendo ancora una volta me stesso per non aver trovato il
modo di sfuggire a quella giornata maledetta. Ogni tanto posavo lo
sguardo su Rodolphus, tre passi avanti a me, come quando eravamo
bambini, il consueto passo marziale che sembrava diventato ancora
più imperioso e prepotente dalle vacanze di Natale. Il suo
volto era livido. Rookwood ogni tanto si incantava davanti a uno spazio
vuoto, Cygnus sembrava farsi sempre più piccolo, doveva
percepire anche lui la tensione che montava e la rabbia che si
concentrava in mio fratello. All'improvviso la noia per quella giornata
si trasformò in paura... Se mio fratello si fosse incazzato
di brutto con i nostri parenti, e tutto lasciava intendere che sarebbe
finita così a breve, e avesse scoperto che le cose, a
Hogwars, non erano andate esattamente come mi aveva ordinato, c'erano
ottime possibilità che non avrei visto la fine di quella.
Forse
non era poi il caso di dare un’interpretazione personale ai
tuoi ordini, fratello…
Ghignavo, sotto lo sguardo sulfureo di Rodolphus, ed ero talmente preso
dal pensiero di quanto stava accadendo a Hogwars, che alla fine mi
ritrovai davanti al ritratto di mia madre quasi a tradimento: sentii un
tuffo al cuore e per un attimo mi parve di non respirare,
mentre mettevo a fuoco la spada che teneva tra le mani, il
suo viso pallido e serio, i capelli acconciati in una lunga treccia che
la rendevano ancora più giovane dei suoi 13 anni, il vestito
leggero sistemato come una tunica, un velo che la copriva appena e, in
riva allo stagno, di fronte a lei, in ginocchio, suo fratello, mio zio,
un feticcio di barba bianca e un cappello pervinca. La raffigurazione
di Viviane e Mago Merlino. Notai lo spesso strato di polvere che
incrostava la cornice e l'odore di umidità che emanava, quel
quadro era stato rimesso al suo posto in fretta e furia...
«Ti muovi? Abbiamo molto da
fare e siamo in ritardo!»
«Il quadro di nostra madre era
tenuto nei sotterranei fino a poco fa, hai visto?»
«I nostri parenti cercano di
passare per pezzenti, perché sanno che mi sono portato
dietro certe carte di nostro padre, che attestano come buona parte di
tutto questo sia già nostro… sicuramente vogliono
farci intendere che sono alla fame, che queste proprietà non
rendono nulla, che reclamare i nostri diritti non sia conveniente, ma
come ti ho detto, se credono di prendere per il culo me, cadono proprio
male.»
Mi prese per un braccio, mentre con l'altra mano andava a picchiarsi
sul petto, sentii il rumore inconfondibile della pergamena contro il
tessuto. A stento mi staccai di lì, lanciai un'ultima
occhiata a nostra madre: tutti quelli che l'avevano conosciuta dicevano
che mio fratello ed io da lei avevamo preso i capelli mossi e ramati e
gli occhi, ma avevamo preso di più, molto di
più... Di lei avevo sentito dire che aveva una naturale
predisposizione per gli incantesimi di Trasfigurazione e che sarebbe
diventata una Strega straordinaria, se solo non le avessero spezzato la
vita dandola via, per pochi denari, mandandola nella casa di un uomo
capace solo di sfogare su di lei le proprie perversioni.
Sì,
avevamo preso molto da lei, l'abilità, la fame e la rabbia
Tornai a guardare Rodolphus, lui non si era fermato, non le aveva
regalato che un fugace sguardo.
Perché
lui ha già fatto di più… molto di
più e l'ha fatto per te… e anche per me.
Lui, ha ucciso l'uomo che ti ha spezzata... che ha spezzato
entrambi…
Estrassi uno degli anelli che avevo in tasca, era la fede di mia madre.
La fissai. Rodolphus fissò me.
«Io... te lo giuro…
verserò sulla sua tomba il sangue di chi l’ha
venduta... »
«Lo so. Sei qui per questo,
Rabastan… al momento debito, fratello... tutto al momento
debito.»
Mi fissò, ci fissammo. E per la prima volta mio fratello mi
sorrise.
*continua*
NdA:
Ciao a tutti, della
serie chi non muore si rivede... Avevo scritto che questo capitolo
sarebbe stato preceduto da un riassunto, purtroppo al momento sto con
un pc con ventola rotta che con il caldo di questi giorni mi si spegne
ogni
due minuti e l'altro a cui mancano alcune lettere, morale, avrei
rischiato, dopo aver promesso a maggio di aggiornare, finalmente, di
farmi rivedere solo in autunno. Perciò in attesa
di riavere i pc, vi invito a farmi eventuali domande, se vi siete persi
qualcosa, io sono qui.
Le tematiche del capitolo si inseriscono nei discorsi iniziati negli
ultimi pubblicati l'anno scorso, e cioè il piano di
Rodolphus di ufficializzare il fidanzamento di Rabastan con Meissa x
far uscire Mirzam allo scoperto, gli scheletri nell'armadio della
famiglia Lestrange (che salteranno fuori con il funerale del vecchio
Roland), il piano di avvelenamento di Rigel. Il tutto mentre quello che
abbiamo iniziato a vedere a Morvah, tra Milord, gli uomini di Crouch e
la Confraternita è ormai avvenuto, il segreto è
svelato a chi può leggere il Daily. Noi lo vedremo insieme a
Rigel e Meissa e scopriremo anche se il piano per avvelenare Rigel
è andato bene, o è accaduto qualcosa di
imprevisto come suggerirebbero le paure di Rabastan. E se Abraxas
Malfoy e Demian
Rosier sono riusciti a usare la Giratempo vista nell'ultimo capitolo
dell'anno scorso per scongiurare il peggio.
Bon a presto, intanto in bocca al lupo a chi deve affrontare esami
universitari / Maturità/ ecc ecc
Baci
Valeria
Scheda
Immagine Viviana e Merlino
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