_____________________________________________________________________________________
Quando aveva detto a Lou
che aveva bisogno di tutta la sua squadra per capire quale fosse quel
"qualcosa di più complesso" che sospettava ci fosse dietro
un solo ragazzo che si era messo a fabbricare bombe e che, una volta
braccato, aveva preferito gettarsi giù da un tetto piuttosto
che venire arrestato, dava per scontato che avrebbe avuto a
disposizione anche tutta la propria. Peccato che Danny fosse ancora
alla seduta di fisioterapia e non rispondesse al cellulare e
Catherine... beh, era vero che dopo la morte di Billy le aveva dato un
badge, ma non l'aveva mai sentita pienamente parte della Five-0; la
riteneva più come Jenna, un'aiutante esterna, con l'unica
differenza che con Catherine ci andava a letto.
Andava, appunto,
perché il fatto che avesse voluto prendersi quell'ennesimo
periodo di pausa, lasciando persino le Hawaii, non lo faceva ben
sperare. Lo stesso Danny pensava che avesse tagliato la corda,
perché avrebbe dovuto convincersi del contrario?
Non riusciva nemmeno ad immaginare come si fosse sentita quando aveva
scoperto della sua relazione col detective e non l'avrebbe biasimata,
se avesse voluto porre fine alla loro, di relazione. Prima
però voleva parlarle, spiegarle che quello che provava per
Danny e quello che provava per lei erano entrambi sentimenti veri.
Voleva che sapesse che non le aveva mai mentito in quel senso, ma prima
doveva trovare il coraggio, coraggio che non aveva avuto quando
Catherine gli aveva comunicato del suo viaggio sulla terra ferma.
Era passata la
mezzanotte quando tornò a casa e trovò Catherine
seduta sugli scalini della veranda.
Steve
percheggiò la Silverado nello spazio davanti alla serranda
del garage e dopo essersi concesso un respiro profondo scese dal
pick-up per andarle incontro.
Era stanco e aveva un
aspetto terribile, ancora sporco di polvere e sangue, eppure Cath non
se ne curò e una volta di fronte a lei gli avvolse le
braccia intorno al collo, con una mano a stringergli la spalla sinistra
e l'altra ad accarezzargli i capelli.
Sarebbe stato troppo
chiedere che quella tremenda giornata finisse così,
rasserenato dall'abbraccio della ragazza per cui aveva rinunciato a
Danny, per questo Catherine si scostò un poco per posare la
fronte contro la sua e guardarlo negli occhi.
«Devo andare
via da Oahu per un po'», sussurrò.
«Cosa?».
Prima era tornata al suo
appartamento, ora voleva andare via dall'isola. Non poteva credere che
stesse succedendo sul serio, che lei, lei
che c'era sempre stata per lui
e che pensava che nonostante tutto l'avrebbe sempre trovata ad
aspettarlo, si stava allontanando sempre di più. Proprio ora
che stava cercando di mettere da parte l'amore per Danny, oltretutto.
«Lo so che
è il momento peggiore, però ne ho bisogno. Entrambi
ne abbiamo bisogno, per
schiarirci le idee».
Non glielo stava dicendo
direttamente, ma ora che Steve sapeva era fin troppo chiaro intuire che
si riferisse a quello strano triangolo che si era creato: Catherine
voleva sentirsi dire che era e sarebbe stata l'unica nel suo cuore e
gli stava concedendo del tempo per farlo. Quello che in tempi di guerra
si sarebbe chiamato ultimatum.
«Va
bene», mormorò alla fine, socchiudendo gli occhi
mentre le posava un bacio sulla fronte, con le mani ad accarezzarle le
guance. «Posso sapere almeno dove andrai?».
Catherine gli rivolse un
sorriso intriso di tristezza e gli prese le mani con delicatezza per
spostarsi di lato, in modo tale da poter scorgere meglio l'espressione
del suo viso grazie alla pallida luce della luna.
«Da amici,
sulla terra ferma», fu la sua risposta evasiva. Di che cosa
aveva paura?
Steve decise di non
indagare oltre ed annuì, sottraendo le mani per infilarsele
nelle tasche dei cargo.
«A presto,
Steve», lo salutò la mora e senza aspettare una
risposta si diresse a passo svelto verso la Corvette.
Proprio come aveva fatto
quel pomeriggio, non si voltò mai a guardarlo, ferendolo con
la stessa intensità di una pugnalata al cuore. Ma forse se
lo meritava, tutto quel dolore. Non era niente in confronto a quello
che doveva aver patito lei scoprendo che per chissà quanto
tempo l'aveva tradita con Danny.
«Fai buon
viaggio», le disse prima che si infilasse al posto di guida,
sollevando una mano.
Il tenente Rollins
abbozzò l'ennesimo sorriso malinconico e chiuse la portiera
con un tonfo, poi girò le chiavi nel quadro e fece marcia
indietro per immettersi nella strada. I fari lo accecarono per un
attimo, ma si costrinse a non perdere mai di vista l'auto azzurra fino
a quando non fosse più alla sua portata.
Entrò in casa
e senza nemmeno accendere la luce in soggiorno salì al piano
superiore per infilarsi direttamente in bagno, dove si
spogliò e si gettò sotto la doccia. L'acqua calda
lavò via lo sporco e il sangue ormai secco, ma non
lenì le ferite che riportava sulla pelle e sul cuore.
Rimase sotto il getto
ben più di tre minuti. Ci rimase il tempo necessario a
rilassarsi e quando uscì indossò dei semplici
boxer e con i capelli ancora umidi si gettò sul letto, su
cui crollò in un sonno spesso interrotto dagli incubi.
Da quando era partita non l'aveva mai sentita e nonostante
più volte avesse tenuto tra le mani il cellulare con
l'intento di chiamarla, non era mai andato fino in fondo. Lui aveva
preso la sua decisione e ora voleva dare a lei del tempo per fare lo
stesso.
Doveva solo tenere duro e concentrarsi sul caso, senza pensare a quanto
si fosse sentito sollevato quando aveva visto Danny e a quello che
aveva provato quando come uno stupido aveva concluso il loro primo
battibecco della giornata con un "Ti amo" uscitogli dal cuore
più che dalla bocca. Se davvero aveva deciso di stare con
Catherine non avrebbe dovuto dirglielo in primo luogo, ma soprattutto
non avrebbe dovuto sentire il proprio cuore perdere un battito quando
il detective aveva risposto: «Ti amo anch'io».
Di comune accordo avevano scelto di prendere strade separate, giusto?
Sì, ne era sicuro. Forse Danny aveva interpretato le sue
parole come un semplice e fraterno "Ti voglio bene" e aveva risposto a
modo, senza voler intendere nient'altro.
Steve cercò di convincersene e mettendo da parte i
sentimenti raggiunse Kono al tavolo touch-screen. Doveva focalizzarsi
totalmente sul caso, solo così avrebbe evitato di pensare.
Peccato che quel caso in particolare avrebbe riaperto ferite che il
SEAL avrebbe voluto restassero chiuse per sempre.
*
Danny provò a chiamare di nuovo Steve, ma ancora una volta
gli risultò irraggiungibile. Spinse la porta a vetri che
dava sul centro operativo del quartier generale e trovò Chin
e Kono davanti al tavolo touch-screen, intenti ad esaminare quelli che
sembravano progetti di bombe.
Un brutto presentimento gli fece accapponare la pelle, ma
cercò di non darlo a vedere e salutò i cugini,
per poi andare direttamente al cuore della questione: «Steve
mi ha cercato, ma non riesco a contattarlo».
«Perché è di sotto con una
sospettata», gli spiegò Chin, indicando la foto di
una ragazza sul monitor di fronte a loro.
I colleghi lo aggiornarono sugli sviluppi del caso e ben presto Danny
dovette dar ragione al suo sesto senso: quando c'erano di mezzo dei
soldati Steve diventava un'altra persona, o meglio il SEAL che era e
che sarebbe sempre stato tornava a prendere il sopravvento, rischiando
di allontanarlo dalle procedure che avrebbero adottato per casi
normali. Se lasciato allo sbando, era in grado di fare vere e proprie
pazzie e Danny non poteva permetterlo, non sotto il suo naso.
«Vado a vedere a che punto è», disse a
Chin e Kono prima di dirigersi verso l'ascensore.
Davanti alla porta blindata della
blue
room, Danny si fermò ad ascoltare quello che
stava avvenendo all'interno. Non era una rarità che
McGarrett si mettesse ad urlare in faccia ai sospettati, ma la rabbia e
il dolore che trasudavano dalle sue parole lo colpirono come un pugno
ben assestato nello stomaco.
«Vigliacchi? Vuoi parlare di vigliacchi? Potevi dirlo. Okay,
parliamo di vigliacchi. Cominciamo con il tuo amico Nazaria, il vostro
mentore: dov'è adesso? Si
nasconde in una
grotta sulle montagne dello Yemen. Credi davvero che gli importi di te?
Credi che a quel traditore gli importi se tu e i tuoi amici morirete o
se passerete il resto della vostra dannata vita a marcire in una
prigione federale?».
«Muhammed Nazaria è un guerriero, è un
soldato di Dio, che persegue la verità e la luce! Lui
è il nostro leader!».
«I leader combattono in prima linea. Io non lo vedo, e
tu?».
Danny posò la fronte contro la fredda superficie della
porta, socchiudendo gli occhi. Poteva immaginarsi benissimo Steve nella
sua tuta mimetica e col fucile sotto braccio, che combatteva accanto ai
suoi compagni. Poteva farlo, perché era uno dei suoi incubi
ricorrenti. E quando si svegliava, ricoperto di sudore e ancora scosso
dalla paura di averlo perso, ringraziava Dio che i suoi giorni da Navy
SEAL fossero finiti.
«Non lo capisci, Dawn?», riprese a parlare, con
tono frustrato. «Ti hanno scelta loro, chiaro?
Perché scelgono persone come te! Scelgono persone
vulnerabili, persone che sono emotivamente fragili, che hanno una
profonda ferita dentro, che sono piene di rabbia per qualche motivo.
Poi ti fanno sentire una parte importante di qualcosa, una causa... una
causa più grande di te, tanto grande da valere la pena di
sacrificare la tua vita».
Il detective riaprì gli occhi, allontanandosi di un passo
dalla porta. Quello che Steve aveva appena detto... c'era qualcosa, una
certa dose di esperienza, di verità e di dolore dietro
quelle parole. Quante cose non sapeva del suo passato? Quante ferite
portava sotto la pelle, di cui non sarebbe mai venuto a conoscenza?
«...devono combattere per la causa di Dio!»,
sentì gridare la ragazza, Dawn. Aveva poco più di
vent'anni e rabbrividiva al solo pensiero che qualcuno fosse riuscito
ad indottrinarla in quel modo. Che cosa avrebbe fatto, se qualcuno
fosse riuscito a trasformare la sua dolce scimmietta in una martire?
«Non sai quello che dici! Queste parole che escono dalla tua
bocca non sono parole tue! Sono frasi tratte da un libro sacro e
adattate per farvi credere alle bugie che vi hanno
raccontato!». Danny si sforzò di sentire quello
che le stava dicendo, ma Steve aveva abbassato il tono di voce e lo
spessore della porta non lo aiutava. Rimase in attesa, con l'orecchio
teso, e per quella che gli sembrò un'eternità non
sentì nulla; poi fu Dawn a gridare di nuovo:
«...lottando contro i pacifici figli di Allah!».
Esitò nuovamente, indeciso se interrompere o meno, ma alla
fine decise che poteva bastare. Inserì il codice di accesso
ed aprì la porta, trovando Steve inginocchiato di fronte
alla ragazza. Da dov'era non poteva scorgere l'espressione scossa sul
suo viso, ma fu come se fosse riuscito a percepire il suo stato
d'animo.
«Steve, a Quantico hanno trovato un riscontro»,
disse con tono di voce fermo.
Il comandante respirò brevemente e gli rispose senza
interrompere il contatto visivo con Dawn: «Arrivo».
Danny, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni,
piegò un poco il capo in avanti e si ritrasse, decidendo di
aspettarlo in corridoio. Steve fu da lui un minuto dopo, col volto
scuro.
«Ehi, tutto okay?», gli chiese, quasi carezzevole.
Steve annuì, distratto, e si avviò verso
l'ascensore. Danny non osò chiedergli nulla e lo
seguì in silenzio, anche se dentro fremeva per sapere quello
che gli stava passando per la testa.
L'ascensore aveva appena iniziato a salire, quando Steve
colpì con forza il pulsante dell'arresto e si ritrovarono
fermi e con la sola luce di emergenza ad illuminarli. Il detective
sentì l'aria mancargli nei polmoni e aprì la
bocca per gridargli contro, ma il SEAL lo batté sul tempo,
dicendo: «Non riesco a credere che stia succedendo di
nuovo».
Si coprì il volto con le mani ed appoggiandosi alla parete
alle sue spalle scivolò a terra, con le ginocchia strette al
petto.
Danny si fece forza, cercando di ignorare la propria claustrofobia, e
si sedette al suo fianco per posargli una mano sulla spalla.
«Che cosa sta succedendo di nuovo?».
«Questo. Ho già visto una ragazza disperata
sacrificare se stessa per la causa della jihad. È successo
sotto i miei occhi e non mi sono accorto di nulla, fino a quando non...
non è stato troppo tardi».
«Steve... non è colpa tua. Cose del genere... sono
fuori dall'immaginazione di chiunque. Non avresti potuto fare nulla
comunque».
«Lo credi sul serio? Perché non c'è
giorno in cui io non mi alzi pensando il contrario».
Sollevò gli occhi e il detective si sentì morire,
scorgendovi l'infinito rammarico che li rendeva spenti come non mai.
«Faceva parte della squadra, Danny. Capisci? È
come se domani Kono arrivasse con una bomba legata al petto e si
facesse esplodere, gridando "Allah è grande!"».
«È terribile, Steve, ma non puoi incolpartene,
okay?». Si abbandonò contro la parete
dell'ascensore, accanto al partner, e si passò una mano
sulla fronte sudata. «Inoltre, hai fermato Dawn prima che
potesse fare del male a qualcuno. Io la vedo come
una vittoria».
«Per me rimane sempre una sconfitta»,
mormorò, alzandosi in piedi per far ripartire l'ascensore.
Quando le luci si riaccesero e ripresero a salire, Danny
ringraziò il Signore.
«Mi dispiace, mi ero dimenticato della tua
claustrofobia», gli disse poco dopo il SEAL, porgendogli una
mano per aiutarlo ad alzarsi.
Danny l'afferrò con un mezzo sorriso, perdonandolo, e si
alzò appena in tempo: le porte si aprirono di fronte al loro
piano e come se nulla fosse Steve si diresse verso la base operativa.
Forse aveva sbagliato a non fargli pressioni perché gli
raccontasse la storia completa, dato che probabilmente si era
già pentito di avergliene parlato e d'ora in avanti avrebbe
fatto finta che non fosse mai successo, ma curiosità a parte
sapeva di aver fatto la cosa giusta.
Ad un tratto Steve si fermò nel bel mezzo del corridoio e si
lasciò superare dal detective per tirare fuori il cellulare
e fissare lo schermo in silenzio. Danny lo aspettò,
chiedendosi se stesse controllando se avesse ricevuto una chiamata da
Catherine.
Sentendosi in colpa per quello che gli aveva detto quella mattina,
esclamò: «Catherine non ha tagliato la corda,
tornerà presto».
Il comandante alzò il capo di scatto, stupito.
Impiegò qualche secondo per realizzare quello che intendeva
dire veramente e finalmente sorrise, ringraziandolo silenziosamente.
In parte rincuorato, Danny aprì la porta di vetro e
raggiunse per primo Chin accanto al super computer. Non l'avrebbe
fatto, se avesse saputo che stava per mostrare loro un filmato che
avrebbe ferito Steve in quel modo.
L'FBI, analizzando gli schemi che avevano trovato a casa dei tre
ragazzi iniziati alla jihad, aveva trovato un riscontro con delle bombe
utilizzate per colpire i mezzi dei marines americani a Kandahar. In uno
di quegli attacchi avevano perso la vita quattro uomini e l'unico
sopravvissuto, il sergente Kirk Emerson, aveva perso entrambe le gambe
e parte di un braccio.
Danny non avrebbe mai dimenticato l'espressione di Steve quando nel
filmato avevano visto esplodere il convoglio: aveva chiuso gli occhi e
voltato leggermente il capo verso di lui, cercando di non esprimere
tutto il dolore che provava. Il detective non riusciva nemmeno ad
immaginarlo, soprattutto dopo quello che gli aveva confessato
nell'ascensore.
Ancora una volta, ringraziò Dio per aver protetto il partner
durante le sue missioni da SEAL.
*
Steve si abbandonò contro lo schienale della propria
poltrona e chiuse gli occhi, ma i ricordi, ancora così
vividi nella sua memoria, glieli fecero riaprire quasi subito, giusto
in tempo per vedere Danny dirigersi verso il suo ufficio ed entrare.
«Ehi», lo salutò il detective con un
cenno del capo.
«Ehi», replicò piano, sedendosi
più composto. «Pensavo fossi andato a
casa».
«Stavo andando, ma sono tornato indietro».
Steve increspò la fronte, confuso. Il partner
però non lo lasciò molto sulle spine e gli
spiegò: «Penso che non dovresti dire tutto alla
stampa».
«Che cosa?», quasi urlò, tanto gli
sembrava da pazzi quell'affermazione. Puntando fermamente l'indice
sulla scrivania, aggiunse: «La gente deve sapere che abbiamo
catturato due terroristi, che finalmente i marines che sono morti a
Kandahar sono stati vendicati».
«Sono perfettamente d'accordo con te, solo... non
ora».
Steve si alzò in piedi, sentendo il nervosismo iniziare a
scaldargli il sangue nelle vene. Danny però lo sorprese con
un sorriso dolce, avvicinandosi alla scrivania per mostrargli una
conferma di prenotazione sul proprio cellulare.
«Spero tu non abbia preso impegni per domani».
Due biglietti aerei per San Diego, dove si trovava il Veteran's Affairs
Medical Center. Avrebbero conosciuto Kirk Emerson, il marine che aveva
perso i suoi compagni.
Il comandante alzò gli occhi, commosso, ma prima che potesse
esprimere la propria gratitudine Danny disse: «Spero che
almeno il sergente Emerson riesca a farti capire quanto bene hai fatto
e quanto ne farai ancora».
Non riuscì a trovare una risposta adeguata a quelle parole,
perciò rimase in silenzio, a fissare il partner mentre
lasciava gli uffici della Five-0. Prima di uscire definitivamente dal
suo campo visivo però si guardò indietro per
sorridergli e Steve sentì aprirsi l'ennesima ferita sul
cuore: perché Danny si era voltato e invece Catherine no?
Quel quesito lo tormentò fino a sera, quando
arrivò il momento di mettersi a letto. Dopo tanto, troppo
tempo, grazie al pensiero che il giorno seguente avrebbe in parte
redento i suoi peccati - grazie a Danny - non ebbe paura di chiudere
gli occhi ed addormentarsi.
*
Nonostante le sue proteste, Steve si era accaparrato il posto accanto
al finestrino e da quando avevano preso quota non aveva quasi
più aperto la bocca. Danny aveva pensato di
sfruttare quelle duemilaseicento miglia di viaggio per parlare un po'
con lui e farsi spiegare perché non gli avesse detto di
Cobb, ma non era facile iniziare quel tipo di conversazioni col SEAL.
Specialmente con le fitte di dolore al fianco che gli stavano facendo
vedere le stelle.
«Mi scusi», esclamò fermando una hostess
dell'Hawaiian Airlines. «Potrei avere un bicchiere d'acqua,
per cortesia?».
«Certo signore, glielo porto subito».
Steve si voltò a guardarlo mentre tirava fuori dalla tasca
dei pantaloni il suo astuccio porta pillole e ne inghiottiva una con
l'aiuto dell'acqua che l'hostess gli aveva appena portato.
«Stai male?», gli chiese, apprensivo.
«A volte è come se avessi quel pezzo di ferro
ancora piantato nel fianco. Ma passerà, col tempo».
Il SEAL prese un depliant dalla tasca del sedile davanti a lui e lo
sfogliò distrattamente, chiedendo a bassa voce:
«Pensi ancora sia colpa mia, se quell'edificio ci
è crollato addosso?».
«No, Steve. Come potrebbe essere colpa tua? Non l'hai mica
fatto esplodere tu. Però...».
«Però è come se l'avessi fatto. Se non
fosse stato per le mie domande...».
Non era quello che intendeva aggiungere, ma lasciò correre.
Danny gli posò una mano sul braccio, attirando su di
sé il suo sguardo addolorato. «So cos'è
successo, me l'ha detto Chin».
«Perfetto», mormorò, stringendo i pugni
sui braccioli. «Allora sai che è per colpa mia, se
hai rischiato di morire. Cobb voleva morto me e tu ci sei rimasto in
mezzo».
«È per questo che gli hai sparato?», gli
chiese a bruciapelo, sentendo il cuore salirgli in gola. Per quanto
andasse contro i suoi principi morali, l'avrebbe capito se avesse
premuto il grilletto per rabbia, per amore. L'avrebbe fatto anche lui
per Steve, no?
«Che cosa?». Steve lo fissò sbigottito,
esitante. «Cobb... Cobb ha portato una mano sotto la
scrivania, dove nascondeva una pistola, e ho agito d'istinto. Io... ero
arrabbiato per quello che ti era successo per colpa mia,
perciò... non lo so se è stata solo legittima
difesa, non lo so».
Il detective si umettò le labbra e percorse il suo braccio
fino a raggiungere il suo pugno chiuso, che stese con una carezza per
intrecciare le loro dita.
«Hai fatto quello che dovevi», lo
rassicurò, rivolgendogli un breve sorriso.
«Ma ho anche perso l'unica pista che avevo per scoprire
dov'è il padre di Wo Fat».
Ad una sua occhiata confusa, Steve gli raccontò cosa gli
aveva rivelato Cobb prima di morire con un proiettile conficcato nel
cuore: la tomba in Cambogia apparteneva alla madre di Wo Fat, il
risultato di un'operazione andata male. Sua madre, già
agente della CIA, aveva avuto l'ordine da Cobb di uccidere il padre del
criminale - allora solo un bambino - e quando le cose si erano fatte
incasinate Doris era sparita, lasciando Cobb a risolvere
l'irrisolvibile. L'agente infatti era stato cacciato dalla CIA, ma per
tutti quegli anni non aveva mai voltato pagina e quando aveva scoperto
che Steve stava facendo domande riguardo a quella faccenda aveva
architettato quell'ingegnoso piano per eliminarlo dall'equazione.
Quando Steve finì di raccontare, entrambi rimasero in
silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri, ma con
le dita delle mani ancora saldamente intrecciate. Alla fine fu il
detective a parlare per primo, affermando: «Sono contento di
esserci finito in mezzo».
«Che cosa?».
«Sì... di essere rimasto bloccato là
sotto con te. Anche se ho rischiato di lasciarci le penne. E in
fondo... senza di me non saresti mai riuscito ad uscirne».
«Ah no?», gli domandò il comandante,
ridacchiando.
Danny ricambiò il sorriso, incrociando il suo sguardo.
«Assolutamente no».
Il silenzio cadde ancora tra di loro, velato d'imbarazzo. Pur di
liberarsene, il detective decise di affrontare un altro argomento
spinoso, chiedendo a Steve: «Perché non
mi hai detto subito di Cobb?».
«E rischiare che decidessi di non andare a Maui con
Amber?», rispose, guardandolo di sottecchi. «Non se
ne parla».
«Sono il tuo partner, avresti dovuto dirmelo! Non spettava a
te preoccuparti dei miei impegni, okay? E poi che ne sai, magari una
volta sicuro che stessi bene sarei partito lo stesso per
Maui!».
Steve trattenne una risata arricciando gli angoli della bocca.
«Dici sul serio?».
«No», mugugnò, stringendosi le braccia
al petto. «Non ti avrei mai voltato le spalle, se l'avessi
saputo. Con Catherine lontana, oltrettutto...».
«Che cosa?».
Danny raggelò sul posto e si morse la lingua, realizzando di
aver commesso una gaffe epocale.
«Tu
sapevi
che Catherine aveva intenzione di partire?».
«Cosa? Ma sei matto? Come avrei potuto saperlo?».
«Non lo so, ma Cath mi ha detto di voler andare sul
continente
dopo
la mia visita a Cobb».
«Hai capito male, Steve. Volevo solo dire che se avessi
saputo quello che ti era successo e che Catherine sarebbe partita, non
ti avrei mai lasciato solo».
Il SEAL lo squadrò per una dozzina di secondi, ma Danny
resse il confronto e alla fine vide comparire sul suo volto
un'espressione quasi convinta, abbastanza per fargli tirare un sospiro
di sollievo interiore.
Danny abbassò gli occhi e guardò le loro mani,
ancora unite sul bracciolo che separava i loro sedili. Avrebbe dovuto
ritrarsi, lo sapeva, eppure quel contatto lo rendeva così
tranquillo da fargli dimenticare qualsiasi preoccupazione.
«Comunque nemmeno io ti volterei mai le spalle»,
esclamò Steve, prima di posare il capo contro il poggiatesta
e chiudere gli occhi, forse nel tentativo di riposare qualche ora.
Danny sorrise malinconico, guardando fuori dal finestrino l'ala
dell'aereo tagliare le nuvole.
L'hai già fatto una volta.
*
«Com'è? Ripetimelo un'ultima volta, credo di aver
capito».
Steve scosse il capo, ridacchiando. «
Hoorah»,
spellò di nuovo, ma Danny non ce la faceva proprio a
pronunciare il grido di battaglia dei Navy SEAL.
Sarebbe stato un pessimo soldato, per quello e altre mille motivi.
Sarebbe stato il soldato di cui Steve si sarebbe comunque innamorato.
«Ehi, perché ci siamo fermati?».
Steve uscì dall'auto a noleggio e lo stesso fece Danny,
raggiungendolo sul cofano caldo. Rimasero per qualche minuto in
silenzio, a guardare l'oceano che bagnava San Diego. Era lo stesso che
bagnava le Hawaii, eppure per Steve sarebbe sempre stato diverso, meno
bello.
Mancavano ancora due ore prima che potessero salire sull'aereo di
ritorno ed era deciso a sfruttarlo al meglio.
«Volevo ringraziarti, Danno», disse alla fine,
senza cercare lo sguardo del partner.
«Ringraziarmi? Di che cosa stai parlando?».
«Per avermi portato qui, per avermi dato un po' di
pace».
«Ehi». Il detective gli portò una mano
sulla schiena e finalmente Steve si voltò per incrociare
quegli occhi azzurro cielo che erano il suo Inferno tanto quanto il suo
Paradiso.
Danny aprì la bocca per continuare, ma qualcosa lo
bloccò e anche la mano che aveva ancora tra le sue scapole
si fece più rigida, nervosa. Quindi mascherò il
disagio con quel sorriso venato di sarcasmo che era il suo marchio di
fabbrica ormai.
«È strano che tu dica questo, sai? Dici sempre che
ti intristisco l'esistenza».
Steve abbozzò un sorriso amaro, senza dirgli che per loro
era sempre valso il gioco dei contrari. Danny lo sapeva, lo sapeva
benissimo, dato che era stato il primo ad esprimere i suoi sentimenti
in quel modo.
«Si chiamava Meredith», esordì invece,
tirando fuori il cellulare dalla tasca dei jeans.
«Chi?».
«La ragazza che non sono riuscito a salvare».
Gli mostrò una fotografia della sua squadra di allora,
scattata nel bel mezzo del deserto, in cui lui - col viso nascosto da
una barba insolitamente lunga e degli occhiali da sole - abbracciava da
un lato Freddie e da un lato una ragazza dagli occhi color cioccolato e
i capelli ramati, tanto ricci da uscirle dal casco protettivo.
«Lei... era appena arrivata, quando partecipammo ad una
missione che andò a finire nel peggiore dei modi. Cademmo in
una trappola degli jihadisti e molte persone, tra cui decine di
bambini, morirono in un incendio provocato da una bomba. Meredith non
è più stata la stessa da quella notte e
nonostante abbia provato a parlarle molte volte, dicendole che non
c'era nulla che avremmo potuto fare per aiutarli, lei aveva iniziato a
dubitare e a trascorrere sempre più tempo con la gente del
villaggio vicino alla base. Ad un certo punto mi sono detto che le
sarebbe passato, che il tempo l'avrebbe aiutata. Mi sbagliavo,
ovviamente».
La mano di Danny tornò sicura, sincera sulla sua schiena, e
Steve provò a trarne la forza necessaria per continuare quel
racconto di cui non avrebbe mai dovuto parlare in primo luogo.
«Tre settimane dopo, ci fu un attacco alla nostra base e
Meredith venne rapita. La cercammo ovunque, eravamo pronti anche ad
abbassarci e a fare uno scambio di prigionieri, ma non fummo mai
contattati. Alla fine ci costringemmo a credere che fosse morta,
perché pensare che fosse ancora intrappolata, torturata, era
un'ipotesi molto peggiore».
Danny si avvicinò un po' di più e la mano che si
trovava tra le sue scapole risalì fino alla spalla sinistra,
in modo da circondarlo come l'ala di un angelo. Steve si
sentì rincuorato da quella vicinanza, ma i ricordi
erano ancora così vividi, ancora così dolorosi,
che dovette sforzarsi per ricacciare indietro le lacrime.
«Passarono due mesi e una notte, mentre io ero di turno di
guardia, vidi una donna avvicinarsi alle nostre tende. Indossava un
burqa nero, come usavano la maggior parte delle donne del villaggio,
eppure... in quel preciso istante mi si accapponò la pelle,
come se avessi visto la morte in persona.
«Le chiesi più volte chi fosse, cosa voleva, ma
solo quando le puntai contro l'arma si fermò a darmi
risposte: lentamente si tolse il velo e riconobbi Meredith. Era viva!
Ero talmente sollevato, talmente felice, che non mi accorsi del suo
sguardo spento, né di ciò che teneva in mano.
Furono i miei compagni, svegliati dalle mie grida, a strapparmi via da
quel sogno ad occhi aperti e a salvarmi la vita.
«Stavo già correndo verso di lei, quando Freddie
mi prese per un braccio e mi spinse dietro una delle nostre jeep
corazzate, evitando che l'esplosione mi uccidesse sul colpo».
«Mi sarebbe piaciuto conoscerlo»,
sussurrò Danny, accarezzandogli i capelli sulla nuca, e
Steve chiuse gli occhi, posando il capo nell'incavo della sua spalla.
«Anche se è stato il mio primo amore?».
Il detective lo osservò intensamente - poteva sentire i suoi
occhi lasciare una traccia invisibile sulla sua pelle - e alla fine gli
baciò la fronte, sussurrando: «Ti ha salvato la
vita e questo l'avrebbe reso automaticamente il mio secondo migliore
amico».
Steve abbozzò un sorriso, concludendo: «Ora
capisci perché il comportamento di Dawn mi ha tanto
scosso...».
«È tornato tutto a galla, lo capisco».
«Ma vedere Kirk, parlargli, mi ha ridato un po' di fiducia.
Ed è tutto merito tuo», si sollevò per
guardare Danny negli occhi e dopo essersi scambiati un breve sorriso si
abbracciarono stretti, dandosi delle pacche sulle spalle.
«Grazie di avermene parlato», gli
sussurrò il detective.
«Grazie per aver ascoltato».
«Stai insinuando che mi racconteresti più cose del
tuo passato se io parlassi di meno?».
Steve rise e si scostò per fare il giro dell'auto.
«Che differenza fa? Tanto non succederà
mai!», urlò prima di rimettersi al volante, con
ancora le labbra arcuate da un sorriso.
In quel momento iniziò anche a vibrargli il cellulare e
guardando Danny chiudere la portiera se lo portò
all'orecchio, rispondendo: «McGarrett».
«Yo, questa sera sei invitato al Tropics per gustare
il meraviglioso pesce che ho pescato».
«Ehi Grover!», lo salutò. «Ti
ringrazio per l'invito. Dimmi a che ora, così almeno vado
lì un po' prima e mangio qualcosa di più
nutriente».
«Molto divertente, McGarrett. Ci vediamo lì alle
otto. Avvisi tu Williams, okay?».
Steve guardò il detective, seduto in silenzio al suo fianco,
e sorrise dolcemente. «Nessun problema, lo avviso io. Ciao
Lou».
*
Catherine fermò l'auto di fronte a casa McGarrett e le luci
spente e l'assenza della Silverado nel vialetto furono indizi
sufficienti a farle capire che Steve non era in casa. Ciò
nonostante decise di entrare e di aspettarlo. Il tempo trascorso sul
continente, lontana da lui, le aveva fatto capire quanto fosse
innamorata e voleva dirglielo il prima possibile. Sperava soltanto che
anche Steve fosse arrivato a quella conclusione.
Accese la luce in salotto e poi si diresse in cucina per bere un
bicchiere d'acqua, ma il foglietto che scorse sul tavolo
attirò tutta la sua attenzione, essendo indirizzato proprio
a lei.
«Se dovessi tornare a casa questa sera, sappi che siamo tutti
a cena al Tropics. Ti aspetto, Steve», lesse a mezza voce,
sentendo il cuore correrle nel petto.
Rimise il biglietto dove l'aveva trovato ed uscì di corsa
per salire sulla Corvette e guidare verso il Bar & Grill
dell'Hilton Hawaiian Village.
«Ha una prenotazione, signora?», le chiese la
ragazza al ricevimento, sorridendole gentile.
«Dei miei amici sono qui a cena», iniziò
a spiegare, quando guardando verso i tavoli esterni scorse proprio
Steve, il capitano Grover, Danny e tutta l'allegra brigata.
Un sorriso le incurvò le labbra, ma morì nel
momento in cui vide il SEAL bere un sorso di birra e scambiare
un'occhiata complice con Danny, a cui sorrise persino con gli occhi.
Poco dopo si accese uno scambio di battute in cui il detective
lanciò una sfida a Steve, ma il suo viso era il manifesto
della felicità. Il modo in cui quei due si parlavano con gli
occhi le fece fare automaticamente un passo indietro, col cuore a
pezzi. Pensava davvero che si sarebbe abituata, che prima o poi si
sarebbe messa l'anima in pace, ma come avrebbe potuto? Steve e Danny
non avrebbero mai fatto a meno l'uno dell'altro e il loro amore sarebbe
stato sempre lì, nell'aria, e se per loro era l'ossigeno con
cui andare avanti, per lei era gas letale.
«Signora, si sente bene?», le domandò la
cameriera.
Catherine scosse il capo. «Mi scusi, io... ho sbagliato
ristorante».
Tornò all'auto e una volta seduta al posto di guida si
asciugò la lacrima che le aveva tracciato un solco sulla
guancia; quindi respirò profondamente e mise in moto.
Diretta verso il proprio appartamento, si chiese se Steve non avesse
fatto un errore, scegliendo lei anziché Danny, e se
sì, con quale forza sarebbe riuscita a farglielo
capire?
.
Note dell'autrice
1) La parte in cui Steve e Danny si scambiano quel "I love you"
è come sempre interpretabile, dato che nella lingua inglese
non c'è un modo per distinguere il "Ti voglio bene" dal "Ti
amo" vero e proprio.
2) La scena dell'ascensore invece è un chiaro omaggio a
Gibbs, della serie originale di NCIS. Quanto amo quell'uomo :)
Se avete altre domande, chiedete pure lasciando una recensione,
scrivendomi per mp o sulla mia
pagina Facebook!
Saluti!