IL
CAVALIERE DI VALSGÄRDE
Si
diceva che il Cavaliere di Valsgärde fosse un algido
aristocratico
tedesco con il monocolo e la cicatrice della Mensur su una
guancia, che bevesse solo champagne e uscisse a cavalcare nelle notti
di luna piena in sella a un cavallo bianco.
Si
diceva che già tre ragazze francesi, tutte bellissime, si
fossero
uccise a causa sua, disperate perché lui le aveva rifiutate.
C’erano
piloti che giuravano di averlo visto con i loro occhi salutare
l’avversario e andarsene se si accorgeva di avere a che fare
con
qualcuno di livello troppo inferiore al suo.
Altri
raccontavano che una volta aveva fatto un basso passaggio su un campo
inglese e aveva lasciato cadere un mazzo di rose rosse in onore di un
nemico che si era rivelato particolarmente abile in combattimento.
Il
Cavaliere di Valsgärde era una leggenda.
Una
leggenda vivente, peraltro, dal momento che non era affatto difficile
incontrarlo. Compariva nei combattimenti con un Messerschmitt 109 dal
muso dipinto di rosso, si sceglieva l’avversario
più capace, lo
impegnava in un duello e invariabilmente lo abbatteva. Poi scompariva
così com’era apparso.
Nessun
servizio di Intelligence era ancora riuscito a capire a quale stormo
appartenesse o da quale campo decollasse. Gli osservatori inglesi
avevano scattato foto di tutte le coste della Francia nel tentativo
di scovarlo, ma sembrava che il Cavaliere apparisse dal nulla e vi si
dissolvesse di nuovo appena aveva abbattuto il suo avversario.
Non
c’era stormo da caccia britannico che non anelasse a
eliminare
finalmente il Cavaliere di Valsgärde, anche perché
la sua potenza
mitopoietica stava lentamente erodendo il morale dei piloti.
Correva
voce che fosse invincibile, che fosse un’arma segreta del
Reich,
addirittura che fosse il Diavolo in persona.
Tra
i
più determinati ad abbattere il famigerato tedesco
c’era il
maggiore George Stuart, del 19° Squadron.
Il
maggiore era un ufficiale piuttosto giovane e molto capace, e
soprattutto era un abile pilota, il che gli faceva sperare che presto
il Cavaliere si sarebbe degnato di impegnarlo in combattimento.
In
realtà non l’aveva ancora visto.
Aveva
intravisto ogni tanto nella foga delle battaglie aeree qualche guizzo
di rosso, ma invariabilmente a una seconda occhiata aveva incontrato
solo il verde quasi nero e l’azzurro chiaro delle
mimetizzazioni
standard tedesche.
Aveva
segnato su una mappa tutti gli avvistamenti del Cavaliere di
Valsgärde e aveva notato con soddisfazione che corrispondevano
più
o meno al territorio controllato dal suo Squadron, ma
l’elusivo
nemico gli era sempre sfuggito: o compariva quando lui era di riposo
oppure c’era un attimo prima che arrivasse o subito dopo che
era
atterrato con le armi scariche o il serbatoio vuoto.
Stava
giusto ponderando il nugolo di puntini rossi della sua mappa quando
suonarono le sirene dell’allarme antiaereo: si stava
avvicinando
uno stormo di caccia tedeschi.
Il
maggiore indossò in tutta fretta la combinazione di volo e
corse
verso la pista constatando che i meccanici stavano già
portando il
suo aereo in linea.
“È
rifornito e pronto, signore!” lo informò un
armiere.
Stuart
annuì, salì sull’ala e si
infilò nell’abitacolo.
Caratterialmente tendeva ad essere piuttosto flemmatico, ma il
pensiero che avrebbe potuto incontrare il Cavaliere gli dava
un’insolita eccitazione, un misto di aspettativa e frenesia
venatoria.
Si
costrinse all’abituale sangue freddo. Se mai
l’avesse incontrato
avrebbe dovuto abbatterlo, poche storie. Basta coi romanticismi, le
ragazze francesi suicide per amore, lo champagne e i duelli. Sapeva
che negli stormi britannici c’erano già piloti che
segretamente lo
ammiravano e non poche ragazze inglesi sospiravano cercando di
immaginare le sue fattezze.
Di
Baroni Rossi ce n’era già stato uno nella storia,
non era certo
necessario che ne comparisse un altro.
Si
librò in volo seguito da presso dai suoi due gregari e
puntò
decisamente a est. Il resto dello Squadron era dietro di lui in
formazione compatta.
Era
mattina, per cui avevano il sole in faccia. Stuart considerò
che i
tedeschi avrebbero avuto invece il vantaggio di averlo alle spalle.
L’aria era limpida, non c’erano nubi, quindi
avrebbero visto i
caccia della Luftwaffe da molto lontano. E i tedeschi avrebbero visto
loro, ovviamente.
Controllò
ancora una volta che le armi fossero tutte cariche e pronte.
Chi
spara per primo vive più a lungo, il motto
di uno stormo da
caccia tedesco che si sentiva di condividere in pieno.
E
poi
arrivò. All’improvviso, come apparso dal nulla.
Piombò
nel bel mezzo della formazione inglese, la attraversò come
un
fulmine dall’alto verso il basso, cabrò, fece un
Immelmann e
scomparve all’orizzonte lasciandosi dietro la scia di fumo di
due
aerei abbattuti.
Il
tutto era durato meno di cinque secondi.
Stuart
sbatté gli occhi attonito mentre nella frequenza radio si
sovrapponevano comunicazioni concitate e gli Hurricane del 19°
Squadron si agitavano come vespe inferocite.
Era
lui. Finalmente aveva visto coi suoi occhi il Cavaliere di
Valsgärde.
Lo
cercò nel cielo con lo sguardo, pronto a impegnarlo in
combattimento, ma era sparito.
Al
suo
posto c’era invece un Geschwader al
completo, che procedeva
nella caratteristica formazione a gruppi di quattro.
Si
obbligò a dimenticare il Cavaliere di Valsgärde e
strinse le
cinghie di sicurezza preparandosi al combattimento.
|