14 fermate di metro

di therub
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Nel tragitto che compio praticamente tutte le mattine per recarmi in università, ho spesso occasione di osservare le persone più disparate che si accalcano in metropolitana e cercano di raggiungere il proprio posto di lavoro o il luogo predestinato per incominciare l’ennesima giornata produttiva. 

Salgo in metro, come ho fatto altre mille volte. Ormai è diventato tutto un automatismo, il raggiungere la stazione, il biglietto da timbrare, il cercare un posto libero da occupare. Anche oggi va così e la fortuna mi fa trovare un sedile libero appena salito sul vagone.

Mi guardo attorno distrattamente. Gli occhi si soffermano sulla persona seduta di fronte a me. È un uomo di non più di 40 anni, vestito di tutto punto con camicia bianca con piccole righine blu, cravatta rosa, pantaloni neri, giacca nera appoggiata in grembo e uno zaino nero quasi più grande di lui tenuto fermo tra le gambe. Ha in mano un blackberry al quale sono collegate delle cuffie Bose. Appoggiato alla sua gamba sinistra ha un iPhone. Accende e spegne lo schermo dell’iPhone di continuo, nervosamente. Starà aspettando una notifica importante. Lo osservo meglio. Ai polsi ha diversi bracciali, qualcuno di corda, altri più seri. Immagino che lavori in banca o qualcosa del genere, mi da quest’impressione.

Una notifica sul mio cellulare mi interrompe dall’analisi di questo personaggio. Quando torno a guardare nella direzione dove era seduto il curioso tizio, non c’è più e al suo posto si è seduta una ragazza. Non ci faccio caso, la mia attenzione è attirata da un gruppo di ragazzi che nel frattempo sono saliti sul mio stesso vagone.
Urlano e schiamazzano tra loro, in una lingua a me incomprensibile.
Credo siano filippini, ma non ne ho la certezza. Il gruppo è composto da 5 persone. 3 ragazze e 2 ragazzi. Uno di questi ragazzi vorrebbe scendere alla fermata successiva, ma il resto del gruppo lo trattiene con forza ridendo e schiamazzando. Anche il ragazzo trattenuto ride e scherza. Trovo tutto troppo rumoroso e anche altre persone accanto a me la pensano allo stesso modo.

Neanche il tempo di seguire la scena e vedere se il ragazzo riuscirà a liberarsi dalla morsa dei suoi amici e scendere alla sua fermata, che si avvicina a me una famiglia.

Sono mediorientali, non saprei dire di dove, ma il lungo velo che porta la donna mi suggerisce una precisa collocazione geografica. La donna tiene per mano una bambina e un bambino e li accompagna a sedersi in due posti liberi poco lontano da me. Il padre spinge quasi a fatica una carrozzina di quelle a doppia seduta, che contiene altri due bambini addormentati. 4 figli. Se non altro questi due sanno come passare il tempo, penso.

Il bambino più grande avrà non più di 6-7 anni. Gioca con un palloncino e si diverte a gonfiarlo e fargli fare una pernacchia sgonfiandolo, facendo ridere la sorellina. La madre però la pensa diversamente e lo riprende più volte. Non capisco cosa gli dica, ma il tono non è dei più dolci.

Mi distraggo di nuovo. La voce registrata che annuncia ogni fermata mi sveglia ricordandomi che la prossima è la mia. Scendo, lasciandomi alle spalle questi incontri e quello strano microcosmo che è il vagone di una metropolitana. Chissà le prossime fermate chi mi faranno incrociare…





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