Stanca

di shira21
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«Helena, per favore, ascoltami!» non mi girai neanche a guardarlo.
Il mio sguardo si perdeva aldilà della finestra, all’interno di quel bosco scuro che avevo sempre tanto amato, e la voce di mio marito era solo una distrazione, simile al ronzio di un ape. «Lo so che sei sconvolta ma… hai bisogno d’aiuto. Devi parlarne con qualcuno. Ecco, io ho conosciuto una persona… un amico dei Latimer… che risolve i problemi. Potrebbe aiutarti a sentirti meglio se magari parlassi con lui…».
Mi ero chiesta quanto gli ci sarebbe voluto per trovare il coraggio prima di propormi un bravo psichiatra. Non ero stupida e vedevo come mi guardava, in attesa di un segnale di miglioramento… o di peggioramento.
Se mi concentravo vedevo il suo riflesso nel vetro e mi si stringeva il cuore. Cameron, il mio dolce forte marito era ormai solo l’ombra di se stesso. I folti capelli neri in cui passavo sempre le mani nei momenti di maggiore passione erano troppo lunghi, non vedevano una forbice da tempo. Il suo corpo che aveva fatto girare la testa a tante ragazze era ridotto all’osso. Ma il peggio erano gli occhi e, anche se in quel momento non li distinguevo bene, sapevo che erano tanto, troppo stanchi per un uomo di soli venticinque anni.
Lo sentii sospirare, per oggi si sarebbe arreso ma domani sarebbe tornato da me. Sarebbe sempre tornato perché me l’aveva promesso.
Solo quando fui sicura che non c’era più, mi alzai. Lasciai vagare lo sguardo per quella piccola stanza vuota, con le sue pareti dipinte di un azzurro cielo e la casa delle bambole dimenticata in un angolo. Sentii il solito lacerante dolore, il fedele compagno delle ultime settimane. Ormai il mio mondo era fatto di spettri e ombre, disperazione e sofferenza.
Non potevo più andare avanti così, dovevo fare qualcosa.
Scesi con cautela le scale, senza fare il benché minimo rumore. Un salto in lavanderia e poi fuori per la prima volta da quasi un mese.
Respirai a fondo l’aria pulita della sera e m’incamminai verso il bosco, il mio rifugio quando ero una bambina sola e spaventata. Al mio passaggio le foglie si disperdevano per poi riposarsi dolcemente.
Avevo avuto una brutta infanzia ma poi avevo incontrato Cam ed era stato amore a prima vista. Rimasi incinta a soli 16 anni, lui ne aveva 20. Scarlett divenne tutto il mio mondo.
Pensavo che la mia vita sarebbe stata perfetta. Ma era solo un inganno e un auto mi portò via la mia bambina. Non esiste dolore più grande per una madre che tenere in braccio un figlio morente.
Aprii il tappo e bevvi la candeggina. Il primo sorso mi fece venire la nausea ma mi costrinsi a continuare finché non riuscii più a tenere la bottiglia in mano. Iniziai a tremare violentemente e le gambe mi cedettero, colpendo con forza il terreno.
Un colpo di tosse e poi un altro.
Mi pulii a fatica la bocca e vidi le mani sporcarsi di sangue.
La morte sopraggiunse velocemente, lasciandomi immobile in mezzo alle foglie morte di quel freddo autunno. Nella tasca un biglietto: “Caro amore mio, quando mi è stata strappata nostra figlia ho perso tutto. Sono andata a fondo, ogni giorno un pezzetto più dentro questa oscura follia. Ma non potevo permettere di trascinarti giù con me, sacrificando la tua vita e i tuoi sogni per me. Ti prego, perdonami!


~Questo testo l'ho scritto circa un mesetto fa per un contest di scrittura creativa, spero che vi piaccia e che riesca a trasmettere quella sensazione di dolore e impotenza che avevo in mente mentre la scrivevo.~





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