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Angoletto di Hope-barra-Gio:
questa storia ha subito qualche aggiunta in data 11.09.2016, dopo la consegna dei risultati del contest a cui partecipava.
Per rientrare nel limite massimo di parole aveva subito dei tagli che l'avevano portata a perdere qualcosa anche nella qualità.
Ho riportato tutto all'origine.
Ricordate che un parere sulla storia non può che rendermi felice.
Cronache della caffetteria dell’anfiteatro
Simone
spesso si sentiva come se la testa gli stesse per scoppiare, tanto
era colma di pettegolezzi e di informazioni che suo malgrado
assorbiva come una spugna. A volte gli sembrava di lavorare in un
salone di parrucchiere o in un piccolo panificio di paese; era,
però,
un barista in un parco di una piccola città costiera.
"Ti
ho battuto ancora, vecchio galeotto!" il grido festoso
dell'anziano Gustavo Crimelli, ex carabiniere e allora senzatetto,
risuonò per l'intera distesa erbosa, rimbalzando sui gradini
in
pietra dell'anfiteatro e arrivando fino all'orchestra che stava
provando alcuni metri più in basso, sul palco. Quella sera
si
sarebbe tenuto un concerto, che il cielo stellato e il mare sullo
sfondo avrebbero reso ancora più suggestivo.
"Taci,
vecchio ubriacone!" da un tavolino poco lontano le proteste di
Louise, la donna delle pulizie che lavorava nell'albergo poco
distante, non si fecero attendere, come accadeva sempre. A volte
Simone aveva l'impressione che Gustavo e Louise si recassero alla sua
caffetteria solo perché speravano di trovare l'altro, al
fine di
distendere i nervi con una bella litigata.
"Un
giorno o l'altro vi bandirò da questo posto!"
commentò il
barista su gentile invito dei suoi nervi.
"Lo
dici da anni, eppure quei due sono ancora qua" borbottò la
ragazza seduta al bancone, la quale stava sorseggiando il
cappuccino che le avrebbe dato la carica per affrontare la giornata.
"Non
mettertici anche tu, Ludo, ti prego" commentò Simone, stanco.
"Io
non sto facendo proprio un bel niente" rise lei, per poi saltare
giù dall'alto sgabello. "Devo tornare al lavoro: ci vediamo
questa sera".
"Meglio
che vada anch'io" commentò lo sfidante di Gustavo,
recuperando
il suo berretto da baseball giallo, che era appoggiato accanto alla
scacchiera.
Mentre
l'uomo si allontanava, Simone udì l'ex carabiniere sbuffare
e
pronunciare le stesse parole che pronunciava ogni mattina.
"Io
ancora non ci credo che quell'ex galeotto sia un tassista".
L'usuale
risposta di Louise giunse subito, forte e chiara. "Solo
perché
l'hai arrestato trent'anni fa per droga non significa che non si sia
ravveduto".
"Tu
non lo conosci come lo conosco io".
Simone
rise tra sé mentre asciugava un bicchiere e immaginava
Ludovica
pronunciare ogni loro parola senza parlare e scimmiottare le loro
espressioni facciali alla perfezione.
"Sì,
sappiamo tutti quanto lo conosci: ce lo racconti sempre" la
donna che sedeva al tavolino di Louise fece sentire la sua voce per
la prima volta in quella giornata e Simone trovò strano che
fosse
intervenuta solo in quel momento e non prima.
A
poco a poco, mentre il sole si alzava sempre di più nel
cielo, anche
Louise si avviò verso il suo lavoro, seguita a ruota da
Gustavo, che
non perse l'occasione per continuare il loro litigio.
Al
contrario Camille, l'amica della donna delle pulizie, si
avvicinò al
bancone e si sedette con l'intenzione di chiacchierare con Simone,
che si chiese perché la serie di pettegolezzi mattutina con
Louise
non le sembrasse mai sufficiente.
"Hai
visto la ragazza laggiù?" gli chiese, indicando una giovane
seduta a gambe incrociate sul gradone più alto
dell'anfiteatro, a
pochi metri da un tavolino del bar. Lunghi ricci castani le coprivano
il volto, chino su un libro.
"Viene
qui ogni giorno da alcune settimane".
"Vedo
che stalkeri i miei clienti: mi fa piacere" commentò
l'altro,
deciso a non darle corda.
"Non
ti sembra strana?" continuò la pensionata, ignorando le
parole
di lui. "Non si è mai vista prima".
"Si
sarà trasferita da poco. Oppure è una turista".
"Non
ha l'aria da turista: quelli sono chiassosi e si fermano poco. Lei
sta zitta nello stesso angolino per ore e ore".
"Controlli
anche che cosa ordina?" ribatté il barista, divertito, e non
si
stupì quando l'altra annuì con vigore.
"Un
caffè espresso".
"Non
ti sembrerà sospetto anche quello, spero!".
"Ovvio".
"Buongiorno!"
l'esclamazione allegra raggiunse le orecchie di Simone a
metà
mattina: proveniva da una delle musiciste che avrebbero suonato
quella sera. All'apparenza era una tipa piuttosto bizzarra: le unghie
e i capelli corti erano di colore fucsia, in tinta con la canottiera
che copriva in parte i corti jeans strappati. Inoltre, il giorno
prima Camille gli aveva fatto notare con una nota pungente nella voce
che arrivava a bordo di un cavallo nero.
"Buongiorno"
le sorrise lui. "Posso esserti utile?".
"A
dirti la verità sì: potrei avere due
caffé macchiati, due
bottiglie da mezzo litro di acqua frizzante, una Coca Cola, una Fanta
e un succo di frutta all'albicocca?".
"Altro?"
commentò Louise, sarcastica.
L'altra
si illuminò. "Sì! Grazie per avermelo ricordato!
Tre lattine
di té freddo al limone".
Simone,
che aveva recuperato le bibite mano a mano che la ragazza le
elencava, posò sul bancone i tre contenitori di metallo.
"Wow,
che velocità! Non è che avresti anche qualcosa
per portare giù
tutta questa roba?".
Il
barista notò la pensionata roteare gli occhi, ma la
ignorò.
"Ti
aiuto io a portarli giù".
Gli
occhi color miele della ragazza si illuminarono e le sue labbra
pronunciarono a ripetizione parole di gratitudine mentre i loro
quattro piedi scendevano i gradoni dell'anfiteatro.
"Sono
un disastro questi scalini. Senza contare quanto sono scomodi!"
"Sei
mai venuta ad ascoltare qualcosa qui?"
"Tosca"
rispose lei, riferendosi all'opera andata in scena due anni prima.
"Molto gradevole. Il ricordo più vivido, però,
è il dolore al
sedere che ho avuto per i successivi due giorni".
"Ti
consiglio di portarti due cuscini: fanno miracoli!".
"Credo
che seguirò il tuo consiglio, anche perché mi sto
facendo tentare
dai manifesti di Don Giovanni che
sono esposti in bacheca".
"Fai
bene a farti tentare: li ho sentiti provare qualche giorno fa e sono
tutti davvero bravi".
La
ragazza gli fece
un sorriso smagliante, poi cominciò a gridare ai colleghi di
raggiungerla per darle una mano; solo due di loro, dopo aver sbuffato
sonoramente, la raggiunsero di corsa.
"Zio
Simo, zio Simo!" una vocina squillante risuonò nel parco non
appena due piedini nudi ne varcarono la soglia, ma le trecce more
della bambina e i suoi furbi occhietti color castagna comparvero solo
qualche minuto dopo, quando il barista li notò spuntare dal
tavolo
di legno del bancone.
"Buonasera,
Signorina".
L'altra
rise; era il ritratto del suo nome: Gaia. La bambina era stata
adottata alcuni anni prima da Guglielmo, lo sfidante a scacchi di
Gustavo. L'uomo in un giorno di neve la aveva trovata seduta
sui sedili posteriori del suo taxi. Aveva due anni ed era stata
abbandonata. Nonostante il suo passato non aveva mai perso
né il
sorriso, né la parlantina.
Camille,
però, mal sopportava la sua esuberanza:
"Non
si addice ad una Signorina della tua età ridere in modo
così
sguaiato" borbottò immediatamente.
"Camille,
stai un po' zitta!" si lamentò Ludovica, abbandonandosi su
uno
degli sgabelli davanti al bancone.
Simone
le sorrise e si voltò per armeggiare con la macchinetta del
caffè:
un attimo dopo l'altra stava osservando un caffè macchiato
con
l'immagine di una rosa incisa nella schiuma.
"Grazie,
ne avevo proprio bisogno!" disse sorridendo stanca, poi notò
l'espressione furente della pensionata alla sua destra. "Suvvia,
Camille, ogni tanto bisogna riposare le orecchie".
"Io
ho bisogno di parlare: sono pensionata e mio marito è mezzo
sordo".
A quelle parole Ludovica sbuffò, ma dopo un'occhiata
esplicita di
Simone si morse la lingua, onde evitare altre risposte cattive.
"Ludo
voleva soltanto dire che è stanca e non sa quello che dice".
Il
barista colse l'occasione al volo per intervenire e, a pace
ritrovata, sperò vivamente che non arrivasse Gustavo a
rovinarla.
"Sai,
Simone, papà mi ha portata a sentire il concerto!"
esclamò
Gaia, entusiasta, indicando Guglielmo che li stava raggiungendo, e
Camille non perse l'occasione per intimarle di rimanere in silenzio
durante l'esecuzione musicale.
"Rispetto"
concluse: era la sua parola d'ordine durante gli spettacoli; le
rivolgeva ad ogni persona che incontrava, soprattutto a chi gettava
rifiuti per terra, si sedeva in modo scomposto o la disturbava.
“Gaia
sa che cos'è il rispetto” borbottò
Ludovica, per poi riportare la
tazza di caffè alle labbra. “Suo padre gliel'ha
insegnato”.
“Un
ex galeotto? Ma fammi ridere!” esclamò Gustavo,
comparendo in quel
momento con un sacchetto di plastica in mano. I suoi capelli erano
appiattiti sulla testa, unti e sporchi, e nella lunga barba
arricciata si intravedevano i resti della cenere di una sigaretta.
“Non
cominciare...” ribatté Simone precedendo Ludovica,
mentre si
voltava a cercare gli ingredienti per preparare un toast e
contemporaneamente serviva un caffè lungo ad un cliente.
“Sennò
che fai? Oggi la cena la posso pagare!” esclamò
l'altro,
sventolando felice una banconota da cinque euro che aveva trovato sul
marciapiede.
“Sai
che è gratis”.
“No,
insisto, pago!”.
“Se
Simone ti fa credito tieniti quei soldi: ti serviranno”
borbottò
Guglielmo, che ben conosceva la vita da senzatetto: prima di essere
arrestato e di imparare un mestiere era stato uno sregolato ragazzo
di strada.
“Non
accetto i consigli di un galeotto” ribatté piccato
Gustavo, ma ben
presto il tassista lo notò con la coda dell'occhio infilare
i soldi
in tasca.
“Camille,
tu che sei stata qui tutto il giorno, sai dirmi com'è
l'orchestra?”
chiese a quel punto il senzatetto cambiando argomento mentre
afferrava il suo panino. Nella sua voce si notava l'usuale nota
sarcastica, che sottolineava con disprezzo il fatto che la donna
avesse del tempo da perdere.
“Chiedilo
a lei” ribatté l'interessata indicando la giovane
riccia seduta a
gambe incrociate sul gradino più alto dell'anfiteatro: non
leggeva
più, ma osservava con interesse i tecnici preparare il palco.
“E
perché mai?” borbottò Gustavo.
“Perché
lei, a differenza di me, è rimasta qui tutto il giorno.
Simone te lo
può confermare” commentò la pensionata,
ma il barista era
impegnato a donare sorrisi e i suoi migliori cocktail analcolici ad
una famiglia di turisti. Il senzatetto, però,
sembrò non curarsene,
improvvisamente attratto da un altro particolare.
“Da
tutto il giorno, dici?”.
“Tutto.
E anche ieri. E tutti i giorni prima da quasi due settimane”.
“E
che fa tutto il giorno?” chiese Gustavo sorpreso mentre
faceva
sparire l'ultimo pezzo di toast.
“Legge
e guarda il mare”.
“E
se fosse una turista?” commentò Ludovica,
riportando tutti con i
piedi per terra.
“Tu
conosci i turisti meglio di tutti noi messi assieme: ti sembra una
turista?” osservò retorica la pensionata, portando
l'altra a
sbuffare e a saltare giù dallo sgabello. Poco dopo i lunghi
boccoli
biondi della giovane sparirono tra i gradoni dell'anfiteatro assieme
alle trecce di Gaia.
“Io
dico che è qui per spiare Simone”
borbottò intanto Gustavo.
“Per
un'ispezione?” chiese Guglielmo, ingenuo.
“Ma
no, sciocco: è troppo giovane! Si è innamorata di
lui!” esclamò
Camille, entusiasta della sua idea. “Potremmo aiutarli
organizzando
un appuntamento”.
“Ma
è single Simone?” osservò il tassista
dubbioso.
“Verifichiamo”
commentò il senzatetto. “Ehi, Simone!”
gridò.
Il
giovane, preso alla sprovvista, rovesciò una tazzina di
caffè e si
ustionò una mano. Imprecò mentalmente, ricordando
a se stesso che
Gustavo era pur sempre un cliente e che non poteva trattarlo in modo
maleducato, ma per un attimo fu tentato di scappare quando
incrociò
sei avidi occhi scuri.
“Sei
single?” esclamò l'ex carabiniere, tranquillo,
portando il barista
a sbuffare e a frenare le sue mani dall'agire ubbidendo al suo
inconscio: e quello sarebbe stato un buon motivo per chiamarlo? Non
vedeva che era impegnato? Si limitò a scoccare
un'occhiataccia a
tutti e tre.
“Sì”
borbottò infine, secco. Gli sembrò di udire
Camille emettere un
gridolino esultante.
A
mezzanotte, quando le note che fino a qualche minuto prima avevano riempito
il parco si erano ormai spente lasciando tutti con un enorme sorriso
sul volto, Simone era ancora all’opera: gli ultimi
spettatori, che
sembrava non avessero alcuna intenzione di tornare a casa,
indugiavano sui gradoni a chiacchierare oppure si avvicinavano alla
casetta del bar per ordinare qualcosa.
Una
signora già su di giri ordinò una birra e lui
avrebbe desiderato
essere in grado di dire di no ad un cliente, cosa che non gli
riusciva mai.
“Non
preferirebbe per caso un buon succo di frutta? È una serata
piuttosto calda ed è una bevanda molto dissetante”
tentò, ma
l’altra rise in modo esagerato e scosse la testa, rischiando
di
cadere dallo sgabello su cui era seduta. Un uomo giunse prontamente,
la prese per un braccio e la trascinò via, cercando di
limitare i
danni causati dall’ondeggiare paurosamente di lei.
“Perché
la gente non si dà mai un limite?” si chiese a
voce alta Ludovica,
che aveva assistito alla scena con le braccia incrociate sul bancone,
la testa appoggiata su di esse e i lunghi e spumeggianti boccoli
biondi sparsi sul legno lucidato.
“È
quello che mi chiedo sempre anch’io” le rispose lui
sorridendo.
“Ma mi chiedo anche perché tu non te ne torni a
casa”.
“E
io mi chiedo perché tu non abbassi la serranda, invece di
aspettare
che il parco sia più deserto del Sahara”
borbottò l’altra in
risposta. “Anche perché domani dobbiamo alzarci
presto”.
“Ti
ho detto di andare” ribatté lui paziente.
“Io aspetto almeno che
i musicisti escano: saranno affamati e assetati”.
“E
andranno tutti in pizzeria, snobbandoti” borbottò
Ludovica.
“Succede sempre così” concluse,
affondando nuovamente la testa
tra le braccia. Non ribatté neppure alla prima affermazione
del
barista: sapevano entrambi che lei odiava rientrare a casa da sola
quando era buio.
In
quel momento una macchia di capelli color fucsia arrivò
correndo e
la sua proprietaria chiese raggiante qualcosa da bere: non
specificò
cosa, disse che voleva essere stupita.
Simone
rise, mentre Ludovica la fulminò con lo sguardo dopo averla
squadrata da capo a piedi. Un attimo dopo un cappuccino con la
schiuma dello stesso colore dei capelli della giovane fece la sua
comparsa sul bancone e la giovane musicista lo guardò
estasiata.
“Sei
il mio mito!” esclamò rivolta al barista; per un
attimo Ludovica
pensò che lo avrebbe strangolato abbracciandolo, ma non
accadde:
ognuno rimase al suo posto. Quasi confortata la bionda
ricominciò a
dormicchiare, finché il profumo del caffè non
risvegliò le sue
narici; un occhio si aprì cautamente e notò una
tazzina bianca
appoggiata accanto al suo viso. Sorrise e alzò la testa, per
poi
afferrare la bevanda con entrambe le mani: a causa della foga il
piccolo “grazie” scavato nella schiuma del
caffé shakerato quasi
scomparve. La giovane, però, lo notò ugualmente e
si ritrovò ad
osservare il suo migliore amico, che stava decorando un
caffè misto
a cioccolata: le spalle erano tese, gli occhi fissi sulla tazzina, le
mani ferme.
Successivamente
dovette reprimere una risata, perché osservare un barista
preparare
dei caffé ordinati a mezzanotte era davvero un fatto strano:
nonostante tutto, però, si trovavano in una
località di mare e la
gente non aveva fretta di andare a dormire; la notte era ancora
giovane!
La
notte era ancora giovane, ma non per lei: Ludovica aveva trascorso
l’intera giornata ad accompagnare per le strade e i musei un
gruppo
di turisti davvero fastidiosi ed era esausta. Simone quasi rimpianse
il fatto che dovesse svegliarla: stava dormendo davvero beatamente,
il suo sorriso luminoso si intravedeva sotto ai suoi ricci.
Cercò di
dilatare quanto più possibile i tempi di chiusura, ma
all’una fu
costretto a batterle una mano sulla spalla nel tentativo di farle
aprire gli occhi per riaccompagnarla a casa.
“Che
succede? È già mattina?”.
“No,
bella addormentata: è l’una di notte”.
A
quelle parole lei si tirò dritta a sedere e si
stiracchiò
sbadigliando.
“È
tardissimo!” esclamò incamminandosi verso
l’uscita del parco.
“Lo
so” ribatté lui, correndo per raggiungerla; quando
lei si fermò
di scatto e si voltò lui le finì addosso e per
poco non caddero
entrambi.
“Facciamo
il lungomare?” gli chiese lei ridendo con la lingua tra i
denti,
mentre gli tendeva una mano per aiutarlo a rialzarsi.
“Scusami”
commentò quando lui fu di nuovo in piedi.
“Sto
invecchiando, Ludo, non puoi farmi sempre cadere
così!”.
“Non
lo farò più, promesso!”.
“Ti
crederò solo quando l’anfiteatro
crollerà”.
“Ma
quel vecchio rudere è più solido della gamba
robotica di mio
nonno!”.
“Ne
sono consapevole!” commentò lui correndo via prima
che lei
afferrasse la battuta e gli corresse dietro minacciandolo di morte.
Corsero
aggirando con maggiore o minore successo prima le automobili e poi
gli ombrelloni chiusi, finché i loro alluci non toccano
l'acqua. A
quel punto i due si tolsero le scarpe e cominciarono a camminare
fianco a fianco: si udiva solo il rumore dell'acqua, misto alla
musica che di tanto in tanto arrivava da un pub nelle vicinanze.
Simone e Ludovoca prendevano spesso la via salata per tornare verso
la casa che condividevano da ormai cinque anni; con loro viveva anche
un'altra ragazza, che però non amava né i
concerti né il bar
dell'anfiteatro e che quindi non rientrava mai con loro. Molti anni
prima, quando lui lavorava al bar in centro e Ludovica frequentava
l'università, trascorrevano spesso le serate assieme, chiusi
in casa
a bere tè e a giocare a carte: questa vecchia abitudine a
volte
mancava a tutti e tre. La quarta inquilina era arrivata quell'anno:
studiava all'università e gli altri tre la incrociavano
molto
raramente.
“Dici
che Sandra è già andata a dormire?”
chiese Simone dopo aver
camminato in silenzio per qualche decina di metri.
“Credo
che abbia il turno di notte oggi”.
“Dopo
guardiamo sul frigo” commentò lui in risposta,
alludendo al
biglietto che indicava gli orari di lavoro di tutti e tre.
“Così
quantomeno sappiamo quanto rumore possiamo fare quando usciamo domani
mattina”.
Ludovica
rise brevemente, ricordando le occasioni in cui per non fare rumore
si erano mossi in punta di piedi e avevano fatto cadere oggetti
fragili oppure erano caduti rovinosamente a terra.
“Che
c'è?” le chiese prontamente Simone, che non
riuscì a trattenere
un sorriso comparso di riflesso.
Lei
scosse la testa e alzò gli occhi verso il cielo.
“Pensavo
che ne abbiamo davvero passate tante assieme”.
“Già”
ribatté lui, calciando l'acqua salata e bagnando tutti e due
con gli
schizzi.
“Non
so come farei se dovessi cambiare appartamento: siete la mia
famiglia, tu e Ale”.
“Succederà,
Ludo. Prima o poi qualcuno andrà via perché
troverà lavoro altrove
o si sposerà. Tu per prima, magari”.
Lei
rise. “Io? L'unica che non ha mai avuto un ragazzo in vita
sua?
Almeno tu e Ale avete portato qualcuno a casa nel corso degli
anni”.
Simone
alzò le spalle. “Non vuol dir niente: prima o poi
qualcuno capirà
che ragazza fantastica sei”.
“Sei
troppo buono” commentò, ma i suoi occhi ridevano
luminosi.
“Sono
solo sincero”.
Si
guardarono negli occhi per qualche metro e si sorrisero,
finché gli
occhi di Ludovica si posarono su un punto indefinito alle spalle di
lui, sul mare e si spalancarono, subito seguiti dalle labbra.
“Simo,
una stella cadente!” esclamò la giovane
cominciando a saltellare.
“Esprimi un desiderio!”.
“L’hai
vista tu, non io” commentò lui divertito.
“Giusto
giusto”. Ludovica si fermò di colpo e
scrutò il cielo senza
vederlo per qualche secondo, finché non riprese il cammino.
A Simone
sarebbe piaciuto conoscere il suo desiderio. Lei, però,
aveva già
voltato pagina.
“Sai,
una sera potremmo spegnere tutte le luci dell'anfiteatro e
organizzare una serata di osservazione delle stelle. Potrebbe
diventare un po’ come sulla spiaggia, dove se ne vedono
davvero
molte. E calcola che qui si trova qualche luce accesa di tanto in
tanto”.
“Potremmo”
acconsentì lui e lei si aprì in un enorme sorriso.
“Dici
davvero?”.
“Sì,
domani ne parlo con il gestore del parco: ne sarà
entusiasta”.
“Grazie,
Simo”. Adorava Simone: appoggiava sempre ogni sua idea,
indipendentemente dal suo grado di assurdità e di pazzia.
Poneva
soltanto qualche condizione:
“Però
ti occupi tu di tutto” aggiunse infatti.
“Ovvio.
Conosco un sacco di costellazioni, non so se ti ricordi”.
“Come
dimenticare le serate in terrazza?” ribatté lui,
retorico,
alludendo alle notti d'estate in cui lui, Alessandra e Ludovica
osservavano le stelle sdraiati sulla terrazza del condominio.
“Dormivi
sempre” borbottò lei, ma senza rancore.
“Magari è la volta
buona che Ale viene all’anfiteatro”.
“Sogna,
Ludo”.
“Sognare
non fa mai male, Simo”.
“Che
razza di insolenza proterva ha quest’uomo che osa dormire
tranquillo mentre la donna che ha offeso non si è ancora
vendicata?”.
Le
parole pronunciate dalla marchesa de Merteuil riecheggiarono
nell’intero parco, deliziando alcuni turisti che visitavano
le
rovine o che salivano sulla collina che sovrastava tutta la
città
per ammirare il mare limpido. Alcuni si avvicinarono curiosi ai
gradoni dell’anfiteatro, chiedendosi che cosa stesse
accadendo, e
si fermarono ad osservare la scena rappresentata. Alcuni grazie a
questo scoprirono una casetta color cioccolata: la caffetteria di
Simone si trovava in cima alla gradinata, a destra, nascosta da
qualche albero.
“Mi
potrebbe preparare due macchiati?” chiese un uomo dopo aver
affrontato la dura scalata.
“Certamente”
rispose il barista sorridendo, grato per quella distrazione; quella
mattina, infatti, si stava stranamente annoiando: Camille si era
appropriata di un tavolino e stava confabulando assieme a Louise e a
Gustavo da tutta la mattina.
“Potrei
sapere che cosa stanno inscenando?” continuò il
cliente non appena
gli furono poste due tazzine tra le mani.
“Si
tratta dell’adattamento teatrale di Le
relazioni pericolose.
Si tratta di un romanzo epistolare della fine del Settecento, ma non
mi chieda l’autore perché ha un nome
impossibile”.
“Quando
lo mettono in scena?”.
“Tra
due settimane esatte, alcuni giorni dopo Don
Giovanni.
Se viene la mattina riesce ad assistere anche alle prove di
quest’opera”.
“Interessante”
ribatté l’altro, ma l’espressione del
suo viso lasciava
trasparire tutt’altra opinione.
“Che
razza di insolenza proterva ha quest’uomo che osa dormire
tranquillo mentre la donna che ha offeso non si è ancora
vendicata?”. Questa battuta risuonò nuovamente
nell’aria,
pronunciata con più enfasi, e per la prima volta nella
giornata
Camille fece sentire la sua voce.
“Sante
parole!” esclamò.
“Un
uomo dorme proprio per non sentire le lamentele delle donne!”
commentò Gustavo, e subito le due donne che sedevano al suo
tavolo
lo fulminarono con lo sguardo.
“Mai
rimandare la vendetta di una donna: sembra che le acque si siano
calmate, ma la volta dopo farà soffrire le pene
dell’Inferno”
osservò Simone, conquistandosi un’occhiata di
approvazione da
parte di Louise.
“Mica
stupido, il ragazzo” constatò invece Camille.
“Imparo
molto trascorrendo tutto il giorno assieme a voi. Senza contare che
vivo con tre donne, tra cui Ludovica!”.
“Tre?
Lei è pazzo!” la voce di un giovane lo raggiunse e
lui gli rivolse
un grande sorriso.
“Caffè?”
gli chiese, ignorando la sua provocazione.
“Sì,
grazie: le lezioni di recupero mi stanno distruggendo”.
“Niente
di meglio di un buon caffè per riprendersi”
commentò Simone
quando posizionò la tazzina bianca sul bancone.
“Concordo:
non mi sono arrampicato fin quassù per niente, sa? La mia
ragazza ha
detto che Lei fa miracoli” commentò, per poi
portare il bordo
bianco alle labbra. “Che strano caffè!
Però è buono!” esclamò.
“Che
cosa ci hai messo dentro questa volta, di grazia? Non lo avvelenerai
mica?”.
“No,
Ludo, non ti preoccupare” ribatté Simone con tono
fintamente
esasperato.
“E
se fosse allergico a qualcosa?”.
“Questo
te lo riconosco” commentò l'altro, mentre il
ragazzo interveniva.
“Nessuna
allergia!” esclamò allegro. “Ma mi
interesserebbe sapere che
cosa c’è dentro”.
“Caffè,
cacao e un pizzico di cannella”.
“Figo!
Tornerò di sicuro!” esclamò, lasciando
un euro sul bancone; un
attimo dopo era già scomparso.
“Come
fai ad azzeccare sempre i gusti dei clienti?”
esclamò Ludovica,
che non si stancava mai di porre quella domanda, ben sapendo quale
sarebbe stata la risposta.
“Li
ascolto e li osservo” rispose lui. “Ma questo
già lo sai. Quanto
dura la tua ora d’aria?”.
“Più
o meno dieci minuti” rispose Ludovica alla schiena di lui.
“Allora
mangia” commentò Simone poco dopo, appoggiando sul
bancone un
cappuccino con l’immagine di un viso felice e un toast, prima
di
scomparire per servire alcuni turisti seduti ad un tavolo poco
lontano.
Fu
in quel momento che Ludovica notò Camille, Louise e Gustavo
seduti
lontani dal bancone, nascosti dai rami di un albero.
“Questo
è il tavolo delle coppiette felici, non lo
sapevate?” esclamò
allegra quando giunse dietro di loro. Tutti e tre sussultarono e la
giovane notò con la coda dell’occhio alcuni fogli
sparire sotto il
tavolo.
“Ludovica,
ci hai fatto prendere un colpo!” esclamò Louise
con una mano sul
cuore.
“Io
invece mi stavo chiedendo che cosa state combinando: è
strano che
voi due stiate chiacchierando amabilmente con Gustavo”
osservò
indicando prima le une e poi l’altro.
“Affermazione
veritiera, ma è per una nobile causa”
ribatté tranquillo il
senzatetto.
“E
quale sarebbe questa nobile
causa,
di grazia?”.
“Top-secret”
le rispose Louise, facendo segno di chiudersi le labbra con una
cerniera.
“E
potrei saperne il motivo?”.
“Sei
troppo chiacchierona”.
“Io?
Ma sentite da che pulpito viene la predica!”.
Camille
sottolineò la sua noncuranza con un gesto della mano e con
la stessa
mano fece poi gentilmente segno a Ludovica di levare le tende. La
giovane aveva un diavolo per capello quando ritornò sul suo
sgabello: odiava quando la gente le nascondeva qualcosa!
“Che
succede?” le chiese subito Simone.
“Stanno
confabulando alle nostre spalle!” rispose lei esasperata.
“Mi
hanno cacciata!” concluse indignata.
“Lasciali
perdere: non ne vale la pena”.
“È
una questione di principio!” borbottò Ludovica
mentre addentava
l’ultimo pezzo del suo toast.
“Ne
devo dedurre che ti aspetto qui per cena?”. Lei,
però, non lo udì
neppure: era già andata via.
Simone
sospirò: l’ultima cosa che voleva era che
scoppiasse una guerra
nello spazio della sua caffetteria.
“Ed
in Spagna son già milletré!
Milletré!”.
Don
Giovanni stava elencando le sue amanti sul palco dell'anfiteatro alle
sette del mattino successivo e, accompagnati dalle sue note, Louise,
Camille e Gustavo stavano ancora confabulando al tavolino delle
coppie. Ludovica la sera prima non era riuscita a carpir loro alcuna
informazione, in quanto era arrivata quando i tre erano già
scomparsi. In quel momento li stava osservando con occhi di fuoco.
“Lasciali
perdere, Ludo” la ammoniva Simone ogni volta che arrivava
nelle
vicinanze del suo sgabello. Facile a dirsi: quella mattina, seppur
fosse molto presto, il giovane era già molto indaffarato e
lei non
aveva nessuno con cui intrattenersi, dato che i suoi usuali
interlocutori la ignoravano. Ludovica si guardò intorno alla
ricerca
di qualcuno con cui conversare: notò soltanto la musicista
che aveva
suonato due sere prima, quella con gli orrendi capelli fucsia, che
quella mattina era arrivata a bordo di un cavallo; era davvero
strana. Alcuni minuti prima, però, Ludovica si era divertita
a
vederla saltellare felice quando Simone le aveva servito un
cappuccino con la schiuma color fucsia.
Decise
di ignorarla e passò ai clienti successivi: li
scartò tutti finché
i suoi occhi non si posarono sulla ragazza riccia che sedeva a gambe
incrociate sul gradino più in alto dell'anfiteatro e stava
leggendo
un libro. Un po' per curiosità e un po' per ripicca nei
confronti di
Camille, Ludovica si incamminò in quella direzione e si
sedette
accanto a lei. Quella alzò gli occhi dal suo pesante volume
e la
osservò incuriosita: nessuno si avvicinava mai a lei, ad
eccezione del barista.
“Li
vedi quelli lì?” si sentì chiedere e
seguendo il dito indice
della giovane che le aveva posto la domanda notò tre
anziani, gli
stessi che di solito chiacchieravano assieme alla bionda e a Simone.
Annuì, così l'altra proseguì il suo
monologo. “Sono dei pazzi
che stanno architettando qualcosa, ma non mi vogliono dire
nulla”.
“Vuoi
che ti aiuti a scoprire che cosa fanno?” le chiese con una
nota
divertita nella voce.
“No,
non voglio metterti nei guai” sbuffò l'altra,
dondolando i piedi
contro la pietra fredda. “Si sta bene qua sotto”
osservò poi.
“Ecco perché stai sempre così lontana
dalla casetta”.
“Vedo
che sei una buona osservatrice” rise la lettrice non
più
solitaria. “Sono Marta” continuò
allungando una mano, che
l'altra strinse.
“Ludovica”
ribatté. “Hai suscitato molta curiosità
nei vecchietti, sai?”.
“Ne
sono consapevole: vi sento distintamente”.
La
guida turistica rise. “Oh bella! Potresti venire a
dirglielo!”.
“Non
riuscirei mai ad avvicinarmi ad una persona a caso e ad attaccare
bottone come hai fatto tu adesso. Anche se mi piacerebbe”.
“Non
è poi così difficile”.
“Non
lo è se si ha un bel carattere come il tuo”.
Ludovica
arrossì lievemente: non era abituata a ricevere dei
complimenti,
soprattutto non da sconosciuti. “Tu riesci a fare complimenti
a
caldo, invece: io non ci riesco”.
Marta
sorrise. “Se le persone fossero capaci di farsi i complimenti
che
pensano ci sarebbero più amore e meno violenza”.
“Sei
saggia”.
“Visto?
Non è poi così difficile!”
esclamò l'altra entusiasta.
Il
mattino dopo sulle note di una nuova aria di Don
Giovanni
Camille si avvicinò a Ludovica, che sedeva al suo solito
sgabello a
sorseggiare l'usuale cappuccino del buongiorno.
“Buongiorno!”
salutò la pensionata, allegra.
“Buongiorno”
ribatté l'altra, atona: era ancora arrabbiata per essere
stata
esclusa.
“Come
stai, cara?”.
“Vieni
al dunque, Camille”.
“Ti
ho vista parlare con la ragazza del libro”.
“Immaginavo”.
“Potresti
presentarmela?”.
“Così
la sottoporrai ad un terzo grado? Assolutamente no”
commentò
Ludovica, risoluta.
“Bene!”
sbuffò l'altra, per poi allontanarsi con aria scocciata.
Ci
riprovò Guglielmo quella sera, accompagnato dalla figlia.
“Ciao,
Ludovica!”.
La
giovane fissò prima l'uno e poi l'altra con fare sospettoso.
“No”
sentenziò infine.
“No
cosa?” replicò Gaia ridendo.
“Sapete
a che cosa mi riferisco” sospirò la giovane
indicando Marta.
“Mi
hanno solo chiesto che tu la porti qui al bancone. Per
piacere”
sussurrò il tassista a mani giunte: probabilmente era stato
ricattato.
Ludovica
sbuffò e fece cenno a Gaia di seguirla.
“Andiamo”.
Un
attimo dopo la bambina aveva già fatto amicizia con Marta e
l'aveva
convinta a seguire lei e la guida turistica con la scusa di
presentarle il suo papà. Ludovica alzò gli occhi
al cielo: quella
piccoletta trascorreva troppo tempo con Louise e Camille.
Le
due donne, Guglielmo e Gustavo le aspettavano al varco, ma si
presentarono in modo educato, senza essere invadenti: la guida
turistica cominciava a convincersi del fatto che in fondo volevano
solo conoscere la lettrice solitaria, non avevano architettato alcun
piano malefico.
“Oh,
guarda chi si degna di fare un saluto! Posso esservi utile?”.
“Ci
prepareresti quei tuoi caffè strani? Quelli che piacciono
tanto alla
gente?” esclamò Louise, entusiasta. Ludovica la
guardò male,
insospettendosi: da buona tradizionalista qual era la donna non
ordinava mai un caffè fuori dal comune.
Cinque
tazzine si posarono sul legno assieme ad un bicchiere colmo di
tè
freddo al mirtillo, il preferito di Gaia.
Camille
ignorò prontamente la sua bevanda, spingendola da un lato
con faccia
quasi schifata e richiamò l'attenzione del barista.
“Simone,
che cosa hai messo nel caffè della Signorina?”.
“Zucchero
a velo, zenzero e un pizzico di sale” rispose lui
prontamente:
sembrava che preparasse quel caffè da anni.
“Hai
scelto bene: la Signorina sta apprezzando”.
“Azzeccato
al primo colpo” confermò Marta, ignara del fatto
che Camille non
stesse ponendo quelle domande in modo casuale. Simone sorrise,
ricordando il primo caffè che le aveva preparato. Il primo
che aveva
preparato.
“Magari
è la tua anima gemella” buttò
lì Gustavo, stanco di
quell'inutile botta e risposta; le reazioni furono piuttosto comiche:
Gaia scoppiò a ridere mentre Louise e Camille lo guardarono
indignate. Marta, intanto, aveva sputato la metà della sua
bevanda
sulla maglietta rossa di Simone, il quale era arrossito di colpo e
stava fissando Ludovica, che fece una faccia da Te
l'avevo detto
nonostante volesse solo scoppiare a piangere.
“Potevi
dircelo subito che era tua cugina!” la mattina dopo le note
di Don
Giovanni
non erano udite da Camille, che la sera prima era uscita a passo di
marcia dal parco dell'anfiteatro senza neppure salutare e che in quel
momento stava puntando un dito contro il petto di Simone, quasi
sperasse che si tramutasse in una pistola e lo colpisse mortalmente.
Il
barista sorrise e posò accanto a lei il caffè
della concordia, che
recava parole di scuse sulla schiuma.
“Non
mi hai mai interpellato”.
“La
vecchia ha ragione!” ribatté il senzatetto,
impegnato in una
partita a scacchi poco lontano.
“Non
chiamarla vecchia, sudicio vagabondo!” lo rimbeccò
Louise.
“Io
la chiamo come mi pare!”.
Simone
sorrise e notò Ludovica seduta sul primo gradone
dell'anfiteatro a
chiacchierare animatamente con Marta con le mani a mezz'aria e gli
occhi luminosi: lei, a differenza degli altri quattro, aveva preso
piuttosto bene la notizia.
I
loro occhi si incrociarono quando lei alzò la testa per
osservare
con rimprovero i tre anziani litigiosi; si compresero al volo: tutto
era tornato alla normalità, ma non sapevano se esserne
felici oppure
no.
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