Hope

di varietyofdreams
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Ma, al contrario di ogni previsione, Matilde visse molto di più, purtroppo. Finì i suoi giorni contenta di ciò che –non- aveva.
I medici affermarono in seguito che quella di Matilde era stata la morte più serena che un malato di Còrea di Huntington potesse avere. Rideva sempre, continuamente.
Una volta, le sue corde vocali vibrarono dopo molto tempo per dire qualcosa di diverso dal nome del suo ragazzo. Un’infermiera la sentì dire, con un beato sorriso stampato sulle labbra: «Insieme fino alla fine che sta per arrivare.» Poi era scoppiata in una fragorosa risata.
Le cause intercorrenti per la morte di Matilde furono i problemi che la malnutrizione aveva creato. Comunque non soffrì, anzi, fino a 37 anni continuò ad amare incessantemente Elia e a passare delle bellissime giornate con lui. Doveva essere un delirio veramente dolce e faceva quasi sorridere per la tenerezza. Gli spasmi rendevano i suoi gesti molto dolorosi alla vista: vedere una ragazza che cerca di abbracciare il vuoto ma non ci riesce a causa di una disfunzione motoria, stringeva il cuore a tutte le infermiere.
Nell’ultimo respiro della ragazza, fievole, si sentirono tutte le passioni che aveva perduto e tutte i sogni che aveva inseguito. La danza; la speranza che qualcuno trovasse un rimedio alla sua malattia; Elia.
Morì abbracciandosi, o meglio, abbracciando il suo ragazzo.
Disse che avrebbe fatto un pisolino stretta a lui e che quando si sarebbero svegliati, sarebbero andati di nuovo al fiume a cogliere i fiori. Fu il discorso più lungo che i medici le avessero mai sentito fare. Infine, si addormentò facendo dei movimenti con la testa come se stesse trovando la posizione più comoda fra le braccia di qualcuno. Morì così, serenamente, nel sonno.


Era bellissimo. Avevano corso per molto tempo quando lei gli aveva chiesto se potevano riposarsi un po’ prima di riprendere a correre verso l’argine del fiume dove avrebbero raccolto altri fiori.
«Certamente. Vieni qui». L’aveva stretta a sé con forza e l’aveva guardata dormire. Dopo diverse ore, poiché non si svegliava, capì. La prese in braccio e, delicatamente, come se potesse ancora sentire dolore, la portò all’argine del fiume. La stese nell’erba alta e le decorò il corpo con i migliori fiori che poteva trovare. Infine, le baciò il dorso della mano e, delicatamente, le labbra.
La principessa se n’era andata, seguendo il destino che suo padre le aveva lasciato.
E lui era lì da secoli, ad assistere ogni Re o Regina e ogni loro figlio, come amico o come pretendente. Lo avrebbe fatto in eterno, finché loro lo volevano, assistere tutti quelli che stavano male.
Non avrebbe mai smesso.
E sarebbe stato per sempre fedele ad ognuno di loro.
Lui era Hope, la speranza dei malati, il delirio dei moribondi, il sollievo dei bisognosi. C’era per tutti, esisteva per nessuno.
Spinse delicatamente il corpo nel fiume che venne portato via dalla corrente; lo seguì camminando sulla riva del fiume, fino ad arrivare alla foce. Ciò che stava oltre la foce lui non poteva vederlo, seppure sapesse che c’era Qualcuno di più potente, là, ad accogliere chi arrivava fino a quel punto




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