“Luciana,
vieni un attimo qui!”.
Il richiamo di una donna
sulla
quarantina nascosta dietro al bancone risuonò nella
biblioteca
silenziosa e quasi vuota alle due del mattino. L'edificio, l'unico
aperto ventiquattr'ore al giorno e trecentosessantacinque giorni
l'anno, era il luogo d'incontro perfetto per chi non riusciva a
dormire e cercava un po' di compagnia, fosse questa di un libro o di
una persona.
Un uomo che stava
sfogliando il
giornale ad un tavolo lì vicino alzò lo sguardo
attendendo il suono
famigliare delle piccole ballerine rosse, che però non
giunse.
L'anziana signora che
giocava a scacchi
assieme ad un amico ben presto chiese se dovesse andare a cercare
Luciana, ma la bibliotecaria scosse la testa:
“So che mi ha
sentita. Capito,
Luciana? So che hai un udito infallibile, quindi muoviti!”.
Sul soppalco del primo
piano, nascosta
dietro agli scaffali, una bambina dai lunghi e lisci capelli neri
piegò le labbra verso l'alto. Una mano era poggiata sulla
costa
della copertina di un libro, mentre i piedini traballavano sulle
punte. Sì, le sue orecchie avevano udito la voce della
madre, ma lei
non aveva voglia di muoversi: amava riordinare i libri, amava
toccarli, amava annusarne il profumo. I suoi preferiti erano i volumi
antichi, soprattutto quelli che avevano preso l'odore dei luoghi che
avevano visitato e quelli di cui riusciva a seguire le parole scavate
nella carta. Una volta una signora che profumava di couscous le aveva
riconsegnato un libro speziato: si era divertita molto a viaggiare
nell'abitazione di quella donna.
“Luciana!”.
Al terzo richiamo
l'interessata, più
per non disturbare gli ospiti della biblioteca che per altruismo,
lasciò a malincuore la sua postazione e corse giù
per le scale,
stando ben attenta a scavalcare il terzultimo gradino: scricchiolava
in modo strano; stava per rompersi, anche se la mamma non le credeva.
La bambina
salutò allegramente Greg
che sfogliava il giornale prima di arrivare dove sapeva che avrebbe
trovato la sua mamma. Alla sua destra percepì un profumo che
non le
era famigliare: legno con tracce di cannella.
“Che cosa devo
fare?” chiese
alzando lo sguardo, ma senza incrociare quello della donna. I suoi
occhi verdi erano vacui, senza espressione e vita.
“Puoi aiutare
questo ragazzo a
trovare i gialli, lettera 'Z'?”.
Il viso di Luciana di
illuminò:
“Certo!” rispose la sua voce squillante, mentre il
suo viso si
girava verso destra. “Seguimi!”. Partì
alla carica, ma non udì
alcun passo seguirla, così si fermò e sbuffando
si volse indietro.
Da lontano sentì il giovane borbottare qualcosa sul fatto
che non
aveva intenzione di farsi guidare da una cieca e il suo sorriso si
spense di colpo.
“Conosco la
biblioteca meglio di te!”
gridò prima di correre via.
I passi leggeri della mamma
la
raggiunsero poco dopo, mentre Luciana era rannicchiata per terra
accanto ai libri gialli dall'autore 'Z'.
“Non ha fatto
apposta, Lulu, lo sai”
le disse la donna dolcemente.
“È
stato cattivo” mugugnò l'altra
in risposta. “E maleducato” aggiunse mentre la
madre si sedeva
accanto a lei, la schiena contro il muro.
A Luciana sarebbe piaciuto
poter vedere
il suo viso: il suo papà diceva sempre che era bellissimo.
Avrebbe
voluto anche osservare quello di suo padre e quelli dei suoi
fratelli, così come avrebbe desiderato poter associare
qualcosa ai
colori che tutti nominavano tanto spesso.
Dall'altro lato,
però, le andava bene
così: udiva suoni e sentiva odori che nessun altro
percepiva; suo
fratello Giovanni le diceva sempre che era straordinaria, il che era
di gran lunga più bello di essere dei noiosi normali vedenti.
Il profumo dell'inchiostro
dei libri,
quello che la mamma non riusciva a percepire, riempì le
narici di
Luciana, che subito si rianimò.
“Che libro
voleva?” chiese alla
bibliotecaria.
“GN
ZAT03”.
“Quello sopra la
mia testa?”
continuò, e udì l'altra alzare lo sguardo e
sorridere. L'aria
attorno a lei si postò quando Barbara si sporse per
afferrare il
volume.
“Esatto, piccolo
genio”. I suoi
capelli vennero scompigliati. “Ecco qui, portaglielo
pure”.
“Grazie,
mamma!”.
La piccola balzò
in piedi e ritornò
correndo al bancone, rompendo nuovamente il silenzio che risuonava
nella grande stanza all'ingresso. Un anziano che si era appisolato
sopra ad un libro aperto si risvegliò di soprassalto.
“Ecco
qui!” esclamò Luciana non
appena percepì davanti a sé il profumo del
ragazzo. Quello afferrò
il libro senza neppure ringraziarla e lo poggiò sul bancone
con un
tonfo. La bambina sussultò.
“Non si fa
così!” protesto non
appena si riprese, per poi agguantare subito il volume. “Si
dice
grazie.
E si trattano bene
anche i libri: hanno dei sentimenti, sai?”.
L'altro
le scoppiò
a ridere in faccia: il suo alito caldo invase le narici della
bambina, che tossì.
“Dei
sentimenti? Non ci crederai davvero?” commentò lui
poco dopo senza
smettere di ridere, il tono di voce incredulo. Lui odiava i libri, li
odiava proprio; in realtà odiava tutto ciò che
presentasse più di
dieci parole stampate in fila.
“Li
hanno” confermò intanto Luciana, annuendo seria.
“Hanno dei
sentimenti e hanno una storia. Questo ce l'ha portato una signora
giovane che profumava di vino quasi due anni fa: era triste quando
è
arrivato, e anche tutto sporco, ma ora è felice, soprattutto
da
quando l'ho ripreso in mano io” concluse sfiorando al
copertina con
le dita.
“Ok,
bel discorso: ora ridammelo”.
“No”.
“Mocciosa,
il mio coinquilino mi ha chiesto di portarglielo: se domani mattina
non lo trova mi uccide”.
“Digli
di venire lui, di sicuro tratterà meglio questo povero
libro”.
“Credi
che avrebbe mandato me se avesse avuto il tempo di venire?”.
“Lo
troverà” mentre pronunciava queste parole,
però, il giallo dalla
copertina consumata le sfuggì dalle mani; Luciana
cercò di non
perdere la presa e lo strinse più forte a sé.
Poco dopo un grido
acuto seguito da un tonfo riempì la biblioteca. Per un
attimo si udì
solo il ticchettio della pioggia sui vetri, misto ai passi delle
persone che si radunavano lentamente attorno al ragazzo e alla
bambina. L'uomo con il giornale alzò lo sguardo, curioso.
Luciana
era accucciata a terra e stringeva nuovamente a sé il libro,
diventato due.
Barbara
arrivò
correndo:
“Che
cosa succede?” chiese ansimando.
“Lui!”
esclamò Luciana rabbiosa, puntando il dito indice verso il
punto in
cui il giovane si era nascosto. “Ha strappato il
libro!”.
Mentre
pronunciava
quelle parole percepì le lacrime scivolarle sulle guance.
“Anche
tu hai la colpa: dovevi lasciarlo andare” commentò
l'altro,
tranquillo; non aveva previsto che una piccola furia lo avrebbe
atterrato.
“Basta.
Basta!”. Le braccia della madre
sollevarono Luciana da
terra, così i quattro arti picchiarono il vento.
“Lulu,
mi sembra di aver capito che il libro serve al ragazzo,
vero?”
disse la sua mamma dopo averla rimessa in piedi.
“Sì”
risposero i due all'unisono.
“Ricordi
dove vive la Signora Ricci?”.
“Quella
che ha un altro libro uguale a questo? La moglie del fornaio?”.
“Esatto”.
“Sì
che me lo ricordo: dritta fino al dosso. Due passi, poi a destra e al
buco nel muro a sinistra. Dove c'è il cane che abbaia in
modo strano
vado a destra e vado a sinistra quando c'è il semaforo che
fa
rumore. Conto fino a ottocentotré e sono arrivata”.
“Esattamente”.
“Vado
adesso?”.
“Solo
se il ragazzo acconsente ad accompagnarti: non puoi uscire da sola di
notte e io non posso venire con te”.
Una
decina di minuti dopo due figure sbuffavano nella notte condividendo
il vecchio ombrello di Barbara. Le gocce ticchettavano rumorose sulla
tela e rimbombavano nel silenzioso buio, illuminate solo dalla luce
di alcuni lampioni solitari. Lentamente quella cantilena
portò i due
a dimenticare di essere arrabbiati l'uno con l'altra.
Luciana
tastava il
terreno con i piedi e con il bastone da passeggio, ma camminava
diritta e sicura, riuscendo anche ad evitare le pozzanghere che il
suo compagno di viaggio, invece, era piuttosto abile a centrare in
pieno: non era abituato al buio.
A
quanto pareva era
anche davvero distratto: ad alcuni centimetri da un palo della luce
non si era ancora spostato.
“Attento
al palo!” lo ammonì la bambina, impedendogli di
schiantarsi.
“Tu
non sei cieca” borbottò il ragazzo e lei in
risposta sbuffò: non
valeva la pena ribattere, anche perché era sempre complicato
spiegare alle persone che il terreno cambiava sotto ai suoi piedi e
che in vicinanza di un lampione da pieno diventava sempre
più cavo.
“In
effetti sembreresti tu quello cieco: non so che cosa ci abbia trovato
la mamma in te per convincersi che tu potessi essere un buon
accompagnatore”.
“Le
madri mi trovano affascinante” commentò lui senza
pensare.
La
piccola storse
il naso. “Stai lontano dalla mia mamma”.
“Ok,
mocciosa”.
“Dico
davvero: è sposata. E poi sei troppo giovane”
continuò lei,
imperterrita, strappandogli un sorriso.
“Sei
impertinente, mocciosa”.
“Lo
so. Mi chiamo Luciana, comunque, non mocciosa”
puntualizzò.
“Va
bene, mocciosa”.
La
bambina sbuffò,
ma lasciò perdere. “Tu come ti chiami?”
chiese invece.
“Federico”
rispose lui, laconico. Luciana, però, parve soddisfatta
della
risposta, perché annuì.
Per
alcuni minuti
si udì soltanto il silenzio della notte misto alla pioggia,
al leve
russare di qualche senzatetto e al rumore di motori lontani,
finché
il giovane non riprese la parola.
“Come
mai andiamo da questa signora?” chiese mentre svoltavano a
destra e
lei gli intimava di stare attento ad un altro lampione.
“La
Signora Ricci ha una sua biblioteca enorme e quando un libro serve a
una persona, ma è rotto o in prestito, ce lo presta. E la notte aiuta suo marito a fare il pane, quindi non dorme.
Però tiene
molto ai suoi libri, quindi dì al tuo amico di trattarlo
bene”.
“So
già che lo tratterà benissimo”.
La
piccola si
illuminò. “Vuole anche lui bene ai
libri?”.
“Più
o meno” rispose Federico mentre Luciana sfiorava il muro con
le
dita della mano sinistra: non aveva voglia di litigare di nuovo con
lei.
“Posso
chiederti come mai una bambina della tua età è
sveglia a
quest'ora?” chiese poi, dato che non sopportava il silenzio.
“Non
vai a scuola domani?”.
“Io
non vado a scuola” rispose l'altra, tranquilla.
“Oh”.
“I
maestri non sapevano come fare, visto che sono cieca, allora la mamma
mi insegna le cose e io poi faccio un esame”.
“La
scuola non dovrebbe accogliere tutti?” chiese lui
sovrappensiero.
“Sì,
ma era difficile per i maestri: scrivevano sempre alla lavagna e io
non potevo vedere. Inoltre, i miei compagni non volevano giocare con
me e la maestra di sostegno non era tanto brava... Ma non sono andata
via per questi motivi”.
“No?”
chiese a quel punto lui, sorpreso.
“No”
confermò lei. “È stato un po'
perché c'erano troppi rumori e
odori, non capivo più niente, e un po' perché non
riesco a dormire
se è buio”.
Federico
sorrise.
“Allora sei un po' come me. Solo che io sento troppi suoni
perché
ho una malattia che si chiama iperattività”.
“È
grave?”.
“No,
ma ho sempre fatto fatica a stare attento e nessuno se n'è
accorto
per tanto tempo”.
“E
adesso sei guarito?”.
“No,
ma sto meglio. Però non vado più a
scuola”.
“Che
cosa fai?” chiese lei mentre udiva un cane abbaiare al suo
passaggio. “Vero che abbaia in modo strano?”
commentò poi.
Federico
rise e
annuì prima di rispondere alla prima domanda.
“Sono un falegname:
costruisco oggetti e mobili con il legno”.
Luciana
si
illuminò. “Mi insegni? Tanto la notte non riesci a
dormire neanche
tu”.
“Potrei”.
Il giovane sorrise mentre pensava che avrebbe potuto farlo davvero.
Prima che potesse continuare, però, la bambina aveva
già cambiato
argomento.
“Dormi
anche tu la mattina come me?” gli chiese.
“Sì,
e comincio a lavorare alle due”.
“Io
all'una preparo il pranzo per i miei fratelli assieme alla
mamma”.
“Potresti
insegnarmi a cucinare, allora” ribatté Federico
mentre
attraversavano la strada.
“Ok”
replicò lei, entusiasta, per poi zittirsi.
“Che
cosa fai?” le chiese lui poco dopo, vedendola concentrata, ma
lei
gli fece cenno di rimanere in silenzio: contare a mente e
contemporaneamente stare attenta alla strada le richiedeva
già
troppa attenzione.
Luciana
e Federico ritornarono su quella strada circa un'ora dopo, dopo aver
recuperato il libro ed essersi rimpinzati per bene di chiacchiere,
tè
e biscotti.
“Allora,
che profumo aveva la casa della Signora Ricci?” lo mise alla
prova
la bambina.
“Se
mi avessi detto di starci attento prima di entrare forse avrei saputo
risponderti” rispose lui, più divertito che
scocciato.
“No,
così non avrebbe avuto senso! Ti arrendi?”.
“Ovvio
che mi arrendo”.
La
bambina ritornò
subito con la mente nel caldo ingresso dell'appartamento dell'anziana
signora.
“Pane
e peperoncino. E profumo di inchiostro quando siamo entrati nella
biblioteca” replicò sicura. “La prossima
volta stai attento”.
“Va
bene, capo” riuscì a dire lui prima che la costa
del libro gli
arrivasse sul naso. “Ahio!” esclamò.
“Che fai?”.
“Scusa,
volevo solo farti annusare un po' del profumo della biblioteca della
Signora Ricci” rispose lei, al che lui sbuffò.
“Non
mi interessa: odio l'odore dei libri”.
“Che
peccato, qui l'inchiostro si sentiva anche bene...”
commentò
l'altra un po' delusa.
Lui a
quel punto
sospirò rassegnato, poi afferrò il libro, che si
trovava ancora
pericolosamente vicino al suo naso, e ne respirò brevemente
l'odore.
Ad un primo impatto storse il naso e allontanò il viso
chiudendo gli
occhi, ma successivamente, su invito della sua piccola compagna di
avventure, tornò ad annusare il pesante volume. In quel
momento
riuscì a percepire il calore della biblioteca della Signora
Ricci,
il crepitare del fuoco nel camino e la voce calda della donna, il
tutto incastonato all'interno dell'inchiostro. Profumava di casa.
La
pioggia
ticchettava ancora sul grande ombrello di Barbara.
“Sai,
la mamma una volta mi ha detto che questo ombrello è tutto
colorato”
intervenne Luciana, rompendo l'incanto.
“È
vero” confermò Federico alzando lo sguardo dopo
aver restituito il
libro alla bambina. “Tu non vedi mai niente, vero?”.
“Sono
cieca, genio!”.
“Lo
so, mocciosa; mi chiedevo solo se vedessi sempre tutto
uguale”.
“Sempre,
perché?”.
“Il
mio coinquilino mi ha raccontato di aver letto di persone cieche che
in determinate occasioni riescono a vedere i colori”.
Federico
diceva
davvero? A Luciana sarebbe piaciuto molto essere una di quelle
persone, ma purtroppo non lo era, come realizzò dopo qualche
attimo
di entusiasmo, intristendosi.
Federico
notò
subito il suo cambio d'umore, ma gli venne un'idea un po' assurda per
tirarla su.
“Sai,
un pezzetto di questo ombrello è verde. Il verde
è il colore del
prato, ma anche della speranza”.
Luciana
per un
attimo rimase immobile, sorpresa, poi attraverso i racconti di
Federico lo vide, il verde: profumava di erba appena tagliata e di
pic-nic. E di scuola.
“Il
rosso, invece, è il colore dell'amore”
continuò intanto lui. “E
delle rose, ma anche del sangue. Anche la copertina di questo libro
è
rossa”.
Il
rosso aveva il
sapore del ferro, ma anche dei caldi abbracci della sua mamma e
dell'inchiostro.
“Però
il libro si chiama giallo” obiettò la bambina.
“Perché allora è
rosso?”.
“Perché
il giallo è il colore dei misteri, ma non chiedermi il
perché. È
anche il colore del sole”.
Luciana
percepì il
giallo come il calore dei raggi sulla pelle. Vedeva i colori, li
vedeva davvero! Saltellò felice prima di sentire il rumore
prolungato di un clacson: l'ombrello colorato volò in una
pozzanghera mentre una mano le afferrava l'avambraccio.
Attraverso
i grandi vetri della biblioteca i clienti che cominciavano ad alzarsi
in piedi per ritornare a casa alle quattro e mezza del mattino videro
il cielo farsi un po' meno nero. Luciana, però, non era
ancora
tornata. Barbara continuava a guardarsi attorno nella speranza di
vederla comparire da un momento all'altro tra gli scaffali, ma fino a
quel momento aveva trovato solo il vuoto e un libro caduto a terra.
Stava
cominciando a
preoccuparsi: vide davanti a sé il vecchio ombrello colorato
volare
in aria e posarsi a faccia in giù in una pozzanghera mentre
la sua
piccola veniva investita da un'auto pirata dopo che quel giovane con
il piercing al naso l'aveva abbandonata. Un attimo dopo la vedeva
scalciare contro di lui che la stava rapendo e quello dopo ancora la
osservò perdersi nel buio.
La
notte, che
Barbara aveva sempre amato, era diventata la sua peggior nemica, il
teatro delle sue paure più profonde.
Era stata una sciocca, una sciocca impulsiva! Si fidava decisamente troppo dei suoi clienti, ma era talmente abituata a lasciar andare Luciana assieme a loro dalla Signora Ricci da aver dimenticato che solitamente non si trattava di sconosciuti. Sua figlia era matura per la sua età, ma non sarebbe di certo stata in grado di difendersi!
Mentre
camminava su
e giù le venne il fiato corto e le gambe cominciarono a
tremare,
così si sedette su uno scalino, che si spezzò
sotto al suo peso.
Fu il
colpo di
grazia: scoppiò a piangere. Si trattava del terzultimo
gradino.
Quando
i passetti di Luciana riempirono la biblioteca le sue orecchie
percepirono un suono a lei sconosciuto: chi stava piangendo? Prima
ancora di andare a cercare la sua mamma, spinta dalla
curiosità
cercò la fonte di quel rumore: proveniva dalle scale. Quando
si
avvicinò percepì il profumo di lavanda di
Barbara: era sua madre
quella che piangeva?
“Mamma?”
chiese la bambina, incerta. Il suono sconosciuto cessò
all'istante e
due braccia note e colorate di rosso la strinsero forte.
“Luciana!
Oh, sia ringraziato il cielo! Sei sana e salva!”.
“Ahi,
mamma, mi fai male!” protestò la piccola mentre
l'odore del legno
riempiva l'aria.
“Abbiamo
trovato il libro! E Federico mi ha raccontato dei colori. Poi
però
non sentivo più i suoni e quindi sono quasi stata investita.
E poi
ci siamo un po' persi perché lui mi aveva distratta,
però era stato
attento a quello che vedeva allora siamo riusciti a tornare”.
Barbara
si
irrigidì.
“Sto
bene, mamma” puntualizzò Luciana.
“Grazie”
si limitò a dire la donna, alzando lo sguardo verso il
giovane.
“Mamma?”.
“Sì,
tesoro?”.
“Devi
aggiustare il terzultimo gradino: i pezzi battono sul
penultimo”.
Dal punto in cui si trovava Federico giunse un suono sorpreso, mentre
Barbara rise di cuore.
“Però
Federico sa aggiustarla: fa il falegname” continuò
la bambina,
imperterrita.
“Posso
venire domani notte, ma solo se mi aiuti”.
Due
braccine lo
travolsero e, mentre sollevava Luciana da terra, Federico
riuscì a
percepire il suo profumo: inchiostro, casa.
Angoletto
di
Hope-barra-Gio:
una
delle prime
cose si possono notare in questa storia è che sono quasi
totalmente
assenti le descrizioni visive, fatta eccezione per quella di Luciana
all'inizio e il dettaglio del piercing di Federico, che non a caso si
trova quando il punto di vista non è quello della bambina
cieca.
Un'altra
osservazione che volevo fare riguarda la domanda che Federico ha
fatto a Luciana, quella sul fatto di vedere tutto uguale. Non
è una
sciocchezza: si tratta della sinestesia. È stato notato che
alcune
persone cieche non nate tali riescono a vedere i colori in
associazione a determinati stimoli uditivi, olfattivi o tattili.
Purtroppo non si può provare che ciò accada anche
con chi è cieco
dalla nascita.
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