Il
suono di un fiume spaccato tra le pietre –
L’aria
gelida e la stoffa ruvida –
Ferite
sulla pelle e cicatrici.
La
tua saliva: il tuo odore fatto rete,
e
questa rete cattura viscere e sensi.
Cresce
in grembo un piccolo bozzolo di veleno
fiorente
tra l’amore e il vuoto dell’assenza.
Flutti
e brezze mi spolpano il cuore all’osso,
bestie
d’acqua rugose e voraci.
Non
mi volto indietro,
sebbene
una Scozia immacolata mi attenda
in
ogni sogno.
Pesci
d’argento guizzano tra i nostri piedi immersi.
Le
rapide lavano via il fango, il sangue, il dolore.
Ti
ho graffiato per cacciarti, ti ho graffiato per amarti.
Ti
ho desiderato
per
lasciarti.
E
come poteva esistere in me un mostro simile,
innamorato
di te e affamato
del
tuo vigore –
e
come ti ho accolto tra le gambe e nell’anima,
nemmeno
fossi selvatica anch’io,
e
come amavo il suono basso della tua voce a ferirmi i sensi…
Nel
vino il desiderio di te s’è ubriacato di
verità.
Un
anello di ferro è la chiave,
di
ferro è la catena che mi lega a te in un piccolo cerchio.
E
quando il cerchio si allarga
io
svanisco in una tomba di pietra,
dove
tu non sei più.
Questa
deve essere la mia punizione
per
quanto ti ho amato.
Perderti
è il prezzo della felicità di essere tua.
E
lo sono ancora.
Tua
come un cuore nel suo guscio di carne.
Tua
come tua figlia ignara di te.
Tua
in ogni modo possibile, fino a sentirmi
tremare
le gambe
per
il vuoto che mi spezza.
Senza
rimpianto affronto i carboni accesi della solitudine.
Ti
tengo vivo come l’ultimo fiato di candela nella tenebra
spenta.
Quando
non c’era elettricità a confortare le notti,
capivo
quanto fosse benedetto il fuoco.
E
quando anche il fuoco moriva,
benedetto
era il tuo corpo così caldo, i tuoi baci così
fondi, le tue mani così sagge.
Il
freddo non veniva mai.
Invece
in
questo mondo elettrico e moderno
mando
scintille sterili
nel
grigiore della mia alcova.
La
ferita del mio tradimento non ha lasciato Frank,
esiste
in lui come una malattia costante.
Mi
tocca cercando qualcuna che non sono più.
Mi
dono a lui sperando di potere, per un attimo solo,
recuperare
almeno il
suo sorriso.
Ma c’è
una nota di roccia
nel
mio respiro,
raschia
via i segni della quiete.
Ha
tutto, Frank:
la
pazienza,
la
coscienza,
la
presenza,
eppure
–
anche
nel più dolce abbraccio ti insinui tra noi
e
grido per te, non per lui.
Grido
canti
rochi
come i tuoi sussurri, quando
mi
chiamavi con gemiti indecisi
tra
l’estasi e il comando.
Gaelico.
La
lingua del mio amore
era
un pugno di parole apprese a stento
tra
un bacio, una carezza, un amplesso e un colpo
al
cuore, al corpo.
Quando
nessuno mi guarda,
e
Brianna respira nel sonno
il
tuo profumo,
io
le dico ancora, quelle parole.
Mi
si seccano in gola, ma resisto perché
mi
venga un colpo se ti lascio andare,
dannato
Fraser,
possano
venirmi ad ammazzare
se
dovessi scordarmi
uno
solo di quei suoni
che
mi versavi in bocca come vino.
Se
potessi morire,
se
non avessi amore da donare ancora
alla
creatura nata da me e da te,
verrei
a Culloden
a
seppellirmi nella tua cruenta terra,
affinché
le ossa e il sangue nostro si uniscano da morti
come
da vivi.
Questo
mi hai lasciato, James Fraser:
un
cuore di belva ridestata,
e
che io lo usi per proteggere Brianna
(lo
giuro, Dio, che mai nessuno le farà del male;
Dio,
mi hai trasformata in te)
o
per insultarti mentre sogno di averti nudo dentro l’anima
non
importa, dico davvero,
è
lo stesso,
è
tuo.
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