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Introduzione
Questa
storia mi è venuta in mente 10 minuti fa.
Ci
credete?
(Si,
perché è scritta da far schifo! Nd Tutte)
Cattive… Dicevo, mi è venuta in mente 10 minuti fa, di getto,
e il primo capitolo si è scritto praticamente da solo. Avevo voglia di scrivere
una fic un po’ più, come dire… Allegra, facile da leggere ma senza essere
demenziale. E spero di riuscirci con questa fic! ^^ Tanto per cambiare non è una
R o una NC 17 e non c’è gente che soffre o muore o ha bisogno di uno psichiatra,
ma urgentemente! YUPPI!!!
Spero sinceramente che l’idea non sia stra-abusata. In quel
caso credo che mi accuccerò in un angolo e piangerò. Però commentate lo stesso,
dai, ditemi se vi è piaciuta o meno! ^^ A voi no ncosterebbe niente ma farebbe
tanto felice me.
Non volete fare felice una poveretta? ^_-
Grazie anticipatamente a tutte!
LE (TRAGICOMICHE) CONSEGUENZE
DELL’AMORE
Prologo: “Ti amo, Remus”
Sirius Black era il ragazzo più ambito di tutta Hogwarts. Non
ci sarebbe stata donna in tutta la scuola che non avrebbe esitato un istante a
bruciare la propria bacchetta per l’incontro di una notte, un bacio o un
semplice gioco di sguardi malizioso.
Lui era tutto quello che una donna poteva desiderare.
Bello, atletico, intelligente, e con quell’irrestibile aria
da mascalzone che tanti cuori aveva infranto e tanti ne avrebbe ancora infranti
negli anni a venire. Non passava giorno che il nostro Latin Lover non fosse
salutato da un coro di sospiri estatici, o che non dovesse fuggire disperato
lungo i corridoi, inseguito da un’orda di femmine assatanate; Grifondoro,
Serpeverde, Corvonero e Tassorosso, non c’era una donna che non sognasse di
cadere tra le sue braccia forti e virili. Era il sogno delle ragazze e l’incubo
sempiterno dei loro fidanzati.
Il sogno di ogni uomo? Beh, non di tutti.
Perché non era che a Sirius tutte quelle attenzioni
interessassero granché.
Cioè, oddio, chiariamoci, vanitoso com’era per lui era
piacevole essere adorato e riverito, trovare sempre con chi rincantucciarsi in
un angolo quando la carne si faceva particolarmente debole, e adorava fare il
pieno di cioccolata e lettere a san valentino. Si divertiva a tenere segnati su
un taccuino tutti i nomignoli romantici con cui lo avevano chiamato. Patatino,
Pucci Pucci, Cippi Cippi e altre amenità del genere.
E poi c’era il migliore.
Frischi Fruschi. Che non aveva mai capito se volesse essere
un nomignolo affettuoso o un’offesa in qualche sordido dialetto babbano.
Ma a che valeva tutto quello, quando la persona che amava di
più al mondo non lo degnava di uno sguardo? Eh, si, perché Sirius Black era
innamorato.
Di uno dei suoi migliori amici.
Il fortunato o, dipende dal punto di vista, la vittima, era
nientepopodimeno che Remus J. Lupin, uno dei ragazzi più intelligenti e gentili
di tutta la scuola. E, a detta di Sirius, anche il più affascinante (dopo di
lui, ovviamente). Oltre a questo, a dispetto dell’aria malaticcia e debole, era
una delle persone più forti e coraggiose che avesse mai incontrato.
Insomma, era perfetto.
Sirius non sapeva quantificare le ore passate ad osservarlo
di nascosto, a perdersi nei suoi grandi occhi castani dai riflessi dorati, a
desiderare di passare le dita in quei morbidi capelli color del miele, di
stringere quel corpo tra le braccia e, soprattutto, di fare l’amore con lui fino
a fargli gridare pietà, per questa vita e quell’altra.
Sapeva solo che non erano mai abbastanza.
Come non sapeva da quanto quella forte amicizia che li legava
si era trasformata in qualcosa di più; era impossibile dire esattamente quando
quei sentimenti di profondo affetto che albergavano nel suo cuore per il suo
sfortunato amico licantropo erano sbocciati fino a diventare quel forte,
tremendo ed esaltante sentimento che è l’amore.
Fatto sta che l’amava.
L’amava, ne era certo, stavolta era davvero amore. Non come
tutte le altre volte (6 o 700 circa, non di più) in cui era stato convinto di
essere stato travolto dalla passione, quella vera, mentre invece era
semplicemente la ricerca di un piacere dettato più da un bisogno a livello
inguinale che cerebrale o sentimentale.
Sapeva per certo che doveva trattarsi di amore, quello con la
A maiuscola.
Lo sapeva perché prima d’ora non gli era mai successo di
guardare nessuno come guardava il suo amico licantropo. Ogni suo sguardo, ogni
sorriso, ogni movimento, era captato e registrato dal nostro povero Animagus
come un qualcosa di prezioso. Per non parlare di ogni dialogo che avevano
occasione di fare, di ogni toccatine fugace, ogni abbraccio. Bastava sfiorare
Remus perché il nostro Sirius passasse il resto della giornata saltellando di
nuvola in nuvola dalla contentezza.
Poi però il tempo era passato.
E quei piccoli momenti di gioia erano spariti. E’ insito
nella natura umana volere sempre di più, sempre di più, e anche Sirius non era
da meno. Non gli bastavano più queste piccole attenzioni di Remus, qualche
semplice parola, qualche carezza, non voleva più soltanto la sua amicizia.
Non gli bastava più vederlo da lontano con lo sguardo
sognante.
No. Voleva toccare, accarezzare ovunque quel corpo solcato
dal dolore, baciare quelle cicatrici che gli aveva visto addosso mille volte,
quelle di cui il suo amore tanto si vergognava ma che a Sirius sembravano tanto
belle, voleva tutto di lui.
Ma soprattutto voleva amarlo consapevolmente, senza più
nascondere i suoi sentimenti, perché gli voleva troppo bene e quella situazione
era troppo dolorosa.
Se non avesse fatto subito qualcosa sarebbe esploso presto.
Per questo decise che la cosa migliore da fare sarebbe stata
quella di dichiararsi a Remus.
Accadde tutto una fredda sera di novembre.
Lui e Remus erano rimasti da soli in sala comune. James era
agli allenamenti serali di Quidditch (beato lui che aveva la costanza, Sirius
avrebbe partecipato volentieri, ma era tropo pigro per seguire allenamenti tanto
assidui. Lui era un talento naturale non aveva bisogno di sciocchi allenamenti),
e Peter ovviamente lo accompagnava come se fosse la sua ombra.
Sirius era seduto al grosso tavolo di mogano, perso dietro un
mare di scartoffie, fingendo di essere totalmente assorbito dai compiti di
pozioni. In realtà non gliene poteva fregare di meno dello studio. Era riuscito
ad aprirsi uno spiraglio tra la carta, e aveva creato una specie di finestrella
che gli permetteva di guardare, non visto, l’oggetto dei suoi pensieri.
Remus era seduto sulla comoda poltrona di velluto rossa,
davanti alla finestra: gli piaceva tanto quella poltrona, diceva che la trovava
comodissima e ottima per studiare. Sirius non capiva come riuscisse a studiare
su quella cosa, lui si addormentava sempre, era come essere seduti su una
nuvola. Anche allora, erano ore che teneva il naso chinato su quel (a detta sua)
appassionante testo di aritmanzia, con un sorriso sulle labbra. Studiare lo
rendeva sempre così felice, diceva che il desiderio di conoscenza era una delle
poche gioie che la licantropia non era riuscita a togliergli.
Sembrava così calmo e tranquillo che era un piacere a
vedersi.
Sirius invece era così nervoso che temeva si sarebbe messo a
tremare tutto il tavolo. Ma sarebbe stato strano non provare segni di
nervosismo. Aveva deciso di dichiararsi, finalmente era giunto il momento,
finalmente gli avrebbe detto che lo amava.
Era tutto perfetto.
Erano soli, erano tutti a letto o fuori a seguire gli
allenamenti di Quidditch e non sarebbero tornati per almeno un’altra oretta. La
sera era fredda ma il cielo era terso e pieno di stelle; il fuoco nel camino
scoppiettava allegro, la luce delle candele conferiva alla stanza un’aria che
più romantica di così non si poteva.
L’Animagus si leccò inconsciamente le labbra pregustando la
scena. Si sarebbe avvicinato a Remus con fare sicuro di sé, lo avrebbe stretto
tra le braccia e gli avrebbe detto. “Remus, ti amo, ti amo da non so più nemmeno
quanto tempo e ora non sono più disposto a nascondere i miei sentimenti per te”.
Lui avrebbe sorriso imbarazzato, gli avrebbe risposto “Anche io ti amo, Sirius,
ti amo dal primo momento che ti ho visto; ma ero troppo sciocco per poter anche
solo lontanamente pensare che tu potessi ricambiare i miei sentimenti”. Si
sarebbero baciati, sarebbe stato bellissimo, e poi sarebbero rimasti abbracciati
tutta la notte, insieme.
Si, era un piano perfetto, decise Sirius.
Prima parte del piano. Mostrare sicurezza.
L’Animagus si schiarì la voce e chiamò l’amico. “… R-Remus? Posso parlarti un attimo?”
Forse sarebbe risultato più credibile se la voce non gli fosse diventata tremula
come quella di un capretto introverso.
L’amico parve non notare il suo turbamento. Sollevò il naso
dal libro e lo guardò con quegli magnifici occhi dai riflessi dorati, che tante
volte si erano posati su di lui, ma stavolta era diverso. “Ma certo, Sirius,
dimmi pure.”, e gli rivolse un sorriso dolcissimo che gli fece sciogliere il
cuore. Era un sorriso che riservava solo a lui. Certo, poteva sembrare simile ai
sorrisi che rivolgeva a tutta Hogwarts (quadri e scale compresi), ma non lo era.
Sirius capiva che non lo era. Era speciale, era destinato a lui.
“Si, ma… Non così…”, mormorò.
Seconda parte del piano. Creare l’atmosfera.
L’Animagus si alzò di scatto dal tavolo, mandando per aria
più della metà delle pergamene e dei libri. Imprecò tra i denti contro il
destino infame che gli si accaniva contro, ma non si diede per vinto. Remus
continuava a fissarlo divertito, un po’ basito, forse, ma non sembrava irritato.
Si avvicinò a passo sicur… Ehm… Cioè, a passo traballante, rigido come uno
stoccafisso, afferrò Remus per una mano sollevandolo di peso dalla poltrona (e
facendogli cadere per terra il libro che teneva in grembo) e lo fece sedere sul
tappeto davanti al grande camino.
Lui gli si sedette di fronte.
Remus piegò la testa di lato, guardandolo incuriosito.
“Sirius, ma che ti prende stasera? Sei strano…” Sirius tirò un sospiro di
sollievo, constatando che il suo amico non sembrava arrabbiato. Certo, il
licantropo era solo un attimo contrariato per come era stato trascinato in giro
come fosse una bambola di pezza; bastava chiedere con gentilezza e l’avrebbe
seguito ovunque volesse senza che Sirius avesse bisogno di allungargli il
braccio. Ma era sicuro che dovesse avere un ottima ragione per comportarsi in
quel modo assurdo.
Sirius intanto si rendeva conto che erano giunti alla terza
parte del piano. L’ultima. La dichiarazione.
Deglutì e si passò nervosamente una mano tra i capelli.
“Vedi, Remus… Il fatto è che…” Si sentì avvampare le guance, ma cercò
immediatamente di darsi un tono. Era un Black, per la miseria, doveva darsi un
contegno. E poi, dove cavolo era finito quel tanto decantato coraggio dei
Grifondoro? Oppure il Cappello Parlante l’aveva smistato a Grifondoro solo
perché la scuola non aveva una casa di nome CricetoSpaurito?
Strinse i pugni. Prese un profondo respiro.
Era giunto il momento. Finalmente si sarebbe dichiarato.
Oddio, Remus lo stava guardando negli occhi, era così bello…
“Remus, io ti amo.”
Ecco, l’aveva detto. Era anche stato più facile del previsto.
Ora non restava che attendere la reazione di Remus, col cuore
trepidante.
Il licantropo era rimasto a fissarlo immobile, con gli occhi
sgranati, ma già un vistoso rossore cominciava a colorirgli le guance. Aveva
abbassato improvvisamente lo sguardo da quello di Sirius, e aveva cominciato a
giocherellare nervosamente con le dita, mentre le labbra si erano strette fino a
formare una linea sottile.
“Sirius…”, mormorò lui. Era così dolce, povero piccolo Remus,
pensò l’amico. Si vergognava a dichiarare i suoi sentimenti, o forse si sentiva
sciocco perché per tutto questo tempo l’aveva amato segretamente, convinto di
non poter mai essere ricambiato dal ragazzo più ambito dalle donne di tutta la
scuola. Ma non importava, bastava che ora fossero insieme e tutto sarebbe andato
a meraviglia, dopotutto…
“Io non ti amo…”
… COSA?!
Remus continuò a spiegare le sue ragioni; che erano due
maschi per cui non era una cosa normale, che lui aveva tutto quel seguito di
donne attaccate ai pantaloni che avrebbero voluto la sua testa (le SUE teste) su
un vassoio se fossero venute a sapere di una sua ipotetica molto ipotetica, si
affrettò ad aggiungere) storia con lui, che non era pronto a legarsi
sentimentalmente con nessuno per via del suo “problemino con la luna”, e altre
cose del genere. Se siete stati mollati lo avete mollato mai qualcuno le
conoscete le scuse che si rifilano al poveraccio di turno.
Ma Sirius aveva smesso di ascoltare dopo le prime 4 parole.
Era sconvolto.
Ma andava tutto bene. Sul serio. Era un Black, dopotutto, ne
aveva passate di ben peggiori, nella vita. Era la prima volta che veniva
rifiutato, e non era una sensazione propriamente piacevole. Era come avere lo
stimolo del vomito senza che si riuscisse a rigettare niente. Ma andava tutto
bene. Non era poi la fine del mondo, l’avrebbe superata.
Sul serio. Bastava che non dicesse quella frase.
Bastava che Remus non gli propinasse quella solita vecchia
frase che…
“Ma possiamo essere amici.”
… propinava lui a tutte le tipe che gli facevano pena e schifo
per non ferire i loro sentimenti, ecco, appunto, proprio quella.
L’aveva detta.
Bastò quella frase a fargli crollare il morale sotto le
scarpe. Cioè, non solo non lo amava, ma a quanto pareva lo riteneva anche una
persona degna solo di pietà. Era convinto che sarebbe stato sottinteso che
sarebbero rimasti amici anche in caso di un rifiuto.
Grazie tante per questo
stupendo sfoggio di banalità, Remus, non credevo di meritare tanto,
pensò, a questo punto strappami il cuore dal petto, mettilo a soffriggere, e
servilo da mangiare alle mie cugine.
Remus si alzò in piedi e gli rivolse un timido sorriso di
scuse.
“Mi dispiace, Sirius.”
“Figurati…”, riuscì a dire l’Animagus, prima di vederlo
salire le scale dei dormitori e sparire dietro la pesante porta di mogano.
Non riusciva a crederci.
Remus non lo amava. Non era possibile.
Non era assolutamente possibile una cosa del genere! Loro
erano fatti per stare insieme, erano perfetti; tanto era riflessivo e tranquillo
l’uno quanto avventato e vivace l’altro. Erano acqua e fuoco, yin e yang,
opposti, certo, ma senza l’uno l’altro non poteva esistere. Così erano loro due.
E poi c’era un altro non trascurabile dettaglio. Lui l’amava,
l’amava più di qualsiasi cosa al mondo, anche più di prima, possibilmente, ora
che era stato rifiutato senza pietà. Lo voleva. E Sirius Black otteneva sempre
quello che voleva.
Per questo
fece quel giuramento.
Lo giurò su quanto di più caro avesse al mondo (che ironia,
la cosa più cara che aveva era lo stesso Remus), sulla luna, sulle stelle, sul
sole che illuminava il cielo: avrebbe conquistato il cuore di Remus J. Lupin.
Fine Prologo
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