2) NORTHERN SKIES.
«I have left a million stars
and an ocean light and clearly blue
I have left warmth of the sun
and a million adventures not yet begun.»
Spazio galattico, 30 giugno 1947
/ 2 luglio 1947 (anno terrestre).
Russel.
Era questo il nome terrestre che avevo scelto per la mia nuova
identità, un nome anglosassone come il Paese in cui eravamo diretti.
Ero molto emozionato all'idea
di diventare qualcun altro ma ancor di più ero emozionato all'idea di
vivere su un altro pianeta. Era la prima volta da quando il nostro
universo era nato, migliaia e migliaia di anni fa, che qualcuno degli
Astriani valicasse i confini estremi del nostro mondo.
La leggenda narra di una Dea
di nome Astrea, appunto, che scappò dalla Terra poiché inorridita dal
comportamento degli uomini e si rifugiò tra le stelle dove poi creò il
nostro pianeta. Ma ovviamente questa era solo una leggenda: come gli
esseri umani, da sempre affascinati dal cielo e da ciò che vi starebbe
al di là, anche noi eravamo attratti e incuriositi dalla vita terrestre.
In realtà, secondo alcuni
studi scientifici compiuti nell'ultimo secolo dai nostri avi, Astrea
nacque da un corpo celeste che implose su stesso. Non appena fu
conclusa questa fase di collasso, la temperatura dell'astro
diminuì permettendo la formazione di piccoli grani di polvere
costituiti da roccia e ghiacci di varia natura che a loro volta si
fusero tra loro per dar luogo a blocchi di diversi chilometri. La massa
residua centrale fu sufficientemente grande e in un lasso di tempo
astronomicamente breve (dai 100000 ai 300000 anni) gli altri frammenti
poterono così fondersi tra loro per dar luogo, dopo migliaia di fasi di
violente collisioni e fusioni con altri corpi simili, il pianeta
Astrea, un pianeta tellurico come la Terra e con la sua stessa gravità,
da cui poi nacque la vita.
In poche parole, Astrea nacque da una
stella.
Visto da lontano, il nostro pianeta
appariva come una sfera leggermente schiacciata ai poli, completamente
azzurra pareva rivestita da un manto blu. La sua superficie era
costituita dall'80% dall'acqua, mentre la terraferma si
ritrovava sul nostro polo Nord somigliante ad un'isola. Il nostro Sole
che brillava alto nel cielo rossastro ci regalava albe e
tramonti da togliere il fiato che aprivano e chiudevano le giornate su
Astrea sfumando le acque a seconda delle ore di una tonalità che
variava dal lilla al viola. Durante la notte il cielo, che di giorno
era rossastro, lasciava spazio ad un manto rosso carminio illuminato
dalla Luna e dalle stelle. Non mancavano tutti gli altri fenomeni
atmosferici: le nuvole che a volte oscuravano il cielo, la pioggia che
era la nostra fonte d'acqua potabile e l'arcobaleno: lì si trovava
l'Eden dell'Universo, un paradiso incontaminato, naturale, ma allo
stesso tempo all'avanguardia, tecnologico.
Sfrecciavamo rapidi tra le stelle mille
volte più svelti della velocità della luce incrociando pianeti e
soverchiando asteroidi alla volta della Via Lattea.
Eravamo in viaggio già da un
po': superato il confine dell'esosfera di Astrea, il tempo gradualmente
cominciava a fluire in maniera differente, sempre più lenta. Erano
ormai trascorsi quasi due giorni terrestri e l'eccitazione cresceva
sempre di più man mano che ci avvicinavamo al pianeta Terra, con
destinazione la capitale americana, Washington, da cui a questo punto
solo poche ore ci separavamo dal suolo terrestre.
«Tyr!» qualcuno urlò il mio
nome dalla postazione di pilotaggio mentre ero intento ad osservare il
cosmo dall'oblò fantasticando sulla mia nuova vita. Già, anche gli
alieni sognano, a modo loro, ma sognano. Dunque se davvero volevo
riuscire nel mio intento, dovevo mettere da parte le emozioni. Se
volevo essere un umano, dovevo pensare, parlare e comportarmi come tale
ed attenermi al ruolo di copertura che ci eravamo costruiri prima di
partire.
«Ricorda che ora siamo Russel,
William e George.» rammentai al mio collega, Kemal.
Essendo l'ingegnere
aerospaziale del trio, si occupava del monitoraggio e del comando
dell'astronave. Era stato lui ad ideare questa nuova tipologia di
aeronave, in realtà era stato il suo progenitore, Kemal l'aveva solo
migliorata e portata alla forma e alle capacità attuali. Il suo nome
sulla Terra sarebbe stato William.
L'altro nostro collega, il
ricercatore antropologo, si sarebbe invece chiamato George.
Delof, questo era il suo vero
nome, si era occupato di identificare tre giovani donne terresrti con
le quali riprodurci ed era stato in grado di farlo grazie a dei
satelliti inviati molti mesi prima sulla terra (mesi terrestri!).
In seguito col passare degli
anni (i loro), gli umani avrebbero denominato questo genere di
avvenimenti (come per esempio l'avvistamento di oggetti non
identificati) con l'espressione incontri
del primo tipo, ovvero il primo approccio rudimentale, il
primo contatto ancestrale con l'altro, cioè noi per loro e loro per
noi. Sempre se fossero stati in grado di avvistarli i nostri satelliti.
Questi infatti, posti ad una distanza più o meno ravvicinata (circa 50
km dal suolo terrestre), erano quasi impercettibili all'occhio umano
poiché sfruttavano la luce ultrarossa di 721 nanometri,
mentre la vista degli uomini permetteva la percezione
di una porzione dello spettro elettromagnetico approssimativamente
compresa tra 400 e 720 nanometri di lunghezza d'onda. Dotati
di un meccanismo di moto perpetuo* (una tecnologia ancora
irrealizzabile per i terrestri), questi congegni astrofisici riuscivano
a scrutare tutti i movimenti delle tre umane prescelte e ad inviare le
immagini direttamente lì su Astrea dove Delof le aveva analizzate
studiandone i loro comportamenti e le loro attitudini.
Erano tre giovani ragazze del
posto, frequentavano la Howard University ma non si conoscevano tra
loro: Sarah e Anne studiavano entrambe farmacia mentre Josephine, la
più combattiva studiava giurisprudenza. Ad ognuno di noi spettava una
di queste ragazze, rispettivamente: George, io e William.
Come detto, Delof (George)
aveva studiato le tre giovani, tutte più o meno della stessa
età
che corrispondevano tutte ai parametri richiesti per portare a
compimento il nostro esperimento della durata di almeno settant'anni:
buona salute, quoziente intellettivo piuttosto elevato ed altamente
fertili.
Attraverso gli studi del nostro
commilitone, ci eravamo costruiti una nuova identità e dovevamo
rispecchiare l'uomo ideale delle tre. Dovevamo mostrare interesse per
ciò che interessava a loro, accondiscenderle e compiacerle.
Noi per natura non ci innamoriamo, proviamo affetto per i nostri
progenitori e per i nostri colleghi ma nulla di più: niente farfalle
nello stomaco, niente infatuazione, niente batticuore. Il nostro, di
cuore, era solo un organo per pompare il sangue. Il nostro esperimento
avrebbe dovuto anche dimostrare se la nostra progenie fosse stata in
grado di provare sentimenti ed emozioni umane o mantenere inalterata
anche la sfera emotiva. Per far sì che la cosa fosse del
tutto normale e naturale, dovevamo far credere sia alle ragazze sia
alle persone che le circondavano che eravamo umani, per questo ci
prefissammo di non utilizzare (se non in casi eccezionali) l'uso del
nostro potere: il controllo della mente. L'unico potere che potevamo
usare, anzi che dovevamo usare, era la trasmutazione, ovvero
l'assunzione di un altro aspetto ovviamente.
Ormai avevano appena valicato
l'esosfera, il primo strato, quello più esterno, dell'atmosfera
terrestre. Eravamo vicini ad atterrare.
«Abbiamo un problema!» gridò
Kemal, anzi William, piuttosto agitato.
Lo raggiunsi nella postazione
di pilotaggio insieme a Delof. Il plotone era riunito al completo.
«Stiamo perdendo quota!» urlò
in preda al panico.
Fu l'ultima frase che sentii,
l'ultimo ricordo dei miei due compagni di viaggio ancora vivi, e
poi...lo schianto violento e devastante al suolo.
***
Roswell (New Mexico, pianeta
Terra), 2 luglio 1947
Il ricevimento in onore di Jonathan
Hamilton per il raggiungimento della nomina di colonnello era appena
terminato.
Salutati gli ospiti, insieme a sua
moglie Adrianne, lasciò il ristorante per avviarsi alla propria auto e
far ritorno a casa.
I festeggiamenti si erano dilungati
parecchio, il pranzo si era protratto fino a tarda sera: non capitava
spesso che un giovane uomo di soli ventidue anni, proveniente
dall'anonima provincia di Roswell, salisse di grado così rapidamente.
Per Jonathan il lavoro e l'onore erano i valori più importanti, anche
più della famiglia.
Conobbe sua moglie, la giovane e bella
Adrianne Marie Thompson, figlia di alcuni imprendotori che si
arricchirono durante la Seconda Guerra Mondiale, quattro anni prima, al
college. Lei studiava infermieristica, lui studiava scienze politiche.
Il matrimonio non fu solo un contratto
vantaggioso: Jonathan, pur essendo un burbero e rude militare, era
davvero innamorato di Adrienne, a modo suo ma lo era. I soldi e il
fatto che lei fosse più ricca stavano decisamente al secondo piano. Era
un tipo oltre che austero particolarmente orgoglioso e ambizioso ed
avido di potere. Ora che anche lui, finito l'addestramento, era
diventato colonnello, avrebbe potuto dare ad Adrienne la casa che
desiderava e metter su famiglia.
A bordo della loro Mustang, percorsero
rapidamente la strada diroccata verso il loro piccolo appartamento,
finché un bagliore accecante che baccheggiava nel bel mezzo del cielo
notturno costrinse il colonnello Hamilton a fermare l'auto.
Incredulo, scese dalla macchina per
osservare meglio quella scena mentre sua moglie spaventata rimase
seduta dentro.
Distante un chilometro e a circa
cinquanta metri di altezza un'enorme sfera luminosa fluttuava a
mezz'aria nel blu della notte illumindando tutto il circondario.
«Incredibile!»
esclamò il neo colonnello sgranando gli occhi. I suoi occhi celurei
colpiti da quel bagliore luminoso diventarono ancora più chiari e
diafani.
Messa
da parte la paura, Adrienne scese dall'automobile per osservare quello
strano spettacolo di luci nel cielo.
Lo sfolgorio
che sprigionava la navicella era accecante e Jonathan ed Adrianne
dovettero coprirsi gli occhi con l'avambraccio.
Solo un
forte boato glieli fece riaprire dalla curiosità: l'astronave e quella
luce non c'erano più. Svanite nel nulla.
«Oddio,
è successo...è successo davvero?» disse la donna stringendogli la mano.
Il colonnello rimase in silenziò.
Attonito.
La bocca spalancata e rigida non
riusciva ad emmettere un solo suono. Solo il respiro affannoso e
spaventato di lei spezzavano quel silenzio tombale nella strada deserta.
«Dove
stai andando John?» ansimò la donna terrorizzata.
«Sali in macchina Adrianne!
Quell'affare è precipitato al di là della collina, andiamo a dargli
un'occhiata.» rispose alla donna trascinandola con sé.
Una
sensazione di paura e di curiosità gli attraversarono il corpo come un
fulmine.
Era l'avvenimento del secolo: un
oggetto volante non identificato era precipitato nella campagna di
Roswell il 2 luglio del 1947, e lui ne era stato testimone.
«And
once there was magic here for me
under the wide northern skies.»
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Note.
Non sono brava coi nomi. Kemal
è il nome di un mio caro amico Turco, Delof invece l'ho trovato qui, è abbastanza utile se non
avete idea neanche voi di come chiamare i personaggi delle vostre
storie. Basta scegliere la categoria, inserire dei paramentri e vi darà
dei nomi.
*Leggenda di Astrea:
l'ho trovata qui
su wikipedia;
*Formazione di Astrea:
anche la formazione dei pianeti l'ho presa qui da wikipedia;
*Moto perpetuo: qui
su wikipedia c'è la definizione, in caso non sappiate cosa sia;
Oltre queste cose, sono presenti (e saranno presenti) diversi elementi
e parti fisiche, matematiche, chimiche ecc, in caso di errore da parte
mia (visto che io studio tutt'altro e mi sto affidando principalmente a
wikipedia) non esitate a farmi notare gli errori e i pastrocchi.
Come vi avevo preanunciato nelle note del primo capitolo la narrazione
qui vede il punto di vita di uno dei narratori interni facilmente
intuibile. Ed ecco che entrano anche in scena i primi due personaggi
umani della storia: il giovane colonello Jonathan Hamilton e sua moglie
Adrianne.
Inoltre qui su tinypic ho caricato una
foto dove spiego (in base alle mie rudimentali conoscenze matematiche)
il sistema temporale Terra/Astrea.
Vi ricordo inoltre anche le altre mie due storie in corso in caso vi
vada di dar loro un'occhiata, sono completamente diverse da questa:
1) "Do
you believe in Old Legends?": di genere sovrannaturale;
2) "Camille,
mon amour.": di genere erotico/romantico.
Al prossimo capitolo (:
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