Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie

di Emmastory
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Capitolo II

Miele amaro

Di nuovo la luce, di nuovo il sole, non più la tetra e buia notte. Un nuovo giorno è iniziato, e stando alle parole di mia figlia, è speciale. Sorridendole, mi fermo a pensare, ed ecco che improvvisamente ricordo. Oggi compie quattro anni. Un anno in più di vita, e un giorno che lei vorrebbe passare in compagnia della famiglia intera. Mantenendo il silenzio, la guardo giocare. È così buona e dolce, eppure un giorno dovrà affrontare tutto questo. Mi viene da piangere, eppure resisto. Non posso farlo, non posso lasciarmi andare. La mia bambina ha bisogno di me. Inutile è dire che un giorno le cose cambieranno, ma per ora sono di tutt’altro avviso. Credo infatti con fermezza che debba vivere, ridere e giocare, e che non appena sarà abbastanza grande, potrà imparare a combattere e difendersi dal male che ci circonda. Sono ora persa nei miei pensieri come un viandante privo di una bussola, e la sua angelica voce mi distrae. “Mamma? Dov’è papà? Si perderà il mio compleanno!” si lamenta, guardandomi con occhi lucidi e con la voce rovinata dal pianto a cui sta sicuramente per dare inizio. “Non lo farebbe mai.” La rassicuro, abbassandomi così da riuscire ad abbracciarla. “Davvero?” chiede poi, quasi andando alla ricerca di conforto. “Davvero.” Risposi, facendole eco dopo un attimo trascorso a riflettere in silenzio. E così, le ore passarono, e nonostante la vedessi giocare, continuai a notare in Terra alcuni cambiamenti. Per qualche strana ragione, non appariva più come la bimba di sempre, e tutta la sua vitalità stava lentamente scemando. Sentiva come me la mancanza del padre, e proprio come la sua stabilità emotiva, anche quella del suo corpo pareva risentirne. Piange in silenzio, si nasconde, e accuse dolori ovunque. In breve, la sera scese, e non appena il sole scomparve fra le nuvole, lei rifiutò di consumare la sua cena, consistente nella torta che con le nostre mani, io e sua nonna le avevamo preparato. “Vado a dormire.” Disse, dopo aver seppur controvoglia accettato i miei auguri uniti a quelli della nonna e della cara zia. “Terra, tesoro, aspetta.” La pregai, protendendo una mano in avanti e sperando che si voltasse. “Avevi detto che sarebbe venuto.” Mi rispose soltanto, per poi darmi le spalle e andarsene piangendo. Una piccola lite per altri priva di significato, ma che per me ne aveva uno preciso. La mia povera piccola stava soffrendo, ed io non potevo permetterlo. Distrutta dal dolore, faticai a dormire, e rimanendo seduta fino a notte fonda sul divano di casa, sentii qualcuno bussare alla porta. Con il cuore pieno di speranza, andai ad aprire, ma per pura sfortuna, non vidi nessuno. Solo un pacco chiuso con un cordino giaceva sull’uscio di casa. Abbassandomi, lo esaminai, e dopo averlo raccolto da terra, notai un biglietto. “Dai questa a Terra da parte mia, e sappiate che vi amo entrambe.” Non era firmato, ma da quelle poche e semplici parole, evinsi subito il mittente. Stefan. Felice a quel solo pensiero, sorrisi. Quella sera, non svegliai la bambina. Volevo che quel regalo fosse una sorpresa, un modo come un altro per dimostrare che avevo ragione. Suo padre le voleva bene, e non si sarebbe perso il suo compleanno per nessuna ragione a questo vasto e crudele mondo. Una volta a letto, mi addormentai con il sorriso sulle labbra. L’intero mondo sembrava voler abbandonare i suoi ignari abitanti, ma nonostante questo, c’era una speranza. In breve tempo, scivolai nel sonno, e dormendo, rividi il disegno di mia figlia. Era strano e incredibile a dirsi, ma anche lei aveva ragione. Avremmo potuto sperare e sorridere nonostante il freddo e la pioggia, e assaporare del metaforico miele prima che diventasse acido e amaro.




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