Supersuono

di Freaky_Frix
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Supersuono
Lo ricordava, il giorno che lo avevano portato a casa. Aveva sbirciato dal corridoio i genitori che lo sistemavano con cura nella camera che dava sulla piazza, contemplandolo soddisfatti. Quella mattina il sole era nascosto dietro le nuvole, ma era alto nel cielo, e illuminava la stanza come un riflettore, mettendo in risalto proprio quel massiccio rettangolo appoggiato alla parete.
La bambina lo fissava, con il viso appoggiato sulle mani, incuriosita. All’improvviso sentì qualcosa strusciarle sui pantaloni, e guardò giù: era Bibi, la gatta, che le faceva le fusa.
«Andiamo a vedere» disse la bambina, puntando i suoi occhi color caffè in quelli giallo ocra della gatta. L’animale, dopo essersi stiracchiata, decise però di andare a curiosare in soggiorno.
La piccola sbuffò, riportando lo sguardo sulla stanza. Si fece coraggio e, passo dopo passo, percorse il corridoio ombroso, verso l’abbagliante luce rimbalzante tra il pavimento e i muri. Rimase qualche secondo sulla soglia, timorosa, poi una voce tremolante la fece voltare di scatto.
Là, seduta proprio di fronte all’oggetto misterioso, c’era la nonna. Bassa, un po’ curva, dal volto rugoso e dai lisci capelli bianchi, raccolti in una complessa crocchia, guardava divertita la nipotina, con un morbido sorriso incavato tra le rughe.
«Bella, eh? È una radio.»
«Radio?» ripeté la piccola, avvicinandosi alla nonna.
L’anziana donna annuì, guardando l’oggetto.
«Sì. Serve per ascoltare la musica
«Musica?»
La donna rise di cuore.
«Bella di nonna, quante domande fai! Ascolta, se premi quel pulsante» e allungò la mano verso il bordo sinistro dello stereo, «Uscirà la musica dalla radio».
La piccola Martina non se lo fece ripetere due volte: raggiunse gattonando l’imponente stereo, e rimase a guardarlo così, dal basso, per un po’. Era tutto nero, con delle scritte bianche e dei buchi dorati, e rifletteva anch’esso la luce del sole. A proteggere la miriade di pulsanti e di manopole c’era una porticina di vetro, in cui la bambina si vide riflessa, a davanti alla quale non poté non sorridere.
«Nonna, nonna, ci sei anche tu!»
«Lo so, piccirinna mia. Adesso apri la porta e premi il pulsante, così poi puoi ballare».
La bambina annuì e, dopo aver aperto la porticina con una certa fretta, premette il pulsante, che indietreggiò schioccando. Quando ritornò al suo posto una scritta luminosa, color dentifricio, apparve. Martina lo prese come un segno che la magica radio si era accesa, e rimase incantata, con le orecchie tese, in attesa della musica. Dopo qualche secondo di totale silenzio la bambina si voltò verso la nonna, preoccupata.
«Nonna, dov’è la musica?»
«Forse il volume è basso … Prova a girare la manovella, lì» e indicò quello che sembrava un disco di hockey appiccicato sulla radio. A quel punto Martina si tirò su, afferrò quell’oggetto rotondo e lo girò tutto a destra. Così come fino a quel momento il silenzio aveva regnato ovattato, così si sparse in un battito di ciglia un rumore assordante, che rimbombò nella stanza semi-vuota. La bambina si allontanò di scatto e, urlando spaventata, scappò dalla stanza, andando a rifugiarsi dietro la parete, mentre il boato assordante assumeva la sfumatura di parole urlate, di voci sovrapposte, di strani suoni.
Alla paura subentrò subito dopo una sensazione molto spiacevole: era come se nella sua pancia qualcosa si contorcesse. Quello, imparò qualche anno dopo, era il senso di colpa. Perché scappando via, non aveva pensato alla povera nonna, seduta sulla seggiola, di fronte alla radio.
Cosa poteva fare per salvarla? Aveva troppa paura. Cosa pote-
«Martina! Ma che hai fatto?» urlò la mamma, precipitandosi a spegnere la radio. Mentre calava il silenzio spuntò dal corridoio anche il papà che, sorridendo divertito, osservò la figlia rannicchiata con le manine premute sulle orecchie.
«Beh, e allora?» chiese, sornione. «Cosa ne pensi dello stereo?»  




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