52. Stirring of the Wind
[100 Themes Challenge Writing Prompts]
You don’t act like you
used to
It’s just sad,
I miss the old you
nothing, nowhere.
“Neither Here,
Nor There”
Spazzarono l’aria di fronte a lui con una forza tremenda
– il
suo basco ormai una macchia rossa contro l’azzurro del cielo.
Con uno schiocco di lingua vagamente oltraggiato, Benedict
“Kazuhira” Miller inchiodò lo sguardo
sulle pale dell’elicottero, e si sorprese a sollevare il
braccio per schermare i capelli da quelle folate gelide che gli stavano
scagliando contro. Bizzarro. Uno sbuffo sardonico gli sfuggì
tra i denti; quello, ormai, era un gesto istintivo che apparteneva al
vecchio, vanesio Kaz. Erano anni
che aveva smesso di curarsi dell’aspetto dei suoi capelli, ma
certe abitudini, a quanto pareva, erano davvero dure a morire.
Inspirando lentamente, lasciò che le dita si tendessero
verso la luce bianca del sole, ma non ci fu alcun movimento, nessun
calore, non sentì nulla.
La manica della giacca si
accartocciò al vento, sventolando lontano dal suo volto: era
vuota. L’uomo aggrottò le sopracciglia con un
grugnito, serrando le palpebre dietro le lenti degli occhiali da sole. Quell’inconsistenza…
Che idiota. Erano passati anni da quel giorno, eppure non riusciva
ancora a capacitarsene.
«Ben tornato, Boss.», mormorò, mentre
l’uomo
d e m o n e
gli
passava accanto.
Kazuhira abbassò il moncherino, ignorando gli spasmi che gli
stavano facendo tremare la spalla – arti
fantasma, era quella la
definizione. Un teatro d’ombre, un altro residuo della sua
vecchia vita che non riusciva, non voleva, non poteva lasciare andare.
Dopotutto, quel dolore era l’unica cosa che riusciva a
soffocare il ricordo delle grida dei suoi compagni quando diventavano
troppo forti, e a riempire poi il vuoto che il loro silenzio gli
lasciava nella testa.
Il vento cambiò inaspettatamente direzione per un istante,
sostituendo ai suoi pensieri un familiare senso d’allerta.
Avrebbe voluto mantenere sotto controllo la situazione e restare
impassibile, ma non appena un tonfo leggero alle sue spalle
confermò i suoi sospetti, la mascella cominciò a
spostarglisi bellicosamente in avanti.
«Tu…!»
Ancora con quel
giochetto. Quella donna
a b o m i n i o poteva
nascondersi agli sguardi dei soldati quanto le pareva, ma se pensava
d’essere in grado d’ingannare i suoi, di
sensi… Hah! R
i d i c o l o.
Kazuhira serrò le dita attorno all’impugnatura
della stampella; c’era stato un tempo in cui la natura
fotosintetica di Quiet gli avrebbe fatto rivoltare le budella dal
disgusto, forse anche dal terrore
ma ora, suo malgrado, era costretto
ad ammettere che qualcosa
era cambiato – l’aveva vista con i
suoi occhi, dopotutto. Tutti
l’avevano vista. S’era
getta senza esitazione in una stanza satura di disinfettante al cloro,
pur di recuperare la collana di un bambino di cui non rimaneva che
quello. Un fantasma che i suoi compagni non volevano abbandonare. La
domanda, tuttavia, era rimasta sospesa nella sua testa da
quell’istante: era quella,
la vera Quiet? Oppure il suo era
un gesto studiato per guadagnarsi la loro fiducia – la
fiducia di Big
Boss?
«Cosa stai facendo ancora qui?», le
abbaiò contro l’uomo, sapendo esattamente in che
direzione voltarsi per affrontarla – una lieve traccia di
terra che
pareva provenire apparentemente dal nulla era tutto ciò che
gli bastava per individuarla. «Torna
immediatamente…!»
Un teschio gli comparve davanti in uno sbuffo di particelle bianche e
vermiglie, facendogli andare di traverso il resto delle parole.
Seguì i bulbi oculari ruotare e fissarlo grottescamente
dall’oscurità sanguigna delle orbite, mentre fasci
di nervi e tessuto muscolare prendevano forma, flettendosi e
gonfiandosi secondo i passi del cecchino, sparendo man mano dietro un
velo di pelle chiara ora finalmente visibile. Non c’era modo
d’abituarsi a quella vista, pensò tra
sé, e tuttavia fu grato d’aver assistito ancora
una volta a quello spettacolo. Non c’era modo migliore,
infatti, per ricordarsi che l’umanità di quella
donna era solo apparente.
Nel frattempo, l’insperata decenza da parte di Quiet di
fermarsi a qualche passo da lui, gli diede modo per riprendere a
respirare, il volto contratto in una maschera d’ostile
circospezione.
«Hai intenzione di stare lì a fissarmi ancora a
lungo?»
Il suo tono caustico non parve turbarla, tutt’altro:
continuò imperterrita ad osservalo con la fissità
di un predatore. Dilatazione delle pupille, traspirazione della pelle,
il più insignificante tic – nulla sfuggiva a
quegl’occhi. Ed esserne consapevole, non faceva altro che
peggiorare il suo umore. Kazuhira si lasciò sfuggire un
sospiro, e avanzò di qualche passo, rinfrancato
dall’illusione di riserbo che ancora gli garantivano le lenti
degli occhiali da sole.
«So che sei in grado di esprimerti a gesti, quando
lo ritieni necessario.», cominciò, cercando di
suonare più diplomaticamente aperto al dialogo di quanto non
si sentisse. «Cosa vuoi?»
In un angolo contorto della sua mente, si ritrovò a sperare
di vederle comparire quell’ombra feroce che le aveva annerito
lo sguardo la prima volta che l’aveva vista; una macchina da
guerra pronta a massacrare tutto il personale della base. Avrebbe reso
tutto più facile. L’odio, il risentimento. Era
difficile giustificare la rabbia, quando veniva corrisposta dal
più freddo decoro.
Quiet tuttavia emise solo un breve mugugno in risposta alla sua
domanda, nient’altro e, controluce, l’uomo la vide
piegare il gomito. Fu un attimo.
Il tonfo che produsse la stampella all’impatto con il suolo
parve stridere nel suo cranio, e deriderlo.
Benedict
“Kazuhira” Miller serrò i denti,
spostando lo sguardo dalla sua mano, ora stretta attorno al polso della
donna, alla chiazza rossa indistinta che era appena entrata nel suo
campo visivo.
«Cosa…?», si ritrovò a
borbottare, allentando piano la presa. «…
Oh.»
Il suo basco penzolava mollemente al vento, stretto tra le dita di
Quiet, che canticchiò una nota dolce a mezza voce, quasi a
volerlo rassicurare. O prendere
in giro – ma poco importava.
Ciò che contava, era che non aveva alcuna intenzione di
staccargli la testa a calci, ma stava semplicemente cercando di
restituirgli il cappello che aveva perso qualche minuto prima.
L’uomo si schiarì la voce, percorrendole
goffamente il dorso della mano con le dita per tenersi in equilibrio,
fino ad afferrare il basco; forse avrebbe dovuto dirle qualcosa, ma gli
anni avevano inasprito il suo temperamento a tal punto che sapeva che
non sarebbe riuscito cavare una sola parola onesta
dall’inferno che era la sua mente, non per lei per lo meno,
così tacque. Lasciando ricadere il braccio lungo il fianco,
spostò quindi la propria attenzione sulla stampella,
scrutandola come se gli stesse facendo un torto atroce a rimanere
ancora per terra. Sospirò.
Lo sguardo del cecchino aveva frattanto seguito con interesse i suoi
movimenti, e s’era acceso d’una luce ilare alla
smorfia imbarazzata del suo viso; non l’avrebbe mai ammesso
ad alta voce, ma Kazuhira poté quasi giurare di sentire quegli
occhi rovistagli
nel cervello.
Dannata...
Con un movimento delicato della gamba, Quiet fece scivolare il
piede sotto l’impugnatura della gruccia, lanciandola in aria;
il bagliore del metallo che roteò sotto i raggi del sole lo
ipnotizzò per un istante, prima che lei
l’afferrasse al volo. Con una nota nuova
nella voce, una solenne, che suonava di rispetto, gli
porse la stampella, attendendo pazientemente
che la recuperasse; lui distolse lo sguardo, e
l’afferrò annuendo.
Non fu certo se Quiet avesse visto il suo piccolo gesto di
riconoscenza, prima di svanire ancora una volta nel nulla, ma
onestamente, la cosa non gli importava. La domanda adesso era cambiata, e non
c’era spazio per altro nella sua testa.
Kazuhira s’allontanò nella direzione opposta;
aveva bisogno di stare solo, di pensare.
Chi dei due
stava recitando una parte?
.:~*~:.
*soffia via la polvere dall’account*
Yo, bello tornare ogni tanto [due anni]!
X°D
Ok, questo è un semplice spaccato che avevo voglia di
scrivere, nulla di che, però lascio giusto due parole sulla
storia… Allora, prima di tutto, ho deciso di ambientarla
dopo che Quiet ha recuperato la collana di Shabani, ovviamente, e dopo
che Ocelot ha rivelato a Miller lo
spoilerone del gioco, ovvero
l’identità del protagonista. Ecco spiegato il
breve pensiero negativo che ha Miller su Big Boss quando scende
dall’elicottero. E il fatto che non sia più
eccessivamente ostile con Quiet che passeggia per la base dopo una
missione. Anche se l’atteggiamento di fondo resta…
Da sindrome post-traumatica, se capite cosa intendo. Prima di
MGSV Kaz ha subito parecchie mazzate sia psicologiche che fisiche,
quindi durante il gioco è sempre parecchio aggressivo e
paranoico.
Comunque sia, tutte le informazioni sui personaggi che ritrovate qui le
ho in
parte recuperate dal gioco, e in parte dalla wikia inglese. Per esempio
io ero convinta che Miller fosse cieco, e invece la Konami
*cough*#fuckkonami*cough*
ha confermato che ci vede ancora.
In più, ho letto di alcuni giocatori che giustamente
notavano
che il gesto eroico di Quiet, quello di gettarsi in quella stanza piena
di disinfettante non sembra avere molto senso, perché
sarebbe bastato
aspettare che ne sparisse l’effetto per recuperarla. Solo
che...
Pensandoci, vista come ne uscita fuori lei da quella
stanza in pochi
istanti, penso che la collana avrebbe fatto più o meno la
sua stessa fine se fosse rimasta per molto tempo a contatto con il
cloro. Quindi non so. Va be’, sicuramente sarebbe stato
interessante
vedere gli sviluppi
sul morale dei soldati e sui personaggi principali ma... la Konami è la Konami.
E ho
detto tutto.
Oh, infine, non sono pazza, lo giuro! Il fatto che Quiet quando appare
e scompare
diventa
così: [X]
fa proprio parte del gioco, ma è difficile accorgersene se
non si
segue con attenzione la scena. XD Ah, i dettagli del buon
Kojima kami
nandesu~.
P.S.: Qui c'è la challenge con i prompt, per chi fosse
interessato: [X].
See ya,
Shadow
Eyes
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