I racconti dell'oppio e della canapa

di Carioca
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«In principio c'è il buio. Il buio non è nulla. È solo… Nero. Assenza. Mancanza di percezioni.
La prima cosa che sento è il vento. Aria che scorre. Il vento soffia, avvolge tutto intorno. Il vento genera una leggera melodia passando attraverso delle fronde, percorre in ogni direzione le vie che trova aperte, accarezza qua e là, permea ogni cosa fino all'ultima foglia e al ramo più sottile degli alberi. Degli alberi. Dunque ci sono alberi. Il mio spirito aleggia ancora sulle acque dell'incoscienza.
Sì, il vento fluisce, le fronde si muovono. Mi ricordano qualcosa, lo sento. Io sento. Io. Dunque Io esiste. Si, si, ma certo! Io esisto! Lo sapevo. Dov'ero? Vento. Fruga e si compiace dell'opposizione della natura. Si piegano gli alberi al suo passaggio. Il vento scende fino ad accarezzare la terra.
Dunque c'è una Terra, degli alberi, il vento. Sento, dunque esiste. Causa, dunque effetto. Il vento piega anche l'erba. Dunque c'è erba. Un intero prato. Il vento colpisce… Me. Dunque io sono qui. È caldo, sento caldo, fa caldo. È piacevole. Dunque deve essere bello.
C'è il vento che suona scorrendo nella vegetazione, e poi c'è il Sole. Certo, il Sole! Ad illuminare tutto. Il soffio leggero mi fa capire che ho una forma. Qualcosa mi tocca, e non sono io. C'è la terra, sotto di me. Dunque c'è un sotto. E qualcosa di morbido e familiare. Capelli! Sotto la mia testa. Dunque c'è una testa. Io penso da lì. E due braccia, due gambe, e tutto il resto poi.
Dunque ho un corpo. Ho un corpo e sono in una foresta, ci sono gli alberi e c'è l'erba e ci sono io, di giorno inoltrato, fa caldo e c'è vento. Devo fare qualcosa ora. Devo capire. Devo provare a… Si, ci sono! Devo aprire gli occhi.»





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