Nome Autore:
Lady_Dragon99
Fandom:
Psycho Pass
Titolo storia:
"Cieco"
Fobia e citazione:
Acluofobia/N
"Cieco"
Le apparenze ingannano, si disse. Se lo ripeteva spesso,
quando per sbaglio incrociava la sua immagine in uno specchio. Bastava
quello per rendersi conto di quanto facile fosse mentire a se stesso e
agli altri. Non era tanto complesso apparire forti, non quando poteva
fregiarsi di un simile compagno. Makishima lo faceva brillare di luce
riflessa, conferiva a un essere misero come lui la dignità
che tanto gli mancava. Come essere umano, come vita. Scosse la testa,
scacciando quei pensieri: era inutile rifletterci troppo, si disse,
dopotutto sapeva di essere ormai una creatura vuota e fragile,
terrorizzata e debole. Era esausto, non dormiva da troppo, ma si
rifiutò di pensarci troppo: era solo mattina, in fondo, non
era il momento adatto per crucciarsene. La causa del suo incubo era
ancora lontana. Non doveva pensarci. Non doveva pensare.
Il luccichio dei suoi occhi sullo schermo del cellulare gli fece
scendere un piccolo brivido lungo il collo.
-Choe?- lo chiamò la familiare voce di Makishima.
Sospirò, sollevato dall’essere stato strappato a
quel circolo vizioso di pensieri che gli facevano soltanto male.
Riconosceva quel tono: sarebbe stato l’inizio di una lunga
conversazione, ma a lui non dispiaceva affatto.
Non sapeva perché lo avesse fatto. Mentre parlava con Shogo
era facile dimenticare l’angoscia che giaceva accucciata sul
fondo del suo petto, pronta a scattare come una belva feroce.
Eppure qualcosa lo aveva spinto a fare quella domanda.
-Tu non hai mai paura?-
Gli occhi ambrati dell’uomo di fronte a lui saettarono verso
i suoi. Fino a un istante prima erano immersi fra le pagine di un libro
da cui aveva appena citato una frase particolarmente interessante, ma
in quell’istante erano solo per Choe.
Il Coreano sentì un brivido lungo la schiena. Si fidava di
Makishima, ma quando le sue iridi tanto penetranti lo attraversavano
non riusciva a trattenere i rivoli di gelo e aspettativa che gli
colavano nell’anima.
Attese la sua risposta come faceva sempre, non togliendogli lo sguardo
artificiale di dosso, sostenendo a fatica quell’attesa di
pochi secondi, che si dilatava a dismisura nello strano equilibrio di
fiducia e sconfinata ammirazione che li univa come poli diversi di una
calamita.
Makishima cercò di vedere oltre quella domanda, fiorita
tanto spontanea quanto forzata. Stava bene nella conversazione che
stavano avendo, ma… Cosa voleva sapere davvero Choe? Non era
un accenno alla loro vita criminale, no, sembrava quasi
un’indiretta richiesta di un consiglio o addirittura di un
aiuto. Sì, forse era quello.
Nel suo sonno leggero, spesso poteva sentire l’agitazione
nella camera accanto alla sua, percepiva i singhiozzi sommessi, le
grida soffocate nel cuscino. Aveva più volte ipotizzato che
la causa risiedesse negli occhi artificiali che rendevano tanto
interessante il viso del suo complice, ma non aveva mai indagato
approfonditamente. Non aveva mai insistito per capire: ciò
che davvero gli importava era che Choe scegliesse deliberatamente di
consegnare il suo dolore nelle sue mani.
Eppure mai prima di allora era arrivato tanto vicino a parlare di
quello che succedeva nel suo cuore. Lo incuriosiva. Lo incuriosiva da
morire, ma non voleva spingerlo troppo oltre, non troppo in fretta.
-La paura un giorno
bussò alla porta…- esordì
infine, chiudendo il libro che aveva in grembo e alzandosi dal divano
con un movimento fluido -…il
coraggio andò ad aprire e non vide nessuno.
Choe riconobbe immediatamente il tono che Makishima aveva usato: -Di
chi è? – Lo chiese raschiando nella sua gola per
buttare fuori una nota divertita.
Qualcosa gli aveva sferrato una brutale stilettata fra la quarta e la
quinta costola, dove quel suo maledetto cuore codardo continuava a
battere.
Eppure non capiva, cosa nelle parole che aveva udito era riuscito a
sconvolgerlo tanto?
-Goethe- sorrise –Anche se molto spesso viene citata come
frase di Martin Luther King…
Choe lo interruppe prima che potesse divagare riguardo
all’origine della frase: -Pensi davvero che per sconfiggere
la paura basti affrontarla?
Lo sguardo che Makishima gli rivolse allora fu diverso dal precedente.
Era più cupo, meno divertito. Non cercava lo spunto, cercava
la verità, quella volta più intensamente: -No,
non credo sia sufficiente – Choe fu quasi certo si stesse
riferendo a lui –Ma sono convinto che molto dipenda
dall’origine della paura stessa. Se è la paura
nata dalle domande, un’angoscia intrinseca
nell’uomo, come quella della morte… Oppure
qualcosa di diverso, una paura infantile che non se
n’è mai andata… - la pausa che fece non
fu casuale, ogni cambiamento nella sua voce era indirizzato a carpire
più informazioni, Choe lo sapeva e lo lasciava fare.
Dopotutto era troppo stanco per fermarlo o anche solo provare a
trattenere la curiosità di Makishima.
-… o qualcosa che nasce da un trauma, una perdita. Questa
paura credo sia la più insidiosa. Non si trova conforto nel
sapere che ogni uomo è terrorizzato dalla stessa cosa, non
ci si può ridere sopra, soffocandola con le memorie
dell’infanzia… Prosciuga la vita come una
sanguisuga…
Fu in quell’esatto istante che smise di ascoltarlo. Lo udiva
parlare, ma non percepiva davvero le sue parole. Il suo cervello
sembrava rifiutarsi, non voleva che l’acuta intuizione di
Makishima gli sbattesse davanti agli occhi uno specchio realistico del
guscio d’uomo che era diventato.
Perché gli aveva fatto quella domanda se non voleva sentire
la risposta? Non lo sapeva, forse sperava solo in un appiglio. Allora
perché sentiva solo la terra sgretolarsi sotto i suoi piedi
e, peggio ancora, il buio avvolgerlo?
Aveva soffocato i suoi pensieri per tutto il giorno, dopo quella
conversazione. Si era chiuso a doppia mandata nell’unico
luogo sicuro che conosceva: il calore rincuorante di un portatile sulle
gambe, la luce fissa dello schermo e soprattutto linee e linee di
codice nella mente, che si intrecciavano sotto le sue dita esperte come
una creatura viva.
Il suo genio, come Makishima lo definiva, era il suo unico, ultimo,
disperato, riparo.
Era solo, non c’era più la presenza
dell’altro al suo fianco. Era solo ed era notte.
C’erano le luci accese nella stanza, ma non bastava. Sentiva
il buio denso della metropoli battere contro i vetri della finestra,
contro la porta, ringhiando e ruggendo, minacciando di abbatterla ed
entrare a prenderlo.
Choe non voleva ammetterlo, ma era esausto. Dopo giorni e giorni di
veglia ininterrotta era giunto il tragico momento in cui avrebbe dovuto
concedere al suo corpo distrutto un po’ di riposo. Non
poteva, non poteva farlo! Eppure la sua folle carne era tanto crudele
da volerlo costringere di nuovo a chiudere i suoi occhi di metallo,
lasciarsi ghermire dal buio.
Doveva dormire, ma non voleva permetterselo.
La sua concentrazione scemava, non riusciva più a tenere gli
occhi aperti. Sempre più spesso il buio lo sorprendeva sotto
le sue stesse palpebre.
Con il buio veniva il dolore, con il buio veniva l’agonia, il
terrore, senza vedere era perso, sconvolto e soggiogato da un mondo a
cui non apparteneva più, era schiacciato da
quell’oscurità pesante, non riusciva a respirare,
non..-
Con le mani che gli tremavano, trovò da qualche parte la
forza di chiudere il portatile che ancora giaceva sulle sue gambe. Si
trascinò verso il letto, pur odiando con ogni fibra di
sé la sola idea di doverlo fare.
“La paura
bussò alla porta…”
cominciò a ripetersi, scivolando sotto le lenzuola con il
terrore nelle viscere “…il
coraggio andò ad aprire…”
con il respiro accelerato allungò la mano verso
l’interruttore. Si prese un paio di secondi per fissare con
astio la luce sopra di lui, poi la spense.
“…e
non vide nessuno.”
Nero.
Tutto nero.
I suoi occhi spalancati nel buio emanavano una flebile luce giallastra,
ma lui non poteva vederla. Strinse le dita fino a farsi male, cercando
di non tremare e piangere come un bambino.
“Ecco… Il
coraggio non vide nessuno… Non lo vide…”
A pensarci non poteva piangere. Emise patetici singhiozzi aridi, senza
che la sua parte razionale, ormai abbandonata, potesse calmarlo. I suoi
occhi finti non si bagnarono, non potevano.
“Makishima, il coraggio è cieco, ecco
perché non vide nessuno”
Questo lo aveva turbato. Il coraggio non ci vedeva, gli avevano
strappato gli occhi, mani gelide gli avevano scavato nei bulbi oculari,
ignorando le sue grida di agonia e lo avevano abbandonato. Nel buio,
confuso, sconvolto, atterrito, sofferente, solo.
Senza punti di riferimento, semplicemente perso, proprio come era stato
lui quel drammatico giorno di agonia, quando un crudele torturatore di
cui non ricordava il volto gli aveva strappato le sue iridi nere e
tanto vive.
Di colpo, non riusciva più a respirare, si sentiva i polmoni
inondati, sommersi da quel nero denso e liquido, che lo immobilizzava.
Il panico aveva stretto i suoi artigli intorno alla sua gola, ai suoi
polsi, bloccandolo.
Aveva la sensazione di non capire più dove si trovasse, che
qualcosa potesse uscire improvvisamente dal nulla e finire il lavoro:
già aveva ingoiato i suoi occhi, perché non
terminare il pasto?
Era talmente sprofondato nel terrore da non riuscire più
neppure a muoversi, limitandosi a farsi sbranare l’anima da
quel niente che lo avvolgeva. Il ticchettio di un orologio analogico
che Makishima aveva tanto insistito per avere gli rimbombava nelle
orecchie insieme al battito ben più frenetico del suo cuore.
Dio, quanto batteva forte.
Sembrava volesse fuggire dal petto, spaccare lo sterno e andarsene da
quella gabbia di terrore.
Sentì un fruscio. I suoi occhi spalancati nel buio videro un
movimento.
Ecco, forse la fine era arrivata? Forse le tenebre lo avrebbero
ingoiato definitivamente, passando dai suoi occhi per entrargli dentro
e riempirlo del loro mortale veleno.
Il suo corpo cercò ancora di piangere, mentre si
rannicchiava dal lato opposto del letto, in un disperato tentativo di
fuggire.
Una mano fresca si chiuse sulla sua.
-Choe Gu-Sung, respira.
La voce di Makishima lo colse di sorpresa, gettandogli finalmente un
po’ di forza nel cuore, quanto bastava per smettere di
iperventilare e trarre degli ansiti rantolanti.
Si aggrappò con violenza non voluta alle dita sottili che lo
tenevano ancorato alla lucidità, strinse con tutta la forza,
perché ne andava della sua vita.
-M-makishima… - esalò –Il
coraggio…- si fermò per deglutire e trovare la
voce per continuare –… Il coraggio è
cieco…
Non poté vedere come le labbra dell’uomo che
vegliava su di lui si fossero piegate, ma sapeva che lo avevano fatto.
Era un sorriso? Lo stava schernendo come faceva sempre con gli altri? O
forse voleva solo rispondergli?
La sola vicinanza dell’altro gli diede quella fiducia che
necessitava per crollare.
Il suo corpo era talmente stanco, talmente debole che si
abbandonò al sonno con una facilità quasi
ridicola.
Gli incubi subito lo presero alla gola: anche nel sonno
l’oscurità seviziava quell’uomo stanco,
così falsamente forte.
Quella volta, però, una sua mano riusciva sempre a sfuggire
a quell’abisso nero, riusciva sempre a trovare un appiglio
per ritrovare la luce, anche solo per pochi istanti, prima di piombare
di nuovo nell’agonia mortale che lo circondava.
Mentre Choe si agitava nel sonno, una mano sottile rimase intrecciata
alla sua, ancora silenziosa in un profondo vortice di dolore.
Perché tutto era ancora biuo.
E il coraggio ancora cieco.
Tana
del Drago:
Bene, io devo essere matta: scrivere per la prima volta in un fandom
per un contest... Ma va bene così, mi presento: il mio
nickname lo avete visto, ma tutti lo abbreviano in "Lady". All'alba del
5° rewatch di Paycho Pass mi sono resa conto di amare alla
follia Makishima e Choe Gu-Sung, e di detestare il magico mondo canon
per la carenza di informzioni sul secondo.
Purtroppo non ho molto tempo adesso (devo andare a
scuola, porcocane) ma spero comunque che questa
shot vi sia piaciuta! Buona giornata a tutti e lasciate una piccola
recensione, se vi va!
Lady
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