La
Strada Verso Casa
capitolo
1 – Libero
2027
d.c. – gennaio
Stringe
i denti, digrignandoli con forza, e con le unghie della mano libera
si aggrappa tenacemente all'erba gelata che riesce a sentire oltre la
fenditura nel terreno.
Ancora
poco, solo qualche metro, e infine sarà libero.
Ringhia,
quando uno strattone gli fa perdere per un momento la presa
sull'esterno e lo trascina giù di nuovo. Non abbastanza da
farlo
cadere, non abbastanza perché possa arrendersi anche questa
volta.
«No»
esala con voce rauca e affaticata.
Scalcia
rabbiosamente, un piede si libera e cerca un appiglio più
solido nel
cedevole terreno sotto di sé, le dita pallide si contraggono
spasmodicamente e affondano nella brina che la notte precedente ha
lasciato.
Se
solo riuscisse a issarsi un poco più in alto, solo un poco.
Il suo
corpo trema, provato dalla tensione troppo a lungo sopportata. Con
uno sforzo, dettato più dalla disperazione che dalla
speranza,
strappa un braccio dalla morsa che lo ha ostinatamente intrappolato
fino a quel momento e, prima che sia troppo tardi, sfrutta
quell'impercettibile vantaggio raggiungendo l'aria aperta con
entrambe le mani.
Sibila
di dolore, mentre il suo corpo viene stritolato nel tentativo di
bloccare la sua arrancante avanzata, ma assottiglia le palpebre in
risposta. Non intende mollare la presa a pochi passi dalla
libertà,
da una libertà agognata durante gli ultimi, lunghissimi e
oscuri
quindici anni.
Può
già intravvederlo, il fievole luccichio dell'alba che si
riflette
sui cristalli di ghiaccio nella radura lì attorno.
È vicino, così
vicino, così... Un grido soffocato abbandona le sue labbra
secche.
Qualcosa, dentro di lui, brucia, come una lama arroventata piantata
in profondità nel fianco, là dove c'è
invece il guizzo oscuro di
un'ombra che tortura la sua anima (sempre che ne sia rimasta ancora
un po' da fare a pezzi, a questo punto).
I
suoi occhi dorati si chiudono, ma non a causa di una possibile resa
come potrebbero aspettarsi i suoi carcerieri. Ha unicamente bisogno
di qualche istante per concentrarsi, un momento per poter meglio
radunare le sue poche forze.
Le
sue labbra si storcono in un agghiacciante ghigno e, un momento dopo,
dalla profonda fessura nello scuro terreno si affaccia il volto
stravolto e sofferente di quella che appare, in tutto e per tutto,
come una creatura appena uscita da un incubo. Ed effettivamente
è
proprio di questo che si tratta: Pitch Black, un tempo meglio
conosciuto come Nightmare King.
Ma
è trascorso molto tempo da allora, troppo forse.
Ciò che ne rimane
e che giace a terra, riverso sull'erba gelata e debolmente illuminato
da un'alba opaca, è appena un'ombra, tutto quello che resta
di uno
spirito dopo essere rimasto imprigionato sottoterra per quindici anni
alla mercé di Incubi e Ombre molto più oscure
dell'ombra stessa.
Rimane
immobile per molto tempo, mentre il sole si muove lentamente nel
cielo, divenendo più luminoso e rendendo le ombre del
sottobosco più
nette. Si potrebbe pensare che si sia assopito, ma al contrario
è
perfettamente sveglio e vigile, catalogando ogni rumore e decidendo
se esso rappresenti o meno un possibile pericolo per sé.
Quando
riapre gli occhi ha evidentemente deciso che, per il momento,
è al
sicuro, ma che sarebbe certamente più saggio allontanarsi da
quel
luogo, prima che faccia ritorno l'oscurità e con essa le
più
temibili Ombre.
Con
non poca fatica si rimette in piedi e, traballante, si avvia verso il
limitare della foresta, nella speranza di trovare un luogo sicuro nel
quale trascorrere un po' di tempo, tempo di cui necessita per
recuperare, almeno in minima parte, le proprie energie. Al momento,
infatti, non pensa di essere abbastanza in forze né per
viaggiare
attraverso le ombre e neppure per percorrere lunghi tratti di strada
a piedi. Già si sente esausto dopo aver fatto quella breve
camminata
che lo ha condotto alla periferia del paese.
Si
accascia contro la ruvida corteccia di uno degli ultimi alberi in
vista e sospira piano. I suoi occhi si soffermano a osservare la vita
che anima il pomeriggio di quel piccolo paese. Tra poche ore tutti
quegli umani faranno ritorno alle loro accoglienti dimore,
lasciandosi alle spalle il freddo dell'inverno appena sopraggiunto e
facendosi coccolare dal calore all'interno di mura conosciute.
Trema.
È strano: riesce a percepire sgradevolmente la rigida
temperatura
invernale. Non dovrebbe essere così, poiché lui
è uno spirito e
gli spiriti non soffrono il freddo. Ma ora è debole, le sue
energie
sono state consumate fino a lasciare solo una pallida imitazione di
sé. E allora sì, sente freddo, e vorrebbe avere
una casa alla quale
fare ritorno, proprio come ce l'hanno gli umani di quel paese, con un
camino a riscaldarla, con un giaciglio morbido sul quale riposare.
Invece poco dopo, ormai stremato, si addormenta appoggiato al terreno
gelato e al ruvido tronco.
“Le
paure e le sciagure, fanno sentir freddo d'inverno.”
(Proverbio
italiano)
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